Omelia in occasione della Santa Messa di suffragio per Emmo. Card. Jaime Lucas Ortega y Alamino

OMELIA IN OCCASIONE DELLA SANTA MESSA DI SUFFRAGIO PER EMMO. CARD. JAIME LUCAS ORTEGA Y ALAMINO

(La Avana, martedì 10 settembre 2019)

 

 

 

Eccellentissimo Mons. Juan de la Caridad García Rodríguez,

Arcivescovo di La Habana,

Ecc.mo Mons, Giorgio Lingua, Nunzio Apostolico

Cari fratelli nell’episcopato,

Cari sacerdoti e consacrati,

Illustrissime Autorità civili e militari,

Cari fratelli e sorelle:

        

Celebriamo in questa cattedrale di La Habana l’eucarestia in suffragio per colui che è stato suo pastore per trentacinque anni, il Cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, a poco più di un mese dalla sua scomparsa.

La mia presenza tra di voi si deve ad un debito di riconoscenza nei suoi confronti, per la buona relazione di amicizia che si instaurò tra noi, quando svolgevo il mio servizio in questo Paese come Nunzio Apostolico, e che è continuata nel tempo. Sono stato destinatario dei suoi gesti concreti di affetto e vicinanza, quando l’anno scorso, sebbene già fosse affetto dalla malattia, ha affrontato il lungo viaggio fino a Roma, per accompagnarmi nel Concistoro, nel quale Papa Francesco mi ha elevato alla dignità cardinalizia.

Questa è stata una ulteriore dimostrazione del suo temperamento di persona nobile e vicina del quale, sono sicuro, tra voi vi sono molti testimoni.

In questo giorno nel quale ricordiamo la cara figura del Cardinale, possiamo osservare la sua vita alla luce della Parola di Dio che abbiamo proclamato e vedere cosa ci dice. Abbiamo appena ascoltato nel Vangelo il noto racconto dei discepoli di Emmaus. Essi venivano da Gerusalemme dispiaciuti e pieni di tristezza, dopo aver vissuto giorni tragici durante i quali il Maestro era stato messo in croce. In tale momento di disperazione, il Risorto è andato loro incontro, ed ha iniziato a camminare con loro. Ha approfittato di quei momenti per spiegare loro ciò che era accaduto attraverso la Parola di Dio.  Fu un dialogo riparatore e pieno di speranze per loro; i loro volti si sono trasformati ed i loro cuori si sono riempiti di consolazione.

Possiamo pensare al nostro caro Cardinale Ortega, un innamorato della Parola di Dio, che leggeva e meditava costantemente, e nella quale trovava il modo consueto di entrare in dialogo con il suo Signore.  Nella preghiera riceveva la forza e la luce necessarie per affrontare tutto con serenità e con una allegria che contagiava. Nonostante le difficoltà, le delusioni e le sofferenze della vita, ha mantenuto sempre la gioia interiore, che dimostrava con un costante e sereno sorriso. Di ciò ne siamo sicuri. Non era un sorriso fittizio o di circostanza per piacere a tutti, ma proveniva dall’intimo perché tutta la sua vita era radicata nell’incontro con Gesù. La sua fede ed il suo amore verso Dio hanno segnato tutta la sua vita e sono stati d’impulso a tutto il suo ministero sacerdotale ed episcopale.

Vi incoraggio, come esorta costantemente il Santo Padre Francesco, a leggere e meditare il Vangelo. Attraverso la Scrittura Dio ci parla e possiamo ricevere gli strumenti per comprendere il cammino che stiamo percorrendo e nascerà anche in noi, così come lo aveva il nostro Arcivescovo Jaime, quel sorriso che è la vita di Dio in noi e la gioia del Vangelo.

I discepoli di Emmaus avevano invitato quello sconosciuto a rimanere con loro, perché era tardi (cf. vv. 29-30). Già seduti intorno al tavolo, Egli prese il pane e pronunciò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro; in quel momento si aprirono i loro occhi e lo riconobbero (cf. vv. 30-31). Per un sacerdote, per un vescovo rivivere questo momento “eucaristico”, di azione di grazie, nel quale i fedeli riconoscono Gesù e ridona loro la speranza è uno dei momenti più salienti della loro vita. È l’eucarestia infatti che crea comunità e Chiesa. È quanto ha sempre affascinato il Cardinale Ortega e a questo servizio fu chiamato fin dalla più tenera età. Ha sentito la vocazione per servire e dare la sua vita. Era innamorato del suo sacerdozio, che lo ha concepito fin dalla sua gioventù come un dono e una responsabilità verso gli altri. Ha bene interpretato quanto il Santo Padre ha scritto recentemente ai sacerdoti: «La vocazione, più che una nostra elezione, è una risposta alla chiamata gratuita del Signore» (Lettera, 4 agosto 2019).

Il Cardinale Ortega ha vissuto la passione per il sacerdozio spinto dal desiderio di rendere l’eucarestia una realtà viva in tutti gli angoli di questa isola come pure in altri paesi. Con tale amore si può affermare che si è prodigato per i suoi sacerdoti, non con un paternalismo stucchevole, ma esigente perché fossero sacerdoti secondo il cuore di Cristo, dediti agli altri perché chiamati per puro amore. Voleva che fossero sacerdoti in uscita, come chiede Papa Francesco, non con una visione parziale e limitata, ma aperta al mondo, respirando l’universalità della Chiesa e sentendo l’impatto di ciò che si vive nelle altre parti del mondo, per amare maggiormente Cuba senza provincialismi, ma con fedeltà.

Il Cardinale si è offerto gratuitamente al popolo che gli fu affidato senza risparmiare le forze; ha amato le sue origini, il suo paese natale, Jagüey Grande, la sua provincia di Matanzas, la sua prima diocesi come Vescovo, Pinar del Río, e la chiesa di La Habana, che Dio gli ha dato, per ultima, come sposa. È impressionante la testimonianza che ci ha lasciato sua madre Adela! Lei lo aspettava fino a che non ritornasse dalle sue visite pastorali, a volte fino a tarda notte. Il figlio le diceva di non farlo ed ella rispondeva: “Ti aspetterò sempre, fino a che non tornerai e dopo ti aspetterò in cielo”. Questo è il cuore delle madri, il cuore della madre di un sacerdote. Il sacerdote, il vescovo non vivono per se stessi, ma per Dio e per gli altri. Così lo hanno conosciuto i suoi fedeli, che lo avvicinavano per manifestargli il loro sostegno e che pregavano per lui, anche durante la malattia. In questi fedeli, che siete voi, possiamo vedere la Madre Chiesa che non lo ha mai lasciato, ma lo accompagnava e sosteneva. Un pastore di questa portata, come è stato il Cardinale Ortega, lascia una impronta nei suoi sacerdoti e fedeli. Ora voi avete la responsabilità di continuare a vivere la vostra vocazione con totalità e fedeltà perché tutti credano.

Vi invito a continuare a pregare per questa Chiesa di Cuba che egli ha amato tanto, per i suoi sacerdoti, per i seminaristi, per le vocazioni al sacerdozio, alla vita consacrata, perché la testimonianza di uomini e donne dediti a Dio e agli altri possa indurre questo popolo a continuare ad approfondire la sua fede, sicuri che Cristo vive.

I discepoli di Emmaus, con il cuore infuocato dalla Parola di Dio (cf. Lc 24,32) e con il conforto rivelatore dello spezzare del pane, non si sono fermati, ma hanno ripreso il loro cammino. Sono ritornati con rinnovata speranza nella comunità, chiusa ed intimorita. Quando si ha la certezza che Cristo è risorto, sgorga l’ardente desiderio di andare in missione. Il Cardinale Ortega ci lascia una vita ricca di segni evidenti del suo ardore di portare agli altri la gioia della salvezza. Quando si è pieni di Dio è possibile iniziare un cammino di incontro con le altre culture, con le altre confessioni religiose, con i fratelli lontani; si realizzano ponti di amicizia, creando una società sempre più giusta e solidale. Con il suo zelo ha rafforzato legami di amicizia con gli altri, anche con quelli di differenti vedute, ed ha avviato un dialogo costruttivo con le autorità di governo e con i paesi vicini. Citiamo soltanto il suo ruolo nei negoziati per avvicinare Cuba agli Stati Uniti d’America. La dedizione e l’amore per il suo popolo, la sua capacità di dialogo e lungimiranza, lo hanno posto in una posizione chiave perché le tensioni svanissero ed i nodi si allentassero.

Se guardiamo alla recente storia cubana, così come alle tante storie personali, di persone semplici, queste sono contrassegnate dal passo del Cardinale Ortega. Nessuno è rimasto indifferente davanti alla sua parola e alle sue opere. Come sacerdote e vescovo, ha voluto vivere lo spirito dei discepoli di Emmaus. É stato un missionario entusiasta e dedito, ha cercato Dio per darlo agli altri con le parole ed i gesti concreti, specialmente ai bisognosi e agli ultimi della società, creando luoghi di accoglienza e di carità perché la loro dignità fosse rispettata e valorizzata.

Siamo consapevoli di quanto amasse questa terra cubana, terra che lo ha visto nascere, crescere, maturare ed anche morire. Ha amato la sua gente e la portava nel suo cuore. Ha lavorato senza sosta per rendere realtà quelle parole che indicano un prima ed un dopo: «Che Cuba si apra [con tutte le sue magnifiche possibilità] al mondo e che il mondo si apra a Cuba»; parole di san Giovanni Paolo II, il primo Pontefice che ha visitato la vostra bella isola nel 1988 (Cerimonia di benvenuto, 21 gennaio).  Successivamente anche Papa Benedetto e Papa Francesco sono venuti nella vostra amata terra come segno di questa comunione tra la Chiesa di Roma e la chiesa particolare cubana e come espressione delle relazioni reciproche e d’intesa tra la Santa Sede ed il Governo di questa nazione. In questa interessante pagina di storia recente dobbiamo riconoscere, con gratitudine, il ruolo svolto dall’Arcivescovo, Jaime Ortega, supportato dai consigli franchi e costruttivi dei suoi fratelli vescovi. Ha sempre creduto nel dialogo come arma potente per costruire ponti di amicizia e fraternità; perché con il dialogo nulla è perduto, senza il dialogo tutto è perso.

L’apostolo Paolo nella lettura che abbiamo proclamato: «Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili; perché le cose invisibili sono di un momento; quelle invisibili invece sono eterne» (2 Cor 4,18), ci invita ad avere uno sguardo che vada al di là delle cose apparenti.

Cari fratelli, al termine della vita, non saremo giudicati se abbiamo preso giuste decisioni o se i progetti sono giunti a buon fine, no; saremo giudicati sull’amore che abbiamo posto in ognuna delle nostre azioni e parole; un amore che, ad un semplice sguardo, forse non è stato considerato o valorizzato, me che è stato scrutato da Dio che tutto vede e conosce nell’intimo di ogni cuore.

In questa celebrazione, come vi è stato annunciato, vogliamo dare anche il saluto a S. E. Mons. Giorgio Lingua, Nunzio Apostolico tra di voi per 4 anni e che è stato nominato dal Santo Padre come suo Rappresentante nella Repubblica di Croazia, in Europa. Unire la preghiera di suffragio per l’amato Card. Jaime Lucas Ortega y Alamino alla preghiera di ringraziamento al Signore per l’opera generosa svolta tra di voi da Mons. Nunzio, mi pare sia una cosa che renderà felice in cielo il nostro Cardinale perché essi insieme in questi ultimi anni hanno collaborato per l’edificazione della Chiesa e per il progresso del vostro Paese. Che il Signore mostri misericordia a colui che fu il vostro amato Pastore e lo accolga nel suo Regno e che accompagni con la sua grazia il carissimo Mons. Lingua nella nuova missione affidatagli da Papa Francesco.