Intervento su Rosario Angelo Livatino

La Santità della porta accanto

 

    Il prossimo 9 maggio, ad Agrigento sarà celebrato il rito per la Beatificazione di Rosario Livatino. Il decreto pontificio lo indica come martire, ossia ucciso in odio ala Fede. Il delitto avvenne il 21 settembre 1990. Rosario era nato il 3 ottobre 1952. Trent'otto anni. Il fatto ebbe grande risonanza, come tanti altri analoghi all'epoca, purtroppo. Non fu l'unico, infatti: il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa (1982), i magistrati Rocco Chinnici (1983), Antonino Saetta (1988), Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (1992), furono anch'essi ammazzati dalla mafia. Per Livatino, però, si aggiunge l'odium fidei.

    Per comprendere la santità di questo giovane magistrato occorre esaminarla da punti di vista distinti, ma convergenti. Anzitutto quello che l'esortazione Gaudete et exsultate di Francesco indica come «santità “della porta accanto"» (n. 7). Il processo per la beatificazione di Livatino nacque super virtutibus. Successivamente, però, sulla base di ulteriori testimonianze emerse la tipologia di martirio. Dove fu il punto qualificante? In quella che possiamo definire la coerenza piena e invincibile tra la fede cristiana e la vita. In una sua conferenza, parlando dell'indipendenza del giudice, egli disse che non è solo «nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale ...» (7 aprile 1984).

    Livatino rivendica qui l'unità fondamentale della persona; una unità che vale e si fa valere in ogni sfera della vita: personale e sociale. Questa unità Livatino la visse in quanto cristiano, al punto da convincere i suoi avversari che l'unica possibilità che avevano per uccidere il giudice era quella di uccidere il cristiano. Per questo la Chiesa oggi lo onora come martire.

    Marcello Card. Semeraro

(Millestrade, mensile di informazione della Diocesi Suburbicaria di Albano, aprile 2021)