Sinodo, nome della Chiesa: una citazione

 

Sinodo, nome della Chiesa: una citazione

 

Conoscendo il contenuto del mio intervento, il prof. Alberto Melloni ha scelto il titolo: Sinodo nome della Chiesa: una citazione. È il caso, però, che lo spieghi subito anche a voi. Esso si riferisce all’affermazione fatta da Francesco nel suo discorso del 17 ottobre 2015 per commemorare il cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi: «Come dice san Giovanni Crisostomo, “Chiesa e Sinodo sono sinonimi” – perché la Chiesa non è altro che il “camminare insieme” del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore». La «citazione», però, non è solo questa. Siccome siamo in questo contesto bolognese devo annotare ciò che scriveva il prof. Giuseppe Alberigo in un suo pregevole e sostanzioso articolo del 2007: sviluppando il tema del Sinodo come liturgia, egli ricordava che «Giovanni Crisostomo non esitava a affermare alla fine del IV sec. che “Chiesa e Sinodo sono sinonimi”»; alludendo, poi, a una nuova misura della sinodalità, poco più avanti la indicava anch’egli come la «vocazione a “camminare insieme”, come dice l’etimologia di sin-odo».[1]

Ciò premesso, dirò subito che la mia attenzione è indirizzata a due questioni: la prima, se la parola sinodo sia da tradursi senz’altro con camminare insieme; la seconda domanda è se la citazione del Crisostomo non meriti un qualche approfondimento chiarificatore.

 

Sinodo = camminare insieme?

Il primo argomento riguarda la possibile etimologia del termine sinodo. È oramai comunemente ripetuto che si tratti di un composto della parola greca hodos, che significa strada, via con il prefisso sùn, che vuole dire insieme. La cosa, tuttavia, è oramai ripetuta, ma è da ritenersi pacifica? C’è, infatti, chi sostiene che il greco classico hodos abbia la sua origine nel greco attico, dove indica la soglia di una casa (in greco classico oudos), per cui al termine «sinodo» deriverebbe il primario significato di incontro, assemblea, riunione.[2]

A prescindere da tale questione etimologica, si dovrà ammettere che nell’uso linguistico del greco sia profano, sia ecclesiastico con sinodo s’intende sempre un «congiungersi», un riunirsi, un incontrarsi.[3] Il che è, evidentemente, ben diverso da un semplice e materiale «camminare insieme». Ciò che piuttosto qualifica è l’affetto che stringe chi sta insieme, il moto interiore che spinge ad unirsi e porta a incontrarsi.

Ecco, allora, che quanto all’uso profano, il monumentale Thesaurus Graecae Linguae dello Stephanus, alla voce σύνοδος riunioni dai più diversi significati, anzitutto dell’intima unione sessuale tra l’uomo e la donna (si ricorre al termine coitus: da coire = congiungersi, muoversi per unirsi e stare insieme) ma poi pure la congiunzione tra il sole e la luna[4] (ciclo lunare sinodico) e di altre stelle e pianeti; le riunioni di più persone per discutere e decidere (congressus) e altre forme di incontrarsi (conventus/convenire), anche conviali.[5] Lo stesso significato è conservato da testi di autori di origine ebraica, come Filone e Giuseppe Flavio, i quali usano sinodo prevalentemente come unione sessuale e come assemblea. Quanto, poi, all’uso ecclesiastico, il termine greco σύνοδος conserva sempre il senso prevalente di riunione e di congiunzione e questo anche per indicare l’unione delle due nature in Cristo.[6]

Questo senso di incontro è opportunamente reso con il latino concilium, termine che abitualmente viene spiegato come «adunanza di persone» (id est a concalando, convocando, ossia un essere «chiamati per riunirsi», che evoca il greco ek-klesia). Anche concilium, dunque, ha, come versione latina di synodus, il significato di riunione, assemblea. Significati, questi, che nella lingua italiana hanno altri termini apparentati, come: convegno, congresso, conferenza… In tutti questi usi, sia per synodus, sia per coetus il significato di «camminare insieme» non è escluso, anzi; non è primario, ma ha bisogno, come spiegherò meglio in fine, di essere qualificato.

La parte maggiore del mio intervento, però, intendo dedicarla al testo di San Giovanni Crisostomo, dal quale, nella sua allocuzione del 17 ottobre 2015, Francesco trasse l’affermazione, poi spesso ripresa: Chiesa e Sinodo sono sinonimi.

 

La citazione di San Giovanni Crisostomo

L’espressione è tratta dal commento al Salmo 149,1; un salmo la cui intonazione ci è data dal suo incipit: «Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell’assemblea dei fedeli». Si tratta del penultimo dei Salmi dell’Hallel, ossia di quei salmi dei quali san Gregorio di Nissa diceva che sono un tale incoraggiamento alla lode del Signore da potersi equiparare alla lode eterna degli angeli a Dio, sicché tutta la propria vita diventi una lode a Dio.[7] Si aggiungerà che, come annota G. Ravasi, questo salmo potrebbe anche essere inteso come l’ultimo dell’intero Salterio, considerando il Salmo 150 come la dossologia conclusiva.[8] Veniamo, dunque, al commento del Crisostomo.

La prima cosa che egli fa è commentare il versetto iniziale: Cantate al Signore un canto nuovo. In cosa, dunque, consiste tale novità? In cosa, dunque, consiste questa novità? Sotto un profilo strettamente esegetico, poiché già i Salmi 96 e 98 hanno una simile intonazione, anche nel nostro caso la novità è specialmente nel fatto che il canto sale al Signore dal popolo degli hasîdîm, ossia del resto d’Israele, di quelli che gli sono rimasti fedeli; dal popolo degli anawîm, cioè i «poveri» sui quali Dio si china stringendoli a sé con la sua tenerezza.[9] L’ebreo A. Chouraqui commenta il versetto in senso escatologico: «Per gli ultimi tempi il canto nuovo corrisponde ai cieli nuovi che ricoprono la terra nuova preparata per quelli che dovranno abitarla. La novità del canto è data dalla sua corrispondenza con l’uomo vivente su di una terra e sotto cieli nuovi».[10]

Nella lettura cristiana, la novità del canto è motivata piuttosto cristologicamente, poiché si tratta del canto del Verbo Incarnato. Cassiodoro, il cui nome torna spesso nella Liturgia delle Ore per gettare luce su di un intero salmo, diceva che il cantare al Signore è «un canto nuovo» perché rimanda al mistero dell’Incarnazione. È questo il canto nuovo sicché la lode del Signore non può essere elevata da chiunque e dappertutto, ma solo nell’assemblea dei santi, ossia nella Chiesa, «sia che si ritenga che essa sia la “cattolica”, che è realmente dei santi; sia che significhi quella Gerusalemme celeste, che senza dubbio è anch’essa dei santi. Chiesa infatti si traduce come assemblea (collectio), cosa che certamente può essere riferita ad entrambe».[11]

Il passaggio ecclesiologico è connaturale ed è presente sempre nell’esegesi patristica. Così, per l’Occidente, in Sant’Agostino, che scrive: «Cantate al Signore un cantico nuovo, la sua lode nella Chiesa dei santi. Questa è la Chiesa dei santi: la Chiesa del buon frumento sparso in tutto l’universo… La Chiesa dei santi è la Chiesa cattolica».[12] La prospettiva ecclesiologica si nei padri della Chiesa di Oriente. Così sant’Atanasio, il quale, seguendo in questo Origene e alla luce dei testi paolini di 1Cor 3,16 e 2Cor 6,16, scrive che l’assemblea dei fedeli o dei santi può essere interpretata anche in riferimento ai singoli cristiani, che sono il «tempio di Dio», il cui corpo è «tempio dello Spirito».[13] Anche per Eusebio di Cesarea il cantico nuovo è quello della Nuova Alleanza compiuta in Cristo, il cantico che come in un coro si innalza a piene voci nella Chiesa al Nome di Cristo.[14]

Giovanni Crisostomo condivide questa lettura cristologico/ecclesiologica e comincia così il suo commento:

Secondo il senso anagogico, è il Nuovo Testamento che designa questo nuovo inno. Tutto, infatti, è diventato nuovo. L’Alleanza (diathéke) : «concluderò con voi una alleanza nuova», dice (Ger 31, 31). La creatura, perché «se uno è in Cristo, è una nuova creatura» (2Cor 5,17). L’uomo, «perché vi siete tolti di dosso l’uomo vecchio, e avete indossato quello nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, a immagine del suo creatore. (Col 3,9). Poiché, dunque, la vita è nuova e perché tutto è rinnovato, che noi parliamo di Nuovo Testamento ed è per questo che il profeta ci esorta ora a cantare un canto nuovo.

In questo esordio il riferimento cristologico è già evidente; altrettanto chiara, però, è la direzione interiorizzante: la novità del canto non è nelle note esteriori, ma nello spirito che lo anima. Prosegue, dunque, il Crisostomo:

Vedete come [ora] esiga il comportamento prima delle parole, il ringraziamento (eucharistian) manifestato dai fatti, come richieda le opere buone, prima d’introdurvi nel coro destinato a inneggiare a Dio. Le parole, infatti, non bastano per ringraziare (eucharistein): bisogna aggiungere anche la virtù delle azioni. «La sua lode sia ascoltata nell’assemblea dei santi».

Il canto, dunque, è nuovo perché sgorga da una interiorità che si immedesima con Cristo; è, ancora, nuovo perché risultato dell’armonia tra interiorità ed esteriorità, della corrispondenza tra parole e opere: alle parole deve aggiungersi la virtù delle azioni! Questa premessa (che proprio riferendosi al Crisostomo san Tommaso chiama credibilità)[15] è necessaria per entrare nel coro «eucaristico», ossia nel canto di rendimento di grazie. Con linguaggio benedettino diremo: occorre che la mente concordi con la voce.[16]

Solo a questo punto, quasi in un logico e consequenziale procedere, il Crisostomo passa alla dimensione ecclesiologica e dice:

Queste parole ci insegnano una seconda cosa. Ci mostrano, infatti, la necessità che una lode sia unisca altre lodi sicché nascano acclamazioni (euphemias) tali da formare un concerto (symphonias). La Chiesa, infatti, è un corpo in cui tutto è bene organizzato (systematos) e forma un tutto armonico (synodou).

Siamo così giunti alla espressione fatidica, quale, però, diventa incomprensibile se staccata da tutto quello che la precede. Prima della parola «sinodo», infatti, ve ne sono altre, ugualmente impegnative, che la preparano e con la quale formano un tutt’uno. Le elenco soltanto:

1. eucharistia, che vuol dire canto di rendimento di grazie e che nel linguaggio cristiano giungerà presto a indicare quella speciale preghiera che porta all’anamnesi del Cristo crocifisso e risorto e al dono della sua presenza sacramentale;

2. euphemia, che è una acclamazione di lode che si caratterizza per la sua bellezza e il carattere gioioso;

3. symphonia che richiama l’incontro armonioso di voci e di suoni;

4. systema che indica un’organizzazione ordinata e completa, al punto che san Gregorio di Nissa l’adopera per indicare la composizione perfetta del corpo di Cristo nell’utero della Madre.[17] È un termine che anche nel linguaggio di filosofi indica una congiunzione astrale, il rapporto armonioso fra cielo e terra e dei corpi stellari (cosmo); indica ancora l’armonia del canto nella composizione delle diverse voci e l’armoniosa composizione del corpo umano e del corpo ecclesiale.

È solo a questo punto che giunge la parola synodos e per di più non isolatamente, ma formando una endiadi con la parola systema: Ekklesía gar systématos kai synódou estìn ónoma. «Nome della Chiesa è sistema e sinodo»! Nella endiadi la parola «sinodo» si completa con la parola «sistema», cui rimanda e viceversa. Intendere, dunque, il tale contesto il termine «sinodo» come un semplice «camminare insieme», a me pare un evidente fuor di luogo e un impoverimento, oltre che un travisamento di senso. L’accostamento tra «sinodo» e «sistema», invece, è tale da esigere fra i due termini una reciproca attrazione. Non due nomi, ripeto, ma piuttosto come due fuochi di una medesima ellisse.

Cosa può, dunque, avere inteso il Crisostomo con il suo accostamento? Nella sua riflessione, quale significato è dato al termine «sinodo»? L’ipotesi più plausibile è che il senso sia quello di assemblea, fatto derivare da quello principale di «congiunzione». Con l’aggiunta, però, di tutte quelle qualità che derivano immediatamente dal termine systema ossia di armonia, ordine e bellezza. Legata, poi, agli altri termini in gioco, la parola «sinodo» giunge ad avere una valenza liturgica. I suoi caratteri, infatti, sono quelli del rendimento di grazie, dell’unanimità e della coralità, della gioia e della festa, della carità e dell’armonia non possono mai mancare a questa assemblea, se vuole davvero meritare il nome di Chiesa. È questo che san Giovanni Crisostomo intende con la sua affermazione: la Chiesa ha il nome di sistema e di sinodo! Da qui una forse migliore traduzione: «La Chiesa è un corpo ben organizzato (systematos),[18] che forma un tutto armonico (synodou)».[19]

 

Sinodo – con-sentire in Cristo

Ho già detto che il significato di «camminare insieme», per quanto non primario non è però affatto escluso dal termine «sinodo»; esso, anzi, vi è implicito. Necessita, però e proprio per questo, di una qualificazione. È quanto, in conclusione, intendo brevemente fare. Prenderò spunto dal fatto che l’unica volta in cui nell’uso neotestamentario appare un termine apparentato con synodus è Lc 2,44. Qui si legge che Gesù dodicenne era rimasto a Gerusalemme e non era, come i genitori pensavano, nella synodίa, ossia nella carovana.[20] È un rischio anche per la «sinodalità» di cui oggi parliamo. Anche ad essa può accadere che Gesù non sia dove si pensa! Che egli, invece, sia altrove, a Gerusalemme per occuparsi delle cose del Padre. «Camminare insieme», dunque, non basta per essere espressione di sinodalità, non basta a costruire la sinodalità! Ancora dodicenne, a noi Gesù sta già dicendo: siete voi a dover venire dietro a me, non io dietro voi! Capisco che vi faccia piacere camminare insieme, ma la prima persona con cui dovete camminare sono Io, che sono la via (cf. Gv 14,6)![21]

Non entro qui nelle importanti indicazioni neotestamentarie sulla denominazione della Chiesa come «via».[22] Desidero, piuttosto, portare l’attenzione sul fatto che l’essere in carovana non è un semplice camminare insieme. Anche un esercito cammina insieme, ma non così, di sicuro, la Chiesa e neppure lo è alla maniera di una scampagnata (comitiva), o di una gita turistica. Carovana, invece è vivere insieme! È un nome collettivo [dal persiano kārwān] che designa una pluralità di persone che si mettono in viaggio «insieme», ma non viaggiano soltanto. Soprattutto se consideriamo l’antico Oriente (quello a cui si riferiva Lc 2,44) essere in carovana voleva dire vita in comune, ma non saltuariamente bensì per giorni e giorni, il giorno e la notte; indicava soste per consumare i pasti, cantare e alleviare la stanchezza; considerava disagi da superare e implicava la previsione di come sostenersi nelle stanchezze e nelle difficoltà, come difendersi dai pericoli comuni…

Al riguardo, ho trovato una suggestiva descrizione, che se pure si riferisce a una collana editoriale, a me pare molto appropriata per ciò che si deve intendere: «Synodia è voce densa, vibrante, arcaica, che richiama il vagare desolato dei nomadi, le carovane chiassose dei mercanti, il viaggiare gaudioso dei pellegrini. È anche parola biblica che evoca lo stesso cammino periglioso di una fede che inquieta e rasserena perché racchiude la paura di una perdita inattesa, l’ansia di una ricerca e lo stupore di un ritrovamento carico d’incomprensione (Lc 2,41-50). Synodia ricorda allora parole, pensieri e fatti da trattenere nella memoria, da custodire lungo la via, da consegnare con fedeltà e arte alla propria discendenza perché l’oblio che indurisce il cuore non faccia perdere il santo timore che illumina e sostiene».[23]

Molto presto, poi, con Sant’Ireneo di Lione il termine synodía passerà a indicare la Chiesa.[24] A questo testo di Ireneo ha fatto ricorso papa Francesco quando, incontrando il 3 giugno 2022 una delegazione di giovani sacerdoti e monaci di Chiese ortodosse orientali, ha detto: «Come scrive San Paolo ai Galati, siamo tenuti a camminare secondo lo Spirito (cf. Gal 5,16.25). O, come dice Sant’Ireneo, che ho recentemente proclamato Dottore dell’Unità, la Chiesa è tôn adelphôn synodia, espressione che può essere tradotta come “una carovana di fratelli”. Ecco, in questa carovana cresce e matura l’unità, che – secondo lo stile di Dio – non arriva come un miracolo improvviso ed eclatante, ma nella condivisione paziente e perseverante di un cammino fatto insieme».

Alla medesima immagine della carovana Francesco aveva fatto ricorso al n. 87 di Evangelii Gaudium: «Oggi […] sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio».[25]

Se queste annotazioni hanno un valore, penso si dovrebbe essere un po’ più sobri nel ricorrere alla equivalenza tra «sinodalità» e camminare insieme. A ben vedere il solo «camminare insieme» non dice nulla di propriamente «cristiano». È un valore umano, a prescindere. Come, però, ha scritto Manuel Nin, Eparca Apostolico di Grecia, il punto fondamentale da chiarire al fine di fuorviare qualsiasi riflessione sulla sinodalità, «è il senso e l’oggetto vero e proprio della preposizione greca συν. Essa non si riferisce al “cammino” bensì a “qualcuno” con cui lo si porta a termine, lo si fa questo cammino. Il significato di sinodo non è quello di “tutti insieme”, ma piuttosto quello di “cammino con…”. E l’oggetto o la persona “con cui” la preposizione συν ci collega, ci mette insieme, non è il cammino, neppure siamo noi, i cristiani, laici, preti, vescovi. Ma questo συν…, questo “con…”, questa preposizione greca a noi cristiani ci collega, ci porta a una Persona, ed è Cristo. Quindi un primo chiarimento andrebbe fatto: non si tratta di un “tutti camminando insieme…”, bensì di un “camminando -tutti certamente- con Cristo…”. Senza dimenticare che questo “con Cristo” avviene nella Chiesa, alimentata, vivificata dai Santi Doni del suo Corpo e del suo Sangue preziosi»[26].

L’immagine che, in conclusione, si rivela ai nostri occhi è quella dei due discepoli che andavano a Emmaus. Avevano lasciato alle spalle Gerusalemme e, insieme con la città, avevano abbandonato anche gli altri discepoli. La loro scelta, dunque, era stata un’interruzione (una fractio) del loro precedente stare insieme, un arretramento verso il particolarismo e l’isolamento. In questo cammino dimissionario si fece vicino un Terzo che, avvicinatosi a loro, «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24, 27). C’è poi il fermarsi attorno ad una mensa e una fractio panis.[27] È mirabile la conclusione di San Gregorio Magno: «Riconoscono nello spezzare il pane il Signore di cui non si erano accorti mentre venivano spiegate le Scritture… Ricevettero la luce non tanto ascoltando la divina Parola ma nel momento di attuarla… Il Signore non fu riconosciuto mentre parlava e si degnò di esserlo fruendo dell’ospitalità».[28]

A me pare che sia la medesima lezione che ci giunge dal testo di San Giovanni Crisostomo: non è né il semplice «camminare insieme», né il solo «stare insieme» che fa la sinodalità. Ciò che la rende tale è il momento decisivo dell’incontrarsi e dello stare con Cristo e in Cristo.

La virtù delle azioni unita alla parola, diceva San Giovanni Crisostomo, e aggiungeva quei termini che ho richiamato, come armonia, sinfonia, eucaristia. Fractio panis unita a fractio verbi, ci dice San Gregorio Magno, che aggiunge: ascoltare la parola e attuarla nella vita e, da ultimo, caritatis opera amare. Alla fractio verbi et panis, se consideriamo per intero il racconto di Emmaus, deve aggiungersi la fractio gaudii: «dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”» (Lc 24,32). Ha tradotto molto bene la Commissione Teologica Internazionale quando nel suo documento sulla «Sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa» (2 marzo 2018) ha spiegato così il passo del Crisostomo: « La Chiesa infatti è l’assemblea convocata per rendere grazie e lode a Dio come un coro, una realtà armonica dove tutto si tiene (σύστημα), poiché coloro che la compongono, mediante le loro reciproche e ordinate relazioni, convergono nell’ἁγάπη e nella ὁμονοία (il medesimo sentire)».[29]

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Spero, in conclusione, di avere dato un contributo a comprendere meglio, in questa stagione di «sinodalità», anche l’input iniziale del prof. G. Alberigo. Il legame fa sinodalità e liturgia non è solo suggestivo, ma pertinente, se non altro con il testo di San Giovanni Crisostomo, su altri aspetti del quale mi riprometto di tornare.[30] Al momento, anche per fare un rimando in materia, chiudo con questa parole con le quali Roberto Repole, ora arcivescovo di Torino, chiude un suo studio sul medesimo argomento. «Nel radunarsi insieme della Chiesa e nell’opera di discernimento comunitario avviene per l’azione dello Spirito che si renda presente Cristo: Egli si ri-presenta nella Chiesa. Va poi notato, in secondo luogo, che effetto di questo agire dello Spirito è il consenso e l’accordo che si realizza … In terza istanza va notato che quanto i fa – quando ci si raduna sinodalmente – non può che essere incastonato all’interno di un contesto liturgico. Per questo si parla, ad esempio, della celebrazione di un Sinodo, così come si fa a proposito della Eucaristia… L’evidenziazione, sul piano di una riflessione espressamente teologica, dell’analogia esistente tra assemblea eucaristica ed assemblea sinodale può aiutare a considerare che quello liturgico-eucaristico non è l’unico momento in cui la Chiesa si raduna in assemblea e, dunque, che non si deve domandare a quella specifica assemblea quel che essa non è tenuta a dare. Al contempo ciò può favorire una visione delle assemblee più propriamente sinodali che non le riduca a meri momenti organizzativi, con il rischio di una visione in fondo secolarizzata delle stesse».[31] È, in fondo, la stessa ragione per la quale ho ritenuto opportuno rileggere in completezza il testo di San Giovanni Crisostomo.

 

Fondazione per le SCIenze REligiose, Piccola Scuola di Sinodalità – Bologna 5 febbraio 2023

 

Marcello Card. Semeraro

 

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[1] G. Alberigo, Sinodo come liturgia?, in «Cristianesimo nella Storia», 28 (2007), 7. 11. Su questo, cf. pure G. Ruggeri, Chiesa sinodale, Laterza, Bari-Roma 2022, 67-70. Ora, anche il quaderno n. 109 della Rivista Liturgica (2022/1) dedicato al tema «Liturgia e sinodalità». Per l’espressione, vale la pena almeno ricordare che nella festa dell’Immacolata 1971 il Card. Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino, pubblicò la lettera pastorale Camminare insieme, che ebbe vasta eco. Nelle prime pagine, indicandone la finalità, scriveva che «la diocesi ha bisogno di camminare insieme, attuando una pastorale comune per ciò che riguarda gli elementi di fondo»; per tale ragione l’arcivescovo chiedeva a tutti una adesione volenterosa e operosa al programma proposto nella Lettera.

[2] Cf. A. Join-Lambert, Les liturgies des Synodes Diocésains français (1983-1999), Du Cerf, Paris 2004, 62-65.

[3] Per completezza si dovrà premettere che nella letteratura cristiana antica il primo uso della parola «sinodo» ha un significato personale: indica, cioè, delle persone. I cristiani, scriveva agli Efesini sant’Ignazio d’Antiochia, sono synodoi, ossia coloro che camminano insieme: «Siete tutti compagni di viaggio (synodoi, conviatores), portatori di Dio, portatori del tempio, portatori di Cristo e dello Spirito, in tutto ornati dei precetti di Gesù Cristo»: Ad Eph. 9, 2: PG 5, 652. Cristo, anzi, è il Synodos per eccellenza: per i suoi discepoli, infatti, Cristo è il vero «compagno di viaggio». In una commovente invocazione conservata negli apocrifi «Atti di Tomaso», leggiamo quest’esortazione: «Credi in Cristo Gesù… Egli ti sarà compagno (synodos) lungo il sentiero pericoloso, ti sarà guida verso il regno suo e di suo Padre, ti condurrà alla vita perpetua e ti darà quella sovranità che non passerà e non cambierà mai»: Acta Thomae, 103: cf. L. Moraldi (a cura di), Apocrifi del Nuovo Testamento. II. Atti degli Apostoli, Piemme, Casale Monferrato 1994, 1308.

[4] Così in Deut 33,14 si parla del «meglio dei prodotti del sole e il meglio di ciò che germoglia (συνόδων = dalle unioni di) ogni luna»

[5] Cf. Thesaurus Graecae Linguae ab Henrico Stephano constructus… , VII, Parisiis, Firmin Didiot, 1848-1854, 1424-1426.

[6] Così nell’Orazione 30, 8 di san Gregorio di Nazianzo e anche nel Contra Eunomium di san Gregorio di Nissa, dove si parla della «ineffabile commistione e congiunzione (σύνοδος) della piccolezza della natura umana temperata dalla divina grandezza: Cf. PG 36, 113 e PG 45, 737.

[7] In Psalmos, VII: PG 44, 513.

[8] Cf. G. Ravasi, Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione, III, EDB, Bologna 1985, 981-985.

[9] Sui significati dei termini e la traduzione con «i pii», cf. pure L. Alonso Schökel – C. Carniti, I Salmi, II, Borla, Roma 2007, 877-878; G. Castellino, Libro dei Salmi, Marietti, Torino-Roma 1953, 534-535.

[10] Cf. A. Chouraqui traduit et comment Les Psaumes. Louanges, Du Rocher 1996, 750n.

[11] Ps. CXLIX. Expositio: PL 70, 1048. Qui il versetto 2 del Salmo è attribuito sia alla Chiesa pellegrina sulla terra, sia alla Chiesa celeste (synodia).

[12] Enarr. in Psalmos., CXLIX, 12: PL 36, 1949-1950. La lettura agostiniana sarà ripresa nel Medio Evo, ad esempio da Bruno di Chartres (X sec.), nel suo commento al Salmo 149: PL 152, 1416.

[13] Cf. De tituli Psalmorum, Ps. CXLIX: PG 27, 1338. Per Origene, da cui, peraltro, dipendono in molti, l’assemblea dei santi è l’assemblea degli uomini nuovi in Cristo, cf. PG 12, 1680.

[14] Cf. Comm. in Psalmos, Ps. CXLIX: PG 24, 72.

[15] Citando il commento del Crisostomo al vangelo secondo Matteo, san Tommaso afferma che credibile è chi alle parole unisce i fatti: «ut a signis credibilis appareret in his quae dicebat», Catena in Mt., XIX, l. 1.

[16] Cf. Regula XIX, 7. Un breve, ma denso commento al detto benedettino lo fece Benedetto XVI nell’Udienza del 26 settembre 2012: «Elemento fondamentale, primario, del dialogo con Dio nella liturgia, è la concordanza tra ciò che diciamo con le labbra e ciò che portiamo nel cuore. Entrando nelle parole della grande storia della preghiera noi stessi siamo conformati allo spirito di queste parole e diventiamo capaci di parlare con Dio».

[17] Cf. Epistulae, III: PG 46, 1021.

[18] Il Crisostomo attribuisce alla Chiesa il carattere di systema («comunità ben organizzata, salda») anche nel commento a 1Tes 1,1, dove scrive: «Alla Chiesa di Tessalonica. Non si tratta di un’affermazione priva di intenzioni. Questi fedeli erano ancora poco numerosi e senza molta coesione, ed è per incoraggiarli che l’apostolo usa qui il termine Chiesa. Non lo usa sempre quando si rivolge a comunità consolidate, numerose e fortemente costituite. Il termine Chiesa implica sia il grande numero che l’unione ben salda dei membri; è come un incoraggiamento che l’apostolo lo applica ai Tessalonicesi»: PG 62, 303.

[19] Come per systema, il Crisostomo ricorre al termine synodos per indicare la Chiesa anche nel commento a 1Cor 11,17-34 che riguarda il come celebrare la cena del Signore. Scrive: «La chiesa è stata fatta non per dividere coloro che si riuniscono in essa, ma per unire coloro che sono divisi, e questo è il significato della parola assemblea (synodos)»: In Epist. primam ad Cor. Homil. 27, 3: PG 61, 228.

[20] Il termine ha come radice verbale synodéuo, che compare in At 9,7: «Gli uomini che facevano il cammino con lui [Saulo] si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce, ma non vedendo nessuno». Cf. per questo S. Pinto, Sinodalità: una categoria biblica da recuperare, in «Apulia Theologica» 8 (2022), 1, 27-49.

[21] M. Grilli, Una sfida per la Chiesa. La sinodalità nell’opera lucana, Paoline, Milano 2022, 43-64.

[22] Cf. per questo, S. Pinto, «Lo Spirito Santo e Noi». La sinodalità nella Bibbia: vocazione, fratture e processi, Messaggero, Padova 2022, 63-83; Grilli, Una sfida per la Chiesa cit., 25-41.

[23] http://www.ilpozzodigiacobbe.it/synodia/

[24] Il termine appare per ben due volte nel libro III del suo Adversus: la prima dove si legge che, a motivo dell’ambiguità del suo insegnamento, Cerdone fu allontanato dalla synodia dei fratelli; la seconda volta per dire che i denigratori dell’apostolo Paolo «disprezzano la scelta del Signore e si separano dalla synodia degli apostoli». Cf. M. Semeraro, Prefazione a O. F. Piazza, Ireneo di Lione. Doctor Unitatis, Città Nuova, Roma 2022, 9-13.

[25] Per essere completo sul pensiero di Francesco, devo aggiungere che la medesima convinzione circa il significato di sinodo/carovana egli lo espresse quando, intervenendo il 12 ottobre 2001 nella X Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi per la relatio post disceptationem che gli spettava come relatore aggiunto. Disse: «Siamo […] consapevoli che il processo sinodale è stato accompagnato dalla celebrazione e dalla preghiera, che hanno costituito il clima spirituale della nostra congregazione o “cammino comune” (sunodos)»: N. Eterović (ed.), Sinodo dei Vescovi. X Assemblea Generale Ordinaria. Il Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo, Lateran University Press, Città del Vaticano 2012, 478. Riguardo all’espressione: «cammino comune», annoterei che nella lingua italiana essa ha un significato diverso dal camminare insieme. La «comunanza», infatti, è ben più dello stare insieme, perché indica l’avere un vincolo in comune e il vivere in comune. In concreto è ciò che con linguaggio ecclesiologico diciamo «comunione». Al riguardo, dice bene la Commissione Teologica Internazionale (CTI) quando scrive che: «La sinodalità, in questo contesto ecclesiologico, indica lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice», CTI, Documenti (2005-2021), ESD, Bologna 2022, 395 [572]. Difatti tutto questo rimanda al termine «stile», per il quale la stessa CTI scrive: «La sinodalità designa innanzi tutto lo stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa, esprimendone la natura come il camminare insieme e il riunirsi in assemblea del Popolo di Dio convocato dal Signore Gesù nella forza dello Spirito Santo per annunciare il Vangelo. Essa deve esprimersi nel modo ordinario di vivere e operare della Chiesa. Tale modus vivendi et operandi si realizza attraverso l’ascolto comunitario della Parola e la celebrazione dell’Eucaristia, la fraternità della comunione e la corresponsabilità e partecipazione di tutto il Popolo di Dio, ai suoi vari livelli e nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli, alla sua vita e alla sua missione», l.c., n. 70a, 429 [650]. Per questo, mi permetto rinviare a M. Semeraro, Testimoniare la fede in stile sinodale, in A. Melloni (a cura di), «Sinodalità. Istruzioni per l’uso», EDB, Bologna 2021, 47-62; Idem, Sinodalità, anzitutto uno stile, in «La Rivista del Clero Italiano» 2021/10, 671-690.

[26] V. testo su https://drive.google.com/file/d/1kfH7Tlm0OsygmbogaVQp0nrBdBim8F4v/view

[27] G. B. Montini commentava così: «questo essere di Cristo con noi , è tutto il senso e la realtà del cristianesimo che viene dopo la Risurrezione… Gesù vive, accompagna i suoi cristiani attraverso tutte le esperienze della loro vita… Ha voluto camminare con noi l’esperienza della nostra vita», Omelia del 7 aprile 1958, in «Discorsi e Scritti milanesi», I, Istituto Paolo VI, Brescia 1997, 2078-2029.

[28] Homiliae in Evangelia, XXIII: PL 76, 1181-1183.

[29] Intr., 3 in CTI, Documenti cit., 392 [565].

[30] Per un mio primo intervento sul tema, cf. M. Semeraro, Glosse sulla sinodalità, ne «L’Osservatore Romano» dell’11 marzo 2016, 4. Più in generale, Idem, Voce Sinodalità, «Nuovo Dizionario Teologico Interdisciplinare» a cura di O. Aime, B. Gariglio, N. Guasco, L. Pacomio, A. Piola, G. Zeppegno, EDB, Bologna 2020, 653-658.

[31] R. Repole, Assemblea eucaristica e assemblea sinodale. La comune azione dello Spirito, in «Rivista Liturgica», 109/1 (2022), 166-177.