Omelia al Dicastero nella Messa alle Grotte Vaticane

 

Spendersi con ardore interiore

Omelia al Dicastero delle Cause dei Santi

 

La costituzione apostolica Praedicate evangelium dedica alla spiritualità il n. 6 dei principi e criteri per il servizio della Curia Romana. Lì, a tutti coloro che la compongono, si raccomanda di coltivare la relazione con Cristo Gesù, «spendendosi con ardore interiore a favore dei piani di Dio e dei doni che lo Spirito Santo consegna alla sua Chiesa, e adoperandosi a favore della vocazione di tutti i battezzati alla santità». Sono, questi, degli impegni coi quali ci sentiamo senz’altro a nostro agio: in quanto cristiani, certamente, ma anche come battezzati che operano all’interno di un Dicastero – quello per le Cause dei Santi – il quale lavora perché, considerando proprio quella vocazione comune, non manchino al popolo di Dio modelli che spronano a non fermarsi lungo la strada e stimolano a continuare a camminare verso la meta (cf. Gaudete et exsultate, n. 3). Perché tale scopo sia raggiunto Praedicate evangelium  ricorda alcuni mezzi come la preghiera in comune, il rinnovamento spirituale e la periodica celebrazione comune dell’Eucaristia.

È per questo che stamane siamo qui. Abbiamo voluto farlo in un momento in cui dopo i mesi estivi abbiamo ormai ripreso i ritmi abituali del lavoro e anche del nostro stare insieme. Non siamo certo come i ragazzi che, da ieri, hanno ripreso in gran parte delle nostre città le lezioni scolastiche; tuttavia il senso del «ricominciare», in qualche maniera, lo abbiamo un po’ tutti. E come quando, svegliandoci al mattino, facciamo il segno della croce così adesso intendiamo rimettere nelle mani del Padre il nostro lavoro quotidiano perché, come diceva san J. H. Newman, «è perfetto chi fa in modo giusto le sue azioni giornaliere; per raggiungere la perfezione non abbiamo bisogno di oltrepassare questi limiti» (Breve via di perfezione).

Oggi, poi, dopo la festa dell’Esaltazione della santa Croce celebriamo, quasi come eco mariana, la memoria della Beata Vergine Maria Addolorata: una memoria che ha un solido fondamento biblico nella profezia di Simeone (cf. Lc 2,35) e nella presenza di Maria sotto la Croce (cf. Gv 19,25). Giorni fa mi è accaduto di leggere nel vol. VI del Liber Sacramentorum del card. Schuster un testo tratta dalla tradizione greca in cui Maria rivolta a Figlio crocifisso gli dice: «Quando ti diedi alla luce in modo del tutto ineffabile non provai le doglie del parto; ora invece da ogni parte sono piena di dolore: Ti contemplo infatti sospeso come un ladro al patibolo». È un confronto al quale non avevo prima pensato! Con la sua devozione alla Madre addolorata, la pietà cristiana ha equilibrato ciò che rischiava di elevare la Santa Madre di Dio in una trasfigurazione tale da sottrarla al regno dell’uomo. Per la pietà cristiana la Santa Vergine non è una «dea», ma una madre che, come tutte le madri comuni, anche le nostre mamme, hanno sofferto; la pietà cristiana ha ricondotto Maria nella condizione umana e così l’ha avvicinata ancor più a noi.

La tradizione cristiana, dal Medioevo in poi è piena di meditazioni sui dolori di Maria. Ricordo di aver letto, anni or sono, un discorso di sant’Alfonso Maria de Liguori sui dolori della Vergine, «regina de’ martiri perché il suo martirio fu più lungo e ‘l più grande di quello di tutti i martiri». Citava fra l’altro le apparizioni a santa Brigida di Svezia, quando l’angelo le diceva che «come cresce la rosa tra le spine così la Madre di Dio si avanza negli anni tra le sofferenze e siccome al crescere della rosa crescono le spine, così Maria, la rosa eletta dal Signore: quanto più cresceva tanto più le spine dei suoi dolori s’avanzavano a tormentarla». Discorsi come questi si proponevano di incoraggiare l’imitazione della Vergine per affrontare come lei le prove e le difficoltà della vita. Non erano e non sono discorsi insignificanti, ma forse non colgono a sufficienza il valore della con-sofferenza, della compassio di Maria.

Ci aiuta san Paolo VI, il quale nella sua Marialis cultus scriveva che la memoria della Vergine Addolorata «è occasione propizia per rivivere un momento decisivo della storia della salvezza e per venerare la Madre associata alla passione del Figlio e vicina a lui innalzato sulla croce» (n. 7). Appare qui qualcosa di singolare, che non può sfuggirci: la possibilità di rapportare e collegare ogni nostra fatica, ogni nostro dolore alla Croce di Cristo. Don Giovanni Moioli – un teologo milanese prematuramente morto nel 1984 – ebbe ad annotare in un suo scritto: «La sofferenza dell’uomo non è ancora la croce. È la croce, il soffrire di Gesù che dà il senso e fa diventare croce il soffrire dell’uomo».

Mi tornano alla memoria le parole che Francesco usò nella sua Omelia del 3 aprile 2020, Venerdì di Passione. Ripercorse quelli che tradizionalmente sono indicati come i “sette dolori” della Vergine… e poi disse: «A me fa bene, in tarda serata, quando prego l’Angelus, pregare questi sette dolori come un ricordo della Madre della Chiesa, come la Madre della Chiesa con tanto dolore ha partorito tutti noi». Concluse: «Oggi ci farà bene fermarci un po’ e pensare al dolore e ai dolori della Madonna. È la nostra Madre. E come li ha portati, come li ha portati bene, con forza, con pianto: non era un pianto finto, era proprio il cuore distrutto di dolore. Ci farà bene fermarci un po’ e dire alla Madonna: “Grazie per avere accettato di essere Madre quando l’Angelo Te lo ha detto e grazie per avere accettato di essere Madre quando Gesù Te lo ha detto”».

 

Grotte Vaticane, presso la tomba di Pietro,  15 settembre 2022

 

Marcello Card. Semeraro