Omelia in memoria di San Pio V, papa

 

Abnegazione e responsabilità

Omelia in memoria di San Pio V, papa

 

Carissimi, vi saluto tutti di vero cuore, insieme col vostro Vescovo, il cui invito a presiedere questa Santa Messa intendo come gesto di fraternità e di amicizia: sentimenti, l’uno e l’altro, che sinceramente ricambio. Lo stesso mons. Egidio (Miragoli), d’altra parte, una volta, in occasione di una solenne liturgia, non trascurò di sottolineare l’importanza della fraternità e dell’amicizia tra vescovi come fondamentale segno di comunione tra le Chiese particolari. In questo, possiamo trovare un modello anche in San Pio V, il Papa che voi siete giunti sin qui a onorare e ricordare perché, prima di essere chiamato alla Cattedra di Pietro, era stato – benché per breve tempo – vescovo della vostra Chiesa di Mondovì. San Pio V, infatti, ebbe come amico e come buon consigliere San Carlo Borromeo, del quale appena ieri abbiamo celebrato la memoria.

La vostra presenza in questa Basilica romana presso la tomba di San Pio V ha il sapore di un pellegrinaggio. Egli, a dire il vero, avrebbe desiderato essere sepolto nella sua terra natale, in Piemonte; oramai, però, era diventato un simbolo e questo bisognava metterlo in forte evidenza. Simbolo, dicevo, lo era divenuto soprattutto con l’evocazione della vittoria di Lepanto (1571); simbolo, pertanto, soprattutto della forza delle fede cristiana, vittoriosa non solo sul «pagano», ma pure sull’eretico. Ecco, allora, che Sisto V volle farne raccogliere le spoglie mortali nel solenne monumento funebre che qui, ora, ammiriamo e dove sono rappresentati quelli che ormai erano considerati i principali successi di San Pio V: la vittoria di Lepanto e quella contro gli ugonotti. Più sobriamente – per fortuna – al 30 aprile il Martirologio Romano ne tesse questo elogio: «rinnovò, secondo i decreti del Concilio di Trento, con grande pietà e apostolico vigore il culto divino, la dottrina cristiana e la disciplina ecclesiastica e promosse la propagazione della fede». È un ritratto, questo, più aderente alla sua figura di «santo»: l’unico papa, insieme con Celestino V, a essere canonizzato prima di San Pio X.

La figura di San Pio V ci può ricordare anche altri valori e, tra questi, la carità verso i poveri: si racconta che il giorno della «incoronazione» papale, anziché far gettare monete al popolo come consuetudine, preferì soccorrere a domicilio molti bisognosi della città di Roma. Egli stesso preferiva visitare gli ospedali per curare i malati ed esortarli alla rassegnazione; ai Fatebenefratelli suggerì di aprire in Roma un nuovo ospizio e durante la carestia del 1566 e le epidemie che ne seguirono, fece distribuire ai bisognosi somme considerevoli ed organizzare i servizi sanitari.

Altra virtù di non poco conto fu la coerenza morale: cosa che gli fu occasione di umiliazioni e di sofferenze. Fra queste, gli storici hanno inserito pure quella di essere allontanato da Roma quale vescovo di Mondovì; si tratta, però, di una tesi oggi discussa. In tale contesto potremmo risentire le parole di San Paolo proclamate nella prima lettura: «Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele» (1Cor 4,2). L’Apostolo si riferisce a chi ha ricevuto la missione di annunciare il vangelo, o di guidare una comunità e a loro richiama due atteggiamenti necessari e interiormente complementari: il sentirsi «servo», anzitutto, e qui il modello è Cristo che ha perfezionato il suo «servizio» nel dono di Sé; l’immagine dell’amministratore, poi, che è quella di chi non agisce autonomamente, ma è sempre responsabile verso colui dal quale ha ricevuto l’incarico.

Dono di sé, abnegazione e responsabilità! Ecco, allora, quel che possiamo ritrovare nella vicenda umana di San Pio V. Gli storici sottolineano, con tonalità differente, il suo rigore e la sua severità. Egli, però, l’intese come responsabilità di fronte a Dio e di fronte alla Chiesa. Ai ministri della Chiesa, infatti, Sant’Agostino diceva che «per essere senz’altro partecipi della salvezza non basta esserne dispensatori mediante la parola e i Sacramenti; occorre, invece, essere anche dei buoni ministri» (Epist. 261, 2: PL 33, 1077).

Ed è per questa ragione che a Pietro, Gesù non domanda se è bravo, se è intelligente, se è abile… Gli chiede se lo ama, se gli vuole bene (cf. Gv 21,15-17). È questa, infatti, la prima condizione, per svolgere nella Chiesa una qualsiasi missione: amare Gesù, volergli bene. Senza questo requisito tutto è vano. È la ragione per la quale, ancora san Paolo e sempre nella prima lettera ai Corinti, fa l’elenco di qualità davvero prestigiose, come il dono delle lingue, o della profezia e della conoscenza di tutti i misteri e perfino di una fede capace di trasportare le montagne… Conclude, però: se non avessi la carità, non sarei nulla… «e se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (13,1-3).

Lo scorso 17 settembre il Papa ha ricevuto in udienza i pellegrini della Diocesi di Alessandria, giunti a Roma anche loro per i 450 anni della morte di San Pio V. Francesco fece allusioni ad ancora oggi persistenti, erronee letture delle opere di questo Papa (penso alla sua approvazione del Messale Romano tridentino), tendenti a farne un ricordo nostalgico, o una memoria imbalsamata; invitava a coglierne, piuttosto, l’insegnamento e la testimonianza considerando che l’asse portante di tutta la vita di San Pio V fu la fede. Sul suo esempio – proseguiva Francesco – dobbiamo essere cercatori della verità e fare del Signore il fondamento della vita comunitaria, intessendola con vincoli d’amore; esortava pure a vivere eucaristicamente (ricordiamo, a questo punto, la profonda devozione di San Pio V per l’Eucaristia, che celebrava quotidianamente, e l’amore verso il Crocifisso, la cui immagine devotamente spesso baciava). Il Papa concludeva il suo intervento con queste parole: «Seguire l’insegnamento degli Apostoli, la dottrina della Chiesa; vivere in comunione, non in guerra fra noi; vivere eucaristicamente, spezzare il pane, e pregare: bello, vero? Si può fare». Con queste incoraggianti parole concludo anch’io la mia omelia, ringraziandovi ancora per la fraternità e per l’invito col quale mi avete permesso di stare oggi, con voi e col vostro Vescovo, attorno alla Mensa del Signore.

 

Basilica di Santa Maria Maggiore – Cappella Sistina, 5 novembre 2022

 

Marcello Card. Semeraro