Omelia nella Basilica Santuario S. Antonio in Messina

 

LA DOPPIA CARITA'

 

Omelia nella Basilica Santuario S. Antonio in Messina

 

    1. «Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: Pace a voi!» (Gv 20,19). Questo saluto, col quale il Signore Risorto donò la Pace ai suoi discepoli, lo abbiamo ricevuto anche noi questa sera ed ha subito conseguito il suo effetto: ci ha fatto riconoscere come famiglia di Dio, tutti raccolti attorno alla mensa della Sua parola e dell’Eucaristia. Nella gioia, allora, di questa fraternità vogliate raccogliere pure il mio ringraziamento per questo invito. Il mio saluto lo rivolgo anzitutto al carissimo arcivescovo di questa Chiesa, Mons. Giovanni Accolla col vescovo ausiliare Mons. Cesare Di Pietro: li rivedo con grande piacere qui a Messina, dopo l’incontro del febbraio 2018. A loro unisco il Rev.do p. Rampazzo superiore generale dei Padri Rogazionisti con i membri della famiglia religiosa presenti e il p. Mario Magro, rettore del Santuario. Saluto pure i presbiteri concelebranti, tra i quali vedo il re.do p. Felice Scalia S.J., che saluto con filiale affetto. Un rispettoso saluto lo riservo anche alle Autorità presenti con S.E. il Prefetto di Messina sig.ra Cosima di Stani e il sig. Cateno De Luca, sindaco della Città, con le altre autorità civili, militari e di polizia intervenuti a questo sacro rito.

    Giungo qui a Messina portando con me molti cari ricordi, legati soprattutto agli anni del mio episcopato nella Chiesa di Oria, in Puglia, dove sant’Annibale Maria Di Francia trovò accoglienza e dimora, specialmente nelle dure circostanze legate al terremoto di Messina. Ebbi occasione di richiamare questi legami – ora rinnovati nel mio animo – quando il nostro Santo fu canonizzato nel 2004 ed affidai alla Chiesa di Oria una lettera pastorale titolata La doppia carità. Trassi l’espressione da uno scritto dello stesso Santo, dove si legge: «Evangelizzare i poveri senza soccorrerli è un lavoro incompleto. Bisogna unire l’una cosa all’altra. Non si venga mai meno a questo spirito di doppia carità». Penso di non essere lontano dal vero se affermo che questo radicamento nella «doppia carità» è un elemento determinante del carisma di sant’Annibale.

    Non è necessario, d’altronde, andare troppo lontano, giacché al riguardo sarà spontaneo richiamare il duplice comandamento evangelico dell’amore di Dio e per il prossimo. Al primo aspetto, d’altra parte siamo stati oggi richiamati dalla seconda lettura: «In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti» (1Gv 5,3); nella prima lettura, poi, ci è stato ricordata la vita nella carità della prima Chiesa: «Nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno» (At 4,34-35). Questo duplice amore, che rimanda ai due precetti della carità, sant’Agostino lo chiamava gemina charitas, ossia «le due ali con le quali, nel desiderio e nella speranza, voliamo verso il Signore («Illuc volemus spe et desiderio, habentes alas geminae charitatis», In Ps. 138, 12; cf. De doctr. christ. 1,36,40; 2,6,7). San Giovanni Paolo II scriverà che il «duplice volto di amore per Dio e per i fratelli, è la sintesi della vita morale del credente» (Tertio Millennio Adveniente, n. 50).

 

    2. Torniamo, allora, al racconto del Vangelo che è stato appena proclamato: è la pagina che segnala la domenica pasquale che stiamo celebrando, chiamata pure «della Divina Misericordia». Quello che ora Gesù dona ai suoi discepoli, lo aveva già promesso nel suo «discorso di addio» (cf. Gv 14-16): il dono dello Spirito-Soffio di vita, il potere di perdonare, l’invio della missione … Adesso, però, c’è una differenza fondamentale ed è il fatto Gesù fisicamente non è più lì. Nella nuova condizione di Risorto egli sta davvero in mezzo a loro, ma in una modalità che sfugge alle logiche umane.

    Il Signore conosce bene la problematicità che un tale cambiamento suscita nei discepoli e per questo rassicura: li «rin-cuora», infonde nel loro cuore la Pace e mostra loro le mani e il fianco, perché sappiano che è davvero vivente. Così fa pure con Tommaso quando gli dice: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco». Ma cosa gli mostra? I segni del suo amore. A questa sfida Tommaso non resiste, cede all’amore e gli dice: «Mio Signore e mio Dio!».

    Noi abbiamo fatto di Tommaso il prototipo degli scettici. Egli, in realtà, è il tipo di tutti noi: il nostro «gemello», perché anche noi, come lui, siamo chiamati a «credere» senza «aver visto». Tommaso è il nostro «gemello», perché siamo di fronte alla sua medesima sfida: riconoscere il Signore attraverso i segni del suo amore; essere quelli di cui scrive san Pietro: «Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui» (1Pt 1,8).

 

    3. Parlando di sant’Annibale Maria Di Francia durante il rito della canonizzazione, san Giovanni Paolo II mise anzitutto in evidenza il suo amore per il Signore, che lo spinse a dedicare l’intera esistenza spirituale al bene spirituale del prossimo. Il nostro Santo, in effetti, aveva notato che, mentre comandava ai suoi seguaci di chiedere al Padre gli operai della messe, nello stesso tempo Gesù li inviava a operare personalmente a favore delle folle stanche e sfinite come pecore senza pastore (Mt 9, 36).

    Dalla compassione, dunque, prese avvio la vicenda spirituale di Annibale Maria Di Francia; da quando, cioè, ancora giovane diacono, in un vicolo di Messina incontrò un mendicante cieco. Nel fargli l’elemosina gli domandò donde fosse e quello gli rispose che era delle Case Avignone. Si trattava di un quartiere della città, divenuto luogo di grande miseria e anche, purtroppo, di degradazione morale. Il padre Annibale iniziò qui il suo apostolato, partecipe della compassione di Gesù sulle folle. Scriverà: «Voi potete imprigionare tutti i poveri del mondo, potete accalappiarli come i cani e farli morire annegati, ma non potrete mai distruggere il sentimento della carità, che spinge a dare soccorso agli infelici» (A. Sardone, «Annibale Maria Di Francia, sacerdote secondo il cuore di Dio», Studi Rogazionisti 106/2010, 60).

    Ecco, allora, carissimi, una proposta anche per l’anno giubilare, che s’inizia in questa «Giornata del centenario di questa bella Basilica». Proclamare l’anno di grazia del Signore, infatti, vuol dire sempre, come per Gesù, sapersi mandati a portare ai poveri il lieto annuncio (cf. Lc 4,18).

    11 aprile 2021, a cento anni dalla fondazione

 

    Marcello Card. Semeraro