Omelia nella beatificazione di Juan Elías Medina e 126 compagni

 

Prima di voi ha odiato me

 

Omelia nella beatificazione di Juan Elías Medina e 126 compagni, martiri

 

    «Se il mondo vi odia…». Le parole di Gesù profilano ai suoi discepoli un orizzonte cupo, sconcertante, deprimente. Chi mai intraprenderebbe un viaggio con tali previsioni? Eppure non manca lo spiraglio da cui irrompe un primo raggio di luce: «io vi ho scelti dal mondo»! Mentre ci preannuncia l’odio del mondo, Gesù ci ricorda il suo amore di predilezione, l’amore amore misericordioso col quale ci ha eletti: un termine, questo, che non vuol dire soltanto essere scelti. Gesù lo aveva appena detto ai suoi discepoli: «io ho scelto voi» (Gv 15,16). Ora, però, lo ripete sottolineando che si è trattato di un gesto salvezza: vi ho tirato fuori dal mondo! A Pietro che impaurito, mentre affondava nel mare, gli gridava: «Signore, salvami», Gesù tese la mano e lo afferrò, tirandolo fuori (cf. Mt 14,29-31). Nella parrocchiale di Furelos, un villaggio della Galizia sul cammino di Santiago, è conservata l’immagine in legno di un Crocifisso la cui mano destra, liberata dal chiodo, è rivolta verso il basso, per sollevare a sé un penitente, che il sacro ministro non intendeva assolvere dai suoi peccati. Una misteriosa voce intanto gli dice: «Io ho dato la mia vita per questo mio figlio, perciò se tu non lo assolvi, lo assolverò io».

    Sant’Agostino diceva che «dalla medesima massa che tutta si è perduta in Adamo, vengono formati i vasi di misericordia di cui è composto il mondo destinato alla riconciliazione. Questo mondo è odiato dal mondo che pur nella stessa massa, è però composto dai vasi dell’ira, destinati alla perdizione» (In Ioannis ev. tract., 87, 3: PL 35 1853). Nell’odio del mondo, dunque, c’è come la gelosia e l’invidia di chi ha perduto la sua preda; di chi se l’è vista sottrarre. Ecco, allora, il duplice impegno, che la parola del Signore intende suscitare nella nostra volontà: la presa di distanza dal «mondo», che qui indica l’insieme di chi alla luce preferisce le tenebre, alla verità l’errore, all’amore l’odio; e poi, anche, l’attenzione a non lasciarci ammaliare dalla nostalgia del peccato. San Pietro ammonisce: «Se dopo essere sfuggiti alle corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima» (2Pt 2,20).

    Al tempo stesso la parola di Gesù vuole ricordarci la sua vicinanza. Quando, infatti, ci dice: «voi non siete del mondo», intende rassicurarci che egli sempre ci vede come suoi amici, suoi discepoli, suoi fratelli. Subito dopo, difatti, egli richiamerà la figura del Padre suo, quello cui ci ha insegnato a rivolgerci dicendo: Padre nostro! Lo scenario aperto dall’annuncio dell’odio del mondo è, peraltro, esattamente l’esatto contrario dell’altra parola confortante e colma di promesse: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). Ci pare, allora, di sentire l’eco del canto pasquale: Mors et vita duello conflixere mirando … «La morte e la vita si sono battute in uno stupefacente duello: il signore della vita, morto, vivo regna». È la consapevolezza che animò i nostri martiri, molti dei quali, come sottolineò il vescovo di Cordoba Adolfo Pérez y Muñoz, mentre erano uccisi gridavano: «Viva Cristo Re»! Regnavit a ligno Deus.

    «Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo …». Con quest’altra parola il Signore ci raccomanda di operare un discernimento in quello che potremo chiamare odio del mondo. Sbaglieremmo, io penso, se con questa espressione intendessimo qualunque difficoltà ci sia posta davanti, oppure quelle avversità che non provengono dal nostro essere veramente discepoli del Signore, ma che sono la conseguenza delle nostre infedeltà, del nostro essere entrati nella logica del mondo. Non ogni difficoltà e contrarietà è, dunque, odio del mondo, ma soltanto la violenza che si abbatte su di noi perché siamo del Signore. A causa del suo Nome. È per questa interiore certezza che un cristiano giunge perfino ad essere lieto di soffrire, come leggiamo negli Atti degli Apostoli: «Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù» (5,41). Per altro verso, san Paolo avverte di non lasciarsi turbare dalle persecuzioni perché, scrive: «voi stessi  sapete che questa è la nostra sorte» (1Ts 3,3). L’odio del mondo è, dunque, inseparabile dal discepolato di Gesù ed è pure la sua migliore apologia, se è vero quanto scriveva sant’Ignazio di Antiochia: «Non è opera di persuasione ma di grandezza il cristianesimo, quando è odiato dal mondo» (Ai Romani, III,3: F. X. Funk, 256).

    «Prima di voi ha odiato me», dice il Signore. Nasce da qui l’aforisma più volte ripetuto da sant’Agostino: martyrem Dei non facit poena, sed causa. Egli diceva pure che animus martyrii martyrem facit: «martire lo fa già il desiderio del martirio» e adduce l’esempio dei tre fanciulli che, nel racconto del libro di Daniele, furono gettati a bruciare nella fornace: «Eviteremo di ritenerli martiri solo perché la fiamma non poté consumarli? Chiedilo alle fiamme: non patirono martirio, chiedi alla volontà: ricevettero la corona del martirio. Dissero: Dio può liberarci dalle tue mani, ma anche se non ci liberasse – ed è qui la fermezza degli animi, qui la coerenza della fede, qui la virtù indomita, qui l’immancabile vittoria – ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non adoriamo la statua che hai eretto. Dio dispose altrimenti, non bruciarono, ma spensero il fuoco dell’idolatria nell’anima del re» (Sermo 296, 5: PL 38 1355).

    In queste parole abbiamo senz’altro un utile spunto per considerare il folto gruppo di martiri, che oggi la Chiesa ha dichiarato beati. È un gruppo che – come a suo tempo annotò un Consultore teologo – ci pone «di fronte a una varietà di profili umani, a una ricchezza e profondità di spiritualità, talvolta anche con profonde radici nelle scienze teologiche, espressa nella molteplicità dei vissuti quotidiani, prima di raggiungere la vetta del martirio il quale sigilla con il sangue tutta l’esistenza. Siamo di fronte a uno spaccato di storia la cui memoria potrà diventare luogo di evangelizzazione dentro contesti secolarizzati. È la testimonianza di una Chiesa circumdata varietate. È come l’esplosione della Pentecoste, la realizzazione della profezia di Gioele: Lo Spirito Santo irrompe su tutti: anziani e giovani, figli e figlie, e chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo» (Relatio et vota…, p. 236).

    Qui riuniti in assemblea liturgica possiamo, dunque, ripetere con gli angeli il canto che abbiamo ascoltato dall’Apocalisse: «Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen» (7,12).

 

    Cattedrale di Cordoba, 16 ottobre 2021

 

Marcello Card. Semeraro

 

_______________________

 

 

VERSIONE IN SPAGNOLO

 

 

«Me ha odiado a mí antes que a vosotros» (Jn 15, 18)

 

Homilía en la Beatificación de Juan Elías Medina y 126 compañeros, mártires.

 

         «Si el mundo os odia...». Las palabras de Jesús trazan a sus discípulos un horizonte oscuro, desconcertante, deprimente. ¿Quién emprendería un viaje con tales previsiones? Y, sin embargo, no falta un resquicio por el que irrumpa el primer rayo de luz: «¡Yo os he escogido sacándoos del mundo!»

    Mientras nos anuncia el odio del mundo, Jesús nos recuerda su amor de predilección, el amor misericordioso con el cual nos ha elegido: un término, este, que no quiere decir solamente ser seleccionados. Jesús lo acababa de decir a sus discípulos: «soy yo quien os ha elegido» (Jn 15, 16). Ahora, en cambio, lo repite subrayando que se ha tratado de un gesto de salvación: ¡os he sacado del mundo! A Pedro, que lleno de temor mientras se hundía en el mar gritaba: «Señor, sálvame», Jesús tendió la mano y lo agarró, sacándolo fuera (Cf. Mt 14, 29-31).

    En la parroquia de Furelos, un pueblo de Galicia en el Camino de Santiago, se conserva una talla de un Crucificado, cuya mano derecha, liberada del clavo, se dirige hacia abajo para levantar hacia sí un penitente, que el ministro sagrado no tenía intención de absolver de sus pecados. Una voz misteriosa mientras tanto le decía: «yo he dado mi vida por este hijo mío; por eso, si tú no lo absuelves, yo lo absolveré”.

    San Agustín decía que «de esta masa que en Adán ha perecido entera, se hacen objetos de misericordia, entre los que está el mundo perteneciente a la reconciliación, al que odia el mundo hecho de idéntica masa, perteneciente él a los objetos de ira que han sido terminados para perdición» (In Ioannis ev. Tract., 87, 3: PL 35 1853). En el odio del mundo, así pues, hay como celos y envidia de quien ha perdido su presa; de quien ha visto como se la robaban. Este es entonces el doble compromiso que la palabra del Señor quiere suscitar en nuestra voluntad: la toma de distancia del «mundo», que aquí indica todos los que prefieren las tinieblas a la luz, el error a la verdad, el odio al amor; y después, también, la atención a no dejarse seducir por la nostalgia del pecado.

    San Pedro advierte: «Pues si después de haberse alejado de los abusos del mundo por el conocimiento de nuestro Señor y Salvador Jesucristo, vuelven a implicarse en ellos hasta verse dominados, entonces su situación última es peor que la primera» (2 Pe 2, 20).

    Al mismo tiempo la palabra de Jesús quiere recordarnos su cercanía. Cuando, de hecho, nos dice: «vosotros no sois del mundo» pretende asegurarnos que Él siempre nos ve como sus amigos, sus discípulos, sus hermanos. En seguida, de hecho, Él recordará la figura de su padre, aquel al cual nos ha enseñado a dirigirnos diciendo: ¡Padre nuestro!

    El escenario abierto con el anuncio del odio del mundo es, además, exactamente el contrario de la otra palabra confortante y llena de promesas: «tanto amó Dios al mundo que entregó a su Unigénito» (Jn 3, 16). Nos parece sentir, entonces, el eco del canto pascual: Mors et vita duello confixere mirando... «La muerte y la vida se han batido en un duelo asombroso; el Señor de la vida, muerto, reina vivo».

    Es la conciencia que animó a nuestros mártires, muchos de los cuales, como subrayó el obispo de Córdoba Adolfo Pérez y Muñoz, mientras eran asesinados gritaban: «¡Viva Cristo Rey!» Regnavit a ligno Deus.

    «Si fuerais del mundo, el mundo os amaría como cosa suya...». Con esta otra palabra el Señor nos recomienda obrar un discernimiento en aquello que podremos llamar odio del mundo. Nos equivocaríamos, pienso, si con esta expresión entendiéramos cualquier dificultad que se nos ponga delante, o bien las adversidades que no provienen de nuestro ser verdaderos discípulos del Señor, sino que son la consecuencia de nuestras infidelidades, de haber entrado en la lógica del mundo.

    No todas las dificultades y contrariedades son, pues, odio del mundo, sino solo la violencia que se abate sobre nosotros porque somos del Señor. A causa de su nombre. Es por esta certeza interior que un cristiano llega incluso a estar contento de sufrir, como leemos en los Hechos de los Apóstoles: «Ellos, pues, salieron del Sanedrín contentos de haber merecido aquel ultraje por el Nombre [de Jesús]» (Hch 5, 41).

    Por otro lado, San Pablo advierte de no dejarse turbar por las persecuciones porque, escribe: «sabéis bien que esa es nuestra condición» (1 Tes 3, 3). El odio del mundo, pues, es inseparable del seguimiento de Jesús y es también su mejor apología, si es verdadero lo que escribía San Ignacio de Antioquía: «No es obra de persuasión sino de grandeza el cristianismo, en cuanto es odiado  por el mundo» (Ai Romani, III,3: F.X. Funk, 256).

    «Me ha odiado a mí antes que a vosotros», dice el Señor. Nace de aquí el aforismo tantas veces repetido por San Agustín: martyrem Dei non facit poena, sed causa. Él decía también que animus martyrii martyrem facit: «al mártir lo hace ya el deseo del martirio» y muestra el ejemplo de los tres niños que, en el relato del libro de Daniel, fueron arrojados para ser quemados en el horno: «¿Vamos a negarles el título de mártires porque la llama no fue capaz de devorarlos? Si consideras el fuego, nada sufrieron; si miras su voluntad, fueron coronados. Poderoso es Dios —dijeron— para librarnos de tus manos; pero, aunque no lo haga —aquí se ve la seguridad de los corazones, la firmeza de la fe, la virtud inconmovible y la victoria segura—; pero, aunque no lo haga, sábete, ¡oh rey!, que no adoraremos la estatua que nos has erigido. A Dios le plugo otra: no ardieron, pero extinguieron en el ánimo del rey el fuego de la idolatría» (Sermo 296, 5: PL 38 1355).

    En estas palabras tenemos ciertamente una apropiada ocasión para contemplar el nutrido grupo de mártires que hoy la Iglesia ha declarado beatos. Es un grupo que –como en su tiempo anotó un Consultor teólogo- nos pone «delante una variedad de perfiles humanos, una riqueza y profundidad de espiritualidad, a veces también con profundas raices en las ciencias teológicas, expresadas en la multiplicidad de las experiencias cotidianas, antes de alcanzar la cima del martirio que sella con su sangre toda la existencia. Estamos delante de una visión de la historia cuya memoria podrá convertirse en un lugar de evangelización dentro de contextos secularizados. Es el testimonio de una Iglesia circumdata varietate. Es como la explosión de la Pentecostés, la realización de la profecía de Joel. El Espíritu Santo irrumpe sobre todos: ancianos y jóvenes, hijos e hijas, y todo el que invoque el nombre del Señor será salvado» (Relatio et vota..., p.236).

    Aquí reunidos en la asamblea litúrgica podemos, pues, repetir con los ángeles el canto que hemos escuchado en el Apocalipsis: «La alabanza y la gloria y la sabiduría y la acción de gracias y el honor y el poder y la fuerza son de nuestro Dios, por los siglos de los siglos. Amén» (Ap 7,12).

 

    Catedral de Córdoba, 16 de octubre de 2021

 

Marcello Card. Semeraro