Omelia nella festa del Battesimo del Signore per la venerabilità di Sr. Elisabetta Martinez

CIELI APERTI PER NOI

 

Omelia nella festa del Battesimo del Signore per la venerabilità di Sr. Elisabetta Martinez

 

    Il nostro incontro liturgico in questa Domenica avviene, carissime sorelle, dopo che il Santo Padre Francesco ha decretato la venerabilità della vostra fondatrice, la Serva di Dio Elisa Martinez. Ella nacque nel Salento (Galatina, 1905) e nella medesima terra maturò la sua vocazione alla vita consacrata e, poi, la scelta di una nuova famiglia religiosa. È stato emozionante per me, nel seguire la fase conclusiva del processo canonico, risentire nomi a me famigliari, di paesi e di persone e soprattutto quelli del Santuario mariano di Leuca, in finibus terrae, e del vescovo di Ugento mons. Giuseppe Ruotolo che, dopo essere stato docente di filosofia nel Seminario Regionale Pugliese, come vescovo fu attivo e intelligente padre conciliare al Vaticano II e, da ultimo, modello di paternità pastorale anche nella scelta di concludere i suoi giorni nella trappa delle Tre Fontane a Roma.

    La dichiarazione della venerabilità della Madre Elisa è una prima importante dichiarazione da parte del Papa con la quale si riconosce ufficialmente che ella ha esercitato le virtù in forma «eroica» e pertanto, qualora fossero verificati tutti gli altri elementi richiesti per la beatificazione e canonizzazione, potrà essere raccomandata alla pia devozione e imitazione dei fedeli. Questo, oggi, è importante anzitutto per voi, che in lei riconoscete il germe del vostro carisma: fu animata dall’ansia evangelizzatrice e questo fuoco missionario la sostenne nelle fatiche e la confortò nelle ore di sofferenza e tali vorrete essere anche voi.

    San Pio da Pietrelcina le predisse: «Le tue suore saranno un piccolo stuolo di colombe che prenderanno il volo e raggiungeranno i confini della terra» (Positio, p. 286: Summarium Testium, XL teste) ed oggi, nel contesto della teofania, il racconto del Battesimo di Gesù secondo l’evangelista Luca ci ha riproposto proprio questa immagine: mentre Egli, ricevuto il battesimo da Giovanni, se ne stava in preghiera, «il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”». Origene, grande teologo cristiano vissuto nel II-III secolo, commenta così: «Lo Spirito Santo discese sul Salvatore nella forma di colomba, ossia di un uccello mansueto, innocente e semplice e ciò fu per nostro insegnamento: perché noi imitiamo l’innocenza delle colombe. Tale infatti è lo Spirito Santo: puro e alato, che s’innalza nei cieli. Per questo nella nostra preghiera diciamo: “Chi mi darà ali come di colomba per volare e trovare riposo?” (Sl 55,7), che vuol dire: chi mi darà lo slancio dello Spirito Santo?» (In Lucam. Hom. 27: PG 13, 1871).

    Questo deve avere per voi una grande importanza. Non a caso, quando scelse lo schema per la sua esortazione apostolica sulla vita consacrata, san Giovanni Paolo II volle rifarsi a una teofania simile a quella oggi propostaci del racconto evangelico: qui è il Padre che parla, in un dialogo traboccante di tenerezza col Figlio: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»; lì è il racconto della Trasfigurazione, dove la voce dal cielo è rivolta ai presenti e dice: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,5).

    Sia, dunque, la festa che stiamo celebrando, anche una memoria per voi: lasciatevi sempre «sollevare» dallo Spirito, «volate» nell’esercizio generoso della carità con le ali che vi sono donate, ossia la professione dei consigli evangelici e la vita comunitaria. Siate, allora, come Maria che, dopo essere stata adombrata dallo Spirito Santo, «si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda» per visitare Elisabetta (Lc 1,39); siate come la Vergine pronte a visitare e come Elisabetta disponibili ad accogliere.

    Siamo ancora nel clima dell’Epifania. L’antifona al canto del Magnificat nei vespri di quella solennità ci diceva: «Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i Magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino al nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza, alleluia». La festa che stiamo celebrando, dunque, è un altro volto dell’Epifania; essa, però, ci fa compiere un salto di trent’anni: passiamo, infatti, da «Gesù bambino» a «Gesù adulto», come pure ci trasferiamo dalla sfera intima e famigliare della Sacra Famiglia, i Magi, pastori e angeli, in quella della cosiddetta vita pubblica di Gesù, con Giovanni Battista e tutto il popolo che arriva al Giordano per essere battezzato da lui.

    Anche noi lasciamo le festività natalizie per tornare nella vita «ordinaria». Entriamo nel tempo per annum, come lo chiama il calendario liturgico, ossia nel ritmo dei giorni segnati dagli impegni e dai doveri quotidiani, nella ordinarietà della vita. È tempo di santificazione. Papa Francesco ci ricorda che «è proprio vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza cristiana nelle occupazioni di ogni giorno che siamo chiamati a diventare santi. E ciascuno nelle condizioni e nello stato di vita in cui si trova» (Udienza del 19 novembre 2014).

    Diamo, allora, ancora uno sguardo al racconto del vangelo, alla particolare teofania che abbiamo ascoltato: lo Spirito si manifesta aleggiando su Gesù come all’inizio della creazione (cf. Gen 1,2) e il Padre fa udire la sua voce, che svela a tutti l’identità di Gesù. E quando avviene tutto questo? Accade proprio quando Gesù sceglie in modo ordinario la via ordinaria seguita da tutti gli altri. «Tutto il popolo» va da Giovanni per farsi battezzare e così fa pure Gesù: l’umile tra i peccatori, l’innocente tra i colpevoli, il puro che si fa carico dei peccati di tutti. È così, in forma non appariscente, ordinaria e inosservata, che Gesù fa la sua prima comparsa in pubblico, ma è proprio in questa ordinarietà che i cieli si aprono.

    Tutto accade mentre Gesù «stava in preghiera». Per cosa pregava? Molti padri e dottori della Chiesa – e con loro san Tommaso d’Aquino (cf. STh III, q. 39, a. 5) – rispondono che egli pregava perché si aprissero i cieli e perché in quei cieli, ormai aperti, potessimo entrarvi noi, ai quali il peccato di Adamo aveva precluso l’accesso. Ed ecco – continuava Origene – che lo Spirito scende su Gesù perché, una volta portata a compimento sulla Croce la sua umiliazione, ce lo doni e faccia anche di tutti noi dei «figli», sui quali il Padre depone la sua misericordia.

 

    Roma, Istituto Figlie di Santa Maria di Leuca, 9 gennaio 2022

Marcello Card. Semeraro