Omelia nella festa di san Giuseppe lavoratore

 

Figlio del Creatore del mondo e del falegname di Nazaret

 

Omelia nella festa di san Giuseppe lavoratore

   

     La festa liturgica di san Giuseppe in questa data del 1° maggio è generalmente un po’ sottotono, quasi surclassata dalla festività civile. È una festa voluta dal papa Pio XII, che l’annunciò proprio in questo giorno del 1955 guardando – come disse nell’affollata piazza san Pietro – all’umile artigiano di Nazareth che impersona presso Dio e la Chiesa non solo la dignità del lavoratore, ma anche il provvido custode loro e delle loro famiglie. Ecco, allora che il nostro incontro ha oggi il carattere di una singolare attualità e respira il senso profondo della Chiesa la quale, per il 2021 ha voluto la coincidenza di un singolare anno dedicato a san Giuseppe con l’Anno della famiglia. Sono due temi, fra l’altro, che per le eccezionali situazioni collegate alla pandemia esigono un nostro particolare impegno. L’ascolto della Parola del Signore e la preghiera, fatti personalmente e in comune, possono per questo renderci più attenti, più sensibili, più impegnati. Un richiamo, questo, che ci giunge anche da Francesco, il quale nella lettera Patris corde (8 dicembre 2020) ha scritto: «In questo nostro tempo, nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, anche in quelle nazioni dove per decenni si è vissuto un certo benessere, è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare patrono» (n. 6).

    Dalla pagina del santo Vangelo oggi proclamata (cf. Mt 13,54-58) possiamo cogliere tre domande che i suoi conterranei si ponevano riguardo a Gesù. Tre domande che nell’animo del Signore provocarono certamente amarezza, ma che per noi diventano senz’altro motivo di riflessione e di stimolo ad un maggiore impegno cristiano. Eccole: Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? Sua madre, non si chiama Maria? Cerchiamo di rispondervi brevemente.

    Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi?

    La domanda potrebbe avere significati diversi, ma io preferisco portare la mia e la vostra attenzione sull’unione di questi due termini: «sapienza e prodigi», parola intelligente e profonda e opere coerenti che ci provocano, ci danno da pensare! È la coerenza, l’unione fra queste due cose: la parola e l’azione, la cosa meravigliosa. Quanto spesso nella vita comune e magari anche in noi, talvolta, queste due realtà le troviamo sconnesse, incoerenti, isolate. Per un verso tante, molte parole… Quand’ero giovane – appena ordinato sacerdote – una canzone molto in voga (papa Francesco la citò in una omelia del 15 settembre 2015 e poi all’Angelus del 31 gennaio 2021) ripeteva: parole, soltanto parole. Quanto a «opere», al contrario, nulla. In Gesù, invece, le parole erano confermate dalle opere che, a loro volta, spiegavano le parole.  «In Gesù – spiegava Francesco –, la parola ha autorità, Gesù è autorevole. E questo tocca il cuore.  L’insegnamento di Gesù ha la stessa autorità di Dio che parla». Nella sua coerenza tra parole e opere, Gesù era credibile. È l’altro aspetto dell’autorevolezza di Gesù: gli possiamo dare retta, possiamo avere fiducia in lui. Gesù non è il «parolaio» del commercio, della pubblicità e, purtroppo, non poche volte anche della politica, che, al contrario – come ebbe a dire il papa Pio XI – dovrebbe essere «il campo della più vasta carità, della carità politica a cui si potrebbe dire null’altro all’infuori della religione essere superiore» (cf. Udienza ai dirigenti della FUCI del 18 dicembre 1927, ne L’Osservatore Romano, 23 dicembre 1927, p. 3 col 3). Di Gesù possiamo fidarci e a lui possiamo affidarci. Possiamo fidarci di Gesù perché non ci ha soltanto parlato e lasciato degli insegnamenti, ma per noi ha dato la vita. Egli è morto e il Padre, risuscitandolo, ce lo ha ridonato perché possiamo non soltanto vivere di lui, ma anche come lui.

    Non è costui il figlio del falegname?

    Questa è la seconda domanda che i suoi conterranei ponevano riguardo a Gesù. Non è tanto l’aspetto oggettivo del mestiere di Giuseppe e quindi di Gesù che qui ci importa. Il termine greco téktonos è, infatti, variamente traducibile Quello che invece ci interessa è l’aspetto soggettivo, il tono con cui se lo domandavano che è evidentemente sprezzante e noi possiamo intenderlo a modo nostro. Una volta il lavoro manuale era molto apprezzato al punto che quanti lo praticavano erano chiamati artigiani: parola imparentata con l’arte ed a ragione! Oggi, invece, per noi «artista» può esserlo solo un cantante, un pittore, uno scultore, un attore … e se sei il figlio di una persona famosa, allora lo sei anche tu e tutti ti van dietro, ti fotografano, t’intervistano, ti portano in TV! Gesù, al contrario, era solo «il figlio di un falegname»! Cosa pensare? Cosa dire? C’è un bel discorso di san Pietro Crisologo (che fu vescovo di Ravenna alla fine del IV secolo ed è un dottore della Chiesa) dedicato proprio a questo titolo di Gesù: figlio del falegname (cf. Sermo 48: PL 52, 333-337). Qui egli richiama la figliolanza di Gesù, che non fu solo in rapporto all’artigiano Giuseppe, ma prima e più ancora in riferimento al Padre, che è quell’Artigiano che ha creato il mondo «non col martello ma con la sua Parola; che ha tutto armonizzato non con l’ingegno ma col suo comando; che ha tutto messo insieme non con la forza del fuoco, ma con la sua autorità; che ha acceso il sole col suo divino calore e ha distinto i diversi luminari del cielo e tutto questo, o uomo, lo ha fatto dal nulla perché tu imparassi a imitare la sua opera». È il tema richiamato oggi con la prima Lettura dal libro della Genesi (1,26 – 2,3). Non soltanto Dio ha creato il mondo, ma ce lo ha affidato: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra…», abbiamo ascoltato. Papa Francesco fa eco a questa pagina biblica con l’enciclica Laudato si’ (24 maggio 2015), dove fra l’altro leggiamo: «La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune» (n. 13).

    Sua madre, non si chiama Maria?

    È la terza domanda. Essa, da ultimo, porta la nostra attenzione alla Santa Vergine, cui Dio volle che san Giuseppe fosse congiunto come sposo. Ha scritto il Papa: «La grandezza di San Giuseppe consiste nel fatto che egli fu lo sposo di Maria e il padre di Gesù. In quanto tale, “si pose al servizio dell’intero disegno salvifico”» (Patris corde, n. 1). È davvero bello che ormai in tutte e quattro le preghiere eucaristiche del Messale romano i nomi della Madre di Dio e di san Giuseppe siano ormai sempre accostati. Per tutto il mese di maggio di quest’anno, poi, è desiderio del Papa che i fedeli cristiani, da soli o in famiglia, si raccolgano in preghiera per invocare da Dio, per intercessione della Vergine, la fine della pandemia, che oramai da oltre un anno affligge non soltanto la nostra Nazione, ma il mondo intero sicché possa dappertutto esserci una efficace ripresa delle attività sociali e lavorative. Egli stesso oggi, mentre noi celebriamo questa Santa Messa ha dato inizio a questa preghiera guidando la recita del Santo Rosario nella Basilica Vaticana. A questa preghiera vogliamo unirci anche noi da questa sera, mentre siamo spiritualmente sotto lo sguardo di san Giuseppe.

    La Chiesa lo ha sempre invocato con particolare devozione. In particolare avrete anche saputo che proprio oggi il Papa ha stabilito che nelle classiche Litanie di san Giuseppe siano inserite sette nuove invocazioni, attinte dagli interventi dei Papi che hanno riflettuto su aspetti della figura del Patrono della Chiesa universale. Sono: «custode del Redentore», «servo di Cristo per amore»; «ministro della salvezza «sostegno e guida nelle difficoltà»; «patrono degli esuli, degli afflitti, dei poveri».

    A san Giuseppe, dunque, rivolgiamo adesso la preghiera composta dal Papa: «Salve, custode del Redentore e sposo della Vergine Maria, mostrati padre anche per noi, guidaci nel cammino della vita, ottienici grazia, misericordia e coraggio, e difendici da ogni male. Amen».

    Santuario di San Giuseppe - San Giuseppe Vesuviano (Na), 1° maggio 2021

    Marcello Card. Semeraro