Omelia nella festa di Sant’Andrea Corsini

 

Un modello di santità episcopale

Omelia nella festa di Sant’Andrea Corsini

 

I santi, tutti i santi, sono una trasparenza di Cristo. Ciascuno traduce, nella propria storia personale, un aspetto della sua infinita ricchezza, un tratto della sua irripetibile figura. Poiché ripropone una scintilla di Cristo, irradiazione della gloria divina (cf. Eb 1,3) e «splendore della luce del Padre» (Sant’Ambrogio, De Fide, 108: PL 16, 547), ogni santo è sempre attuale, mai superato. Ve ne sono alcuni, però, che in tempi particolari e determinate circostanze, acquistano una speciale eloquenza e meritano, perciò, una maggiore attenzione. Penso, questa sera, proprio a Sant’Andrea Corsini, la cui festa oggi celebriamo in questa singolare cappella a lui dedicata e così bella.

Perché attuale, Sant’Andrea Corsini? A cosa mi riferisco, in particolare? Potrei indubbiamente richiamare la sua premura nel soccorrere i poveri e i bisognosi; egli stesso, anzi, volle chiamarsi «padre e amministratore dei poveri». Questa, in effetti, deve essere una prerogativa di un vescovo. «Sei diventato padre dei poveri e perciò sei rimasto povero in spirito», scriveva San Bernardo al suo discepolo divenuto Papa (De consideratione, Prol., PL 182, 728). Nel settembre/ottobre del 2001 fui qui a Roma (ero ancora giovane vescovo) per svolgere l’ufficio di Segretario speciale della X Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Il tema assegnato era Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo. Risento ancora la voce di San Giovanni Paolo II quando nell’Omelia per la Messa di apertura disse: «È la via della povertà che ci permetterà di trasmettere ai nostri contemporanei “i frutti della salvezza”. Come Vescovi siamo chiamati ad essere poveri al servizio del Vangelo. Essere servitori della parola rivelata ... In ogni epoca, la Chiesa si è fatta solidale con questi ultimi, ed ha avuto Pastori santi, che si sono schierati, come apostoli intrepidi della carità, dalla parte dei poveri». Fra questi santi vescovi c’è indubbiamente Sant’Andrea Corsini.

Attuale, ancora, perché? Nella preghiera Colletta abbiamo chiesto al Signore di poter lavorare senza stancarci «per quella giustizia che garantisce pace vera e duratura». Anche in questo Sant’Andrea Corsini ci è di esempio, specialmente se ricordiamo che in tanti ricorrevano alla sua opera di pacificatore, talmente era stimato per la sua saggezza e la sua imparzialità. E potremo tutti noi risentire la voce del Successore di Pietro, questa volta il papa Francesco, che proprio ieri, 3 febbraio, parlando ai vescovi della Chiesa congolese, ha detto: «Vi sono grato per come annunciate con coraggio la consolazione del Signore, camminando in mezzo al popolo, condividendone le fatiche e le speranze… È il volto di una Chiesa che soffre per il suo popolo, è un cuore in cui palpita trepidante la vita della gente con le sue gioie e le sue tribolazioni... È una Chiesa che, come Gesù, vuole anche asciugare le lacrime del popolo, impegnandosi a prendere su di sé le ferite materiali e spirituali della gente, e facendo scorrere su di essa l’acqua viva e risanante del costato di Cristo». Ha concluso: «Ecco la nostra identità episcopale: bruciati dalla Parola di Dio, in uscita verso il Popolo di Dio, con zelo apostolico!». Anche Sant’Andrea Corsini è stato un vescovo «in uscita».

Mi domanderete, a questo punto: ma dov’è che tu hai visto in modo speciale l’attualità di Sant’Andrea Corsini? Forse la mia risposta vi meraviglierà, ma ciascuno, quando parla, esprime la sua storia, la sua esperienza e pure i desideri e le ansie che ha nel cuore. Guardo al nostro Santo e lo vedo come modello luminoso di santità sacerdotale ed episcopale: è stato un santo vescovo non solo per sé stesso ma pure per i suoi sacerdoti. Leggo che egli istituì una confraternita di sacerdoti, chiamati a lavorare per la formazione intellettuale e pastorale dei futuri sacerdoti. Un anticipo di secoli sul Concilio di Trento! Una profezia del Vaticano II, per il quale proprio ai vescovi «incombe in primo luogo la grave responsabilità della santità dei loro sacerdoti: essi devono pertanto prendersi cura con la massima serietà della formazione permanente del proprio presbiterio» (Presbyterorum ordinis, n. 7). Non è attuale, questo, in un tempo in cui la formazione del clero diocesano sente anch’esso la pressione del cambiamento d’epoca e avverte il bisogno di una spinta incoraggiante e di una terapia ricostituente?

Per me, sapere che un vescovo sente viva l’urgenza della formazione del clero è segno di santità. Tra le opere di governo pastorale ve ne sono molte che un vescovo può partecipare ad altri; avere, però, l’ansia della formazione del clero e viverla in prima persona è, per un vescovo, a mio parere, criterio di autentica ecclesialità. Questo se la Chiesa particolare è davvero, come ci ha ricordato il Vaticano II, «una porzione del popolo di Dio affidata alle cure pastorali del vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio» (Christus Dominus, n. 11). Per un vescovo, il presbiterio diocesano è ciò che sono le dita per una mano.

Questo, però, non è né il luogo, né il momento per approfondire il tema. È, però, ottima opportunità per rivolgere al Signore una preghiera, avvalorandola con l’intercessione di Sant’Andrea Corsini. Lo faccio con alcune parole di Giovanni Battista Montini/San Paolo VI: «Dona, Signore, ai tuoi ministri un cuore grande, aperto ai tuoi pensieri, capace di contenere dentro di sé le proporzioni della Chiesa, le proporzioni del mondo; capace veramente di amare, cioè di comprendere, di accogliere, di servire, di sacrificarsi, di essere beato nel palpitare dei tuoi sentimenti e dei tuoi pensieri… Poiché di questo ha bisogno il mondo: di chi, per salvarli, come Cristo li ami» (Discorso per l’ordinazione di 73 nuovi sacerdoti, Milano 28 giugno 1957: in Discorsi e Scritti milanesi, I, Istituto Paolo VI, Brescia 1997, 1504. 1507).

 

Cappella Corsiniana – Basilica di San Giovanni in Laterano, 4 febbraio 2023

 

Marcello Card. Semeraro