Omelia nella festa di sant'Annibale Maria Di Francia

 

Il rogate evangelico e la carità

Omelia nella festa di sant’Annibale M. Di Francia

 

    1. Sono davvero riconoscente per l’invito a vivere insieme con voi questo giorno di festa. Saluto con sincera cordialità il rev.mo p. Bruno Rampazzo, superiore generale, che rivedo con piacere dopo l’incontro dell’aprile scorso a Messina e, con lui, saluto gli altri padri della famiglia religiosa e tutti voi presenti. È il giorno della nascita alla vita terrena di sant’Annibale Maria (1851): un santo che personalmente ho imparato a conoscere e ancora di più ad amare negli anni (1998-2004) del mio episcopato ad Oria, in Puglia. Lì egli era giunto più volte prima che quella Chiesa gli aprisse delle braccia, che sono ancora spalancate per le sue opere: un abbraccio che l’ha arricchita a sua volta di grazie e di bene. Frutto di questo incontro è il p. Pantaleone Palma, nativo di Ceglie Messapica, per il quale si sta già operando per aprire il processo informativo per la beatificazione.

    Oggi è pure il giorno scelto per concludere un anno speciale dedicato al p. Annibale, voluto e indetto per l’accoglienza permanente in mezzo a voi dell’insigne reliquia del suo Cuore incorrotto. Il cuore – direbbe un medico – è un organo muscolare importantissimo, certo, per la sua preziosa funzione nel corpo umano; in ogni caso, però, è pur sempre un muscolo! Sotto il profilo antropologico, al contrario, ciò che noi chiamiamo «cuore» è molto di più. Una frase, che leggiamo in un sonetto di Shakespeare dice, già molto prima de Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupery, che all’occhio spetta vedere la parte che è fuori; invece, «l’amor che hai dentro, è diritto del cuore» (Sonetto 46). Il cuore è il luogo dell’amore che comprende, che abbraccia, che sostiene, che cura.

    Come guida per la nostra preghiera di questa sera ho scelto di riferirmi al testo del Prefazio appositamente composto per la memoria liturgica di sant’Annibale Maria dove l’immagine del Buon Pastore impressa nel suo cuore è scolpita con queste parole: Tu hai reso sant’Annibale Maria mirabile ministro della compassione del tuo Figlio per le folle. Da qui, mi pare, simili a corsie di una moderna autostrada, si dipartono le vie maestre percorse dal padre Annibale per esprimere la sua dimensione caritativa e cioè la sua qualità di autentico annunciatore della Parola di Dio attraverso la rogazione evangelica, la cura premurosa degli orfani e la sollecita cura dei poveri.

    Abbiamo appena ascoltato una pagina del vangelo secondo Matteo dove il tema della compassione di Gesù è strettamente congiunto al comando di «pregare il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe» (9,38). Ci sarebbe davvero da soffermarsi su questo passo evangelico, il quale prende le mosse dal mettere in luce la compassione che la stanchezza e l’abbattimento delle folle suscitano nel cuore di Gesù.

    Agli occhi di Gesù questa condizione del popolo somiglia a un campo di spighe ormai mature. Per la mietitura, allora, non occorre aspettare tempi migliori poiché è proprio la presenza del Signore a rendere «opportuno» quel tempo. Ciò che, invece, è necessario è che a Gesù, il primo «operaio nella messe», se ne aggiungano altri. Bisogna, dunque, pregare. Lo sviluppo della missione, infatti, non è un fatto naturale, come la crescita e lo sviluppo di una pianticella, ma è legata alla chiamata da parte del Padrone della messe e alla risposta generosa di chi è inviato. Occorre cominciare dal «pregare», perché la fruttificazione della messe dipende dal dono di Dio e dal cuore docile, aperto e disponibile: la fecondità è legata alla compassione e alla preghiera.

 

    2. A tale proposito, il nostro Prefazio prosegue spiegando che «vero annunciatore del Vangelo, seguendo gli insegnamenti del Maestro, [sant’Annibale] implorò incessantemente il dono degli operai per la tua messe». Vuol dirci che la rogazione evangelica fu la specifica forma di predicazione del Vangelo, scelta dal Di Francia. Il suo cuore e la sua mente furono come calamitati dalla parola di Gesù. Scriveva: «Dedicherò a questa preghiera incessante, ovvero a questa “Rogazione Evangelica del Cuore SS. di Gesù”, tutti i miei giorni e tutte le mie intenzioni» (Le quaranta dichiarazioni, Ed. Curia generalizia dei Rogazionisti, Roma 1982, 59). Annibale Maria Di Francia fece proprio l’imperativo evangelico del Rogate ed oggi tutti possiamo costatare quanto e come, in quest’aspirazione fondamentale della sua vita, egli fu voce profetica per la Chiesa del nostro tempo.

    Lo riconobbe san Giovanni Paolo II quando, nel giorno successivo alla sua beatificazione avvenuta il 7 ottobre 1990, lo descrisse autentico anticipatore e zelante maestro della moderna pastorale vocazionale. Come non ricordare, a questo punto, san Paolo VI che, quando lanciò il suo messaggio ai fedeli di tutto il mondo per la prima Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni sacerdotali e religiose (fissata nella seconda domenica di Pasqua detta del Buon Pastore) scelse come guida proprio il testo di Mt 9,38, tanto amato dal Di Francia. Le parole iniziali del suo Radiomessaggio furono queste: «Lanciando lo sguardo ansioso sulla sterminata distesa di campi spirituali verdeggianti, che in tutto il mondo attendono mani sacerdotali, sgorga dall’animo l’accorata invocazione al Signore, secondo l’invito di Cristo. Sì, oggi come allora, “la messe è copiosa, ma gli operai sono pochi” (Mt 9,37): pochi, in confronto delle accresciute necessità della cura pastorale; pochi, di fronte alle esigenze del mondo moderno ai suoi fremiti di inquietudine, ai suoi bisogni di chiarezza e di luce, che richiedono maestri e padri comprensivi, aperti, aggiornati; pochi, ancora, di fronte a coloro, i quali, sebbene lontani, indifferenti, o ostili, pur vogliono nel sacerdote un modello vivente irreprensibile della dottrina, ch’egli professa. E soprattutto scarseggiano queste mani sacerdotali nei campi di missione, ovunque ci siano uomini e fratelli da catechizzare, da soccorrere, da consolare...» (11 aprile 1964). Come non pensare a sant’Annibale?

    Rogate! Il comando di Gesù, che affascinò il cuore e rapì la sua mente ha una validità permanente: ogni vocazione, infatti, nasce dalla in-vocazione. Soltanto la preghiera, difatti, è in grado di mettere all’opera quegli atteggiamenti di fiducia e di abbandono in Dio, che sono condizione indispensabile per superare incertezze e paure e pronunciare un «sì» incondizionato. Davvero indispensabile è il rogate perché soltanto la preghiera riesce a mettere in scena l’essenziale e permette l’intuizione dell’unum necessarium. La preghiera è la via naturale della ricerca vocazionale, il luogo privilegiato per il discernimento vocazionale. Ogni vocazione, qualsiasi vocazione nasce dagli spazi d’una preghiera invocante, paziente e fiduciosa; sorretta non dalla pretesa d’una risposta immediata, ma dalla certezza o dalla speranza che l’invocazione non può non esser accolta, e farà scoprire a suo tempo, a colui che invoca, la sua vocazione (cf. Documento Nuove vocazioni per una nuova Europa [8 dicembre 1997], n. 35d).

 

    3. Il dovere ineludibile della preghiera non dispensa certo da altre responsabilità, né può limitarsi a moltiplicare «ore di adorazione» per impetrare la grazia delle vocazioni; dispone piuttosto ad assumere nella preghiera il corretto atteggiamento giacché non tutti possono pregare per le vocazioni, ma unicamente coloro che vivono bene la loro vocazione personale. Se ci poniamo in tale prospettiva è più agevole per noi entrare nel segreto del padre Annibale il quale, proprio per ubbidire al comando Rogate e fare crescere la sua carità verso Dio, allargò gli spazi della sua carità verso il prossimo. La carità verso i poveri – cominciando dai più deboli tra i poveri, ossia i bambini orfani – diventò così non soltanto l’altro volto, ma addirittura la condizione e la verifica del rogate.

    In una preghiera personale, scritta nel 1886 dal p. Annibale si legge: «Io vado quest’oggi tra i vostri poverelli; fate, o Gesù mio, che sia affabile innanzi alla turba dei poveri; rendetemi dolce nel trattare, abile nell’istruire, retto nel giudicare, prudente nel correggere, fervoroso nell’operare. Fatemi vera luce del mondo e sale della terra, perché sono vostro sacerdote, affinché con lo splendore della virtù e della dottrina io vi edifichi quest’oggi le anime a me affidate, e sempre più al vostro Divino Cuore le guadagni» (in Scritti, vol. I. Preghiere al Signore [1873-1912]), Rogate, Roma 2007,  92-93).

    Possiamo riconoscervi anzitutto la decisa scelta, come di un atleta dello spirito, di un cammino, anzi di una corsa. Sant’Annibale domanda anzitutto di essere liberato da ogni impedimento che possa ostacolare o rallentare il suo cammino: «Liberatemi, o Gesù mio fortissimo, in questo giorno da ogni pusillanimità, specialmente da quella che maggiormente m’impedisce, e infondete in me santo e generoso coraggio». C’è, quindi l’indicazione della destinazione: i poveri ed è indicata la ragione, la motivazione: perché sono vostro sacerdote.

    Questo mi fa tornare alla memoria un’affermazione che lessi molti anni or sono nella voce Annibale Maria di Francia, messa a punto per un Dizionario da, un insigne studioso del movimento cattolico, della spiritualità e della pietà popolare, P. Borzomati che, essendosi laureato presso l’Università di Messina, ebbe la possibilità di entrare nell’animo del nostro santo. Scrisse così: «Non si comprenderà mai la motivazione, palese o nascosta di chi dona totalmente agli emarginati senza un approccio alla sua vita spirituale e di pietà, né avrebbe senso il tendere alla santità non privilegiando i più piccoli della comunità» (C. Leonardi, A. Riccardi, g. Zarri (a cura di),  Il grande libro dei santi, vol. I, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, 156).

    Non è soltanto un principio generale, oggi peraltro di scottante attualità nella odierna vita della Chiesa. Qui Borzomati ha tratteggiato la santità del p. Annibale.

 

    Roma, Parrocchia dei Ss. Antonio e Annibale Maria, 5 luglio 2021

                                                                Marcello Card. Semeraro