Omelia nella I Domenica di Quaresima

OMELIA NELLA I DOMENICA DI QUARESIMA

(Basilica Cattedrale di Albano, 21 febbraio 2021)

 

 

Fra interne afflizioni e consolazioni di Dio

1. Ogni anno, nella Liturgia della Parola della prima Domenica di Quaresima la Santa Madre Chiesa ci propone il racconto della tentazione di Gesù nel deserto: quest’anno segue la redazione secondo Marco, ch’è il racconto più breve, ma pure il più difficile da spiegare. L’evangelista condensa tutto in pochissime battute: «Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano» (1,12-13).

L’evento è collocato tra la scena del Battesimo, dove la voce del Padre dichiara l’identità di Gesù: «Tu sei il Figlio mio, l’amato» (1,11), e l’inizio della proclamazione del Vangelo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (1,15). Si tratta, dunque, di due annunci di «vicinanza»: quella del Padre a Gesù e la prossimità salvifica di Dio a noi: il regno è vicino! Nel mezzo c’è la drammatica solitudine di Gesù, che – come per due volte ci ripete l’evangelista – è collocato nel deserto.

Lì, come il vento impetuoso del giorno della Pentecoste (cf. At 2,2), lo Spirito lo spinge e lì, per quaranta giorni, Gesù rimase. Tra l’esperienza dell’intimità con il Padre e l’avvio della predicazione missionaria Gesù ha bisogno di vivere questa esperienza «eremitica»: nella lingua greca del vangelo il deserto è, difatti, chiamato éremos. Per qualche momento, allora, fermiamo la nostra attenzione su questo particolare. Prima di immergersi nell’apostolato e prima di chiamare attorno a sé dei discepoli … Gesù deve vivere la solitudine inquietante del deserto; una solitudine che ben presto la tentazione popolerà di bestie selvatiche e di angeli.

2. È il dramma che santi come Antonio abate, Caterina da Siena, Gemma Galgani e tanti altri proveranno: sentire forte l’assalto del diavolo, che circuisce come leone ruggente in cerca di chi divorare (cf. 1Pt 5,8) e al contempo, al termine del combattimento sperimentare, la consolazione di Dio. Di Antonio il Grande, sant’Atanasio narra che al termine di una lotta contro i demoni gridò: «Signore, dov’eri? Perché non sei apparso fin dall’inizio per porre fine alle mie sofferenze?». Una voce dal cielo gli rispose: «Antonio, io ero là e poiché non ti sei lasciato vincere sarò sempre il tuo aiuto» (Vita di Antonio 10, 2-3).

In questa esperienza di Antonio abate si riflette l’esperienza di Gesù. Anch’egli fu collocato tra bestie selvatiche e angeli: lottò contro satana, ma sperimentò la vicinanza di Dio ed è così anche per la Chiesa e per ciascuno di noi, chiamati a vivere il nostro pellegrinaggio terreno, fra le interne afflizioni e le consolazioni di Dio (cf. Lumen gentium, n. 8; Agostino, De civ. Dei, XVIII, 51, 2: PL 41, 614). 

Come per Gesù nei quaranta giorni di deserto, anche per noi il tempo della Quaresima deve essere il tempo del discernimento: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male» (Deut 30,15). Quaresima è il tempo della scelta tra la «bestia selvatica», che c’è in noi e che ci tenta, e l’angelo di servizio che, al contrario, ci sprona e ci conforta per il bene. La vita cristiana è sempre chiamata a questo discernimento, che ci svela la nostra verità.

Questo, però, sarà impossibile senza quell’habitare secum del quale scriveva san Gregorio magno riguardo a san Benedetto: se ne stava nella solitudine e abitava solo con se stesso sotto lo sguardo di Colui che dall’alto tutto scruta (cf. Dialoghi, II, 3, 5: PL 66, 138). Se avremo il coraggio di viverlo così, ritirandoci magari per qualche momento una volta al giorno dal clamore e dalle chiacchere pubbliche per rientrare in noi stessi, allora quello della Quaresima potrà essere per noi tempo della verità. 

3. Sapremo cogliere l’opportunità di questo tempo? Riusciremo a stare di fronte a noi stessi, per scoprire la nostra verità? La cosa più difficile della nostra vita (ma anche la più necessaria) è proprio questa: smettere di guardare gli altri e di misurarci nel confronto con loro, per accettare di stare faccia a faccia con noi stessi: senza finzioni, senza inventare perifrasi, ma dicendoci le cose come sono e senza trucchi. 

In Quaresima non è lecito barare e cambiare le carte. Sfuggire da se stessi, cercando sempre di colpevolizzare gli altri; individuare ogni volta persecutori e avversari, piangendosi addosso; architettare progetti di cambiamenti per gli altri, mai immaginando un cambiamento di se stessi … vuol dire condannare se stessi all’infelicità e gli altri alla noia. Se davvero, al contrario, io voglio cambiare le situazioni fuori di me, debbo cominciare col cambiare me stesso, lavorando dentro il mio «io». 

È una lotta con noi stessi che dobbiamo affrontare e che possiamo vincere come Gesù, perché «se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo». Sono parole di sant’Agostino, che oggi la Chiesa fa riecheggiare. Confortino tutti noi e soprattutto voi, carissimi Catecumeni, che oggi vivete la vostra «elezione». Nelle tappe di questa Quaresima vi addentrerete, giorno dopo giorno, in quell’itinerario che nella prossima Veglia Pasquale vi farà arrivare al fonte battesimale. La «via» dei cristiani, però, non si ferma al Battesimo, ma comincia da lì. E non impressionatevi se non si tratta di una strada sempre agevole. Ricordatevi sì che Cristo fu tentato, ma considerate pure che se non si fosse lasciato tentare non ci avrebbe insegnato a vincere, quando siamo tentati (cf. Agostino, Enarrat. in Psalmos, 60, 3: PL 36, 724).