Omelia nella III Domenica di Avvento – Anno A

OMELIA NELLA III DOMENICA DI AVVENTO - ANNO A

(Basilica Cattedrale di Albano, 13 dicembre 2020, Santa Messa trasmessa da Rai1)

 

La gioia, respro del cristiano

Come altre dell’anno liturgico, anche questa terza Domenica d’Avvento ha un nome: Gaudete, che vuol dire «gioite», «rallegratevi». È il classico canto per l’inizio della Messa, tratto dalla lettera di san Paolo ai Filippesi: «Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto: rallegratevi. Il Signore è vicino!» (4,4-5). A questo invito, turbati e preoccupati come siamo dalle persistenti condizioni di pandemia, potremmo reagire dicendo: «Ma c’è davvero motivo per rallegrarsi?». Anche la situazione nella quale l’Apostolo scriveva la sua esortazione, però, non era affatto delle migliori: i cristiani di Filippi erano perseguitati e lo stesso apostolo era prigioniero. Come si può essere nella gioia in tali condizioni? Quella della gioia, in effetti, è una delle questioni più serie dell’umana esistenza. Non a torto Seneca scriveva: «Tutti vogliono vivere felici, ma quando si tratta di vedere chiaro cos’è che rende felice la vita, sono avvolti dall’oscurità» (De vita beata, 1,1). In effetti, se non è ben fondata, la gioia si scioglie di fronte alle prime avversità; se è artificiale, è incapace di essere condivisa; se poi è fondata sulla brama di possesso, equivale a ciò che lo stesso Apostolo chiama avere come dio il ventre (cf. Fil 3,19)! La gioia cristiana, invece, è frutto della percezione della vicinanza di Dio. Il Signore è vicino.

Nel contesto liturgico lo sguardo si rivolge alla festa ormai prossima del Natale, ma il valore è generale. La gioia cristiana è il frutto dell’amicizia col Signore. San Paolo VI, che a partire dall’esortazione paolina ha scritto un’esortazione apostolica, ha pure detto che «la vita cristiana non può essere senza gioia» (Udienza generale del 17 aprile 1968). Papa Francesco ha affermato a sua volta che la gioia cristiana è il respiro del cristiano; che la gioia non è vivere di risata in risata e neppure essere divertente; che «noi viviamo in una cultura non gioiosa, una cultura dove si inventano tante cose per divertirci, spassarsela; ci offrono dappertutto pezzettini di dolce vita, ma questa non è la gioia perché la gioia non è una cosa che si compra nel mercato: è un dono dello Spirito Santo» (Omelia in Santa Marta del 28 maggio 2018).

Mi sono dilungato su questa citazione di Francesco non solo per sottolineare l’invito alla gioia che caratterizza questa Domenica, ma anche perché oggi ricorre l’anniversario della sua ordinazione sacerdotale ed è bello che pure da questa assemblea giunga al Papa il nostro augurio e salga la preghiera perché il Signore gli doni in abbondanza la grazia di crescere nel suo servizio. Francesco è senz’altro, sulla scia di san Paolo VI, il Papa della gioia. Basterà considerare alcuni suoi importanti documenti. Evangelii gaudium: «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» (n. 1), scrive e, facendo eco a Paolo VI, aggiunge: «Nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore» (n. 3)! Amoris laetitia: «la gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa» (n. 1). Veritatis gaudium: «La gioia della verità esprime il desiderio struggente che rende inquieto il cuore di ogni uomo fin quando non incontra, non abita e non condivide con tutti la Luce di Dio» (n. 1).

In Gaudete et exsultate egli ricorda che quello che ci offre il Signore «è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente» (n. 1). Si tratta di un’esortazione apostolica sulla chiamata alla santità dove il Papa spiega pure che «il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza. Essere cristiani è “gioia nello Spirito Santo”, perché all’amore di carità segue necessariamente la gioia» (n. 122).

Perché meravigliarsi di questa insistenza? Evangelo non significa forse annuncio di gioia? «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,9), dice Gesù ai suoi discepoli. In ogni sincero rapporto umano già il sentire una voce amica (o soltanto avvertire una presenza) è motivo di conforto e di gioia. Gesù ci dice che è nostro amico: «Voi siete miei amici». Questo, per Lui, vuol dire senz’altro dare la vita. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (cf. Gv 15,12-15). È lo sguardo giusto per scrutare il Natale ormai vicino. In fin dei conti, come diceva san Francesco d’Assisi, «dopo che il Signore nacque per noi, fu necessario che noi fossimo salvati» (FF 1814).