Omelia nella Messa della Cena del Signore

 

Abbiamo in noi i sentimenti di Cristo

Omelia nella Messa della Cena del Signore

 

    1. Io sono riconoscente al caro don Sergio Ghio perché è venuto incontro al mio desiderio di celebrare qui con voi la Santa Messa nella Cena del Signore. Poiché, chiamandomi alla dignità cardinalizia, il Papa mi ha assegnato il titolo di diacono di Santa Maria in Domnica, ho pensato sia giusto tornare a incontrarvi per celebrare con voi la Santa Messa in questo giorno nel quale il racconto del vangelo (cf. Gv 13,1-15) ci presenta Gesù in atteggiamento davvero «diaconale» e questo non potrà che essermi d’aiuto considerando che la condizione radicale per essere un buon sacerdote, un bravo vescovo e anche un fedele cristiano è il servizio. Per sant’Ambrogio – che ha più volte commentato la scena evangelica – la lavanda dei piedi è mysterium humilitatis, mysterium magnum, divinum mysterium: mistero di umiltà, grande e divino mistero, egli diceva. Il riflesso storico di ogni mistero, però, è sempre un «ministero», ossia un servizio. Ogni mistero è come diciamo nel Simbolo di fede: propter nos homines, per noi uomini e per la nostra salvezza.

Non è facile capirlo. Anche Pietro – lo abbiamo ascoltato – rimase stupito e all’inizio respinse il gesto del Signore. Come lui, anche noi abbiamo bisogno di comprendere e di accettare quel gesto. Dobbiamo, anzi, prima accettarlo, perché soltanto così riusciremo a comprenderlo. Abbiamo soprattutto bisogno di entrare nei sentimenti di Gesù, come scrive san Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù… [che] svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2,5.7).

Ma in quella circostanza quali erano i «sentimenti» di Gesù? È una domanda che mi sorge specialmente quando considero una stranezza presente nel racconto: Gesù non compie il suo gesto prima di assidersi a mensa; secondo il racconto lo fa quando il pasto ha già avuto inizio. Non si tratta, quindi, di ospitalità, secondo un uso più volte attestato nella Bibbia. Si pensi, ad esempio, al gesto di Abramo alle querce di Mambre: «mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno… alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: “Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero”» (Gen 8,1-4). Perché Gesù non si comportò alla stessa maniera? Quali erano, allora, i suoi «sentimenti» in quel momento?

 

    2. Vorrei azzardare una spiegazione, per la quale ho fiducia nel perdono degli esegeti. Il quarto vangelo ci riferisce che «sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena». Aggiunge che durante quella cena «Maria prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo» (Gv 12,1-3). Quello di Maria era stato un gesto d’amore; era stato, di più, il gesto di una donna amante, che possiamo rileggere alla luce del Cantico dei Cantici.

Ecco, allora, quel che io m’immagino: durante la cena il cuore di Gesù risentì all’improvviso il «sentimento» provato per quel gesto di Maria di Betania; m’immagino che egli abbia voluto ripetere per i suoi discepoli lo stesso gesto di Maria presentandosi a loro – ed a noi – come lo Sposo. Lavò, dunque, i piedi ai suoi discepoli… I piedi della Chiesa, sua sposa.

Il «sentimento» di Gesù l’evangelista ce lo dichiara subito, in verità: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (v. 1). Benedetto XVI ha così commentato questo in finem dilexit eos: «Egli ama sino alla fine. Si spinge con il suo amore fino alla fine, fino all'estremo: scende giù dalla sua gloria divina. Depone le vesti della sua gloria divina e indossa le vesti dello schiavo. Scende giù fin nell’estrema bassezza della nostra caduta… Egli è questo amore che ci lava… Egli è continuamente inginocchiato davanti ai nostri piedi e ci rende il servizio della purificazione, ci fa capaci di Dio. Il suo amore è inesauribile, va veramente sino alla fine» (Omelia nella Messa nella Cena del Signore, 13 aprile 2006).

 

    3. È un amore traboccante, quello di Gesù e per questo vuole travasarlo in noi. Dice: «Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (v. 15). Commento lasciando la parola a sant’Ambrogio, che ho già citato: «Voglio dunque anch’io lavare i piedi dei miei fratelli, voglio obbedire al comando del Signore senza vergognarmi per ciò che sono». In effetti, quante volte ci accade di non fare qualcosa avanzando la scusa di essere inadatti, incapaci… Il più delle volte, però, sono pretesti per non impegnarci a favore degli altri. Ambrogio, invece, ci dice qualcosa di molto importante: nel mistero della sua umiltà Gesù c’insegna che proprio prendendomi cura del prossimo io aiuto me stesso. Scrive letteralmente: «dum alienas sordes lavo, meas abluo, mentre lavo le sporcizie dell’altro, purifico anche le mie».

È paradossale: siamo convinti di poter guarire se ci limitiamo a prenderci cura di noi stessi. Ambrogio ci dice, invece, che guariamo dalle nostre ferite se ci prendiamo cura delle infermità del prossimo. Una volta il Papa ha detto qualcosa di simile: «Se non ci prendiamo cura l’uno dell’altro non possiamo guarire il mondo» (Francesco, Catechesi del mercoledì 12 agosto 2020).

Ecco, allora, la preghiera conclusiva di Ambrogio: «O Signore Gesù, venga su di me la tua acqua. Tu che hai redento il mondo, redimi l’anima di un peccatore» (cf. De Spiritu Sancto, I, Prol., 15-16: PL 16, 707-708). Diciamo anche noi: «lavami, Signore, e sarò più bianco della neve» (Sal 51,9).

 

    Roma, diaconia di Santa Maria in Domnica, 14 aprile 2022

 

Marcello Card. Semeraro