Omelia nella solennità del beato Domenico Lentini

 

Un dispensatore della misericordia divina

Omelia nella solennità del beato Domenico Lentini

 

Desidero ringraziarvi subito per l’accoglienza riservatami: gesti e parole che mi commuovono perché mi riportano il calore della gente del Sud, di cui sono parte. Della vostra presenza è ricolma questa chiesa parrocchiale, che è pure santuario diocesano dedicato al beato Domenico Lentini. Il mio saluto è rivolto anzitutto al vostro Vescovo, che ringrazio sia per l’invito rivoltomi, sia per i sentimenti d’amicizia che lo hanno sotteso. Lo ringrazio pure perché col suo invito mi permette di rivedere oggi carissimi fratelli Arcivescovi e Vescovi, ai quali sono unito da fraterna amicizia e dei quali in altre circostanze ho goduto della cortese ospitalità. Li saluto tutti e singolarmente, a cominciare dall’arcivescovo Presidente della Conferenza Episcopale, col quale ho condiviso gli anni della formazione iniziale nel Seminario Regionale di Molfetta. Il mio deferente saluto si estende al Sig. Sindaco della Città e ai Sindaci del territorio con le altre autorità che li accompagnano e alle Autorità militari e di polizia. Grazie di cuore a tutti.

Quando, il 12 ottobre 1997, San Giovanni Paolo II celebrò il rito della beatificazione, del vostro Protettore e Patrono disse che «nella sua predicazione itinerante non si stancava di proporre l'invito alla conversione e al ritorno a Dio»; aggiunse pure che soprattutto nel ministero del confessionale il beato Lentini fu «dispensatore della misericordia divina e testimone della nuova vita che nasce grazie al pentimento del penitente ed al perdono del Signore». Sono le ragioni fondamentali per le quali fra i testi biblici per la sua festa sia stata scelta anche la pagina del Santo Vangelo in cui Gesù dice: «convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15).

Convertirsi e credere! C’è una successione tra questi due verbi? Quale dei due vien prima? Il credere, o la conversione? Se dovessimo seguire la nostra logica di tradizione greco-romana dovremmo dire che ci si può convertire – ossia si può dare alla propria vita una direzione diversa – soltanto dopo avere aderito a un annuncio. Nihil volitum quin praecognitum, dicevano i filosofi scolastici, che vuol dire: «nulla è possibile volere, che non sia prima conosciuto», ma già un grande poeta latino aveva scritto che è perfino impossibile desiderare quello che non si conosce: ignoti nulla cupido (Ovidio, Ars amatoria III, 397). Se e così, a Gesù, dunque, potremmo rispondere: «Va bene, mi converto, cambio la direzione della mia vita, ma prima dimmi verso dove devo andare!». Gesù, invece, dice che occorre prima convertirsi e che solo dopo averlo fatto – e perché lo si è fatto davvero – si è in grado di capire quale via intraprendere.

Questo è, in qualche modo, l’opposto del nostro comune modo di pensare; forse, però, è meglio dire che lo integra. Mi torna alla memoria la professione di fede del popolo di Israele quando Iddio gli fece il dono dell’Alleanza. Tutti dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto» (Es 24,7). Anche qui c’è prima l’operare e poi l’ascoltare. Vuol dire che si è in grado di ascoltare per davvero la Parola del Signore soltanto quando si è cominciato a metterla in pratica. È l’azione, difatti, che apre alla comprensione.

Nel rapporto con Dio, specialmente, se per mettere in pratica la sua volontà dovessimo attendere di capirla… non cominceremmo mai! Si tratta, allora, di un principio molto profondo, anche se con la nostra mentalità tecnologica ed estremamente razionale è difficile da cogliere. Prima di fare, noi vogliamo capire. Per capire davvero, però, è essenziale agire, mettere in pratica! Qualsiasi concetto, per quanto profondo sia, rimane solo un concetto se non passa nella vita; se non è messo in pratica attraverso il compimento di azioni. È il cammino che apre la strada. Non a caso il racconto del Vangelo che è stato proclamato prosegue ricordando che i primi discepoli lasciarono le reti e lo seguirono; lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui… Ecco visualizzato il legame tra conversione e fede: lasciare e seguire!

Riascoltiamo in questa luce la parola di Gesù: «Convertitevi e credete nel Vangelo». La conversione è un movimento che si compie nella fede. La traduzione in lingua italiana del testo evangelico: credete nel vangelo, deve farci riflettere. Dire nel Vangelo ci fa pensare a un movimento, a una corsa. A me piace paragonare questa forma del credere alla rincorsa che un atleta prende per tuffarsi nelle onde del mare. Si crede nel Vangelo: ossia ci s’immerge in quella Parola di salvezza, che diventa la forza e il clima della nostra vita.

E qual è il contenuto di questa Parola? Il regno di Dio è vicino! Ecco l’annuncio che dà gioia; ecco l’ev-angelo: la notizia gioiosa e letificante. Dio non è lontano; anzi è vicino. Interior intimo meo, diceva Sant’Agostino; ossia «più intimo a me di quanto non lo sia io a me stesso» (Confessioni, III, 6: PL 31, 688). Dio non ci è mai lontano e questo è vero anche quando noi non lo percepiamo più accanto a noi. Un grande martire della fede cristiana – il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, morto impiccato in un campo di concentramento nazista – diceva che quando Dio permette il naufragio nella nostra vita, proprio quello è il momento in cui egli ci rilancia tra le sue braccia (cf. Memoria e fedeltà, Qiqaion-Bose 1995, 90).

«Convertitevi e credete nel Vangelo». Un vescovo del VI secolo commentava queste parole scrivendo che nessuno può dire di essere davvero un credente se prima non si è aperto alla misericordia di Dio (cf. Fulgenzio di Ruspe, Epist. XVII, 34: PL 65, 472). Questo, infatti, è, nella sua sostanza, la conversione: aprirsi alla misericordia di Dio, lasciarsi inondare dal suo amore misericordioso; permettergli di purificarci e, come una pioggia benefica su un terreno arido, di renderci capaci di fruttificare in opere buone. È quello che ci ha ricordato la prima lettura biblica della nostra Messa quando, attraverso le parole del profeta Isaia, abbiamo ascoltato l’incoraggiamento di Dio: dividi il tuo pane con l’affamato, vesti chi è ignudo allora vedrai la tua luce sorgere come l’aurora e la tua ferita si rimarginerà presto (cf. Is 58,7-8). Per farsi raggiungere dalla misericordia di Dio dobbiamo noi stessi essere misericordiosi.

Non è difficile riconoscere in questi tratti le linee fondamentali della figura del beato Domenico Lentini. Egli fu uomo di profonda fede. Nel suo ministero di predicazione non si stancò mai di proporre l’invito alla conversione e al ritorno a Dio e, per questo, unì alla sua attività apostolica il ministero del confessionale.

Un testimone oculare disse che quando il beato Domenico entrava in chiesa quasi si estasiava e camminava fissando il tabernacolo che custodiva l’Eucaristia (cf. Positio super virtutibus, p. 130). Similmente, un altro dichiarò che nel vederlo adorante dinnanzi al Santissimo Sacramento «si rassomigliava ad un Serafino del cielo» (Ivi, p. 141). Testimoniando circa la fama di santità che il beato Lentini godeva presso il popolo di Dio un altro testimone affermò: «Quantunque Egli si manifestasse e si riputasse il più grande peccatore del mondo, pure tutti lo stimavano come un Santo» (Ivi, p. 345). Egli fu pure uomo di grande penitenza, ma, proprio per questo, fu uomo di espansiva carità. Caritatevole verso il prossimo, poi, egli lo era al punto di spogliarsi dei suoi vestiti e di rimanere scalzo per avere donato le proprie scarpe (cf. Ivi, pp. 202-203).

In queste caratteristiche spirituali del beato Domenico Lentini, miei carissimi, riconosciamo pure il compito che la Chiesa ci affida per questo tempo di Quaresima. Dobbiamo intenderlo come «tempo di grazia nella misura in cui ci mettiamo in ascolto di Lui che ci parla», ha scritto il Papa nel suo Messaggio per la Quaresima 2023 e ha subito domandato: come ci parla, Gesù? «Anzitutto nella Parola di Dio, che la Chiesa ci offre nella Liturgia», ha risposto e ha così proseguito: «Oltre che nelle Scritture, il Signore ci parla nei fratelli, soprattutto nei volti e nelle storie di coloro che hanno bisogno di aiuto».

Ecco, dunque, le tre presenze di Cristo che pure il nostro beato ha mostrato di riconoscere: l’Eucaristia, la Parola e il povero. Saranno questi stessi i luoghi dell’incontro con Cristo che voi saprete realizzare nel corso di questo Giubileo Lentiniano che durerà fino al prossimo 12 ottobre? Vi sia occasione propizia il tempo quaresimale appena iniziato. Un antico inno cristiano dice che questo è il tempo che fa tutto rifiorire: «dies venit, dies tua, per quam reflorent omnia» (Inno Iam Christe sol iustitiae). La Quaresima è il tempo della primavera spirituale. Per questo a me piace vedere le opere quaresimali come dei colpi di vanga, che rivoltano le zolle della nostra terra per preparare la nuova seminagione dello Spirito. È il senso dell’amore per le tre presenze di Cristo tanto care al beato Domenico Lentini: nell’Eucaristia, nella Parola del Vangelo e nel povero.

 

Santuario Diocesano Beato Domenico Lentini – Lauria (Pz), 25 febbraio 2023

 

Marcello Card. Semeraro