Omelia nella Venerabilità del Servo di Dio Francesco Saverio Toppi

 

Misericordia per tutti

Omelia nella Venerabilità del Servo di Dio Francesco Saverio Toppi

 

    1. Torno qui a Pompei con profonda emozione. Un sentimento dettato certamente dalla mia personale devozione alla Vergine del Rosario, appresa sulle ginocchia della mia mamma, e legato pure alla cara memoria del beato Bartolo Longo. Il Decreto super virtutibus, letto all’inizio di questo Rito, ci ha ricordato che mons. F. S. Toppi «con insistenza propose il Beato Bartolo Longo quale modello di fede e di pietà». Oggi, però, siamo qui per guardare proprio alla figura di questo frate minore cappuccino e vescovo-prelato a Pompei dal 1990 al 2001, ora dalla Chiesa dichiarato Venerabile.

Lo incontrai in questo Santuario, quando vi giunsi divenuto vescovo di Oria – la chiesa dov’è Latiano, terra di origine di Bartolo Longo – e da lui ricevetti in dono l’anello episcopale con riprodotta l’immagine della Madonna di Pompei. È l’anello che ho scelto di portare per questa solenne liturgia, voluta dal carissimo arcivescovo Tommaso Caputo, che nel 2014 introdusse la Causa per la Beatificazione e la Canonizzazione ed oggi ha la gioia di vederne conclusa una fase importante. Lo ringrazio di cuore per avermi voluto in questo corale momento di lode al Signore e, insieme con lui, saluto i fratelli Vescovi concelebranti, i membri del Clero, i consacrati e le consacrate e, tra loro i frati Cappuccini e il postulatore della Causa, fr. Carlo Calloni. Saluto voi tutti, fedeli e pellegrini, tra cui sono i famigliari del nuovo Venerabile. Saluto con deferenza le Autorità presenti: i sigg. Sindaci di Pompei e di Brusciano – luogo natale del Venerabile – e le altre Autorità civili, militari e di polizia.

In questo momento, però, è alla Parola di Dio proclamata, che dobbiamo prestare la massima attenzione; soprattutto al racconto del Vangelo: una donna sorpresa in adulterio e portata davanti a Gesù. Sono impresse nella memoria le parole con le quali sant’Agostino ha più volte scolpito la scena finale: «Tutti uscirono di scena. Soli restarono, lui e lei; restò il Creatore e la creatura; restò la misera e la misericordia; restò lei consapevole del suo reato e lui che ne rimetteva il peccato» (Sermo 16A, 5: PL 46, 901). Un’altra volta disse: «Partiti tutti, rimase la peccatrice con il Salvatore. Rimase l’ammalata con il medico. Rimase la misera con la misericordia» (Sermo 13, 5: PL 38, 109). Sì, loro due soli: la misera e la misericordia (cf. In Joannis evangelium tractatus 33, 5: PL 35, 1650).

Non ci emozioniamo, questa sera, nell’udire la parola misericordia? A risentirla specialmente in questo Santuario? Qui, dove sempre risuonano le parole della Supplica scaturita dal cuore innamorato di Bartolo Longo: «Vedi, o Madre, quanti pericoli nell’anima e nel corpo, quante calamità ed afflizioni ci costringono. O Madre, implora per noi misericordia dal Tuo Figlio divino e vinci con la clemenza il cuore dei peccatori. Tu, come Madre nostra, sei la nostra Avvocata, la nostra speranza. E noi, gementi, stendiamo a te le mani supplichevoli, gridando: Misericordia! Misericordia per tutti, o Madre di Misericordia!»?

 

    2. Riflettiamo, ora, sulle le tre parole di Gesù, che il racconto evangelico ci ha trasmesso (cf. Gv 8,1-11). La prima è rivolta a chi gli aveva portato la donna: «Si alzò e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”». È una parola, questa, che responsabilizza. Quante volte anche noi, come gli scribi e i farisei del racconto, siamo pronti a guardare agli altri per valutarli, giudicarli, parlarne male, deriderli… Gesù, invece, ci dice: guarda anzitutto a te stesso! Facendogli eco, lo ha detto san Paolo: «Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1-2). Papa Francesco ha commentato così: «Quando siamo tentati di giudicare male gli altri, come spesso avviene, dobbiamo anzitutto riflettere sulla nostra fragilità. Quanto facile è criticare gli altri! Ma c’è gente che sembra di essere laureata in chiacchiericcio. Tutti i giorni criticano gli altri. Ma guarda te stesso! È bene domandarci che cosa ci spinge a correggere un fratello o una sorella, e se non siamo in qualche modo corresponsabili del suo sbaglio» (Catechesi del mercoledì 3 novembre 2021).

La seconda parola di Gesù è rivolta alla peccatrice: «Si alzò e le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?” Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”». Questa parola è un richiamo alla coscienza morale, perché c’incoraggia a riscoprire noi stessi, stando soli con lui solo. Il venerabile Pio XII ne lasciò una mirabile descrizione, ripresa poi dal Concilio Vaticano II. Disse: «La coscienza è come il nucleo più intimo e segreto dell’uomo. Là egli si rifugia con le sue facoltà spirituali in assoluta solitudine: solo con se stesso, o meglio, solo con Dio – della cui voce la coscienza risuona – e con se stesso» (Messaggio radiofonico sulla retta formazione della coscienza cristiana nei giovani, 23 marzo 1952: AAS 44 (1952), 271; cf. Gaudium et spes, n. 16). È una solitudine ben diversa dal concentrarsi su di sé e dall’esaurirsi in sé; è una solitudine che è agli antipodi dallo scegliere se stessi come principio del vero e del falso, del giusto e dell’ingiusto, del bene e del male. È una solitudine, invece, che è abitata dalla compagnia di Dio, la compagnia che Dio stesso vuole avere con ogni essere umano. Ed è così che quella solitudine diventa una con-solazione!

La terza parola di Gesù è rivolta di nuovo alla donna: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Per questa donna è apertura al futuro. Quel «d’ora in poi» è la possibilità nuova, che la misericordia del Signore le apre. È il cuore del Vangelo, per tutti coloro che accolgono il lieto annuncio del perdono. Abbiamo ascoltato l’esortazione del profeta Isaia: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18-19). San Paolo, poi, il grande «convertito» dalla Legge alla Libertà pasquale, ci ha confidato: «Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta…» (Fil 3, 14).

 

    3. Nel contesto di questa Parola di Dio, carissimi, questa sera possiamo considerare anche il venerabile Francesco Saverio Toppi. Una sua penitente ha testimoniato: «Aveva una grande fiducia nella Misericordia di Dio e insegnava a noi che ci lasciavamo dirigere da lui, questo concetto che Dio è amore e misericordia; anche nella confessione marcava fortemente questo concetto, invitando a non disperare del proprio peccato ma a fidarsi dell’infinita misericordia di Dio» (Summarium Testium, Teste XL, § 501).

In effetti, una frase che egli ripeteva spesso è: «Io sono peccato. Dio è Misericordia» (Summarium Testium, Teste IX, § 151). In questa umiltà, che è poi la base per tutte le virtù, il nostro Venerabile, «restò sempre, in semplicità e letizia, unito nel vincolo di Madonna Povertà, verace discepolo di San Francesco di Assisi» (Decretum super virtutibus). Con una vita permeata di carità non ostentata, ma vissuta, egli si privava anche del poco che aveva per donarlo a chi era nel bisogno. Davanti al povero e al sofferente – diceva – possiamo dire con l’apostolo Tommaso: «Signore mio e Dio mio» (Omelie e Prediche a cura di M. Noviello, Marna ed., Barzago 2011, 45). Il fedele popolo di Dio percepì ben presto il profumo delle sue virtù e quando passò da questo mondo alla casa del Padre disse: «è morto un santo, abbiamo un santo in Paradiso» (Summarium Testium, Teste XXIII, § 347).

Ora, però, ascoltiamo almeno una parola da lui. Scelgo quella che mi pare più consona al tempo liturgico che stiamo vivendo e che il nostro Venerabile usava ripetere. È una frase, che ha il sapore degli apoftegmi degli antichi padri del deserto: «Per il Mistero della Pasqua, quando le cose vanno male, allora vanno bene» (Informatio, p. 13). A me pare un bagliore, che il venerabile Servo di Dio F. S. Toppi ci trasmette raccogliendolo dalla storia di Emmaus. «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele…», è la frase sfiduciata che pronunciano i due discepoli, convinti che tutto fosse andato male. Quando però avranno riconosciuto il Risorto, esclameranno: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via...?».

La Vergine del Santo Rosario ci ottenga, con la sua intercessione, un simile ardore del cuore. «La gioia del Vangelo – ci ricorda il Papa – riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Francesco, Esort. Apost. Evangelii gaudium, n. 1).

 

Pontificio Santuario della B.V. del Santo Rosario di Pompei – 2 aprile 2022

 

Marcello Card. Semeraro