Omelia per la beatificazione del martire Giovanni Fornasini

 

Avete ucciso il giusto ed egli non ha opposto resistenza

 

Omelia per la beatificazione del martire Giovanni Fornasini

 

    1. «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». È, a prima vista, una domanda implicita, questa che Giovanni rivolge a Gesù; in realtà si dimostra essere una provocazione, perché il Maestro (così è chiamato il Signore) aderisca a una decisione già presa e la sanzioni con la sua autorità. C’è, dunque, un tale, un estraneo e, ancora di più, uno che non appartiene al gruppo dei discepoli, che pretende svolgere il loro stesso compito. Gesù, difatti, li aveva inviati a due a due, dando loro potere sugli spiriti impuri e loro, forti di questo mandato, avevano effettivamente scacciato molti demoni, unto con olio molti infermi e li avevano guariti (cf. Mc 6,7-13). Ma costui? La sua condizione somiglia a quella di Eldad e Medad, descritta nella prima lettura dal libro dei Numeri: pur non essendo entrati nella tenda, profetizzano e Giosuè se ne lamenta con Mosè: «mio signore, impediscili!». La risposta di Gesù: «Non glielo impedite», ricalca in qualche maniera quella di Mosè.

    Già questo lascia capire che ci troviamo di fronte a una tentazione molto forte anche per noi cristiani: quella, cioè, d’intendere la religione come un appannaggio e l’adesione come una difesa degli interessi di gruppo. Il linguaggio usato da Giovanni è sintomatico di una – la si potrebbe chiamare – «debolezza» ecclesiastica: pensare di potere esercitare un controllo anche sul nome di Gesù. È, in fin dei conti, la tentazione del servo, che vuole stare al posto del padrone. Gesù, però, rifiuta di entrare in questo gioco e a chi gli propone una comunità chiusa ed elitaria, disegna il volto di una comunità aperta, accogliente, inclusiva. «L’inclusione – dice papa Francesco –, si manifesta nello spalancare le braccia per accogliere senza escludere; senza classificare gli altri in base alla condizione sociale, alla lingua, alla razza, alla cultura, alla religione: davanti a noi c’è soltanto una persona da amare come la ama Dio» (Udienza giubilare, 12 novembre 2016). Non è che tutto debba essere inteso «cristiano» a ogni costo, ma è giusto pensare che il bene c’è pure al di fuori della propria cerchia e questo proprio perché è «bene»!

    San Beda, detto «il venerabile», un monaco anglosassone vissuto tra il VII e l’VIII secolo ed onorato come dottore della Chiesa, commentava così: «Nessuno deve essere allontanato dal bene che in parte possiede, ma piuttosto deve essere incoraggiato a fare ciò che ancora non possiede» (In evangelium S. Marci. III,9. PL 92, 225). In altre parole, vuol dire incoraggiare a non accontentarsi, esortare a fare un passo in avanti. Beda cita, quindi, san Paolo, il quale, di fronte a certi predicatori disonesti, diceva: «Purché in ogni maniera, per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene» (Fil 1,18). Si tratta, allora, non di limitare, o misconoscere il bene, ma di togliere l’ipocrisia.

 

    2. Gesù è certamente solidale coi suoi discepoli, ma questo non gli impedisce di riconoscere i germi di bene che possono esserci oltre la condizione del discepolato. «Chi non è contro di noi è per noi», dice ed è come incoraggiarci a cercare e riconoscere presenti nell’altro, chiunque egli sia, dei semina verbi, ossia dei germi di bene: immagine, questa, molto antica nella storia della Chiesa perché risale a san Giustino, un filosofo e teologo cristiano del II secolo. Ogni uomo – egli insegnava – in quanto creatura razionale, creata da Dio, è partecipe del Logos, del Verbo divino, ne porta con sé un seme e tramite quello può cogliere la verità!

    Questa dottrina è particolarmente felice, perché riesce ad esprimere l’idea dell’azione diffusa di Dio nel mondo, anche oltre i confini visibili del cristianesimo e rimanda al delicato rapporto della Chiesa cattolica con le altre religioni e con le altre culture. Questa antica idea dei semi del Verbo è stata poi la chiave semantica e concettuale, utilizzata dal Concilio Vaticano II, il quale insegna che tutti i cristiani «debbono conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo (semina Verbi) che vi si trovano nascosti» (Ad gentes, 11).

    Un cristianesimo non geloso, dunque, ma attento e aperto e anche umile giacché pure ai cristiani potrà accadere – ed accadrà – di essere pellegrini nel mondo per annunciare il vangelo ed essere stanchi e assetati come lo fu Gesù presso un pozzo, dove domandò da bere a una donna samaritana (cf. Gv 4,7-9). Ecco allora che il racconto del vangelo prosegue: «Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa».

    C’è qui una espressione meravigliosa, che esprime la nostra identità di cristiani e ci richiama la ragione fondamentale perché dobbiamo essere riconosciuti dagli altri: perché siete di Cristo! L’ambizione autentica di un cristiano è di essere riconosciuto non perché bravo, abile, sapiente … ma perché è di Cristo, cioè appartiene a Lui. Quante volte san Paolo lo ripete nelle sue lettere: voi siete di Cristo, il vostro vivere è Cristo (cf. 1Cor 3,23; Rom 8,9; 2Cor 10,7).

    In forza di questo legame con Cristo crocifisso e risorto nessun donarsi di cristiano è mai un perdersi; anzi, quanto più noi ci doniamo al prossimo, tanto più rinforziamo il nostro legame col Signore e rinsaldiamo la nostra appartenenza a Lui. Ed egli non dimenticherà alcun gesto di carità, neppure il più piccolo e insignificante: «Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa».

    Come è consolante questa parola! Per vivere la carità non è necessario essere ricchi. Commentando questo passo, un antico autore ricorda che nel vangelo secondo Matteo si precisa: «un solo bicchiere d’acqua fresca» (10,42; cf. Rabano Mauro, Homilia CXXVIII. Feria VI. Lectio sancti Evangelii sec. Marcum: PL 110, 391). Significa che non ci vien chiesto di preparare al povero senz’altro un bagno d’acqua calda, o un banchetto di ricche vivande! E allora, non dire: sono povero anch’io. Donare è sempre possibile. A chi è nel bisogno è sufficiente porgergli quell’acqua, che puoi subito trovare. Se poi ti trovi anche tu nel bisogno, dona almeno te stesso con la tua povertà!

 

    3. In questa luce evangelica, carissimi, ci è possibile inserire anche la figura del nuovo beato, Giovanni Fornasini, sacerdote di questa Chiesa di Bologna. Io sono grato al vostro Arcivescovo perché ieri mi ha incoraggiato a visitare i luoghi dove si svolsero i fatti drammatici che fecero da sfondo all’uccisione del nostro beato. Mi ha detto: «Vedendoli capirai meglio ciò che è accaduto». È stato davvero così ed io lo ringrazio di cuore e lo saluto con l’antica amicizia. Con lui saluto gli Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi presenti, coi sacerdoti ed i seminaristi e i diaconi; come pure saluto i fratelli e le sorelle di vita consacrata. Rivolgo un rispettoso saluto a tutte le Autorità presenti con tutti i fedeli che partecipano in vario modo a questo sacro rito.

    So pure che molti fedeli, in questa circostanza stanno pregando il beato martire Giovanni Fornasini perché interceda presso il Signore per la guarigione di un bambino afflitto da una malattia mortale. La Chiesa ci esorta a venerare i santi ed i beati perché possiamo attingere al loro esempio, perché siamo consolati dalla loro fraterna carità e perché con le loro preghiere e il loro potente aiuto imploriamo grazie da Dio mediante il Figlio suo Gesù Cristo (cf. Lumen gentium, n. 50).

    Lo sfondo storico della vicenda martiriale del beato Fornasini è dato dagli eccidi di Monte Sole, alla fine di settembre del 1944. In quell’agghiacciante contesto, nelle due settimane che seguirono le stragi, Don Fornasini fu l’angelo custode dei suoi parrocchiani. Seppelliva i cadaveri insepolti; nel solco del vangelo di questa Liturgia, dissetava e nutriva i bisognosi; accoglieva tutti i rifugiati dei dintorni nella sua canonica, dove poi si insediarono i nazisti. Negoziava perfino con loro, maneggiando il dizionario di tedesco che si era procurato appositamente. Cercava così di attirare nel bene anche gli oppressori. In tal modo riuscì a difendere dagli abusi degli occupanti anche la dignità di alcune ragazze, impedendo lo scandalo dei piccoli.

Come Mosè e Cristo nelle letture bibliche di questa domenica, egli è stato un profeta dell’inclusione odiato dai banditori della discriminazione. Curando gli sfollati non smise mai di pregare con la gente, nella Messa, con i Sacramenti e il Rosario. Soprattutto, moltiplicava gli sforzi per evitare ulteriore spargimento di sangue. Così, la violenza evitata alle pecorelle ha colpito il pastore, diventando odio alla sua mediazione sacerdotale. Persino l’inganno che lo ha attirato nel luogo del martirio ha dovuto far leva sulla sua premura pastorale, attraverso un pretestuoso invito a seppellire i morti presso San Martino di Caprara il 13 ottobre 1944. Mentre vi si recava pregando, rimase vittima di una imboscata.

    «Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza», abbiamo ascoltato al termine della seconda lettura. La colpa maggiore del ricco – potremo dire anche del prepotente – è secondo san Giacomo la colpa più grave. Nella categoria del giusto egli rappresenta tutti coloro che sono vittime dell’ingiustizia e della prepotenza degli uomini. In questa luce guardiamo oggi al beato Giovanni Fornasini.

 

    Più che essere l’eroe di un qualsiasi ideale, egli è autenticamente martire di Cristo.

 

    Bologna – Basilica di san Petronio, 26 settembre 2021

 

Marcello Card. Semeraro