Omelia per la venerabilità del Servo di Dio Ugo De Blasi

Un prete, adoratore del Padre

Omelia per la venerabilità del Servo di Dio Ugo De Blasi

 

«La vita di un prete si giustifica solo sulla base di un amore profondo ed espansivo per Cristo. Un amore incontenibile che diventa annuncio, testimonianza, servizio». Questa frase di d. Ugo De Blasi, con la quale inizia il testo del Decreto di Venerabilità che questa sera ho ufficialmente consegnato, egli la pronunciò il 18 ottobre 1981 predicando in occasione del giubileo sacerdotale di don Antonio De Pandis, all’epoca arciprete di Surbo (Positio, p. 330). È stata scelta perché ci apre uno spiraglio sulla sua vita interiore; ci dice cosa egli riconosceva al fondamento della storia di un sacerdote: l’amore per Cristo, che egli descrive come qualcosa di sorgivo nel cuore. Profondo ed espansivo! Direi che come dal costato aperto e dal cuore trafitto di Cristo è scaturita per tutti e per ciascuno la sorgente della vita – ossia il dono dello Spirito –, così, come per un debito d’amore, dal nostro cuore deve zampillare l’amore per Cristo. È in questo scambio, in questo ricevere per donare, in questo dinamismo che nasce – prima, o poi deve «nascere», se è vera vocazione – la scelta di essere prete. All’inizio potranno esserci tante motivazioni: le più varie, le più serie, le più valide, anche le più ingenue… Prima, o poi, in ogni caso, deve intervenire l’amore per Cristo. Tutto, diversamente, rimane artificioso, esteriore, superfluo.

Noi, sacerdoti di età più avanzata, non abbiamo vissuto così, da piccoli, la nostra vocazione? Lo domando guardando soprattutto a voi, carissimi fratelli Vescovi, ben lieto di incontrarvi questa sera insieme col pastore di questa cara, comune, natale Chiesa di Lecce. Spiritualmente unito a noi è il Cardinale Salvatore De Giorgi, il quale mi confidava, l’altra sera a Roma, la sua intima gioia per questa celebrazione. Pensiamo – e pensatelo anche voi, carissimi presbiteri – ai sogni della nostra infanzia; ai progetti di quando eravamo chierichetti… Immaginavamo fosse cosa facile l’essere prete! Poi – lo spero per tutti – ne abbiamo sentito la responsabilità! Il dovere di rispondere all’amore!

Prima o poi, dicevo, per essere davvero vocazione, quella di un prete deve assumere un volto: quello di Cristo. Deve essere un innamoramento: l’amore per Cristo! Sentire una vocazione vuol dire sentire una chiamata, come la Sposa del Cantico, che dice: «Una voce! L’amato mio!» (Cant 2,8). Ecco la vocazione!

Una voce! Egli ci chiama perché fin dal principio ci ama. Ed è amore di amicizia, la vocazione. Amicizia con Gesù. Per questo egli ha detto: vi chiamo amici (cf. Gv 15,15)! San Tommaso d’Aquino insegna che l’amore di amicizia è amore perfetto. perché si ama l’altro per chi egli è e non per ciò che può darmi (cf. De virtutibus, q. 4 a. 3 co.) e consiste nel ricambiare l’amore che si riceve. La vera amicizia, intendeva, si ha quando l’amore è ricambiato (cf. S.Th. I-II, q. 65 a. 5 co). Papa Francesco lo ripete oggi dicendo che «la parola “vocazione” colloca tutta la nostra vita di fronte a quel Dio che ci ama e ci permette di capire che nulla è frutto di un caos senza senso, ma al contrario tutto può essere inserito in un cammino di risposta al Signore, che ha un progetto stupendo per noi» (Christus vivit, n. 248).

D. Ugo De Blasi questo non lo ha capito subito. L’ha scoperto e poi, piano piano, l’ha assorbito nella propria vita. È bello riscontrare questo in lui, perché la santità è vita che cresce. Per questo, nella Gaudete et exsultate il Papa ha esortato: «Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità. Lascia che tutto sia aperto a Dio e a tal fine scegli Lui, scegli Dio sempre di nuovo. Non ti scoraggiare, perché hai la forza dello Spirito Santo affinché sia possibile, e la santità, in fondo, è il frutto dello Spirito Santo nella tua vita» (n. 15). La santità è un cammino, percorso in docilità allo Spirito, che sempre aiuta, soccorre, sostiene, incoraggia.

Nel Diario di d. Ugo c’che risale agli esercizi spirituali dell’ottobre 1940, mentre si preparava all’ordinazione diaconale. Dice così: «Misericordiae Domini plena est terra. Da questa meditazione sono stato rinnovato … Fino ad oggi sognavo un sacerdozio consumato per il trionfo del tuo Regno; ma non avevo pensato che il Tuo è Regno d’Amore… Sogno ora così il Tuo Trionfo» (Positio, p. 250). Forse anche a motivo della formazione, ricevuta in un’epoca particolare anche della storia italiana, egli s’immaginava il Regno come un dominio. Anche i discepoli di Gesù caddero in questo equivoco ed egli disse loro: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così…» (Mt 20,25-26). Da buon discepolo di Gesù anche d. Ugo comincia a capire che «il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Non avevo pensato che il Tuo è Regno d’Amore… Sogno ora così il Tuo Trionfo.

Anche quando si è capito, però, non per questo tutto diventa più facile! Quello che si intuisce in un batter d’occhio, ha poi bisogno di tempo per entrare nella vita. Così è stato anche per il nostro Servo di Dio. «Sono un cerebrale – ha confessato in un’occasione –, lo sento, sono freddo: meglio così, basterebbe un tantino di sentimento a rovinarmi …» (Positio, pp. 255-256). Ripensando a questa confessione si potrà pensare che il suo atteggiamento abituale serio e grave fosse per lui come una tutela, una custodia del cuore. Intanto prendeva sempre più spazio in lui il grido spontaneo: il Tuo è Regno d’amore! Da quest’altra confessione comincia a disegnarsi l’altro suo volto, quello della ilare cordialità, della fedele amicizia, della carità verso i più deboli, gli anziani, i malati, i carcerati… È il volto che tutti riconoscemmo alla notizia della sua morte. Quand’egli morì io ero oramai al Seminario Regionale di Molfetta; nell’anno, però, che subito dopo l’ordinazione trascorsi nel Seminario Vescovile di Lecce, chiesi a d. Ugo di accogliermi per la confessione e la direzione spirituale. Alla notizia della sua morte esclamai amareggiato: i preti di Lecce non hanno più un padre spirituale! I preti di oggi, lo hanno il padre spirituale? Se non si è figli, non si può essere padri!

Se, da qui, io ripenso a d. Ugo, mi torna alla mente l’immagine del pastore delineata da San Gregorio Magno: singulis compassione proximus, prae cunctis contemplatione suspensus…, «vicino a tutti condividendo il dolore e sia dedito più di ogni altro alla contemplazione, così da assumere in sé, con sentimenti di misericordia, le sofferenze di tutti, e da elevarsi con la sublimità della contemplazione e il desiderio delle realtà invisibili; mirando a ciò che è sublime, non trascuri le necessità del prossimo, e, accostandosi ad esse, non desista dal tenere alle realtà celesti» (Regola Pastorale II, 5: PL 77, 32).

Sono due atteggiamenti, questi – contemplazione e azione –, che non si affiancano l’uno all’altro e ancor meno si oppongono; l’uno, piuttosto, è presupposto dell’altro e questo è anima del primo. I due atteggiamenti si appartengono reciprocamente. È quella che un grande pensatore, anch’egli candidato all’onore degli altari, Romano Guardini, chiamava opposizione polare e che egli vedeva alla base di ogni realtà vivente. San Paolo VI aveva forse presente questa idea quando, nell’Omelia per la Sacra Ordinazione che, durante un suo pellegrinaggio apostolico a Bogotà tenne il 22 agosto 1968, disse: «Non crediate che questo assorbimento della nostra cosciente spiritualità nell’intimo colloquio con Cristo arresti, o rallenti, il dinamismo del nostro ministero; ritardi cioè l’esplicazione del nostro apostolato esteriore, e serva fors’anche di evasione dalla molesta e pesante fatica della nostra dedizione all’altrui servizio, alla missione a noi affidata; no, esso è lo stimolo dell’azione ministeriale, la fonte dell’energia apostolica; esso mette in efficienza il misterioso rapporto fra l’amore a Cristo e la dedizione pastorale».

Se, soprattutto quanti lo abbiamo conosciuto, consideriamo la vita del nostro d. Ugo, dobbiamo ammettere che per lui è stato proprio così: proteso verso il prossimo nella carità e sospeso a Dio nella contemplazione. Nel processo per la beatificazione e canonizzazione un testimone ha parlato a suo riguardo di una forza contemplativa e ha dichiarato: «Vi era nella sua figura, nella sua personalità qualcosa che incuteva grande rispetto e che suscita un’attrazione che non mi sapevo completamente spiegare… Ciò che avvertivo in modo unico ripeto, rispetto a tutti gli altri suoi confratelli era un fuoco profondo, erano incandescenza nascosta di una forza contemplativa, di una continua adorazione, di un ardore di preghiera» (Relatio et Vota, p. 20).

Emerge, da questa testimonianza, qualcosa che è caratteristica della santità ed è l’essere trasparenza di Cristo. L’autenticità di una vita santa è la trasparenza di Cristo. Se in un uomo, o una donna non si riesce a vedere il volto di Cristo, ma si rimane piuttosto ammaliati da sue ipotetiche virtù, ammirati da asserite pratiche ascetiche e conquistati da immaginate esperienze mistiche… se non riusciamo a riconoscere quale tratto del volto di Cristo da costui o da costei immediatamente traspare, allora non è santità!

E se voi doveste domandarmi quale tratto del volto di Cristo sempre mi è parso di vedere nella testimonianza di d. Ugo De Blasi, io vi risponderei senz’altro così: l’adoratore del Padre. È l’ultima immagine di sé, che egli ci ha lasciato: uomo di adorazione. La morte lo colse mentre era in preghiera.

Don Ugo io lo ricordo al suo posto nel confessionale quand’era canonico penitenziere, pronto ad accogliere, a illuminare, a consolare e ad amministrare il perdono del Signore; lo ricordo al suo posto nell’ufficio di Curia, fedele nell’assolvere nel silenzio le incombenze affidategli… L’immagine ultima che, però, è conservata nella mia – nella nostra memoria, è quella di un prete ch’è morto mentre era in preghiera.

Il santo – cito ancora Romano Guardini – è «il cristiano che è totalmente preso dall’avvicinarsi dell’Agnello e gli va incontro» (I santi e san Francesco, Morcelliana, Brescia 2018, 120). Sia questo il messaggio che questa sera raccogliamo dal venerabile Servo di Dio d. Ugo De Blasi. È la parola stessa di Gesù: «viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano» (Gv 4,23).

 

Cattedrale di Lecce, 9 febbraio 2023

 

Marcello Card. Semeraro