Portava le stigmate di Cristo

 

Portava le stigmate di Cristo

Omelia per il ventennale di canonizzazione di san Pio da Pietrelcina

 

    «Per i ricchi e felici è facile tacere, / nessuno vuol sapere come sono. / Solo i miseri devono mostrarsi, / devono dire: io sono cieco / oppure: io sto per diventarlo / oppure: è disgraziata la mia vita / oppure: io ho un bambino ammalato ...». Sono i versi coi quali il grande poeta austriaco, Rainer Maria Rilke, introduce il canto di nove voci di dolore. Il mendicante, l’emarginato – egli intende – perché qualcuno si prenda cura di lui, deve alzare la voce, altrimenti tutti gli passano avanti trattandolo come un oggetto da scartare (cf. Das Buch der Bilder, II, 2).

    Lo stesso è accaduto a Bartimeo, il cieco di cui nel vangelo leggiamo che «sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”» (Mc 10,46-48). Anche nel racconto evangelico di questa sera ci sono voci di dolore che si levano verso Gesù: «La mia figlioletta sta morendo», gli dice Giàiro. Così pure la donna, che da dodici anni aveva perdite di sangue: venne da Gesù, gli si gettò davanti e impaurita e tremante, gli disse tutta la verità. E Gesù risponde a quelle voci doloranti donando la guarigione e la vita (cf. Mc 5,21-43). Due donne: liberate, una dalla paura che le impediva di vivere e l’altra, dalla morte che le impediva di crescere.

    Va’ in pace e alzati: sono due verbi che per tutti noi diventano un simbolo. Quanta gente è venuta qui e ha sentito ripetere da Padre Pio parole simili a queste, specialmente al termine di una confessione sacramentale. Questi, però, sono misteri che avvengono nel cuore e sono eventi di grazia che è possibile percepire solo in ragione della testimonianza di una vita nuova. Ma sono sempre i segreti nuziali tra Gesù e l’anima. La guarigione, invece, il sollievo del corpo sono cose visibili e percepibili. Una volta, guardando un paralitico, Gesù disse: «perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua» (Mc 2,10; cf. Lc 5,24). È un po’ così che ha fatto Padre Pio quando volle erigere una casa di cura, un ospedale chiamato Casa Sollievo della Sofferenza. Padre Pio sapeva che non sempre la sofferenza può essere eliminata con la guarigione; era, però, convinto, che sempre la sofferenza può essere curata con l’amore.

    Quando Benedetto XVI venne qui il 21 giugno 2009 ricordò che, quanti a vario titolo operavano nella Casa Sollievo, Padre Pio voleva che fossero «riserve di amore, che tanto più sarà abbondante in uno, tanto più si comunicherà agli altri». Questa frase, carissimi, mi porta all’esortazione che abbiamo udito questa sera da san Paolo nella sua Seconda Lettera ai Corinzi: «la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza» (2Cor 8,14).

    Su questo admirabile commercium, meraviglioso «scambio di doni», desidero soffermarmi un po’ di più insieme con voi, tenendo sempre fisso lo sguardo sul Signore Gesù il quale – è ancora l’Apostolo a ricordarcelo – «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (v. 9). Fonte inesauribile di questo scambio tra ricchezza e povertà è la Croce, dove Cristo, spogliato delle sue ricchezze, continua ad arricchirci della sua povertà.

    Da questa medesima relazione con Cristo Gesù – che pur essendo di natura divina spogliò se stesso e non considerò possesso geloso l’essere alla pari di Dio – scaturiscono anche le cinque virtù elencata da san Paolo, ossia la fede, la parola, la conoscenza, lo zelo e la carità, che noi vorremmo questa sera vedere rispecchiate nell’esistenza di Padre Pio, quasi supponendo che proprio queste virtù siano state le cinque vie della sua santificazione.

    Anzitutto la fede, che è, nello stesso tempo, fiducia e fedeltà. La sua sorgente inesauribile è l’unione con Cristo, tant’è che durante la sua vita pubblica Gesù non ha mai compiuto miracoli senza la condizione della fede. Anche i due miracoli narratici questa sera dal testo evangelico sono accomunati dalla fede: «Figlia, la tua fede ti ha salvata», rivela Gesù all’emorroissa; a Giàiro, poi, prima che guarisca la sua bambina, Gesù chiede: «Soltanto abbi fede». Questa stessa condizione Padre Pio la raccomandava a quanti lo cercavano per qualsiasi forma di malattia: fisica e interiore. E quando si trovava di fronte a persone che sostenevano di non credere in Dio, non chiudeva la porta del confessionale, ma ripeteva sempre: «Dio ha fede in te». In questa fiducia in Dio egli era cresciuto sin da piccolo e questa fede lo ha sempre sostenuto, tra circostanze avverse e insidie diaboliche. Imparò così che l’amore vale ogni pena e che «sotto la croce si impara ad amare».

    Dalla fede sincera scaturisce la parola intesa come confessione della fede. L’unione profonda con Cristo dischiude alla parola che non soltanto professa, ma lo confessa come Signore. Padre Pio, a dire il vero, non fu un fine predicatore, ma il ministero della Parola lo esercitò soprattutto nella direzione spirituale. Il suo consiglio era ricercatissimo da fedeli di ogni estrazione e anche per scelte molto concrete: chi sposare, quale casa acquistare, da chi farsi curare…

    Unita alla fede e alla parola è la conoscenza. In questione non è una conoscenza intellettiva, che gonfia (cf. 1Cor 8,1) ed esalta se stessi, ma la conoscenza interiore, profetica, capace di scandagliare il cuore umano e di soccorrerlo. Di Padre Pio era peculiare proprio questa profonda conoscenza interiore dell’animo umano; una conoscenza così caratteristica in lui, da permettergli di conoscere le intenzioni di quanti lo cercavano prima ancora che iniziassero a parlargli. Molti, poi, uscivano dal suo confessionale meravigliati per la descrizione esatta del loro passato, o per il suo sguardo sapiente sul futuro. La sua voce profetica, però, vibrava anzitutto in riferimento al presente delle persone, su cui solo Dio conosce ciò che è meglio. E non è, forse, di questo che oggi soprattutto la Chiesa ha bisogno? Non anzitutto di una conoscenza esteriore e intellettiva, ma della conoscenza profetica che si fa carico delle necessità delle donne e degli uomini del nostro tempo.

    Nella sua lettera san Paolo parla anche di zelo, che qui dobbiamo intendere nel senso di sollecitudine soprattutto per chi è povero e indigente. È la sollecitudine che Gesù riconosce in chi lo vede affamato e gli dà da mangiare, assetato e gli dà da bere, straniero è l’accoglie, nudo e lo veste, malato e lo visita, carcerato e lo cerca (cf. Mt 25,35-36). È quanto ha fatto Padre Pio, il quale non limitava la sua sollecitudine pastorale alle anime, ma con essa raggiungeva i corpi. «A volte desideriamo di essere buoni angeli e trascuriamo di essere buoni uomini», scrisse ad una figlia spirituale e così, mentre testimoniava l’accoglienza cristiana del dolore spirituale, costruì pure un moderno ospedale per dare sollievo alla sofferenza fisica.

    L’ultima virtù che la ricca povertà di Cristo ci consegna è l’amore, l’agàpe, che è più della carità. Spesso confondiamo l’amore con l’elemosina, che pure conserva il suo valore. L’agàpe, tuttavia, è molto più: è il nostro amore per Cristo e per il prossimo che si disseta costantemente dall’infinito amore di Cristo per noi. Qui è l’inizio e il termine della vita cristiana ed è qui anche il grande segreto della spiritualità di Padre Pio.

    La carità di san Pio da Pietrelcina fu pure offerta costante per il Papa e per la Chiesa e questo malgrado le sofferenze patite a motivo del comportamento di alcuni ecclesiastici, anche all’interno della sua famiglia religiosa. Pochi giorni prima di morire, il 12 settembre 1968, egli scrisse una lettera a Paolo VI per manifestargli l’amore di un «semplice figlio della Chiesa». Due mesi prima il Papa aveva pubblicato l’enciclica Humanae vitae e questo gli aveva provocato dure critiche. Padre Pio, invece, lo ringraziava «per la parola chiara e decisa» del suo Magistero. E sarà proprio Paolo VI, ora anch’egli elevato all’onore degli altari, a lasciarci uno degli elogi più belli di Padre Pio. Lo fece quasi riecheggiando Gesù, che riguardo al Battista domandava alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto?» (Mt 11,7). Disse: «Guardate che fama ha avuto. Ma perché? Forse perché era un filosofo, perché era un sapiente, perché aveva mezzi a sua disposizione? No, ma perché diceva la Messa umilmente, confessava dal mattino alla sera ed era – difficile a dire – rappresentante di Nostro Signore, “stampato” dalle sue stimmate. Un uomo di preghiera e di sofferenza» (Discorso ai Superiori Generali dell’Ordine, 20 febbraio 1971, in Cari Cappuccini,… Discorsi di Paolo VI ai Cappuccini, E.F.I., Perugia 1985, 41).

 

San Giovanni Rotondo, Santuario di Santa Maria delle Grazie, 26 giugno 2021

    

                                                                                                                                        Marcello Card. Semeraro