Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo a Sofia (Bulgaria)

 

Fare nostra la testimonianza degli Apostoli

Omelia nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

 

 

    1. Celebrando la festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo, vogliamo anzitutto elevare al Signore la nostra preghiera per la Santa Chiesa diffusa su tutta la terra e, in modo particolare, per i discepoli del Signore che dimorano in questa terra di Bulgaria e in questa Città.

    Il Vangelo che abbiamo ricevuto mediante la predicazione apostolica, lo sappiamo, è destinato al mondo intero. È questo il mandato che il Signore ha affidato ai suoi discepoli: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16, 15). Come pure ci ha appena ricordato la Chiesa nella preghiera colletta di questa solennità, dagli Apostoli Pietro e Paolo abbiamo ricevuto il primo annuncio della fede. Potremmo, allora, cominciare col ricordo della loro figura e di quello che nel Nuovo Testamento leggiamo di loro.

    Parleremo, dunque, anzitutto di Simone, figlio di Giona e fratello di Andrea, il pescatore di Galilea al quale, chiamandolo, Gesù diede il nome nuovo di Cefa, che significa Pietro. Ricorderemo, quindi, la sua missione, simboleggiata dalle figure del pescatore, cui il Signore dice: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10), e del pastore al quale il Risorto domanda l’amore, come condizione per pascere le sue pecore (cf. Gv 21, 15, ss.). Dopo ciò potremmo anche ricordare che Pietro fu un uomo umile e docile (si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendogli: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore» [Lc 5,8] e nel cenacolo si riconobbe bisognoso di essere lavato dal capo ai piedi [cf Gv 13,9]) ed aggiungere che fu anche debole e pauroso quando rinnegò il suo Maestro (cf. Lc 22,62: «uscito fuori, pianse amaramente»), ma anche pieno d’entusiasmo e di fervore, di fede e di amore.

    Egli fu a capo della nascente comunità cristiana ed esercita ancora oggi la sua funzione nella persona di chi gli succede sulla Cattedra di Roma. E questo ci offre subito l’occasione di andare con il nostro pensiero al Papa Francesco e innalzare al Signore la nostra preghiera per lui con le antiche e tradizionali parole, ispirate dal Salmo 40,3: Il Signore vegli su di lui, lo faccia vivere beato sulla terra e non lo abbandoni in preda ai nemici!

 

    2. Mentre, oggi, celebriamo l’apostolo Pietro, nella nostra preghiera domandiamo per noi al Signore ciò che è proprio del suo particolare carisma apostolico, ossia la fermezza e la solidità. Sono doti che diventano capacità di resistere all’usura del tempo e alla pressione degli avvenimenti, forza di essere, nella diversità delle situazioni, sempre coerenti con la nostra fede. La fede, si dirà. Sì, all’intercessione di san Pietro noi dobbiamo domandare al Signore proprio la fede, quella che attraverso la predicazione degli Apostoli ci è giunta e, insieme con la fede, dobbiamo invocare anche la fiducia e la fedeltà.

    La fede è di tutta la Chiesa e così anche la fedeltà; tocca, però, a ciascuno di noi darne prova. Lo stesso san Pietro ci esorta nella sua prima lettera: «Siate forti nella fede» (5,9). Questa fortezza indica la fermezza interiore con la quale aderire a Cristo e accogliere la sua Parola; indica pure la coerenza nell’agire esteriore, sicché la fede diventa un vero e pratico principio di vita. C’è sempre uno stretto rapporto tra fede e vita ed è questo che ci rende non soltanto imitatori di Gesù, ma anche credibili cristiani. È lapidaria la frase che sant’Ignazio di Antiochia – che fu secondo successore di san Pietro quale vescovo di Antiochia in Siria – scrive nella sua lettera agli Efesini: «È meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamarlo a parole senza esserlo» (15,1). Promettendo nell’intimo del cuore questa fedeltà al Signore, nella nostra preghiera oggi domandiamola per intercessione di san Pietro, al quale Gesù affidò, proprio dopo la manifestazione della sua debolezza, pure la missione di «confermare i fratelli» (cf. Lc 22, 31-32).

    Ciò su cui noi oggi dobbiamo pure impegnarci è che la nostra fede e la nostra fedeltà al Signore non consista in una immobile adesione alla verità, ma sia un bene che attraverso di noi e la nostra testimonianza si diffonde per raggiungere tutti. Nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium il Papa Francesco lo ha detto fin dagli inizi del suo ministero di Vescovo di Roma. «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia…» (n.1). Più avanti prosegue: «Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri. Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa. Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il suo bene. Non dovrebbero meravigliarci allora alcune espressioni di san Paolo: “L’amore del Cristo ci possiede” (2Cor 5,14); “Guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1Cor 9,16)» (n. 9).

 

    3. Insieme con san Pietro, la Chiesa oggi celebra San Paolo, il persecutore dei cristiani chiamato dalla misericordia divina a essere l’apostolo delle genti. Il Prefazio che oggi introduce nella liturgia eucaristica ci ricorda i doni e la missione di entrambi: «Pietro, che per primo confessò la fede nel Cristo, Paolo, che illuminò le profondità del mistero; il pescatore di Galilea, che costituì la Chiesa delle origini con i giusti d’Israele, il maestro e dottore, che annunciò la salvezza a tutte le genti». Aggiunge subito dopo che l’uno e l’altro «in modi diversi hanno radunato l’unica famiglia di Cristo» e che «associati nella venerazione del popolo cristiano, condividono la stessa corona di gloria».

    San Paolo ci avverte sulla necessità per ogni cristiano di essere evangelizzatore: «Guai a me – scrive in 1Cor 9,16 – se non predicassi il Vangelo». Egli ci avverte pure sulla fedeltà al Vangelo di Gesù: «se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anàtema» (Gal 1, 8).

    Ecco, dunque, l’eredità che noi riceviamo dai santi Pietro e Paolo. Predicava sant’Agostino: «Quando fu affidato il mandato a Pietro, l’incarico che ebbe Pietro non fu udito solo da Pietro, anche gli altri Apostoli lo udirono, lo ricevettero, lo conservarono e, particolarmente, chi ne ha condiviso la passione e il giorno celebrativo, l’apostolo Paolo. Udirono tale mandato e lo trasmisero a noi perché l’udissimo» (Discorso 296, 5: PL 38 1354).

    La festa che stiamo celebrando è perché noi udissimo e facessimo nostra l’esortazione che ci giunge dalla testimonianza dei santi Pietro e Paolo; testimonianza proseguita sino all’effusione del sangue.

    E preghiamo insieme: santi Apostoli Pietro e Paolo, ricordatevi di noi presso il Signore. Amen.

 

    Concattedrale di San Giuseppe – Sofia, 29 giugno 2021

 

                                                            Marcello Card. Semeraro