Canonizzazione equipollente, canonizzazione formale e necessità dei miracoli

Canonizzazione equipollente, canonizzazione formale e necessità dei miracoli

Pietro Favre, Giuseppe Vaz e Giovanni Paolo II. Tutti sono stati proclamati santi, in periodi diversi, da Papa Francesco. Mentre è chiaro che Pietro Favre sia stato proclamato per canonizzazione equipollente e Giovanni Paolo II per canonizzazione formale, ciò che va approfondito riguarda la tipologia di canonizzazione di Giuseppe Vaz che, come anche altri simili casi (per esempio Giovanni XXIII, i protomartiri brasiliani, i martiri messicani), sono stati canonizzati con la dispensa dal miracolo. In questi casi si tratta di canonizzazione equipollente o di canonizzazione formale?

Questo articolo, dopo aver richiamato il concetto stesso di canonizzazione e l’iter della canonizzazione formale, si soffermerà sul concetto di canonizzazione “equipollente” e sull’importanza dei miracoli, a partire dalla dottrina di Benedetto XIV.

La Chiesa promuove il culto dei santi per favorire la santificazione del popolo di Dio, perché i fedeli siano edificati dal loro esempio e sostenuti dalla loro intercessione (cfr. can. 1186 del Codice di Diritto Canonico). Godono di culto pubblico solo quei Servi di Dio, che sono riportati nel catalogo dei Santi o dei Beati dall’autorità competente della Chiesa (cfr. can. 1187). Ecco, dunque, il significato di proclamare alcuni cristiani “Santi” da parte della Chiesa: offrire al popolo santo di Dio degli esempi e degli intercessori. Con la canonizzazione, il santo può essere venerato pubblicamente in tutta la Chiesa sparsa per il mondo e in tutte le forme di culto liturgico ufficiale della Chiesa.

La canonizzazione formale si ha in seguito all’approvazione da parte del Papa di un miracolo avvenuto dopo la beatificazione del candidato e dopo che sia stato celebrato un Concistoro ordinario durante il quale il Pontefice accoglie il parere favorevole dei Cardinali, precedentemente consultati in merito. La canonizzazione formale prevede la dichiarazione di una sentenza da parte del Santo Padre. Tale sentenza viene proclamata dallo stesso Pontefice durante un rito liturgico, in genere all’inizio della santa messa.

Nella seconda fattispecie occorre distinguere la canonizzazione equipollente dalla beatificazione equipollente. Quest’ultima riguarda i servi di Dio che godono di culto antico ab immemorabili tempore. Si tratta degli “antichi beati”, il cui culto si è sviluppato in un particolare periodo storico: dalla fine del pontificato di Alessandro III († 1181) al 1534, così come prescrive la Costituzione apostolica Caelestis Hierusalem Cives di Urbano VIII del 1634 (cfr. CIC 1917 c. 2125 §1). L’Istruzione Sanctorum Mater (articoli 33-35) evidenzia due vie procedurali per la beatificazione equipollente: quando non è stato ancora pubblicato il Decreto di conferma del culto e quando è stato pubblicato. Nel primo caso, il culto viene riconosciuto dalla Sede Apostolica dopo che sia stato provato il martirio, o l’esercizio eroico delle virtù o l’offerta della vita. Promulgato l’unico Decreto sul martirio o sulle virtù eroiche o sull’offerta della vita dell’antico beato e sul culto resogli ab immemorabili tempore, egli viene considerato beato a tutti gli effetti. Se il Decreto di conferma del culto è già stato pubblicato senza la previa dimostrazione del martirio o delle virtù eroiche o dell’offerta della vita, in vista della canonizzazione occorre procedere all’istruzione di un’Inchiesta sulla vita e sulle virtù eroiche o sul martirio, seguendo la procedura stabilita dalle Normae servandae per le cause antiche.

Per quanto riguarda la canonizzazione equipollente, Benedetto XIV afferma: «Il Sommo Pontefice comanda (iubet) che un servo di Dio — che si trova nel possesso antico del culto e sulle cui virtù eroiche o martirio e miracoli è costante la comune dichiarazione di storici degni di fede e non manca la ininterrotta fama di prodigi — venga onorato nella Chiesa universale con la recita dell’ufficio e la celebrazione della messa in qualche giorno particolare, senza alcuna sentenza formale definitiva, senza aver premesso alcun processo giuridico, senza aver compiuto le consuete cerimonie» (De Servorum Dei Beatificatione et Beatorum Canonizatione, vol. I/2, Città del Vaticano 2011, Vol I/2, p. 11). Dunque, secondo Benedetto XIV, per giungere alla canonizzazione equipollente sono necessari tre requisiti: il possesso antico del culto; la costante e comune attestazione di storici degni di fede sulle virtù o sul martirio e l’ininterrotta fama di prodigi. Successivamente, Benedetto XIV aggiunge che la canonizzazione equipollente si verifica con altre tre caratteristiche: senza sentenza formale definitiva, senza alcun processo giuridico, senza aver compiuto le consuete cerimonie (cfr. Capitolo XXXVI del Libro I, pp. 740- 742). Dunque, per procedere alla canonizzazione equipollente è necessaria una specifica trattazione sul possesso antico del culto tributato al servo di Dio o beato, sulla costante e comune attestazione relativa alla fama delle sue virtù o del suo martirio e, infine, sulla ininterrotta fama di prodigi attribuiti alla sua intercessione.

Fra i santi proclamati da Papa Francesco, desideriamo soffermarci su due: Pietro Favre e Giuseppe Vaz.

Il primo fu proclamato santo il 17 dicembre 2013 per canonizzazione equipollente. Questo l’iter della sua Causa: circa venti anni dopo la morte fu costruita una cappella nel suo paese natale e, successivamente, furono istruiti ad Annecy tre Processi: nel 1596, nel 1626 e nel 1869. Il beato Pio IX, con Decreto del 5 settembre 1872, procedette alla beatificazione equipollente e confermò il “cultum publicum”, concedendo la recita dell’Ufficio divino e della santa messa in onore del beato. La diffusione del culto del beato si sviluppò soprattutto grazie al suo Memoriale (cfr. A. Amato, I Santi profeti di speranza, Città del Vaticano 2014, pp. 142-143, 158-162).

Il 17 dicembre 2013, il Pontefice «ha esteso alla Chiesa universale il culto liturgico in onore del beato Pietro Favre, sacerdote professo della Compagnia di Gesù, nato a Le Villaret (Alta Savoia, Francia) il 13 aprile 1506 e morto a Roma il 1° agosto 1546, iscrivendolo nel catalogo dei Santi» (cfr. “L’Osservatore Romano”).

Come si vede, in tale caso, sono stati applicati tutti i criteri previsti da Benedetto XIV: i requisiti del culto, del fondamento delle virtù eroiche, della continuazione di fama di santità, senza sentenza formale, senza rito liturgico. Papa Francesco ha celebrato una Messa di ringraziamento nella chiesa del Gesù a Roma il 3 gennaio 2014.

Lo stesso criterio è stato utilizzato per Angela da Foligno, Francesco de Laval, José de Anchieta, Maria dell’Incarnazione e Bartolomeo de Martyribus.

Nel secondo caso, la causa di beatificazione di Giuseppe Vaz fu iniziata nel 1713, due anni dopo la morte. Successivamente, la Chiesa in Ceylon piombò in una persecuzione che durò quasi cent’anni. Nel 1892 la causa venne nuovamente ripresa. Il 13 maggio 1989 Giovanni Paolo II promulgò il decreto sulla eroicità delle virtù. Il 6 luglio 1993 fu approvato un miracolo attribuito all’intercessione del venerabile servo di Dio. Il 21 gennaio 1995, a Colombo (Sri Lanka), lo stesso Papa Wojtyła lo beatificò. Negli anni 2013-2014 le Conferenze episcopali dell’India Occidentale e dello Sri Lanka presentarono delle petizioni a Papa Francesco con le quali, mostrando l’importanza storica e pastorale del beato Vaz per i cattolici delle loro Regioni, ne chiesero la canonizzazione (cfr. A. Amato, I Santi apostoli di Cristo Risorto, Città del Vaticano, 2015, pp. 158-160, 172-173).

Il 17 settembre 2014 il Pontefice «ha approvato i voti favorevoli della Sessione ordinaria dei Padri cardinali e vescovi circa la canonizzazione del beato Giuseppe Vaz, sacerdote dell’Oratorio di san Filippo Neri, fondatore dell’Oratorio della Santa Croce dei miracoli nella Città di Goa; nato a Benaulin (India) il 21 aprile 1651 e morto a Kandy (Sri Lanka) il 16 gennaio 1711» (“L’Osservatore Romano”). Il 14 gennaio 2015, durante il viaggio pastorale a Colombo, il Papa ha canonizzato Giuseppe Vaz con una sentenza formale proclamata all’inizio della santa messa. In tal caso, considerando la grande fama di santità e dispensando dal riconoscimento di un miracolo avvenuto dopo la beatificazione, Giuseppe Vaz è stato canonizzato formalmente.

Simile procedura è stata utilizzata per Giovanni XXIII, Junipero Serra, Andrea de Soveral, Ambrogio, Francesco Ferro e Matteo Moreira con 27 compagni e Cristoforo, Antonio e Giovanni.

Benedetto XIV nel Libro Primo, al capitolo XXX, tratta sulla necessità dei miracoli nelle Cause di canonizzazione. Dopo aver riportato l’esempio di sette Cause durante le quali si discusse sulla necessità del miracolo anche per i martiri, il Magister afferma che tale segno divino è fondamentale perché, nel caso in cui i servi di Dio avessero condotto una vita più rilassata, l’attestazione dei miracoli esclude tale timore «sotto la certa speranza che Dio non li compirà in seguito alla intercessione di coloro, i cui costumi e gesti non furono a lui grati e accetti. Così può accadere che, nonostante le deposizioni dei testi, coloro che sostennero la morte per Cristo fecero qualche atto interiore di vanagloria o di impazienza, oppure che coloro che inflissero la morte mostrarono certamente odio alla religione cristiana, ma forse furono indotti da altra causa ad infliggerla, nel cui stato di cose ognuno può riconoscere che non senza ragione si richiedono i miracoli per escludere del tutto i pericoli sopra esposti, sempre ricorrendo alla ferma speranza che Dio non compirà alcun miracolo in seguito all’intercessione di coloro che non offrirono a lui un puro e integro sacrificio della propria vita» (Benedetto XIV, De Servorum Dei Beatificatione et Beatorum Canonizatione, Vol I/1, pp. 628-629). Tali motivazioni sono alla base ancora oggi della richiesta del miracolo per le canonizzazioni, o almeno per le beatificazioni dei Confessori.

Il Codice 1917 al c. 2138, in sintonia con il Magister, prescriveva che, dopo una beatificazione formale, occorrevano due miracoli per la canonizzazione e tre dopo una beatificazione equipollente. La nuova legislazione non fa riferimento al numero dei miracoli richiesti sia per la beatificazione sia per la canonizzazione. La Congregazione delle Cause dei Santi ha continuato a seguire la prassi di un miracolo per la beatificazione e di un miracolo, avvenuto dopo la beatificazione, per la canonizzazione.

In conclusione, per procedere alla canonizzazione vi sono stati casi di dispensa dalla prassi del riconoscimento di un miracolo avvenuto dopo la beatificazione del candidato. Ciò, tuttavia, non determina la tipologia di canonizzazione, se formale o equipollente. Infatti, giuridicamente, la canonizzazione è una sentenza sulla santità del beato che porta alla venerazione come santo in tutta la Chiesa. Tale sentenza può essere espressa in due modi: in modo formale, con la formula prevista proclamata dal Pontefice durante un rito, oppure in maniera equipollente, senza cerimonie o particolari procedure. Ciò che è fondamentale, in entrambi i casi, è l’accertamento relativo alla santità o al martirio del candidato agli onori degli altari; per quale via si sia arrivati alla certezza in proposito è secondario. In ogni modo ciò che determina se si tratti di una canonizzazione equipollente o formale non è il riconoscimento dei miracoli o la loro dispensa ma, come si è sopra affermato, l’assenza di una sentenza formale definitiva e delle consuete cerimonie. Pertanto, per riprendere gli esempi sopra esposti, si può parlare di canonizzazione equipollente per Angela da Foligno, Pietro Favre, Francesco de Laval, José de Anchieta, Maria dell’Incarnazione e Bartolomeo de Martyribus. Mentre si tratta di canonizzazione formale per Giuseppe Vaz, Giovanni XXIII, Junipero Serra, Andrea de Soveral, Ambrogio, Francesco Ferro e Matteo Moreira con 27 compagni e Cristoforo, Antonio e Giovanni.

In un modo o in un altro, i santi proclamati tali formalmente o equipollente godono della stessa venerazione in tutta la Chiesa.

 

Articolo di p. Sergio La Pegna, dc, su L'Osservatore Romano del 25 marzo 2022