Alain de Solminihac

Alain de Solminihac

(1593-1659)

Beatificazione:

- 04 ottobre 1981

- Papa  Giovanni Paolo II

Ricorrenza:

- 31 dicembre

Canonico regolare di S. Agostino, vescovo di Cahors, che con le sue visite pastorali cercò di promuovere la correzione dei costumi del popolo e di rinnovare in ogni modo con vero zelo apostolico la Chiesa a lui affidata

  • Biografia
  • omelia di beatificazione
"Nulla è difficile per colui che ama la sua vocazione"

 

Alain de Solminihac, nato da un’antica famiglia di Perigord, il cui motto era “Fede e Coraggio”, aveva da principio pensato di unirsi ai Cavalieri di Malta. Ma nel 1613, all’età di vent’anni, decide di entrare nell’Abbazia di Chancelade, nei dintorni di Perigueux, tenuta dai Canonici regolari di sant’Agostino. Dopo la sua ordinazione, si dedica agli studi di teologia e di spiritualità a Parigi.

Nel giorno dell’Epifania del 1623, riceve la benedizione abbaziale ed intraprende coraggiosamente la restaurazione materiale e spirituale della sua Abbazia. È l’epoca della applicazione del Concilio di Trento. Questo esempio ha una vasta eco nella regione e anche ben oltre. Ora, vorrei sottolineare come una simile personalità capace di spronare alla vita evangelica possa illuminare singolarmente gli Istituti religiosi dei nostri tempi. Inevitabilmente condizionati dai mutamenti socio-culturali attuali, essi devono raccogliere la sfida del venir meno, al fine di un rinnovamento, della fedeltà alla “via stretta” insegnata da Gesù stesso e sempre caratterizzata dalla scelta cosciente e permanente della povertà, della castità e dell’obbedienza consacrate.

L’esperienza di Alain di Solminihac ricorda opportunamente a tutti i religiosi il valore e la fecondità della loro radicale oblazione, sostenuta dall’osservanza della Regola dalla mortificazione, dalla vita comunitaria. 

Nel 1636, la fama dello zelo e della santità dell’Abate di Chancelade fece sì che egli fosse nominato Vescovo di Cahors da Papa Urbano VIII. Fervente ammiratore della pastorale conciliare del santo Arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, Monsignor di Solminihac prese anch’egli la decisione di conferire alla sua diocesi le caratteristiche e la vitalità tanto raccomandate dal Concilio di Trento.

I suoi ventidue anni di servizio episcopale nella regione di Quercy furono densi di una incessante serie di attività importanti ed efficaci: la convocazione di un Sinodo diocesano, la costituzione di un consiglio episcopale settimanale, la visita sistematica alle ottocento parrocchie della diocesi, che egli rivide nove volte ciascuna, la creazione di un Seminario affidato ai Lazzaristi, la moltiplicazione delle missioni parrocchiali, lo sviluppo del culto eucaristico in un periodo in cui il giansenismo cominciava a riprendersi, la promozione o la fondazione di opere caritative per gli anziani e gli orfani, per i malati e le vittime della peste.

Tre anni prima della sua morte, in occasione del Giubileo del 1656, predicò sia perché il suo popolo si convertisse, che perché fosse sensibilizzato alla missione particolare del Vescovo di Roma, garante della comunione tra le Chiese. In breve, un versetto tratto dal Salmo 69 riassume perfettamente la vita pastorale di questo Vescovo del diciassettesimo secolo: “Mi divora lo zelo per la tua casa”.

La figura ammirevole di Alain di Solminihac merita pienamente di essere messa in luce dalla Chiesa che egli ha servito tanto ardentemente. Che i Vescovi di Francia e di tutti gli altri Paesi sappiano trovare nella vita del beato Alain di Solminihac il coraggio di compiere senza paura la loro funzione di evangelizzatori nel mondo contemporaneo!

SANTA MESSA PER LA PROCLAMAZIONE DI CINQUE NUOVI BEATI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 4 ottobre 1981

 

Fratelli e sorelle carissimi!

1. Oggi è un giorno di sincera esultanza e di fervida letizia per il Popolo di Dio! La Chiesa tutta si inginocchia per venerare tre suoi figli e due sue figlie, che nella loro esistenza terrena in maniera eroica hanno realizzato, giorno dopo giorno, le esigenze del messaggio del Vangelo. La Chiesa, santificata dal sangue del suo Sposo, il Cristo, è diventata Madre di santi e di sante! E in questo giorno ha l’intima fierezza di presentare al mondo contemporaneo cinque nuovi beati, testimoni della sua perenne, inesauribile, giovanile vitalità, e portatori di quel messaggio di gioia, che e tipico dell’annuncio del Vangelo.

E nel segno di questa gioia cristiana noi ascolteremo il messaggio, che i nuovi cinque beati oggi ci consegnano, perché lo sappiamo fare nostro, realizzandolo nella nostra vita, e lo trasmettiamo, così, nella sua genuinità alla odierna società, che é in continua ricerca dell’Assoluto.


2. Alain de Solminihac, nato da un’antica famiglia di Perigord, il cui motto era “Fede e Coraggio”, aveva da principio pensato di unirsi ai Cavalieri di Malta. Ma nel 1613, all’età di vent’anni, decide di entrare nell’Abbazia di Chancelade, nei dintorni di Perigueux, tenuta dai Canonici regolari di sant’Agostino. Dopo la sua ordinazione, si dedica agli studi di teologia e di spiritualità a Parigi. Nel giorno dell’Epifania del 1623, riceve la benedizione abbaziale ed intraprende coraggiosamente la restaurazione materiale e spirituale della sua Abbazia. È l’epoca della applicazione del Concilio di Trento. Questo esempio ha una vasta eco nella regione e anche ben oltre. Ora, vorrei sottolineare come una simile personalità capace di spronare alla vita evangelica possa illuminare singolarmente gli Istituti religiosi dei nostri tempi. Inevitabilmente condizionati dai mutamenti socio-culturali attuali, essi devono raccogliere la sfida del venir meno, al fine di un rinnovamento, della fedeltà alla “via stretta” insegnata da Gesù stesso e sempre caratterizzata dalla scelta cosciente e permanente della povertà, della castità e dell’obbedienza consacrate. L’esperienza di Alain di Solminihac ricorda opportunamente a tutti i religiosi il valore e la fecondità della loro radicale oblazione, sostenuta dall’osservanza della Regola dalla mortificazione, dalla vita comunitaria. Prego il nuovo beato di comunicare loro il suo fervore ascetico.

Nel 1636, la fama dello zelo e della santità dell’Abate di Chancelade fece sì che egli fosse nominato Vescovo di Cahors da Papa Urbano VIII. Fervente ammiratore della pastorale conciliare del santo Arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, Monsignor di Solminihac prese anch’egli la decisione di conferire alla sua diocesi le caratteristiche e la vitalità tanto raccomandate dal Concilio di Trento. I suoi ventidue anni di servizio episcopale nella regione di Quercy furono densi di una incessante serie di attività importanti ed efficaci: la convocazione di un Sinodo diocesano, la costituzione di un consiglio episcopale settimanale, la visita sistematica alle ottocento parrocchie della diocesi, che egli rivide nove volte ciascuna, la creazione di un Seminario affidato ai Lazzaristi, la moltiplicazione delle missioni parrocchiali, lo sviluppo del culto eucaristico in un periodo in cui il giansenismo cominciava a riprendersi, la promozione o la fondazione di opere caritative per gli anziani e gli orfani, per i malati e le vittime della peste. Tre anni prima della sua morte, in occasione del Giubileo del 1656, predicò sia perché il suo popolo si convertisse, che perché fosse sensibilizzato alla missione particolare del Vescovo di Roma, garante della comunione tra le Chiese. In breve, un versetto tratto dal Salmo 69 riassume perfettamente la vita pastorale di questo Vescovo del diciassettesimo secolo: “Mi divora lo zelo per la tua casa”. La figura ammirevole di Alain di Solminihac merita pienamente di essere messa in luce dalla Chiesa che egli ha servito tanto ardentemente. Che i Vescovi di Francia e di tutti gli altri Paesi sappiano trovare nella vita del beato Alain di Solminihac il coraggio di compiere senza paura la loro funzione di evangelizzatori nel mondo contemporaneo!

Traduzione

2. Alain de Solminihac, issu d’une vieille famille du Périgord, dont la devise était “ Foi et Vaillance ”, avait d’abord songé aux Chevaliers de Malte. Mais en 1613, à l’âge de vingt ans, il décide d’entrer à l’Abbaye de Chancelade, proche de Périgueux et tenue par les Chanoines réguliers de Saint-Augustin. Après son ordination, il poursuit des études de théologie et de spiritualité à Paris. A l’Epiphanie de 1623, il reçoit la Bénédiction abbatiale et entreprend courageusement la restauration matérielle et spirituelle de son Abbaye. C’était l’époque de la mise en application du Concile de Trente. Cet exemple eut un grand retentissement dans la région et bien au-delà. Ici, je voudrais souligner qu’un tel entraîneur à la vie évangélique peut singulièrement éclairer les Instituts religieux de notre temps. Inévitablement touchés par les mutations socioculturelles actuelles, ils doivent relever le défi de l’affadissement ou même de la dilution par un renouveau de la fidélité à la “ voie étroite ” enseignée par Jésus lui-même et à jamais caractérisée par le choix conscient et permanent de la pauvreté, de la chasteté et de l’obéissance consacrées.

L’expérience d’Alain de Solminihac rappelle opportunément à tous les religieux la valeur et la fécondité de leur oblation radicale, soutenue par l’observance de la Règle, la mortification, la vie en communauté. Je prie le nouveau Bienheureux de leur communiquer sa ferveur ascétique.
En 1636, la réputation de zèle et de sainteté de l’Abbé de Chancelade le fit nommer à l’évêché de Cahors par le Pape Urbain VIII. Fervent admirateur de la pastorale conciliaire du saint Archevêque de Milan, Charles Borromée, Monseigneur de Solminihac prit lui aussi la décision de donner à son diocèse le visage et la vitalité tant souhaités par le Concile de Trente. Ses vingt-deux ans d’épiscopat dans le Quercy furent un déploiement incessant d’activités importantes et efficaces: convocation d’un synode diocésain, mise sur pied d’un conseil épiscopal hebdomadaire, visite systématique des huits cents paroisses du diocèse, qu’il reverra neuf fois chacune, création d’un séminaire confié aux Lazaristes, multiplication des missions paroissiales, développement du culte eucharistique en un temps où le jansénisme commençait à se répandre, promotion ou fondation d’œuvres caritatives pour les vieillards et les orphelins, pour les malades et les victimes de la peste.

Trois ans avant sa mort, il prêche lui-même le Jubilé de 1656, à la fois pour convertir son peuple et pour le sensibiliser à la mission particulière de l’Evêque de Rome, gardien de la communion entre les Eglises. Bref, un mot tiré du psaume 69 résumerait parfaitement la vie pastorale de cet Evêque du dix-septième siècle “ Le zèle de ta Maison me dévore ”. La remarquable figure d’Alain de Solminihac méritait bien d’être mise en lumière par l’Eglise qu’il a si ardemment servie. Puissent les évêques de France et de tous pays trouver dans la vie du Bienheureux Alain de Solminihac le courage d’évangéliser sans peur le monde contemporain!

3. Luigi Scrosoppi, di Udine, ordinato sacerdote nel 1827, si dà ad un instancabile apostolato, animato e spinto dalla carità di Cristo. Istituisce la “Casa delle Derelitte” o “Istituto della Provvidenza”, per la formazione umana e cristiana delle ragazze; apre la “Casa Provvedimento” per le ex alunne rimaste senza lavoro; dà inizio all’Opera per le Sordomute, e fonda le Suore della Provvidenza sotto la protezione di san Gaetano. Padre Luigi entra nella Congregazione dell’Oratorio e ne fa un dinamico centro di irradiazione di vita spirituale.
Nella sua vita, spesa totalmente per le anime, egli ha avuto tre grandi amori: Gesù; la Chiesa e il Papa; i “piccoli”.

Fin da giovanissimo sceglie il Cristo come Maestro e lo ama, contemplandolo povero e umile a Betlemme; lavoratore a Nazaret, sofferente e vittima nel Getsemani e sul Golgota; presente nell’Eucaristia. “Voglio essergli fedele – ha scritto – attaccato perfettamente a lui nel cammino del cielo e riuscire una sua copia”.

Il suo amore alla Chiesa si manifesta nella fedeltà completa alle leggi ecclesiastiche; nel suo apostolato, che non conosce pause o esitazioni; nella docile accettazione del Magistero.

Padre Scrosoppi ha speso letteralmente tutta la sua vita nell’esercizio della carità verso il prossimo, specialmente verso i più piccoli e i più abbandonati. Per i poveri distribuì i suoi notevoli beni patrimoniali. “I poveri e gli infermi sono i nostri padroni e rappresentano la persona stessa di Gesù Cristo”: sono parole sue; ma sono anche, e più, la sua vita.

A fondamento della sua molteplice attività pastorale e caritativa c’è una profonda interiorità; la sua giornata è una continua preghiera: meditazione, visite al Santissimo Sacramento, recita del Breviario, “Via Crucis” giornaliera, Rosario e, infine, lunga orazione notturna; dando in tal modo ai fedeli, ai sacerdoti e ai religiosi un luminoso ed efficace esempio di equilibrata sintesi fra vita contemplativa e vita attiva.

  4. Erminio Filippo Pampuri, decimo di undici figli, a 24 anni è medico condotto e a 30 anni entra nell’Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Dio (Fatebenefratelli). Solo tre anni dopo moriva.

È una figura straordinaria, vicina a noi nel tempo, ma più vicina ancora ai nostri problemi ed alla nostra sensibilità. Noi ammiriamo in Erminio Filippo, diventato nell’Ordine Fra Riccardo Pampuri, il giovane laico cristiano, impegnato a rendere testimonianza nell’ambiente studentesco, come membro attivo del Circolo Universitario “Severino Boezio” e socio della Conferenza di san Vincenzo de’ Paoli; il dinamico medico, animato da una intensa e concreta carità verso i malati e i poveri, nei quali scorge il volto del Cristo sofferente. Egli ha realizzato letteralmente le parole, scritte alla sorella suora, quando era medico condotto: “Prega affinché la superbia, l’egoismo e qualsiasi altra mala passione non abbiano ad impedirmi di vedere sempre Gesù sofferente nei miei malati, Lui curare, Lui confortare. Con questo pensiero sempre vivo nella mente, quanto soave e quanto fecondo dovrebbe apparirmi l’esercizio della mia professione!”.

Lo ammiriamo anche come religioso integerrimo di un benemerito Ordine, che, nello spirito del suo Fondatore san Giovanni di Dio, ha fatto della carità verso Dio e verso i fratelli infermi la propria missione specifica e il proprio carisma originario. “Voglio servirti, o mio Dio, per l’avvenire con perseveranza ed amore sommo: nei miei superiori, nei confratelli, nei malati tuoi prediletti: dammi la grazia di servirli come servirei Te”: così scriveva nei propositi in preparazione alla professione religiosa.

La vita breve, ma intensa, di Fra Riccardo Pampuri è uno sprone per tutto il Popolo di Dio, ma specialmente per i giovani, per i medici, per i religiosi.

Ai giovani contemporanei egli rivolge l’invito a vivere gioiosamente e coraggiosamente la fede cristiana; in continuo ascolto della Parola di Dio, in generosa coerenza con le esigenze del messaggio di Cristo, nella donazione verso i fratelli.

Ai medici, suoi colleghi, egli rivolge l’appello che svolgano con impegno la loro delicata arte animandola con gli ideali cristiani, umani, professionali, perché sia una autentica missione di servizio sociale, di carità fraterna, di vera promozione umana.

Ai religiosi ed alle religiose, specialmente a quelli e quelle che, nell’umiltà e nel nascondimento, realizzano la loro consacrazione fra le corsie degli ospedali e nelle case di cura, Fra Riccardo raccomanda di vivere lo spirito originario del loro Istituto, nell’amore di Dio e dei fratelli bisognosi.

5. Claudine Thévenet visse tutta la sua vita a Lione. La sua adolescenza fu sconvolta dalla rivoluzione francese che scosse violentemente la sua città natale. Una mattina, nel gennaio dell’anno 1794, questa giovinetta di 19 anni riconobbe i suoi due fratelli, Louis e François, in un gruppo di condannati a morte. Ella ebbe allora il coraggio di accompagnarli al luogo del loro supplizio e di raccogliere le loro ultime parole: “Glady, perdona loro, come noi perdoniamo!”. Questo avvenimento fu senza dubbio un elemento determinante della vocazione di Claudine, già tanto animata da sentimenti di compassione per le miserie accumulate dalla bufera rivoluzionaria. Ella sognava di divenire una messaggera della misericordia e del perdono di Dio in una società lacerata, e di dedicare la sua vita all’educazione dell’infanzia, soprattutto dei più poveri, il cui stato di abbandono sorpassava ogni immaginazione. Ecco perché, con il sostegno illuminato di Padre Coindre, Claudine fonda nel 1816 una Pia Associazione, che diventerà due anni più tardi la Congregazione di Gesù-Maria. Oggi, con grande gioia della Chiesa, le figlie di Madre Thévenet sono più di duemila, presenti in tutti i continenti e veramente animate del suo spirito. Scuole e collegi, ostelli per le giovani e per persone anziane, pastorale catechistica e familiare, dispensari e case di preghiera non hanno che uno scopo: far conoscere Gesù e Maria, nelle opere per la promozione sociale dei poveri.

A centocinquanta anni di distanza, la vita di questa fondatrice interpella sempre le sue figlie e interpella anche i cristiani. Non viviamo anche noi in una società troppo spesso tentata e sfigurata dalla violenza? Non dobbiamo anche noi lasciarci invadere dall’infinita misericordia di Dio, per portare il nostro coraggioso contributo a quella “civiltà dell’amore” di cui parla Paolo VI, la sola che sia degna dell’uomo? Claudine Thévenet si presenta a noi quale modello d’amore e di perdono: “Che la carità sia come la pupilla dei vostri occhi”, ci dice ancor oggi proprio come ella amava ripetere alle sue suore. “Siate disposte a soffrire tutto per gli altri e a non far soffrire alcuna persona”.

D’altra parte la nuova beata non continua ad essere un modello di vita evangelica e religiosa per coloro che si consacrano all’educazione della gioventù, nella Chiesa e secondo le sue direttive? Le intuizioni ed i metodi pedagogici di Claudine Thévenet sono sempre d’attualità: cioè una educazione piena di attenzioni materne, molto sollecita a preparare le giovani alla vita mediante l’acquisizione di una competenza professionale e l’avviamento progressivo alle loro future responsabilità di mogli e di madri, e soprattutto in modo profondamente cristiano, perché – diceva – “la peggiore sventura è vivere e morire senza conoscere Dio”.

Claudine, che ha fatto della sua vita religiosa un “inno di gloria” al Signore, ad imitazione della Vergine Maria che ella venerava profondamente, ricorda ai cristiani che vale la pena di offrire tutto a Dio. A coloro che il Signore invita a consacrarsi più particolarmente al suo servizio, ella conferma che bisogna saper “perdere la propria vita” (cf. Mt 10,39) perché altri possano amare e conoscere Dio; ella conferma inoltre mediante il suo esempio che la più bella riuscita nella vita è la santità.

Traduzione

5. Claudine Thévenet a vécu toute sa vie à Lyon. Son adolescence fut bouleversée par la révolution française qui secoua si violemment sa ville natale. Un matin de janvier 1794, cette jeune fille de 19 ans reconnaît ses deux frères, Louis et François, dans un cortège de condamnés à mort. Elle a lè courage de les accompagner jusqu’au lieu de leur supplice et dé recueillir leurs dernières paroles: “ Glady, pardonne, comme nous pardonnons! ”. Cet événement fut sans doute un élément déterminant de la vocation de Claudine déjà si compatissante aux misères accumulées par l’orage révolutionnaire. Elle songe à devenir une messagère de la miséricorde et du pardon de Dieu dans une société déchirée, et à donner sa vie à l’éducation des jeunes, surtout des plus pauvres, dont l’état d’abandon dépasse l’imagination. C’est pourquoi, avec le soutien éclairé du Père Coindre, Claudine fonde en 1816 une Pieuse Union, qui deviendra deux ans plus tard la Congrégation de Jésus-Marie. Aujourd’hui, pour la plus grande joie de l’Eglise, les Filles de Mère Thévenet sont plus de deux mille, présentes sur tous les continents et vivant vraiment de son esprit. Ecoles et collèges, foyers pour jeunes filles et pour personnes âgées, pastorale catéchétique et familiale, dispensaires et maisons de prière n’ont qu’un but: faire connaître Jésus et Marie, tout en œuvrant à la promotion sociale des pauvres.

A cent cinquante ans de distance, la vie de cette fondatrice interpelle toujours ses filles et interpelle aussi les chrétiens. Ne sommesnous pas nous-mêmes dans une société trop souvent tentée et défigurée par la violence? N’avons-nous pas à nous laisser envahir par la miséricorde infinie de Dieu, afin d’apporter notre courageuse contribution à cette “ civilisation de l’amour ” dont parlait Paul VI, la seule qui soit digne de l’homme? Claudine Thévenet se présente à nous comme un modèle d’amour et de pardon: “ Que la charité soit comme la prunelle de vos yeux ”, nous dit-elle encore maintenant comme elle aimait à le répéter à ses Sœurs. “ Soyez disposées à tout souffrir des autres et à ne rien faire souffrir à personne ”.

D’autre part, la nouvelle Bienheureuse ne demeure-t-elle pas un modèle de vie évangélique et religieuse pour ceux et celles qui se consacrent à l’éducation de la jeunesse, dans l’Eglise et selon ses directives? Les intuitions et les méthodes pédagogiques de Claudine Thévenet sont toujours d’actualité: à savoir, une éducation pleine d’attentions maternelles, très soucieuse de préparer les jeunes filles à la vie par l’acquisition d’une compétence professionnelle et l’initiation progressive à leurs: futures résponsabilités d’épouses et de mères, et par-dessus tout profondément chrétienne, car – disaitelle – “ il n’est pas de plus gránd malheur que de vivre et de mourir sans connaître Dieu ”.
Claudine, qui a fait de sa vie religieuse une “ hymne de gloire ” au Seigneur, à l’imitation de la Vierge Marie qu’elle vénérait profondément, rappelle aux chrétiens qu’il vaut la peine de tout miser sur Dieu. A ceux et celles que le Seigneur invite à se consacrer plus particulièrement à son service, elle confirme qu’il faut savoir “ perdre sa vie ” pour que d’autres puissent aimer et connaître Dieu; elle confirme aussi par son exemple que la plus belle réussite dans la vie, c’est la sainteté.

6. Maria Repetto, a 22 anni, entra a Genova nella Congregazione delle Suore di Nostra Signora del Rifugio, in Monte Calvario. Nelle numerose e gravi epidemie di colera che si abbattono sulla città, ella corre intrepida al capezzale dei malati. La fama della “monaca santa” cresce ogni giorno, e, quando assume l’ufficio di portinaia, ella continua a donare i tesori della sua alta spiritualità a quanti a lei accorrono per aiuto e consiglio.

Maria Repetto fin dalla giovinezza ha appreso e vissuto una grande verità, che ha trasmesso anche a noi: Gesù deve esser contemplato, amato e servito nei poveri, in tutti i momenti della nostra vita.

Essa dà tutto ciò che ha: i suoi risparmi, le sue cose, la sua parola, il suo tempo, il suo sorriso. “Servire i poveri di Gesù” era il programma del suo Istituto; programma che essa realizzò nei 50 anni di vita religiosa, servendo anzitutto Gesù, crescendo nella perfezione dell’amore, ricordando a sé stessa: “prima di tutto essere religiosa!”; e servendo i poveri, perché Cristo vive nei poveri.

San Francesco da Caporosso, chiamato dai genovesi “il padre santo”, mandava a lei, la “monaca santa” persone di ogni estrazione sociale, bisognose di aiuto e di consigli. L’umile Frate cercatore, canonizzato nel 1962, e l’umile suora portinaia, che oggi sale agli onori degli altari, furono nel secolo scorso, i due poli della vita religiosa di Genova. Maria Repetto era sempre lieta e serena e si rallegrava di tenere il cuore aperto, più della porta del convento, e di dare, dare sempre, dare tutto.

E questa gioia della sua donazione a Dio culminò nella sua morte: col sorriso sulle labbra, la beata pronunciò le sue ultime parole, che sono un inno di giubilo alla Madre di Dio: “Regina coeli, laetare, alleluia!”.

7. Carissimi!

Abbiamo iniziato questa riflessione nel segno della gioia cristiana; e nel segno del gaudio pasquale, frutto della Croce di Gesù, noi continuiamo questa solenne celebrazione, confortati dai mirabili esempi di questi novelli beati, che ci indicano il cammino, che anche noi dobbiamo percorrere nel nostro pellegrinaggio terreno: il cammino dell’amore verso Dio e verso i fratelli, specialmente quelli sofferenti nello spirito e nel corpo.

I novelli beati hanno confidato nel Signore, lo hanno invocato, forti della sua clemenza e misericordia; hanno seguito le sue vie; hanno cercato di piacergli; si sono gettati nelle sue braccia (cf. Sir 2,7s). In cima ai loro pensieri, al di sopra di tutto hanno posto la carità, convinti che essa è “il vincolo della perfezione” (cf. Col 3,14). Facendo proprio l’invito di Cristo, hanno venduto tutto ciò che avevano e lo hanno dato in elemosina; si son fatti delle borse, che non invecchiano, e hanno ottenuto un tesoro inesauribile nei cieli (cf. Lc 12,32s), come dice il brano evangelico, che è stato letto poco fa.

Mentre ci chiniamo riverenti di fronte ad essi, noi ci affidiamo alla loro potente intercessione:
O Beato Alain de Solminihac,
O Beato Luigi Scrosoppi,
O Beato Riccardo Pampuri,
O Beata Claudine Thévenet,
O Beata Maria Repetto,
pregate la Trinità Santissima per le vostre Patrie terrene, perché vivano in serena concordia! Pregate per le vostre Famiglie religiose, perché diano alla società contemporanea una gioiosa testimonianza della loro donazione di Dio! Pregate per la Chiesa, pellegrina sulla terra, perché sia sempre segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano!

Pregate per tutti i popoli del mondo, perché realizzino nei loro rapporti la giustizia e la pace!
O novelli Beati e Beate, pregate per noi! Amen!