Alberto Adamo Chmielowski

Alberto Adamo Chmielowski

(1845-1916)

Beatificazione:

- 22 giugno 1983

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 12 novembre 1989

- Papa  Giovanni Paolo II

- Basilica Vaticana

Ricorrenza:

- 17 giugno

Religioso, che, illustre pittore, si consacrò ai poveri, proponendosi di essere disponibile in tutto verso di loro, e fondò le Congregazioni dei Frati e delle Suore del Terz’Ordine di San Francesco al servizio dei bisognosi

 

 

  • Biografia
  • Omelia
  • il padre dei poveri
  • omelia di beatificazione
"Bisogna dare l’anima"

 

Fratel Alberto, al secolo Adam Hilary Bernard Chmielowski, nacque a Igolomia, presso Cracovia (Polonia), il 20 agosto del 1845, primo di quattro figli, da Adalbert e Józefa Borzystawska, discendenti da una famiglia nobile. Adamo trascorse l'infanzia a Varsavia. Sin dai primi anni era molto caritatevole verso i poveri e divideva con loro quel che aveva.

Mandato a Pietroburgo, nella scuola dei cadetti, dopo un anno la madre lo fece ritornare in famiglia, preoccupata dell'influsso che aveva sul figlio l'educazione russa, e lo inviò a frequentare il ginnasio di Varsavia. Rimasto orfano dei genitori, fu affidato alle cure della zia paterna Petronela.

Nel 1863 scoppiò in Polonia l'insurrezione contro l'oppressione zarista. Adamo, allora studente dell'Istituto di Agricoltura a Pulawy, vi aderì con entusiasmo e, durante un combattimento, il 30 settembre 1863, presso Melchów, rimase gravemente ferito; fatto prigioniero, gli fu amputata, senza anestesia, la gamba sinistra, dimostrando un eccezionale coraggio.

Grazie all'interessamento dei parenti, fuggì dalla prigionia e fu costretto a lasciare la propria Patria. Fu a Parigi per studiare pittura; passò poi a Gand (Belgio) ove frequentò la facoltà d'ingegneria, quindi riprese gli studi di pittura all'Accademia di Belle Arti a Monaco di Baviera.

In ogni ambiente emergeva la sua personalità cristiana che, tradotta in coerenza di vita e di impegno professionale, influenzava quanti lo frequentavano.

Nel 1874, Chmielowski tornò in Patria. Alla ricerca di un nuovo ideale di vita, si pose la domanda: " Servendo l'arte si può servire anche Dio? ". la sua produzione artistica, che comprendeva per lo più soggetti profani, fu continuata poi con soggetti sacri. Uno dei migliori suoi quadri religiosi, l'" Ecce Homo ", fu il risultato di una profonda esperienza sull'amore misericordioso di Cristo verso l'uomo e condusse Chmielowski ad una metamorfosi spirituale.

Convinto che per servire Dio " bisogna dedicare a lui l'arte ed il talento ", nel 1880 entrò nella Compagnia di Gesù come fratello laico. Dopo sei mesi dovette lasciare il noviziato a cagione della cattiva salute.

Superata una profonda crisi spirituale, cominciò una nuova vita, dedicata tutta a Dio ed ai fratelli. Abitando dai parenti in Podolia (parte della Polonia assoggettata alla Russia), conobbe il III Ordine di S. Francesco, cominciò a visitare le parrocchie della zona, restaurando quadri e diffondendo tra la gente rurale lo spirito terziario. Costretto a lasciare la Podolia, si recò a Cracovia, dove si stabilì presso i Padri Cappuccini. Lì continuò la sua attività di pittore e si dedicò contemporaneamente all'assistenza dei poveri, destinando a loro il ricavato dei suoi quadri.

Per caso venne a conoscenza della tragica situazione dei poveri, ammassati nei cosiddetti posti di riscaldamento o dormitori pubblici di Cracovia e decise di venire loro in aiuto.

Per amore verso Dio e verso il prossimo, Chmielowski rinunciò al successo dell'arte, al benessere materiale, agli ambienti aristocratici e decise di vivere tra quei poveri, per sollevarli dalle loro miserie morali e materiali. Nella loro dignità calpestata scoprì il Volto oltraggiato di Cristo e volle in essi rinnovarlo.

Il 25 agosto 1887 vestì un saio grigio, prese il nome di Fratel Alberto e un anno dopo, con il consenso del Cardinale Dunajewski, pronunciò i voti di terziario francescano, dando inizio alla Congregazione dei Frati del III Ordine di S. Francesco, Servi dei Poveri (1888), i quali presero cura del dormitorio maschile. In seguito Fratel Alberto assunse l'assistenza delle donne del dormitorio pubblico femminile; le sue collaboratrici dettero origine anche al ramo femminile della Congregazione (1891), che affidò alla Serva di Dio Suor Bernardyna Jabkonska.

Insieme con le sue Congregazioni si dedicò, con piena disponibilità, al servizio dei più poveri, dei diseredati, degli abbandonati, degli emarginati e dei vagabondi. Per loro organizzò i ricoveri come case di assistenza materiale e morale, che offrivano lavoro volontario, di natura artigianale, assieme ai frati e alle suore nella stessa dimora, permettendo loro di guadagnare per il proprio sostentamento.

Nonostante l'invalidità e la protesi rudimentale alla gamba, viaggiava molto per fondare i nuovi asili in altre città della Polonia e per visitare le case religiose. Queste case erano aperte a tutti, senza distinzione di nazionalità o di religione. Oltre agli asili, fondò anche nidi e orfanatrofi per bambini e giovani, case per anziani e incurabili e cucine per il popolo. Mandò le suore a lavorare negli ospedali militari e nei lazzaretti durante la prima guerra mondiale.

Nel corso della sua vita sorsero in tutto 21 case religiose, nelle quali prestavano la loro opera 40 frati e 120 suore.

Con l'esempio della sua vita insegnò che "bisogna essere buoni come il pane ... che ognuno può prendere per soddisfare la propria fame". Osservò lui stesso e raccomandò ai suoi religiosi la massima povertà evangelica sull'esempio di S. Francesco d'Assisi. la sua opera caritativa la affidò con fiducia totale alla Provvidenza divina. La forza per svolgere la sua attività l'attinse dalla preghiera, dall'Eucaristia e dall'amore per il Mistero della Croce.

Colpito da cancro allo stomaco, mori a Cracovia il giorno di Natale del 1916, nel ricovero per i poveri. Prima di morire, indicando l'immagine della Madonna di Czestochowa, disse ai fratelli e alle suore: " Questa Madonna è la vostra Fondatrice, ricordatevi questo ". E ancora: " Prima di tutto osservate la povertà ".

In quanti lo avevano avvicinato e conosciuto, lasciò un meravigliosa testimonianza di fede e di carità.

CANONIZZAZIONE DI AGNESE DI BOEMIA E DI ALBERTO ADAMO CHMIELOWSKI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Domenica, 12 novembre 1989

 

1. “Imparate da me” (Mt 11, 29).

Oggi, domenica 12 novembre 1989, noi qui riuniti abbiamo ascoltato queste parole di Gesù nostro maestro e Signore, contenute nel Vangelo di Matteo:

“Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”.

“Imparate da me . . . il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”.

“Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me” (Mt 11, 29).

Meditando su queste parole, la Chiesa guarda oggi verso due persone che, con tutta la loro vita, hanno accolto questo invito del Maestro divino: la beata Agnese di Boemia e il beato fratel Albert Chmielowski di Cracovia. Molti secoli li separano l’una dall’altra: dal XIII al XX secolo. Li unisce però una particolare affinità spirituale: l’eredità di san Francesco d’Assisi e di santa Chiara: come pure la vicinanza delle nazioni da cui provengono: la Boemia e la Polonia.

2. Oggi li unisce la comune canonizzazione, con la quale la Chiesa iscrive nell’albo dei suoi santi questa figlia del popolo boemo e questo figlio del popolo polacco.

E ciò accade nel mese di novembre, quando nei nostri cuori risuonano ancora con viva eco le parole dell’Apocalisse di san Giovanni: “Vidi . . . una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono . . . e gridavano a gran voce . . . Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazia, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli” (Ap 7, 9-12).

Ecco, “essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14).

La verità della loro vita è stata questa: essi “hanno imparato” da Cristo, il quale è “mite e umile di cuore”; essi “hanno preso il suo giogo sopra di sé”. Ed ecco, hanno trovato un ristoro per le loro anime: la santità, e cioè la perfezione eterna in Dio.

3. La beata Agnese di Boemia, pur essendo vissuta in un periodo tanto lontano dal nostro, rimane anche oggi un fulgido esempio di fede cristiana e di carità eroica, che invita alla riflessione ed alla imitazione.

Ben si addicono alla sua vita ed alla sua spiritualità le parole della prima lettera di Pietro: “Siate moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera”. Così scriveva il capo degli apostoli ai cristiani del suo tempo; e soggiungeva: “Soprattutto conservate tra voi una grande carità . . . Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare” (1 Pt 4, 7-9). Proprio questo è stato il programma di vita di sant’Agnese: fin dalla più tenera età ella orientò la propria esistenza alla ricerca dei beni celesti. Rifiutate alcune proposte di matrimonio, decise di dedicarsi totalmente a Dio, perché nella sua vita egli venisse glorificato per mezzo di Gesù Cristo (cf. 1 Pt 4, 11).

Essendo venuta a conoscere dai Frati Minori, allora giunti a Praga, l’esperienza spirituale di Chiara di Assisi, volle seguirne l’esempio di francescana povertà: con i propri beni dinastici fondò a Praga l’ospedale di san Francesco e un monastero per le “Sorelle Povere” o “Damianite”, dove lei stessa fece il suo ingresso il giorno di Pentecoste del 1234, professando i voti solenni di castità, povertà e obbedienza.

Sono rimaste famose le lettere che santa Chiara d’Assisi le indirizzò per esortarla a proseguire nel cammino intrapreso. Sorse così un’amicizia spirituale, che durò per quasi vent’anni, senza che le due sante donne si incontrassero mai.

4. “Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare” (1 Pt 4, 9). Fu la norma a cui santa Angnese ispirò costantemente la propria azione, accettando sempre con piena fiducia gli avvenimenti che la Provvidenza permetteva, nella certezza che tutto passa, ma la Verità rimane in eterno!

È, questo, l’insegnamento che la nuova santa dona anche a voi, cari suoi connazionali, e dona a tutti. La storia umana è in continuo movimento; i tempi cambiano con le varie generazioni e con le scoperte scientifiche; nuove tecniche ma anche nuovi affanni si affacciano all’orizzonte dell’umanità, sempre in cammino: ma la verità di Cristo, che illumina e salva, perdura nel mutare degli eventi. Tutto ciò che avviene sulla terra è voluto o permesso dall’Altissimo perché gli uomini sentano la sete o la nostalgia della Verità, tendano ad essa, la ricerchino e la raggiungano!

“Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri”, così scriveva ancora san Pietro, e concludeva: “Chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 4, 10-11). Nella sua lunga vita, travagliata anche da malattie e sofferenze, sant’Agnese ha davvero compiuto con energia il suo servizio di carità, per amore di Dio, contemplando come in uno specchio Gesù Cristo, come le aveva suggerito santa Chiara: “In questo specchio rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità” (Lettera IV: “Fonti Francescane”, ed. 1986, n. 2903).

E così Agnese di Boemia, che oggi abbiamo la gioia di invocare “Santa”, pur vissuta in secoli tanto lontani da noi, ha avuto un notevole ruolo nello sviluppo civile e culturale della sua Nazione e resta nostra contemporanea per la sua fede cristiana e per la sua carità: è esempio di coraggio ed è aiuto spirituale per le giovani che generosamente si consacrano alla vita religiosa; e ideale di santità per tutti coloro che seguono Cristo; è stimolo alla carità, esercitata con totale dedizione verso tutti, superando ogni barriera di razza, di popolo e di mentalità; e celeste protettrice del nostro faticoso cammino quotidiano. A lei possiamo dunque rivolgerci con grande fiducia e speranza.

5. Ed ecco fratel Alberto: è un personaggio che ha lasciato un’orma profonda nella storia di Cracovia e del popolo polacco, come nella storia della salvezza. Bisogna “dare l’anima”): sembra questo il filo conduttore della vita di Adam Chmielowski, fin dai suoi giovani anni. Come studente diciassettenne della scuola di agricoltura partecipò alla lotta insurrezionale per la libertà della sua Patria dal giogo straniero – e in essa riportò la mutilazione di una gamba. Cercò il significato della sua vocazione attraverso l’attività artistica, lasciando opere che ancora oggi impressionano per una loro particolare capacità espressiva.

Mentre si dedicava sempre più intensamente alla pittura, Cristo gli fece sentire la chiamata per un’altra vocazione e lo invitò a cercare sempre più oltre: “Impara da me . . . che sono mite e umile di cuore . . . Impara”.

Adam Chmielowski fu discepolo pronto a ogni chiamata del suo maestro e Signore.

6. Di questa chiamata decisiva, che tracciò la sua strada verso la santità in Cristo, parla il testo della prima lettura della liturgia della odierna canonizzazione, tratto dal profeta Isaia: “. . . sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo” (Is 58, 6). È questa la teologia della liberazione messianica, che contiene quella che oggi siamo abituati a definire “opzione per i poveri”: “dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, i senza tetto, vestire chi è nudo, senza distogliere gli occhi dalla tua gente” (Is 58, 7).

Proprio così fece fratel Alberto. In questo instancabile, eroico servizio a favore dei diseredati egli trovò finalmente il suo cammino. Trovò Cristo. Prese su di sé il suo giogo e il suo carico; e non fu soltanto “uno che fa la carità”, ma divenne fratello di coloro che egli serviva. Il loro fratello. Il “fratello grigio”, come era chiamato.

Altri lo seguirono: i “Fratelli grigi” e le “Sorelle grigie”, per i quali oggi è una grande festa comune. Ecco, infatti: si sono compiute le ulteriori parole della profezia di Isaia: “Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà: implorerai aiuto ed egli dirà: Eccomi!” (Is 58, 8-9).

7. “Eccomi”.

Nel Vangelo che abbiamo ora ascoltato Cristo dice: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio” (Mt 11, 27).

“Eccomi”: soltanto il Figlio! e “colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27).

E a chi il Figlio rivela? A chi si rivela il Padre nel Figlio?

“Ti benedico, o Padre . . . perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelati ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” (Mt 11, 25-26).

Ti benedico, o Padre, perché / hai rivelato il mistero del tuo amore / a suor Agnese di Boemia e a fratel Alberto di Cracovia / “Perché così è piaciuto a te”. / Per questo ti rendiamo grazie.

Ti benediciamo, o Padre, insieme con il Figlio e con lo Spirito Santo. Benediciamo te, che sei l’amore.

A Cracovia e in tutta la Polonia ,è conosciuto come il Padre dei poveri e, per la sua povertà evangelica, è chiamati il "S. Francesco polacco del XX secolo".
Fratel Alberto lasciò nella storia della Chiesa una tracci; incisiva. Egli non soltanto interpretò in modo giusto il Var gelo sulla misericordia del Cristo e lo accettò, ma soprat tutto lo introdusse nella propria vita religiosa.

Oggi i Fratelli Albertini e le Suore Albertine realizzano i carisma del Fondatore prestando il loro servizio in Polonia le suore sono diffuse anche in Italia, USA e America Latina.

Il 22 giugno 1983 Papa Giovanni Paolo II beatificò Frate Alberto a Cracovia, durante il suo secondo viaggio apostolico: in Polonia. Proclamandolo Santo il 12 novembre 1989 a Roma la Chiesa lo addita come un modello, per i nostri tempi di testimonianza dell'amore verso Dio, che si manifesta nel l'amore cristiano verso il prossimo, nello spirito della bontà evangelica.

SOLENNE BEATIFICAZIONE DI PADRE RAFFAELE KALINOWSKI
E DI FRATEL ALBERTO CHMIELOWSKI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Cracovia, 22 giugno 1983

 

“Il Signore è il mio pastore . . .” (Sal 23, 1).

1. Miei diletti connazionali! Desidero oggi, insieme con voi, rendere gloria al Signore, che è il nostro Pastore: è il Buon Pastore del suo gregge. L’ha detto lui stesso di sé nel Vangelo. Ce lo dice anche il Salmo dell’odierna liturgia.

Desidero dunque oggi, nel giorno conclusivo del mio pellegrinaggio in Patria, professare insieme con voi la verità sul Buon Pastore sullo sfondo del Giubileo di Jasna Gora. I sei secoli della mirabile presenza della Genitrice di Dio in quest’Effigie che tutti ci unisce e lega spiritualmente, non sono opera del Buon Pastore? Sappiamo infatti che lui si adopera soprattutto per conservare l’unione del suo gregge. Si dà da fare, affinché nessuno perisca, ed egli stesso cerca la pecora smarrita.

Diamo testimonianza a ciò mediante l’Anno della Redenzione in tutta la Chiesa. E in terra polacca, dove continua ancora il Giubileo di Jasna Gora, poniamo la domanda: non compie Cristo, il Buon Pastore, tutta la sua opera per una particolare mediazione della sua Madre? Della nostra Signora di Jasna Gora?

Il salmista dice del Buon Pastore: “. . . mi fa riposare, / ad acque tranquille mi conduce: / mi rinfranca . . .” (Sal 23, 2-3).

Non è a Jasna Gora per noi un tale posto, dove possiamo riposare? dove le nostre anime si rinfrancano? Non è esso simile alla sorgente d’acqua viva, dalla quale attingiamo da generazioni? Attingiamo dalle inesauribili risorse della Redenzione di Cristo, alla quale ci avvicina Maria!

2. Nel giorno conclusivo del mio pellegrinaggio, unito con il Giubileo di Jasna Gora, desidero qui, a Cracovia, insieme con voi, miei cari connazionali, esprimere il mirabile mistero della presenza del Buon Pastore in mezzo a tutte le generazioni, che sono passate attraverso la terra polacca e qui, a Cracovia, hanno lasciato una particolare espressione della loro identità polacca e cristiana.

Proprio per questo è così cara e preziosa questa Cracovia. E c’è tanto bisogno di impegnarsi perché non se ne sciupi la sostanza storica, nella quale la nostra Nazione legge, in misura rilevante, non solo il proprio passato, ma semplicemente la propria identità. Di ciò ho parlato quattro anni fa, quando abbiamo celebrato a Cracovia i nove secoli di san Stanislao. Oggi desidero ritornare a questa “cresima della storia”, che perdura e si sviluppa di generazione in generazione. A questa “cresima” che possiede un particolare significato per i polacchi dell’anno 1983, per voi, amati fratelli e sorelle, miei connazionali!

3. Vi do il benvenuto e vi saluto di tutto cuore nello stesso Blonia (Krakowskie), come quattro anni fa, nella prospettiva di Wawel e di Skalka, nella prospettiva di “Kopiec Kosciuszki”, e dall’altra parte delle torri della Chiesa mariana e del municipio e dell’Università. La mia Cracovia . . .

Saluto il mio successore, Metropolita di Cracovia, il Cardinale Franciszek, i miei fratelli nell’Episcopato: Julian, Jan, Stanislaw, Albin, con i quali mi hanno unito gli anni del comune servizio nell’arcidiocesi di Cracovia. Do il benvenuto e saluto cordialmente i Vescovi della Metropoli di Cracovia, di Czestochowa, da Katowice, da Kielce, da Tarnów. Do il benvenuto al Cardinale Primate della Polonia, al Cardinale Wladislaw Rubin, a tutti i presenti rappresentanti dell’Episcopato della Polonia.

Saluto di tutto cuore i nostri ospiti dal di là della Polonia: il Cardinale Krol di Filadelfia, il Cardinale Ballestrero da Torino, il Cardinale Meisner da Berlino, e anche il Cardinale Casaroli, Segretario di Stato, che mi accompagna in questo viaggio, e tutti i Vescovi provenienti da fuori la Polonia.

Saluto cordialmente tutti i nostri ospiti dalla Polonia e dall’estero: il Cardinale Ballestrero, il Cardinale Lustiger e altri.

Saluto il Capitolo metropolitano e tutto il clero dell’arcidiocesi: i miei fratelli nel sacerdozio, ai quali appartengo con gli ordini e col cuore, conservando e approfondendo in me consapevolmente i legami di questa appartenenza. Sono legato con questo Seminario ecclesiastico, nel quale mi sono preparato al sacerdozio, come pure con questa Facoltà di teologia, nella quale ho studiato, parzialmente durante la clandestinità del periodo dell’occupazione. Oggi saluto con particolare cordialità la Pontificia accademia di teologia, che porta in sé l’eredità dell’Ateneo, legato al grande nome della beata regina Edvige.

Oltre al clero dell’arcidiocesi di Cracovia do il benvenuto e saluto anche tutti i sacerdoti sia della provincia ecclesiale di Cracovia, sia di tutta la Polonia.

Con i rappresentanti delle Famiglie religiose, maschili e femminili, mi congratulo in modo particolare per questo giorno.

4. Ecco, infatti, mi è dato di compiere oggi un servizio particolare: l’elevazione agli altari di Servi di Dio mediante la beatificazione.

Normalmente questo tipo di servizio viene compiuto a Roma. Tuttavia, già in tempi lontani, esso veniva compiuto anche fuori Roma. Sappiamo, per esempio, che san Stanislao fu canonizzato ad Assisi. A me stesso è stato già dato di compiere beatificazioni a Manila, durante la visita pastorale nelle Filippine, e in Spagna, a Siviglia, nel novembre dello scorso anno.

Ho tanto desiderato che il mio pellegrinaggio in Patria, in relazione col Giubileo di Jasna Gora, diventasse anche particolare occasione per elevare sugli altari dei Servi di Dio, la cui via alla Santità è legata a questa terra e a questa Nazione, nella quale regna la Signora di Jasna Gora. La loro beatificazione è una speciale festa della Chiesa in Polonia: dell’intero Popolo di Dio, che costituisce questa Chiesa. La Chiesa, infatti, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, deve rammentare costantemente a tutti la vocazione alla santità e deve anche condurre a questa santità i suoi figli e le sue figlie.

Quando questa santità viene affermata in modo solenne mediante la beatificazione, e specialmente la canonizzazione, la Chiesa giubila di una gioia speciale. Questa è in un certo qual senso la massima gioia, che essa possa provare nella sua peregrinazione terrena.

Oggi dunque la Chiesa in terra polacca gioisce, lodando l’Eterno Pastore per l’opera di santità, che ha compiuto mediante lo Spirito Santo nei Servi di Dio: Padre Raffaele Kalinowski, e Fra Alberto (Adam) Chmielowski.

Alla letizia dell’odierna beatificazione prende parte l’intera Chiesa di Polonia. In modo particolare questa è la gioia della famiglia carmelitana, non soltanto in Polonia, alla quale apparteneva il Padre Raffaele, e della Famiglia francescana, specialmente di quella albertina, della quale Fra Alberto è stato il fondatore.

Desidero aggiungere che questa è anche una mia gioia particolare, perché ambedue queste meravigliose figure mi sono sempre state molto vicine spiritualmente. Mi hanno sempre indicato la via a quella santità, che è la vocazione di ognuno in Gesù Cristo.

5. Dice il Signore Gesù: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15, 9).

Ecco due discepoli del Divino Maestro, che hanno scoperto pienamente, sulle strade del loro pellegrinaggio terreno, l’amore di Cristo, e che hanno perseverato in questo amore!

La santità infatti consiste nell’amore. Si basa sul comandamento dell’amore. Dice Cristo: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15, 12). E dice ancora: “Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore” (Gv 15, 10).

La santità è dunque una particolare somiglianza a Cristo. È una somiglianza mediante l’amore. Mediante l’amore rimaniamo in Cristo, così come lui stesso mediante l’amore rimane nel Padre. La santità è la somiglianza a Cristo che raggiunge il mistero della sua unione con il Padre nello Spirito Santo: la sua unione con il Padre mediante l’amore.

L’amore è il primo ed eterno contenuto del comandamento, che proviene dal Padre. Cristo dice che lui stesso “osserva” questo comandamento. È anche lui a darci questo comandamento, in cui è racchiuso tutto il contenuto essenziale della nostra somiglianza a Dio in Cristo.

Il Padre Raffaele e Fra Alberto hanno raggiunto nella loro vita quelle vette della santità, che la Chiesa oggi conferma, sulla via dell’amore. Non vi è un’altra strada che conduca a queste vette. Oggi Cristo dice loro: “Voi siete miei amici”; (Gv 15, 14) “Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 15).

Questo “tutto ciò” si riassume nel comandamento dell’amore.

6. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13). Padre Raffaele e Fra Alberto, sin dai primi anni della loro vita, capirono questa verità: che l’amore consiste nel dare l’anima; che amando bisogna dare se stessi, anzi, bisogna “dare la vita”, così come dice Cristo agli Apostoli.

Questo dare la vita per i propri amici, per i connazionali, si è manifestato anche nel 1863 mediante la loro partecipazione all’insurrezione. Józef Kalinowski aveva allora 28 anni, era ingegnere e aveva il grado di ufficiale nell’esercito dello zar. Adam Chmielowski contava allora 17 anni, era studente dell’istituto agrario e forestale a Pulawy. Ambedue erano spinti da un eroico amore per la Patria. Per avere partecipato all’insurrezione, Kalinowski pagò con la deportazione in Siberia: la pena di morte gli fu commutata in “Siberia”; Chmielowski pagò con la mutilazione.

Abbiamo ricordato ambedue queste figure nel 1963, nel centenario dell’insurrezione di gennaio, radunandoci davanti alla chiesa dei Padri Carmelitani Scalzi, come testimonia la lapide li posta. L’insurrezione di gennaio fu per Józef Kalinowski e Adam Chmielowski una tappa sulla via verso la santità, che è l’eroismo di tutta la vita.

7. La Provvidenza Divina condusse ciascuno di loro sulla propria strada. Józef Kalinowski, prima di entrare nel noviziato dei Carmelitani, dopo il ritorno dalla Siberia, fu professore di August Czartoryski, uno dei primi salesiani, il quale è anche lui candidato agli altari. Adam Chmielowski studiò pittura e per diversi anni si dedicò all’attività artistica, prima di incamminarsi sulla via della vocazione che, dopo i primi tentativi nella Compagnia di Gesù, lo condusse nelle file del Terz’Ordine Francescano, da dove prese il suo inizio la vocazione albertina.

Ognuno di loro, sulla propria strada, continuò a realizzare queste parole del Redentore e Maestro: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita . . .”. Padre Raffaele ha dato questa vita in un severo convento carmelitano, servendo fino alla fine, in modo particolare nel confessionale, e i suoi contemporanei lo hanno chiamato “martire del confessionale”. Fra Alberto la donò nel servizio dei più poveri e dei socialmente diseredati. L’uno e l’altro hanno dato fino in fondo la propria vita a Cristo.

L’uno e l’altro hanno ritrovato in lui la pienezza della conoscenza, dell’amore e del servizio. L’uno e l’altro hanno potuto ripetere, con san Paolo: “Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose . . .” (Fil 3, 8).

Padre Raffaele e Fra Alberto danno testimonianza di questo mirabile mistero evangelico della “kenosi”, del distacco, della spogliazione, che apre la porta alla pienezza dell’amore. Egli Raffaele scrisse alla sua sorella: “Dio si è dato tutto per noi, come noi dobbiamo sacrificarci a Dio” (P. Raffaele Kalinowski, Lettera del 1° luglio 1866 alla famiglia).

E Fra Alberto confessò: “Guardo Gesù nella sua Eucaristia, il suo amore ha potuto provvedere qualche cosa di più bello? Se egli è pane anche noi diventiamo pane . . . doniamo noi stessi” (W. Kluz, Adam Chmielowski, p. 199).

In questo modo ciascuno di loro ha guadagnato Cristo e ha trovato in lui . . . giustizia che deriva da Dio . . . “Con la speranza che, diventandogli conforme nella morte, giungerà alla Risurrezione dai morti (cf. Fil 3, 8. 9. 10-11).

Con questa speranza Padre Raffaele chiuse la sua vita tra le mura del convento carmelitano a Wadowice, mia città natale, nel 1907; Fra Alberto nel suo “ricovero di mendicità” a Cracovia nel 1916.

Alla soglia del nostro secolo, alla vigilia dell’indipendenza riacquistata dalla Polonia, hanno concluso la propria vita questi due grandi figli della terra polacca, ai quali fu dato di tracciare le vie della santità ai loro contemporanei e, insieme, alle generazioni future.

8. Il Giubileo di Jasna Gora nella nostra Patria è coinciso con l’Anno della Redenzione e in esso si è fuso sin dal 25 marzo di quest’anno.

Il Giubileo straordinario della Redenzione indirizza tutti noi verso quel primo amore, con il quale Dio Padre “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). Di quest’amore Cristo dice nell’odierno Vangelo: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”.

L’Anno della Redenzione ha per scopo di ravvivare specialmente questo “rimanere nell’amore” del Redentore. Per attingere da questo amore e, in questo modo, per approfondire e rinnovare il proprio amore cercando le vie della conversione e della riconciliazione con Dio in Gesù Cristo.

Questo particolare lavoro della Chiesa nell’Anno della Redenzione è unito alla realtà della Comunione dei Santi. Nei Santi, infatti, si è dimostrata e costantemente si dimostra l’inesauribile forza della Redenzione di Cristo. È per la forza della Redenzione che essi hanno raggiunto questa particolare partecipazione alla santità di Dio, che è la meta e la gioia della Chiesa. A loro volta, i Santi ci aiutano ad avvicinarci alla Redenzione di Cristo, in un certo qual modo condividono con noi la loro beata partecipazione a questa forza salvifica.

Un Anno Santo è sempre, nella vita della Chiesa, una particolare occasione per ravvivare la mediazione dei Santi. Prima di tutto della Santissima Madre di Cristo, e di tutti i Santi.

Perciò ringrazio in modo speciale la Trinità Santissima perché mi è stato dato durante il mio pellegrinaggio in Polonia, in occasione del Giubileo di Jasna Gora, di ampliare in un certo senso in modo visibile questa nostra cerchia patria della Comunione dei Santi:

- san Massimiliano Maria Kolbe;

- beato Raffaele Kalinowski;

- beato Alberto Chmielowski (Fra Alberto);

- beata Orsola Ledóchowska.

9. “Venimus. Vidimus. Deus vicit” (Siamo giunti. Abbiamo visto. Dio ha vinto)! Qui a Cracovia, a Wawel, riposa il re che pronunciò queste parole: Giovanni III Sobieski. Le ho ricordate all’inizio del mio pellegrinaggio, a Varsavia. Oggi, ancora una volta, vi ritorno sopra. E vi torno perché sono i Santi e i Beati a mostrarci la via alla vittoria, che Dio riporta nella storia dell’uomo.

Desidero, pertanto, ancora una volta, ripetere (come ho già detto a Varsavia), che in Gesù Cristo l’uomo è chiamato alla vittoria: a quella vittoria che riportarono il Padre Massimiliano e Fra Alberto, il Padre Raffaele e la Madre Orsola, in grado eroico.

Tuttavia, a una tale vittoria è chiamato ogni uomo. Ed è chiamato ogni polacco che fissa lo sguardo negli esempi dei suoi Santi e Beati. La loro elevazione agli altari in terra natale è il segno di questa forza, che è più potente di ogni debolezza umana e di ogni situazione, anche la più difficile, non esclusa la prepotenza. Vi chiedo di chiamare per nome queste debolezze, questi peccati, questi vizi, queste situazioni. Di combatterle costantemente. Di non permettere di essere ingoiati dall’onda di immoralità e di indifferenza e di non cadere nella prostrazione spirituale. Perciò guardate continuamente negli occhi del Buon Pastore: “Se dovessi camminare in una valle oscura, / non temerei alcun male, perché tu sei con me” (Sal 23, 4). Così afferma il Salmo responsoriale dell’odierna liturgia.

10. Quattro anni fa qui, nello stesso “Blonia Krakowskie”, ricordai quella “cresima della storia” legata alla tradizione di san Stanislao, patrono della Polonia.

Desidero ripetere oggi le parole che pronunciai allora: “Dovete essere forti di quella forza che scaturisce dalla fede! Dovete essere forti della forza della fede! Dovete essere fedeli! Oggi più che in qualsiasi altra epoca avete bisogno di questa forza. Dovete essere forti della forza della speranza che porta la perfetta gioia di vivere e non permette di rattristare lo Spirito Santo! Dovete essere forti dell’amore, che è più forte della morte . . . tutto crede, tutto spera, tutto sopporta, quell’amore che non avrà mai fine (1 Cor 13, 4-8)”.

Di questa fede, speranza e carità furono forti Massimiliano, Raffaele, Orsola e Alberto, figli di questa Nazione. Essi pure sono stati dati a questa Nazione come segno di vittoria. La Nazione infatti, come una particolare comunità di uomini, è anche chiamata alla vittoria, con la forza della fede, della speranza e della carità, con la forza della verità, della libertà e della giustizia.

Gesù Cristo! Pastore degli uomini e dei popoli! Nel nome della tua Santissima Madre, per il suo Giubileo di Jasna Gora, ti chiedo una tale vittoria!

Gesù Cristo! Buon Pastore! Ti raccomando il difficile “oggi e il domani” della mia Nazione: ti raccomando il suo futuro!

11. “Se dovessi camminare in una valle oscura, / non temerei alcun male, perché tu sei con me”. Tu, per mezzo della tua Madre. Amen.

Il Signore è il mio pastore . . . Il Signore è il nostro pastore!

Amen.

Prima della benedizione, il Papa si è ancora rivolto ai fedeli:

Alla fine del mio pellegrinaggio per il Giubileo di Jasna Gora, pellegrinaggio che per volontà della Provvidenza si svolge nell’Anno Santo della Redenzione, mi è stato dato, per la seconda volta, di decorare con il diadema regale la statua della Madonna dolorosa, celebre Pietà di Limanowa, della diocesi di Tarnow.

Con particolare commozione guardo oggi questa statua, celebre per le sue grazie, tanto conosciuta e venerata nei Beskidi Wyspowe, in tutta la diocesi di Tarnów e molto oltre i confini. E io pongo queste corone sul capo del Redentore del mondo e su quello di sua Madre nel momento del suo più grande dolore e contemporaneamente della sua più piena collaborazione e partecipazione nell’opera redentrice di suo Figlio, nel momento in cui ella regge sul suo grembo materno le spoglie di Cristo poco dopo che nella persona di san Giovanni tutti le sono stati affidati come figli e figlie ed ella è stata data loro come Madre. Ci uniamo nella nostra gioia con tutta la Chiesa di Tarnów, con il suo pastore, Vescovo Jerzy, con i suoi collaboratori nell’Episcopato, con tutti i pellegrini e con tutta la comunità diocesana.

Alla Madre incoronata diciamo: “Sotto questo segno difenderemo la fede dei nostri padri”, ma in più la preghiamo di salvaguardare la nostra fede e quella delle nuove generazioni affinché noi, trasferiti al Regno dell’amatissimo Figlio, vi accediamo e rimaniamo e riceviamo la Redenzione e la remissione dei peccati, affinché niente riesca a spegnere in noi questa fede.

Chiediamo al Pastore della Chiesa di Tarnów e a tutti i pellegrini di questa diocesi di diffondere il nostro saluto e l’unione eucaristica nel Cristo in questa solenne adunanza eucaristica sul Blonia di Cracovia, il giorno in cui il Beato Padre Raffaele e il Beato Fra Alberto hanno ricevuto la gloria.

Cari fratelli e sorelle! L’Eucaristia non ha frontiere, e noi celebrandola oggi qui, sui Blonia di Cracovia, in questa forma solenne, la celebriamo in unione con tutta la Chiesa. Tutti i segni di questa unione, così come li ho elencati alla fine, nella dimensione geografica, sono per noi particolarmente eloquenti e cari. L’Eucaristia non ha frontiere.

Abbraccia l’uomo in tutte le dimensioni della sua esistenza e della sua vocazione. Questa è l’Eucaristia, la specie del pane, un pezzetto di pane che accogliamo nella nostra bocca, nel nostro organismo, nel nostro cuore. In questo cuore si incontrano la piccolezza dell’Eucaristia, l’umiltà dell’Eucaristia, il marchio della distruzione di Cristo con la sua non limitabile grandezza.

Vorrei che quelli che non hanno potuto partecipare alla nostra grande adunanza di beatificazione ricevessero i frutti di questa Eucaristia in modo particolare. Mi riferisco ai malati, alle persone prive di libertà, a tutti gli assenti che sono chiamati dal nostro amore e che tramite il nostro amore sono particolarmente presenti, poiché l’Eucaristia non ha frontiere. Cristo segue l’uomo dovunque egli vada, in tutti i posti dove egli è condotto.

Cristo segue l’uomo poiché è un Buon Pastore. Ancora una volta affido a questo Pastore, Pastore Eterno, Pastore Buono, la nostra comunità sul Blonie di Cracovia. Gli affido la Chiesa di Cracovia, la Chiesa nella Patria, la mia Patria, gli affido la Chiesa di tutte le parti del mondo. Affido al Buon Pastore la Chiesa nella mia Patria tramite la Madre e la Regina di Jasna Gora.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per la vostra partecipazione, per le profonde preghiere. Vi ringrazio per l’unione con Cristo e per aver permesso a me, vostro fratello, di essere ministro di questa unione con Cristo, in cui c’è la nostra speranza! Accogliete adesso la benedizione.