Alfonsa Maria Eppinger

Alfonsa Maria Eppinger

(1814-1867)

Beatificazione:

- 09 settembre 2018

- Papa  Francesco

Ricorrenza:

- 9 settembre

Religiosa francese , fondatrice della Congregazione delle Suore del Santissimo Salvatore, donna coraggiosa e saggia che, soffrendo, tacendo e pregando, testimoniò l’amore di Dio soprattutto a quanti erano malati nel corpo e nello spirito

  • Biografia
  • Omelia
  • il miracolo
  • messa commemorativa
“Soffri, taci e prega, perché Dio ti vuole una gran Santa”

 

Elisabeth Eppinger nacque il 9 settembre 1814 a Niederbronn-les-Bainse e crebbe in quella pianura tra Alsazia e Lorena che proprio nel XIX secolo vide più volte spostare il confine tra Francia e Germania.

Le condizioni modeste della sua famiglia, campagnola e molto cattolica, e l’essere la prima di undici figli la portarono fin da piccola a dare una grossa mano in casa, ma le causarono anche grande sofferenza: di salute cagionevole, infatti, spesso costretta a letto per mesi, sentiva di essere un peso per genitori e fratelli.

Così, trovandosi spesso sola, passava la maggior parte del tempo con Dio, pregandolo e adorandolo. L’impossibilità di studiare con regolarità, inoltre, la fece arrivare alla Prima Comunione solo a 14 anni, e lì cambiò tutto: l’Eucaristia divenne la forza che la sostenne per tutta la sua vita.

La malattia e il dolore le riservarono un altro dono meraviglioso: nel 1846, durante un decorso particolarmente lungo e difficile, provò per la prima volta l’esperienza dell’estasi: sentiva Gesù concretamente accanto a lei che le parlava e la confortava. Veniva trasportata fuori da sé e perdeva coscienza del suo corpo: durante queste esperienze Gesù le mostrava i suoi peccati spingendola a pregare per la salvezza di tutte le anime, la rendeva partecipe delle sofferenze del Papa e della Chiesa facendola impegnare per l’urgente santificazione dei sacerdoti, e le donava visioni anche inerenti la politica.

Tutto quanto, lei lo riferiva al suo confessore e questi al vescovo: entrambi constatarono in quella donna il dono della veggenza, della profezia e del saper scrutare i cuori. Intanto iniziò a circolare la voce di questi prodigi tanto che, seppure Elisabeth rifuggisse il clamore della folla, molti si recavano alla casa dei suoi genitori e chiedevano di vederla per avere un consiglio o un conforto, aiuto che lei non negava a nessuno, precisando che era il Signore, attraverso di lei, a concederlo. “Come puoi concedere tante grazie a me, che sono così piccola, che non sono nulla?”, si chiedeva Elisabeth che nel frattempo riceveva anche le visite del maligno negli stessi anni in cui accadeva più o meno la medesima esperienza al parroco di Ars, il futuro San Giovanni Maria Vianney.

Poiché malattia e dolore erano sempre stati parte importante della sua vita, divennero anche il centro del carisma della nuova congregazione di suore che il Signore a un certo punto la chiamò a fondare. Infatti, per prudenza riguardo al clamore che lei aveva suscitato, fino ad allora il vescovo le aveva impedito di entrare in un ordine religioso precostituito, desiderio che lei bramava più di tutto.

Era il 1849 quando Elisabeth si trasferì assieme ad altre giovani suore in una casa presto indicata in dialetto come “piccolo convento”, dandosi una semplice regola: contemplare nel Vangelo il cuore di Gesù e il suo atteggiamento verso tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito ed essere come il Buon Samaritano per i bisognosi.

Così le Figlie del Divino Redentore iniziarono ad andare nelle case dei più poveri e ammalati senza distinzione di religione o ceto sociale, per rispondere ai loro bisogni materiali e spirituali, da vere missionarie della carità. Ma poiché l’amore si moltiplica per divisione, presto nacquero altre 14 case come il “piccolo convento”, poi ci fu la guerra in Crimea e le religiose sperimentarono il servizio di consolazione ai moribondi sui campi di battaglia, mentre la Provvidenza continuava a operare munifica portando altre vocazioni e, oltreconfine, due nuovi rami della congregazione, in Germania, Austria e Ungheria, che poi diventeranno indipendenti.

Morì il 31 luglio 1867 a Niederbronn

Ancora oggi nelle orecchie delle religiose, che ormai operano nei cinque continenti, risuonano le parole della fondatrice: “Non negate nulla ai malati, perché quanto negate loro, lo negate al Salvatore”.   

Omelia del Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi Card. Giovanni Angelo Becciu 
alla Santa Messa di Beatificazione di Alfonsa Maria (Elisabetta) Eppinger

(Cattedrale di Nostra Signora di Strasburgo, Francia, 9 settembre 2018)

 

Cari fratelli e care sorelle,

La Chiesa di Strasburgo oggi si rallegra di vedere iscritta nell’albo dei Beati una sua figlia, suor Alfonsa Maria Eppinger, e di proporla come modello di vita evangelica. Tutta la comunità diocesana – sappiamo – ha intrapreso un percorso di preparazione a questa giornata riflettendo sulla vocazione universale alla santità e interrogandosi sul come oggi si può divenire santi. L’evento solenne della Beatificazione è una provvida occasione per riscoprire, a 150 anni dalla sua morte, l’attualità del messaggio e della figura di questa singolare donna, che seppe offrire una viva testimonianza cristiana ed una profonda spiritualità.

Quando ancora era in vita, la Beata Alfonsa Maria suscitava l’apprezzamento di quanti la incontravano, i quali riconoscevano in lei i tratti della santità di vita e dell’eroismo delle virtù cristiane.

Due punti ascetici focali hanno segnato la sua vita: conoscere i desideri di Dio e seguire tali desideri compiendo la sua volontà. Era ancora una bambina – si chiamava Elisabetta – quando un giorno, lungo la strada, vide una stazione della via crucis. «Perché hanno crocifisso Gesù?», domandò alla mamma. «Piccola mia, è stato ucciso a causa dei nostri peccati», rispose la mamma. «Ma che cos’è un peccato?», insistette Elisabetta. «È un’offesa a Dio…». «Allora non voglio più offenderlo!», esclamò Elisabetta. «A partire da quell’epoca – scrisse più tardi – crebbe in me ogni giorno il desiderio di comprendere che cosa occorra fare per amare Dio e non offenderlo… Questo pensiero mi sconvolgeva e mi spronava all’obbedienza».

Ma non dobbiamo pensare che Elisabetta fosse una ragazzina tutta pia e docile, aveva invece una forte personalità, spesso ribelle. Lei stessa racconta: «Nel corso dell’adolescenza, ho dovuto combattere una difficile battaglia contro il mio carattere irascibile… Se qualcuno mi contrariava, mi adiravo. E se i miei genitori mi ordinavano di svolgere un lavoro quando sarei dovuta uscire, spesso disobbedivo… Pregai allora così: “Gesù, tu conosci il mio desiderio. Voglio obbedire. Dammi ciò che il mio cuore desidera ardentemente: la grazia di conoscerti e amarti”». Inizia così un impegno serio e impegnativo: Elisabetta impara lentamente ad ascoltare la voce di Dio e cresce nell’intimità con Lui, fino a quando prende coscienza di due fatti sconvolgenti: di quanto Dio la ami e, nello stesso tempo, di come tante persone si mostrino indifferenti a tanto amore. Toccata profondamente dall’amore di Dio, desidera ardentemente che anche gli altri, anzi tutti facciano esperienza dell’infinito amore di Dio. Nasce nel suo cuore chiara e pressante la spinta ad essere lei strumento dell’amore di Dio: che attraverso di lei tutti possano sperimentare quanto sono amati da Dio.

L’amore di Dio vissuto con intensità di vita e traboccante gioia non può lasciare indifferenti le persone circostanti. Il motto da lei scelto «Attingete con gioia dalle fonti della salvezza” sigilla il suo desiderio di trasmettere una fede gioiosa. Attratte dal suo stile di vita e ispirate dalle sue parole, si forma attorno a lei una piccola comunità di amiche che con lei contempla nel Vangelo il cuore misericordioso di Gesù, il suo atteggiamento verso le persone che soffrono nel corpo e nel cuore e verso i peccatori. Vuole modellare il proprio cuore e quello delle sue amiche sul Cuore di Gesù per essere, come Lui, il buon samaritano. Sente rivolto a sé l’invito di Gesù: «Va’ e anche tu fa lo stesso» (Lc 10, 37). Nasce così la Famiglia religiosa delle Suore del Divino Redentore, per vivere il carisma di Elisabetta, che ora ha cambiato il nome in Alfonsa Maria. È un carisma imperniato sulla misericordia di Dio: recarsi nella casa dei poveri per rispondere alle loro necessità di ordine spirituale e materiale mediante la pratica delle opere di misericordia.

Sotto la guida di Madre Alfonsa Maria vediamo le sue giovani Suore porre gesti semplici e concreti per alleviare la sofferenza, senza fare alcuna distinzione di religione o di ceto sociale. Diventano missionarie della carità, affrontando con coraggio anche le epidemie: alcune muoiono contagiate dalle malattie, soprattutto durante il terribile colera del 1854. Vegliano giorno e notte al capezzale degli ammalati, danno prova di ingegno per salvare vite umane e arginare il contagio, assistono i morenti, consolano le famiglie, esortano a non perdere la speranza. La guerra di Crimea le porta a curare i feriti negli ospedali da campo, a seguire l’esercito nei suoi spostamenti. Il dottor Kuhn, il medico di Niederbronn, scrisse: «Queste giovani pie non solo vegliano semplicemente sugli ammalati, assicurando loro giorno e notte le cure più assidue, esponendosi a ogni rischio di contagio e superando il disgusto, ma entrano anche nelle misere case dei poveri, portando loro i conforti della religione. Si comportano con garbo di fronte a modi rudi, fanno regnare la pulizia dove questa qualità non era né conosciuta, né apprezzata, e impartiscono lezioni ai bambini anche delle frazioni isolate, in cui non ci sono il maestro e la scuola».

Da dove veniva questa passione apostolica che la Beata Alfonsa Maria Eppinger inculcava alle sue Suore? Aveva imparato il dono di sé contemplando il Salvatore morente sulla croce. Il suo ardente desiderio era quello di vivere e agire per Cristo, imitarlo nella sua dolcezza, nella sua umiltà, nel suo amore, cercare di piacere a Lui solo. Così amava ripetere: «Vedere Dio in Dio, vedere Dio nel prossimo, vedere Dio in tutto». Queste parole, sintesi mirabile della straordinaria testimonianza evangelica della nuova Beata, sono cariche di attualità, poiché ai nostri giorni c’è ancora tanto bisogno di testimoniare l’autentico amore cristiano: esso non è una idea astratta, ma si rende concreto nell’aiutare gli altri, prima di tutto i deboli e i poveri, che sono la carne di Cristo. Ce lo ricorda il Santo Padre Francesco. Egli ama ripetere che «un amore che non riconosce che Gesù è venuto nella Carne, non è l’amore che Dio ci comanda. Riconoscere che Dio ha inviato suo Figlio, si è incarnato e ha fatto una vita come noi, vuol dire amare come ha amato Gesù; amare come ci ha insegnato Gesù; amare camminando sulla strada di Gesù. E la strada di Gesù è dare la vita» (Omelia Domus Sanctae Marthae, 11 novembre 2016).

In tutta la sua vita, la Beata Alfonsa Maria Eppinger ha testimoniato, con la parola e con le opere, che Gesù non è venuto solo a parlarci dell’amore del Padre, ma ha incarnato personalmente la sua immensa misericordia, guarendo quanti incontrava nel suo cammino. Ha saputo riconoscere le piaghe di Gesù nell’umanità povera e bisognosa e per essa si è resa strumento dell’amore misericordioso di Dio. L’esperienza di questa nostra Beata, che la Chiesa riconosce come modello da imitare nella sequela di Gesù, è uno stimolo ad amare le persone che incontriamo ogni giorno, diventando per esse strumento dell’amore misericordioso di Dio.

Stiamo celebrando questo Rito di beatificazione in una città che, in certo senso, è il cuore dell’Europa, poiché vi si trovano istituzioni fondamentali della vita dei suoi cittadini. Da qui si innalza un pressante appello all’intero Continente europeo, sempre più tentato dall’egoismo e dal ripiegamento su sé stesso. È l’appello della Beata Alfonsa Maria: questa donna coraggiosa e forte, con la sua straordinaria testimonianza cristiana, esorta tutti gli europei ad avere il cuore grande, a dimostrare un amore sollecito e accogliente, che sappia venire incontro a chi ha bisogno: i deboli, gli sconfitti, gli scartati, quanti fuggono da situazioni di guerra, di violenza, di persecuzione.

Insieme alle Suore del Santissimo Salvatore, alle Suore del Redentore e alle Suore del Divino Redentore, vale a dire le tre famiglie religiose che ancora oggi si ispirano al carisma di Madre Alfonsa Maria, rendiamo lode a questa audace donna alsaziana innamorata di Dio e infaticabile dispensatrice di misericordia all’umanità sofferente. Onoriamo in lei una fedele discepola del Vangelo e un’intrepida messaggera dell’amore divino. Accogliamone il messaggio e seguiamone l’esempio, per essere testimoni di Cristo, nostra pace e nostra speranza.

Diciamo insieme: Beata Alfonsa Maria, prega per noi!

In vista della sua beatificazione, la Postulazione della Causa ha sottoposto al giudizio di questa Congregazione delle Cause dei Santi la presunta guarigione miracolosa di una donna. L’evento ebbe luogo a Mulhouse, in Francia, nel maggio del 1955. Nei primi mesi di quell’anno la signora iniziò ad accusare forti e continui dolori addominali, con un notevole dimagrimento. Le fu diagnosticata un’occlusione intestinale e venne sottoposta ad intervento urgente. Si procedette, in tal modo, a una resezione ileo-cecale con conseguente ricostruzione della continuità intestinale. Ma, di fronte agli scarsi risultati, la paziente dovette subire un secondo intervento, che evidenziò un versamento peritoneale. Subentrarono altre situazioni patologiche, che contribuirono ad aggravare un quadro clinico già estremamente problematico. La sera del 28 maggio la morte della paziente apparve certa.

Nel corso di questa drammatica vicenda, la Superiora della casa di cura dove la donna era ricoverata prese l’iniziativa di svolgere una novena alla Venerabile Fondatrice dell’Istituto di cui lei faceva parte, coinvolgendo le sue consorelle. Anche la paziente si unì a tale preghiera, accogliendo sotto il suo cuscino un’immaginetta con una piccola reliquia ex indumentis di Madre Alfonsa. Il giorno seguente la paziente mostrò i segni di un evidente e improvviso miglioramento, con una ripresa delle funzioni fisiologiche e l’assenza dei fenomeni patologici che l’avevano condotta in fin di vita. Successivi accertamenti risultarono tutti negativi e confermarono la sua completa guarigione. La signora morì all’età di ottantacinque anni, diciannove anni dopo questi eventi, per cause del tutto indipendenti.

Sulla guarigione, ritenuta miracolosa, presso la Curia ecclesiastica di Strasburgo dal 20 febbraio 1959 al 21 marzo 1960 fu istruito il Processo ordinario, la cui validità giuridica è stata riconosciuta da questa Congregazione con decreto del 10 ottobre 2008. La Consulta Medica del Dicastero nella seduta del 1 giugno 2017 ha riconosciuto che la guarigione fu rapida, completa e duratura, inspiegabile alla luce delle attuali conoscenze mediche.

Omelia di Kurt Cardinale Koch per la Messa commemorativa in occasione della beatificazione di Alphonsa Maria Eppinger

(Chiesa di Santa Maria della Pietà del Campo Santo Teutonico in Vaticano, 29 ottobre 2018)

 

Essere beati, perché amati da Dio

La lettura odierna dalla Lettera dell’Apostolo Paolo ai Galati si compone di soli due versi, ed è imbattibile nella sua concisione. Ma il suo significato non va sottovalutato. I due versi determinano l’autobiografia spirituale che Paolo dispiega davanti ai suoi lettori e che sfocia nella testimonianza di un rovesciamento di soggetto: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 19b-20a). Queste parole illustrano l’essenza del diventare e dell’essere cristiani: il mio Io, che vuole essere un soggetto autonomo e auto-sussistente, deve morire, deve sciogliersi in un nuovo soggetto e venire accolto nuovamente in questo Io più ampio. Chi lascia che tale rovesciamento di soggetto avvenga nel suo intimo diventa un credente, come osserva Paolo subito dopo: “E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2, 20b).   Dopo la rivoluzionante esperienza della sua conversione, Paolo ha compreso se stesso in questo modo, e così ha vissuto, come questo nuovo soggetto. Nella sua sequela si situa anche la beata che, contemplando la croce di Gesù Cristo, ha capito cosa significava far dono di sé. Poiché la beata Alphonsa Maria Eppinger si è sentita amata da Dio, è diventata strumento del suo amore, soprattutto verso i poveri, gli anziani e i malati. Come innamorata di Dio, si è fatta instancabile dispensatrice dell’amore divino, e ha posto al centro della sua vita e della sua opera l’annuncio della misericordia di Dio, vedendovi anche il compito della congregazione da lei fondata, quella delle Suore del Divino Redentore, come ha sottolineato il Cardinale Angelo Becciu nell’omelia tenuta nella cattedrale di Strasburgo il 9 settembre, in occasione della celebrazione della sua beatificazione: il suo “carisma è imperniato sulla misericordia di Dio: recarsi nella casa dei poveri per rispondere alle loro necessità di ordine spirituale e materiale mediante la pratica delle opere di misericordia.”

La beatificazione di Elisabeth Eppinger, che volle chiamarsi Alphonsa Maria in onore di Sant’Alfonso di Liguori, ci mostra in modo esemplare cosa significa essere definiti beati, cosa significa essere beati. Significa prendere Gesù Cristo come misura di tutto, essere chiamati beati da lui stesso, e dunque vivere una vicinanza particolare con lui, come emerge chiaramente dalle sue Beatitudini. Nelle Beatitudini traspare l’intimo mistero di Gesù Cristo. Esse sono, secondo le belle parole di Papa Benedetto XVI nel suo libro su Gesù di Nazaret, come “una nascosta biografia interiore di Gesù, un ritratto della sua figura” (J. Ratzinger/ Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, 98). In maniera simile, Sant’Agostino ha espresso la sua convinzione che soltanto Gesù ha realmente e pienamente realizzato il sermone della montagna, al cui centro figurano le Beatitudini.

Solo in questa prospettiva cristologica, emerge dalle Beatitudini anche il significato del discepolato nella sequela di Gesù. Il Vangelo odierno sulla sequela della croce ci ricorda che la carriera di Gesù è stata ben diversa da quella che è comune tra noi uomini. Egli non ha desiderato fare carriera verso l’alto. Egli conosce solo la carriera verso il basso, nella direzione della croce. Questa è la carriera alla quale Gesù esorta anche noi: “chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25). Non è possibile assumere questo atteggiamento di fondo senza convertirsi a Gesù Cristo. E tale conversione presuppone che ci allontaniamo da quel vivere mondano che tende a dichiarare beati coloro che hanno successo, popolarità, benessere materiale. Ma Gesù non la pensa così. Egli dice beati proprio coloro che sono sprovvisti di mezzi e che conoscono la povertà. Indirizza persino un messaggio augurale ai perseguitati e ai disprezzati a causa del suo nome. E come poteva comportarsi diversamente colui che ha detto beate tali persone, avendo lui stesso dato la propria vita in croce e avendo predetto ai suoi discepoli un destino non migliore del suo?

La vita e la morte di Gesù mostrano in maniera esemplare cosa significhi vivere secondo lo spirito delle Beatitudini, diventando, in tal modo, beati. Ecco dunque affiorare la caratteristica essenziale di una persona beata. Un beato, una beata ricerca la stessa carriera verso il basso che ha avuto Gesù. Tale carriera è stata seguita dalla beata Alphonsa Maria in particolare tramite il servizio prestato ai poveri e agli ammalati, nei quali ella ha incontrato Dio. Ella era infatti convinta di poter vedere Dio nel prossimo. Ed ha potuto dedicarsi interamente ai più fragili, perché ha fatto suo lo spirito di Gesù Cristo, consistente essenzialmente nell’umiltà e nella povertà. La povertà rappresenta il fulcro di tutte le Beatitudini. Povertà, in ultima analisi, è sinonimo di creaturalità e mostra ciò che costituisce la vita cristiana: essere accoglienti e vivere con gratitudine, con fame di Dio e sete del suo amore. Essere poveri davanti a Dio significa essergli grati per la vita intera, significa concepire la vita come grato dono da restituire a Dio, come risposta al dono della vita fattoci dal Creatore e come risposta al dono della propria vita offertoci dal Redentore.

Ecco che ci appare, concretamente, il segreto della vita della beata Alphonsa Maria Eppinger. Ella ha sentito di essere amata da Dio, ne ha fatto l’esperienza, soprattutto attraverso la contemplazione della croce del Signore. La croce è infatti il segno più eloquente del fatto che Gesù non si è accontentato di dichiarare a parole il suo amore per gli uomini, ma ha pagato a caro prezzo questo amore, poiché nell’amore, sulla croce, ha donato il sangue del suo cuore per noi uomini e, così facendo, ci accolti in maniera definitiva. Tramite la contemplazione della croce, la beata Alphonsa Maria ha compreso profondamente ciò che significa redenzione, ovvero che noi uomini possiamo essere redenti soltanto grazie all’amore e che, dunque, l’essere redenti consiste nell’essere amati.

Si capisce allora anche il motivo più profondo per cui la beata Alphonsa Maria Eppinger ha fondato una comunità religiosa dedicata al Divino Redentore, la “Congregatio sororum a Divino Redemptore”. Come beata, ella ora vive già pienamente al cospetto del suo Redentore, e, dunque, può certamente aiutarci ad approfondire la nostra fede in Gesù Cristo come nostro Redentore e ad annunciarla agli altri con parole e con azioni. Pertanto, per esprimere la nostra gioia per la beatificazione di Alphonsa Maria Eppinger, non c’è modo migliore che dimostrare la nostra gratitudine verso Gesù Cristo, il quale ama infinitamente ogni singola persona e ci considera non come il risultato di un cieco destino, ma come individui da amare personalmente e ci invita a trasmettere questo amore agli altri uomini.

Ma noi possiamo trasmettere questo amore in maniera convincente solo se lasciamo dimorare Cristo in noi e se professiamo la stessa fede espressa da San Paolo con le seguenti parole: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me”. Questa inversione del soggetto viene sperimentata in maniera profonda soprattutto nella celebrazione eucaristica, che ci trasforma in uomini e donne eucaristici e trasforma la nostra intera vita in una preghiera eucaristica. Tutto ciò possiamo costatarlo concretamente nella vita e nella morte della beata Alphonsa Maria Eppinger, che rispecchia le parole pronunciate da San Paolo: “E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.” Amen.