Ceferino Giménez Malla

Ceferino Giménez Malla

(1861-1936)

Beatificazione:

- 04 maggio 1997

- Papa  Giovanni Paolo II

Ricorrenza:

- 2 agosto

Martire che, di origine zingara, si adoperò per promuovere la pace e la concordia tra il suo popolo e i vicini, finché fu arrestato in quella stessa persecuzione mentre difendeva un sacerdote trascinato per le vie dai miliziani. Rinchiuso in carcere e condotto infine al cimitero, fu fucilato con la corona del Rosario tra le mani, ponendo così fine al suo pellegrinaggio terreno

  • Biografia
  • omelia di beatificazione
Dimostrò che la carità di Cristo non conosce limiti di razza e di cultura

 

Ceferino Jiménez Malla nasce in Spagna nel 1861, non si sa bene dove e neppure precisamente quando, e fin da bambino conosce la precarietà della vita nomade e la povertà autentica.  Fa il panieraio, tesse cioè ceste e canestri, che poi vende di villaggio in villaggio, ma le bocche da sfamare sono tante, anche perché papà ha pensato bene di andar a vivere con un’altra donna, lasciando la prima famiglia nell’autentica indigenza.

A 18 anni è già sposato alla maniera gitana con Teresa Jiménez: un matrimonio felice, anche se privo di figli, che durerà più di 40 anni. Le testimonianze concordano:  le condizioni di estrema povertà non riescono a fare di lui un ladro o un approfittatore.

L’onestà che gli viene da tutti riconosciuta finisce per procurargli un’autorevolezza, una superiorità morale grazie alla quale acquista un ruolo di “capo” dei gitani di Barbastro e del circondario: gli chiedono consigli e lo fanno intervenire da paciere nelle liti famigliari, nelle controversie tra gitani e addirittura nelle dispute tra questi e le persone del luogo. La svolta economica della sua vita avviene per un atto di generosità: un giorno si carica sulle spalle e riporta a casa, incurante del pericolo di contagio, un ricco possidente di Barbastro, malato di tubercolosi, svenuto per strada a causa di uno sbocco di sangue. La famiglia di questi lo ricompensa con una forte somma, con la quale Zeffirino, da tutti soprannominato “El Pelè”, intraprende un redditizio commercio di muli che gli fa raggiungere un invidiabile livello di benessere.

Anche nel commercio e nell’improvvisa agiatezza si rivela però limpido ed onesto, fino allo scrupolo: chi acquista da lui sa che non avrà sorprese, perché gli eventuali difetti delle sue bestie sono messi ben in evidenza, non ammettendo frodi neppure dagli altri gitani. Eppure, un uomo così viene un giorno incarcerato perché due animali che ha comprato si sono rivelati rubati: elemento più che sufficiente per accusarlo di ricettazione o perlomeno di incauto acquisto.

Pesano sul suo arresto e sul processo, certamente, la sua origine gitana ed il pregiudizio razziale che fa di ogni zingaro un potenziale disonesto. Assolto per aver dimostrato la sua buona fede e la sua completa estraneità al furto, il Pelè continua la sua redditizia attività commerciale, nonostante la quale si riduce in povertà: ha infatti le mani bucate perchè soccorre chiunque è nel bisogno ed aiuta i poveri, il più delle volte di nascosto dalla moglie che non condivide questa sua prodigalità.

Prima di tutto, però, il Pelè è un cristiano convinto, che della sua fede non fa mistero: sempre con la corona del rosario in mano, attivissimo nelle associazioni religiose, impegnato nell’adorazione notturna e nella San Vincenzo, dalla messa e dalla comunione quotidiana soprattutto da quando, regolarizzando la sua posizione anche con il matrimonio religioso, ha potuto accostarsi ai sacramenti.

La rivoluzione del 1936 che scatena l’odio antireligioso, non riesce a fargli mutare minimamente la sua coraggiosa professione di fede: difatti lo arrestano nel mese di luglio, perché ha difeso un prete e perché in tasca gli han trovato la corona del rosario. Che non posa più, neppure quando amici influenti gli promettono l’immediata scarcerazione se soltanto evita di farsi vedere con la corona in mano.

Lo fucilano ai primi di agosto, ancora e sempre con il rosario in bella vista, insieme al suo vescovo con il quale è stato beatificato da Giovanni Paolo II nel 1997, primo e finora unico zingaro ad essere portato sugli altari. Nel 2011, a 150 anni dalla nascita ed a 75 dal martirio, si sono moltiplicate le iniziative, compreso un audiolibro, per lui, che non sapeva leggere, ma che aveva imparato molto bene a pregare.

È un analfabeta, che si porta dietro il marchio indelebile di essere un gitano, cioè uno zingaro, “malgrado” il quale è stato elevato alla gloria degli altari. Forse, a dire il vero, più in conseguenza della morte  che ha subito, che non della sua dirittura morale e della sua integrità di vita, anche se queste, da sole, già gli avrebbero meritato una corona di gloria.  

 

(fonte: santiebeati.it)

BEATIFICAZIONE DEI SERVI DI DIO: FLORENTINO ASENSIO BARROSO,
CEFERINO GIMÉNEZ MALLA,GAETANO CATANOSO,
ENRICO REBUSCHINI E MARÍA ENCARNACIÓN ROSAL

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

VI Domenica di Pasqua, 4 maggio 1997

 

1. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Gv 15, 12).

La Liturgia di questa sesta domenica di Pasqua ci invita a riflettere sul grande comandamento dell'amore alla luce del Mistero pasquale. Proprio la meditazione del nuovo comandamento, cuore e sintesi dell'insegnamento morale di Cristo, ci introduce nell'odierna celebrazione, resa particolarmente solenne e suggestiva dalla proclamazione di cinque nuovi Beati.

Nella seconda lettura e nel brano evangelico la legge della carità ci viene presentata come il testamento di Gesù alla vigilia della sua Passione. "Questo vi ho detto, perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15, 11): così Egli conclude il suo discorso agli Apostoli nell'ultima Cena.

L'amore di Dio è dunque la sorgente della vera letizia. E' quanto hanno personalmente sperimentato questi nostri fratelli nella fede, che vengono oggi presentati alla Chiesa come modelli di generosa adesione al comandamento del Signore. Essi sono "beati". Nella loro esistenza terrena, hanno vissuto in un modo del tutto particolare l'amore di Dio e, proprio per questo, hanno potuto godere la pienezza della gioia promessa da Cristo.

Oggi vengono proposti alla nostra venerazione come testimoni privilegiati dell'amore di Dio. Con il loro esempio e con la loro intercessione, indicano il cammino verso quella piena felicità che costituisce l'aspirazione profonda dell'animo umano.

2. Come abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale, poc'anzi cantato, il mondo intero è invitato a gioire per le grandi opere di Dio: "Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia" (Sal 97, 4). Oggi da diverse parti del mondo, in particolare dai luoghi dove i nuovi Beati hanno vissuto ed operato, sale a Dio un intenso cantico di lode e di ringraziamento per la beatificazione di Florentino Asensio Barroso, Vescovo e martire, Ceferino Giménez Malla, martire, Gaetano Catanoso, presbitero, fondatore della Congregazione delle Suore Veroniche del Volto Santo, Enrico Rebuschini, presbitero, dell'Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi e María Encarnación Rosal, religiosa, riformatrice dell'Istituto delle Suore Betlemite.

3. «Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15, 9). Il Vescovo Florentino Asensio Barroso rimase nell'amore di Cristo. Come Lui si dedicò al servizio dei fratelli, soprattutto nel ministero sacerdotale, che svolse generosamente per diversi anni prima a Valladolid e poi per un breve lasso di tempo come Vescovo Amministratore Apostolico a Barbastro, sede per la quale era stato eletto pochi mesi prima dell'inizio della deplorevole guerra civile del 1936. Per un ministro del Signore l'amore si vive nella carità pastorale e pertanto, di fronte ai pericoli che si profilavano, non abbandonò il suo gregge, ma, da Buon Pastore, offrì la sua vita per esso.

Il Vescovo, come maestro e guida nella fede per il suo popolo, è chiamato a professarla con le parole e con le opere. Monsignor Asensio assunse fino alle sue estreme conseguenze la responsabilità di Pastore morendo per la fede che viveva e predicava. Negli ultimi istanti della sua vita, dopo aver subito vessatori e laceranti tormenti, quando uno dei suoi carnefici gli chiese se conosceva il destino che lo attendeva, rispose con serenità e fermezza: «Vado in Paradiso». Proclamava così la sua incrollabile fede in Cristo, vincitore della morte e donatore di vita eterna. Mentre viene elevato alla gloria degli altari, il Beato Florentino Asensio Barroso continua ad animare con il suo esempio la fede dei fedeli della sua amata Diocesi aragonese e veglia su di essa con la sua intercessione.

4. «Vi ho chiamato amici» (Gv 15, 15). Sempre a Barbastro lo zingaro Ceferino Giménez Malla conosciuto come «El Pelé» morì per la fede in cui era vissuto. La sua vita dimostra che Cristo è presente nei diversi popoli e razze e che tutti sono chiamati alla santità, che si raggiunge osservando i suoi comandamenti e rimanendo nel suo amore (cfr Gv 15, 11). El Pelé fu generoso e accogliente con i poveri, pur essendo lui stesso povero, onesto nella sua attività, fedele al suo popolo e alla sua razza «gitana», dotato di un'intelligenza naturale straordinaria e del dono del consiglio. Fu soprattutto un uomo di profonde credenze religiose.

La frequente partecipazione alla Santa Messa, la devozione alla Vergine Maria con la recita del rosario, l'appartenenza a diverse associazioni cattoliche lo aiutarono ad amare Dio e il prossimo con interezza. Così, anche a rischio della propria vita, non esitò a difendere un sacerdote che stava per essere arrestato, per la qual cosa lo condussero in prigione, dove non abbandonò mai la preghiera e quando fu fucilato stringeva fra le sue mani il rosario. Il Beato Ceferino Giménez Malla seppe seminare concordia e solidarietà fra i suoi, mediando anche nei conflitti che a volte nascono fra «payos» e zingari, dimostrando che la carità di Cristo non conosce limiti di razza e di cultura. Oggi «El Pelé» intercede per tutti dinanzi al Padre comune e la Chiesa lo propone come modello da seguire ed esempio significativo dell'universale vocazione alla santità, specialmente per gli zingari che hanno con lui stretti vincoli culturali ed etici.

5. Padre Gaetano Catanoso ha seguito Cristo sulla via della Croce, facendosi con lui vittima di espiazione per i peccati. Ripeteva spesso di voler essere il Cireneo che aiuta Cristo a portare la Croce, gravosa più per i peccati che per il peso materiale del legno.

Vera immagine del Buon Pastore, egli si prodigò instancabilmente per il bene del gregge affidatogli dal Signore, nella vita parrocchiale come nell'assistenza agli orfani ed agli ammalati, nel sostegno spirituale ai seminaristi ed ai giovani preti come nell'animazione delle Suore Veroniche del Volto Santo da lui fondate.

Nutrì e diffuse una grande devozione al Volto insanguinato e sfigurato di Cristo, che egli vedeva riflesso nel volto di ogni uomo sofferente. Tutti coloro che lo incontravano, percepivano nella sua persona il buon profumo di Cristo; per questo amavano chiamarlo "padre", e tale lo sentivano realmente, poiché egli era un segno eloquente della paternità di Dio.

6. Anche il beato Enrico Rebuschini ha camminato decisamente, lungo la sua esistenza, verso quella "perfezione della carità", che costituisce il tema dominante della Liturgia della Parola di questa Domenica. Sulle orme del Fondatore, san Camillo de Lellis, egli ha testimoniato la carità misericordiosa, esercitandola in tutti gli ambiti in cui ha operato. Il suo saldo proposito di "consumare il proprio essere per dare Dio al prossimo, vedendo in esso il volto stesso del Signore", lo impegnò in un arduo cammino ascetico e mistico, caratterizzato da un'intensa vita di preghiera, da un amore straordinario per l'Eucaristia e dall'incessante dedizione per gli ammalati ed i sofferenti.

Egli è divenuto un punto di riferimento sicuro sia per i Chierici Regolari Ministri degli Infermi, che per la Comunità cristiana di Cremona. Il suo esempio costituisce per tutti i credenti un pressante invito ad essere attenti verso i sofferenti ed i malati nel corpo e nello spirito.

7. «Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15, 16). Madre María Encarnación Rosalprima guatemalteca beatificata, fu scelta per continuare il carisma del Beato Pedro de San José Betancourt, fondatore dell'Ordine Betlemita, il primo ordine latinoamericano. Oggi il suo frutto permane nelle Suore Betlemite che, insieme a tutti i membri della grande famiglia dell'Associazione dei Laici, si adoperano per mettere in pratica il loro carisma evangelizzatore al servizio della Chiesa.

Donna costante, tenace e animata soprattutto dalla carità, la sua vita fu fedeltà a Cristo, suo confidente assiduo attraverso la preghiera e la spiritualità di Betlemme. Ciò le causò molteplici sacrifici e afflizioni, dovendo pellegrinare da un luogo all'altro per poter consolidare la sua opera. Non le importò rinunciare a molte cose pur di salvare l'essenziale e affermó: «Che si perda tutto, meno la carità».

Sulla base di ciò che aveva imparato alla scuola di Betlemme, ossia l'amore, l'umiltà, la povertà, la dedizione generosa e l'austerità, visse una splendida sintesi di contemplazione e di azione, unendo alle opere esclusivamente educative lo spirito di penitenza, di adorazione e di riparazione al Cuore di Gesù. Che il suo esempio permanga fra le sue figlie e che la sua intercessione accompagni la vita ecclesiale del Continente americano che si dispone con speranza a varcare le soglie del Terzo Millennio dell'era cristiana!

8. La santità è chiamata che Dio rivolge a tutti, ma senza forzare la mano a nessuno. Dio chiede ed attende la libera adesione dell'uomo. Nell'ambito di questa vocazione universale alla santità, Cristo sceglie poi per ciascuno un compito specifico e, se trova corrispondenza, Egli stesso provvede a portare a compimento l'opera iniziata, facendo sì che il frutto rimanga.

"Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi... Voi siete miei amici" (Gv 15,9.14), continua a ripetere il Signore ed attende la nostra risposta, come ha fatto con i nuovi Beati. Il loro esempio ci ricorda che tutti siamo impegnati, ciascuno in modo diverso, a portare frutto, per il bene non solo nostro, ma dell'intera comunità.

Esultiamo, oggi, per il dono di questi nuovi Beati. Rendiamo grazie a Dio per quanto essi hanno compiuto e per le opere di bene che hanno lasciato al loro passaggio sulla terra. Preghiamo affinché il loro esempio sia seguito da molti ed aumenti il numero degli operai nella vigna del Signore.

Si rinnovi la faccia della terra (cfr Sal 103,30) per la potenza dello Spirito Santo, ed in ogni angolo del mondo risuoni il cantico della gioia, risuoni l'annuncio dell'amore divino.

Dio è amore: Egli ci ha amati per primo. Nostro compito ora è di amarci gli uni gli altri come Egli ci ha amati. Da questo ci riconosceranno per suoi discepoli. Nasce di qui la nostra responsabilità: essere testimoni credibili. I nuovi Beati lo sono stati. Ci ottengano di esserlo anche noi, affinché questo mondo che amiamo sappia riconoscere in Cristo l'unico vero Salvatore!