Diego Luis de San Vitores

Diego Luis de San Vitores

(1627-1672)

Beatificazione:

- 06 ottobre 1985

- Papa  Giovanni Paolo II

Ricorrenza:

- 2 aprile

Sacerdote della Compagnia di Gesù, ucciso crudelmente in odio alla fede cristiana nell'isola di Guam e buttato in mare da alcuni apostati e da alcuni indigeni seguaci di superstizioni pagane

  • Biografia
  • omelia di beatificazione
"Andate per tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura"

 

Di nobile famiglia spagnola, Diego Luis de San Vitores Alonso nasce a Burgos (Spagna) il 13 novembre 1627, ancora molto giovane, sente interiormente una voce che lo attrae e insieme lo muove.

Si sente attratto da Cristo, l’eterno inviato dal Padre per salvare gli uomini, che lo spinge ad andare in terre lontane come strumento della sua missione di salvezza.

Risuonano nelle orecchie di Diego le parole del Signore, la sua voce si fa ogni volta più chiara e insistente nel cuore generoso del giovane, che si apre a Dio e decide di entrare nella Compagnia di Gesù, rinunciando al brillante avvenire che le sue doti personali e la posizione sociale della sua famiglia gli avrebbero procurato.

Nella preghiera e nel raccoglimento chiede al Signore la grazia di non essere “sordo alla sua chiamata, ma pronto e diligente per fare la sua santissima volontà” (S. Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, 91). Il giovane religioso bussa alla porta dei suoi superiori perché lo inviino alle missioni dell’Oriente, per predicare la buona novella di Cristo ai popoli che ancora non lo conoscono.

Dopo un lungo e faticoso viaggio verso l’Oriente, via Messico, giunse nelle Filippine, dove rimase per cinque anni prima di essere inviato alle Isole Marianne. Nel giugno del 1668 il padre San Vitores e i suoi compagni gesuiti raggiunsero l’arcipelago e si stabilirono nell’isola di Guam, il centro della loro attività missionaria.

Il loro zelo apostolico e la completa dedizione nei confronti di quelle popolazioni bisognose di una promozione spirituale e umana, caratterizzarono gli anni di questo esemplare missionario, che, imitando le parole del maestro - “nessuno ha amore più grande di colui che sacrifica la propria vita per i suoi amici” (Gv 15, 13) - versò il suo sangue in sacrificio, mentre chiedeva a Dio di dimenticare il nome del responsabile della sua morte.

La sua vita si caratterizzò per una totale disponibilità ad accorrere là dove Dio lo chiamava. 

Il 2 aprile 1672, assieme al catechista filippino Pietro Calungsod, suo compagno di missione, fu crudelmente assassinato e buttato in mare da alcuni indigeni seguaci di superstizioni pagane.

SOLENNE CONCELEBRAZIONE PER LA BEATIFICAZIONE DEI SERVI DI DIO 
DIEGO LUIS DE SAN VITORES, JOSÉ MARIA RUBIO E FRANCISCO GÁRATE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 6 ottobre 1985

 

1. “Ecco, sto alla porta e busso” (Ap 3, 20).

Gesù Cristo, “il testimone fedele e verace, il principio della creazione di Dio” (Ap 3, 14) sta alla porta e bussa.

Gesù Cristo, colui che il Padre, ha consacrato con l’unzione e ho mandato a portare il lieto annunzio, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà . . .” (Is 61, 1).

Gesù Cristo, il vero chicco di grano che, caduto in terra, è morto e produce molto frutto (cf. Gv 12, 24).

Oggi anche noi siamo chiamati a essere testimoni di questo frutto.

2. Gesù Cristo. Tutte le letture dell’odierna liturgia parlano direttamente di lui, della sua persona e del suo mistero.

Ecco, egli si è fermato alla porta di quell’uomo, il cui nome era Ignazio di Loyola, e ha bussato al suo cuore. Tutti ricordiamo quel bussare. La sua eco continua a risuonare tuttora nella Chiesa diffusa nei cinque continenti.

Gesù Cristo, il testimone fedele e verace. Un frutto di questa testimonianza fu l’uomo nuovo nella storia di Ignazio di Loyola. E, in seguito, fu una grande comunità nuova, la “Societas Iesu”, la Compagnia di Gesù.

Oggi siamo invitati a ricordare i frutti dati da questa comunità nel corso di oltre quattro secoli; con le opere nel campo dell’apostolato, delle missioni, della scienza, dell’educazione, della pastorale.

Soprattutto i frutti dovuti alla santità della vita dei figli spirituali del Santo di Loyola.

Oggi tra coloro che la Chiesa ha elevato alla gloria degli altari, vengono aggiunti i tre servi di Dio: Diego Luis de San Vitores, José María Rubio y Peralta e Francisco Gárate.

3. I tre nuovi beati nacquero in Spagna, nazione che tanto si è distinta nella diffusione del Vangelo oltre che per la vitalità della sua fede cattolica.

Diverse diocesi e città si onorano di avere dei vincoli con questi eletti del Signore: Burgos è la città natale di padre San Vitores, l’evangelizzatore delle Isole Marianne; padre Rubio nacque a Dalias (Almería) ed esercitò il suo apostolato soprattutto nella capitale spagnola, restando noto come “l’apostolo di Madrid”; fratello Gárate è originario di un villaggio nelle immediate vicinanze della città di Loyola, parrocchia di Azpeitia (Guipúzcoa) e trascorse la maggior parte della sua vita a Deusto (Bilbao).

Qual è il messaggio di questi tre beati all’uomo d’oggi?

Se pensiamo ai principi più profondi delle loro vite vediamo che questi tre modelli di santità sono come uniti da un elemento comune: l’apertura totale e generosa a Dio che dice loro: “Ecco, io sto alla porta e busso: se uno sente la mia voce e mi apre, io entrerò da lui e cenerò con lui, e lui con me” (Ap 3, 20). “Apriamo la nostra porta per riceverlo quando, sentendo la sua voce, diamo liberamente il nostro assenso ai suoi inviti manifesti o velati e applichiamoci con impegno ai compiti che egli ci confida” (Venerabile Beda, Omelia 21).

Effettivamente la risposta dei tre beati subitanea e generosa alla chiamata di Dio unisce aspetti diversi, ma allo stesso tempo complementari, della loro vocazione religiosa vissuta come membri della Compagnia di Gesù.

4. Diego Luis de San Vitores Alonso, ancora molto giovane, sente interiormente una voce che lo attrae e insieme lo muove. Si sente attratto da Cristo, l’eterno inviato dal Padre per salvare gli uomini, che lo spinge ad andare in terre lontane come strumento della sua missione di salvezza. Risuonano nelle orecchie di Diego le parole del Signore nella sinagoga di Nazaret: “Evangelizzare pauperibus misit me” (Lc 4, 18; Is 61, 1). Gesù sta alla porta e chiama: la sua voce si fa ogni volta più chiara e insistente nel cuore generoso del giovane, che si apre a Dio e decide di entrare nella Compagnia di Gesù, rinunciando al brillante avvenire che le sue doti personali e la posizione sociale della sua famiglia gli avrebbero procurato.

Nella preghiera e nel raccoglimento, la sua anima contempla “Gesù che percorreva città e villaggi predicando il Vangelo del Regno” (Mt 9, 35), chiede al Signore la grazia di non essere “sordo alla sua chiamata, ma pronto e diligente per fare la sua santissima volontà” (S. Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, 91). Il giovane religioso bussa alla porta dei suoi superiori perché lo inviino alle missioni dell’Oriente, per predicare la buona novella di Cristo ai popoli che ancora non lo conoscono.

Dopo un lungo e faticoso viaggio verso l’Oriente, via Messico, giunse nelle Filippine, dove rimase per cinque anni prima di essere inviato alle Isole Marianne. Nel giugno del 1668 il padre San Vitores e i suoi compagni gesuiti raggiunsero l’arcipelago e si stabilirono nell’isola di Guam, il centro della loro attività missionaria.

Il loro zelo apostolico e la completa dedizione nei confronti di quelle popolazioni bisognose di una promozione spirituale e umana, caratterizzarono gli anni di questo esemplare missionario, che, imitando le parole del maestro - “nessuno ha amore più grande di colui che sacrifica la propria vita per i suoi amici” (Gv 15, 13) - versò il suo sangue in sacrificio, mentre chiedeva a Dio di dimenticare il nome del responsabile della sua morte.

La vita di questo nuovo beato si caratterizzò per una totale disponibilità ad accorrere là dove Dio lo chiamava. Egli parla in tono attuale e urgente ai missionari di oggi sull’atteggiamento aperto e preparato per rispondere alle esigenze del mandato: “Andate per tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15).

Giovani che mi ascoltate, o che riceverete questo messaggio: aprite il vostro cuore al Signore che sta alla porta e chiama (cf. Ap 3, 20). Siate generosi come il giovane Diego, che lasciando tutto si fece pellegrino e missionario in terre lontane per dare testimonianza dell’amore di Dio per gli uomini.

5. José María Rubio y Peralta, “l’apostolo di Madrid”. La sua vita di fedele seguace di Cristo ci insegna che è l’atteggiamento docile e umile nei confronti dell’operare di Dio ciò che fa progredire il cristiano sul cammino della perfezione e lo converte in uno strumento di salvezza.

Sapete tutti come padre Rubio esercitò dal confessionale e dal pulpito una grande attività apostolica. Il suo squisito tatto di guida di anime gli faceva trovare il consiglio adeguato, la parola giusta, la penitenza, a volte esigente, che durante gli anni di paziente e silenziosa opera, crearono via via apostoli, uomini e donne di ogni classe sociale, che divennero in molti casi suoi collaboratori nelle opere assistenziali e di carità, da lui ispirate e dirette. Formò secolari impegnati, ai quali amava ripetere la sua nota frase: “Bisogna avere slancio!”, animandoli a farsi presenti come cristiani negli ambienti poveri ed emarginati della periferia di Madri dagli inizi del secolo, dove egli creò scuole e si prese cura dei malati, degli anziani e degli operai disoccupati.

Il suo dialogo assiduo con Cristo, soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, e la sua devozione al Sacro Cuore lo portarono all’intimità con il Signore e ai suoi stessi sentimenti (cf. Fil 2, 5 ss.). Nell’esemplare traiettoria della sua vita, questo illustre figlio di Sant’Ignazio si presenta all’uomo d’oggi come un autentico “alter Christus”, un sacerdote che guarda il popolo dal punto di vista di Dio e che per far ciò ha la virtù di comunicare al prossimo qualcosa che è riservato a coloro che vivono in Cristo.

6. Il messaggio di santità che il fratello Francisco Gárate Aranguren ci ha inviato è semplice e chiaro, come fu semplice la sua vita di religioso sacrificato nella portineria di un centro universitario di Duesto. Fin dalla giovinezza Francisco spalancò il suo cuore a Cristoche batteva alla sua porta invitandolo ad essere suo seguace fedele, suo amico. Come la Vergine Maria, che amò teneramente come madre, rispose con generosità e fiducia senza limiti, alla chiamata della grazia.

Fratello Gárate visse la sua consacrazione religiosa come apertura radicale a Dio, al cui servizio e gloria si offrì (cf. Lumen gentium, 44) e da cui riceveva ispirazione e forza per dare testimonianza di una grande bontà con tutti. Questo lo poterono confermare tante e tante persone che passarono per la portineria del cosiddetto, affettuosamente, “Fratello Delicatezze”, presso l’Università di Deusto: studenti, professori, impiegati, padri dei giovani residenti, gente insomma di tutte le classi e le condizioni, che notarono nel fratello Gárate la disposizione totale e sorridente di chi ha il suo cuore legato a Dio.

Costui ci dà una testimonianza concreta e attuale del valore della vita interiore come anima di ogni forma di apostolato oltre che della consacrazione religiosa. In verità quando ci si sta offrendo a Dio e si concentra in lui la propria vita, i frutti apostolici non si fanno aspettare. Dalla portineria di una casa di studi, questo fratello coadiutore gesuita rese presente la bontà di Dio mediante la forza evangelizzatrice del suo servizio silenzioso e umile.

7. Che cosa dicono alla Chiesa e al mondo attuale i tre beati che oggi esaltiamo e che la liturgia chiama “querce di giustizia, piantate dal Signore per la sua gloria” (Is 61, 3)?

In epoche diverse, con persone e in aree geografiche differenti, risposero prontamente all’invito di Gesù che li chiamava all’intimità con lui. Con le loro vite incentrate nell’amore di Dio, diedero, ciascuno a suo modo, testimonianza: della disponibilità assoluta del missionario che giunge fino allo spargimento di sangue, dell’opera paziente e delicata di guida delle coscienze e creatore di apostoli, di servizio umile e silenzioso, nel compiere l’ufficio quotidiano.

8. Dirigiamo di nuovo il nostro sguardo al “testimone fedele e verace” del libro dell’Apocalisse, che un giorno si trattenne davanti alla porta di Ignazio di Loyola e chiamò. Attento al passaggio del Signore, Ignazio gli aprì la porta del suo cuore. Con questa risposta, il cuore di Gesù si convertì per lui in “fonte di vita e santità”.

Oggi, come nei tempi scorsi, la Chiesa eleva nuovamente all’onore dell’altare tre figli di Sant’Ignazio. Che questo giorno solenne diventi in Gesù Cristo un nuovo “principio della creazione di Dio” (Ap 3, 14). Che, in virtù di questo “principio”, si rinnovi in ognuno dei membri della Compagnia di Gesù la chiamata all’indivisibile servizio a Dio nella Chiesa e nel mondo, che il vostro fondatore e padre espresse con quelle brevi parole: “Prendete, o Signore, e ricevete tutta la mia libertà . . .” (S. Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, 234).

I nomi dei gesuiti Diego Luis de San Vitores Alonso, José Maria Rubio y Peralta e Francisco Gárate Aranguren, vengono oggi a sommarsi alla lunga e feconda storia di santità di questa benemerita famiglia religiosa. Costoro, come il chicco di grano che cade a terra e muore, diedero molti frutti. furono fecondi perché Dio fu al centro della loro vita.

Che in tutta la vostra comunità ignaziana si ravvivi con nuova forza la chiamata alla santità di cui sono alti esempi i nuovi beati che oggi la Chiesa celebra come figli prediletti.

Che per intercessione di Maria, regina di tutti i santi, alla cui attenzione materna affido l’eredità di santità con cui lo Spirito ci ha arricchiti, siano sempre più abbondanti i frutti di pienezza di vita cristiana nella Chiesa.