Elisabetta Sanna

Elisabetta Sanna

(1788-1857)

Venerabilità:

- 27 gennaio 2014

- Papa  Francesco

Beatificazione:

- 17 settembre 2016

- Papa  Francesco

Ricorrenza:

- 17 febbraio

Madre di famiglia, laica, terziaria professa dell’Ordine dei Minimi di S. Francesco, del Sodalizio dell’Unione dell’Apostolato Cattolico. Rimasta vedova, si dedicò totalmente alla preghiera e al servizio degli ammalati e dei poveri

  • Biografia
  • dalla beatificazione
  • Angelus
"Vorrei pieno il Cielo, svuotato il Purgatorio, chiuso l'Inferno"

 

Elisabetta Sanna nacque a Codrongianos (Sassari) il 23 aprile 1788, seconda di nove figli, in una famiglia di agiati contadini. Il padre era sindaco del paese; uno dei fratelli, Antonio Luigi, sacerdote.

All’età di tre mesi, la piccola fu colpita dal vaiolo, a causa del quale non poté più sollevare le braccia; muoveva le dita e i polsi, ma non poteva portare con le mani il cibo alla bocca, né farsi il segno della Croce, né pettinarsi, lavarsi la faccia, cambiarsi gli abiti; poteva, però, impastare il pane, infornarlo e sfornarlo. E nonostante l’evidente svantaggio fisico, fu chiesta presto in sposa.

Dal matrimonio nacquero sette figli, cinque dei quali sopravvissero. La madre riuscì ad allevarli nel migliore dei modi e oltre a loro educò anche i bambini del paese, catechizzandoli e preparandoli ai sacramenti. La sua casa era aperta soprattutto alle donne desiderose di imparare canti e preghiere.

Dopo 17 anni di vita coniugale, nel 1825 morì il marito. Don Antonio Luigi fece grandi elogi della prudenza e del coraggio della sorella che non si disperò, ma seppe educare i figli, guidare i lavori dei campi, curare le mansioni domestiche, aiutare i bisognosi e visitare spesso la Madonna di Saccargia.

Sebbene trascorresse tanto tempo in chiesa, la sua casa era sempre in ordine e diventò ben presto un piccolo oratorio. Crescendo nella vita spirituale, la vedova Elisabetta fece voto di perpetua castità e, incoraggiata dal predicatore quaresimale, decise d’intraprendere un pellegrinaggio in Terra Santa, insieme al suo confessore don Giuseppe Valle. Durante il viaggio, il progetto si rivelò impossibile e i pellegrini si recarono a Roma.

Qualche tempo dopo, nell’Urbe, Elisabetta conobbe in modo straordinario san Vincenzo Pallotti e si affidò alla sua direzione spirituale. Fu lui che comunicò a don Antonio Luigi che la sorella, al momento, non poteva viaggiare per motivi di salute e che sarebbe tornata in Sardegna appena fosse stata meglio. In realtà, il male si inasprì e il ritorno non fu più possibile. Quando morì nel 1857, la sua fama di santità era così grande che, dopo quattro mesi, iniziò il processo di beatificazione.

Elisabetta del resto aveva ricevuto in famiglia una profonda educazione cristiana, in cui perseverò per tutta la vita. Il fratello ha lasciato testimonianze delle preghiere fatte insieme a casa, della recita del Rosario, della partecipazione alle celebrazioni e dell’aiuto prestato ai poveri. La fede, la speranza e la preghiera di Elisabetta si univano all’amore verso il prossimo, in modo particolare ai più bisognosi e alla propria famiglia. Da fanciulla, incoraggiata dal padre, fu generosa verso gli indigenti; a 15 anni dirigeva le adunanze delle ragazze, delle quali era anche catechista.

Da vedova, pur avendo solo un piccolo alloggio per la sua numerosa famiglia, ospitò una giovane, rimasta vedova anch’ella, che aveva preso una strada sbagliata, finché non fu redenta. A Roma accudiva i bisognosi di beni materiali e spirituali; assisteva gli ammalati in ospedale e nelle loro case, anche a costo di ricevere da qualcuno segni di ingratitudine.

Ma anche alla sua famiglia manifestò un grande amore: dopo la morte del marito, ogni domenica si recava con i figli all’oratorio di Santa Croce, dove si trovava la tomba del consorte; recitava genuflessa il rosario e invocava la Regina degli angeli e dei santi.

San Vincenzo Pallotti ricordò a tutti i cristiani la loro responsabilità per l’evangelizzazione del mondo. Tutti sono chiamati all’apostolato, cioè a fare: «quanto ciascuno può e deve per la maggiore gloria di Dio, e per la propria e altrui eterna salvezza». Ed Elisabetta indirizzò realmente tutto ciò che aveva e faceva alla gloria di Dio e al bene del prossimo; tanto che la sua vita divenne una consapevole partecipazione all’apostolato della Chiesa. Pregava per le necessità dei bisognosi, per i malati, per i defunti e per la conversione dei peccatori, implorando Dio che tutti fossero salvi. All’apostolato pallottino serviva molto il dono del suo discernimento spirituale, di cui faceva uso per aiutare le numerose persone che ricorrevano a lei.

Nella sua povera soffitta romana, davanti al quadro della Virgo potens, pregava con i suoi ospiti e dava loro sapienti consigli. Fra chi vi ricorreva c’era gente d’ogni classe sociale, lo stesso san Vincenzo e il cardinale Soglia. Anche la sua appartenenza all’ordine francescano secolare (allora terz’ordine francescano) e all’unione dell’apostolato cattolico, era servizio apostolico alla Chiesa, ed era così grande che il Pallotti, nei confronti della sua società, poteva dire: «Due sono quelli che hanno mandato innanzi sinora il nostro Istituto: una povera che è Elisabetta Sanna; l’altro è il cardinale Lambruschini». Una parte delle sue numerose sofferenze era legata all’impossibilità di tornare in famiglia, un’altra alle malattie e altre alle vessazioni del demonio. Ed Elisabetta le offriva, insieme alle preghiere e alle pratiche di penitenza, come espiazione per i peccati e per implorare la salvezza di tutti. Seguendo l’esempio di Vincenzo Pallotti, pregava anche e offriva le sue sofferenze per l’unità dei cristiani, perché di tutto il mondo si facesse un solo ovile.

E l’atteggiamento quotidiano di Elisabetta nelle difficoltà e nelle sofferenze è quanto mai significativo per i cristiani di oggi. Lei non potendo ritornare in famiglia, soffriva e piangeva molto, ma non si scoraggiò; seppe affidarsi a Dio, accettare la nuova situazione e servire gli altri, rimanendo sempre fedele al Vangelo e alla Chiesa. Secondo diverse testimonianze, il suo dolore ebbe tregua quando seppe che la famiglia era in uno stato migliore di quando lei l’aveva lasciata. Come prova schiacciante che aveva intenzione di tornare in famiglia, ci sono le sue parole pronunciate sotto giuramento nel 1852, in qualità di testimone nel processo di beatificazione di Vincenzo Pallotti.

«Umile imitatrice di Cristo e premurosa testimone della sua carità»: è il profilo spirituale della nuova beata Elisabetta Sanna — «laica, vedova, terziaria francescana, membro dell’Unione dell’apostolato cattolico di san Vincenzo Pallotti» — tracciato dal cardinale Angelo Amato. Il prefetto della Congregazione delle cause dei santi ne ha presieduto il rito di beatificazione sabato 17 settembre, a Codrongianos in Sardegna, in rappresentanza di Papa Francesco.

Sintetizzandone il carisma, il porporato l’ha definita donna della misericordia, in quanto la sua vita fu una pratica continua delle opere di misericordia corporale e spirituale. Ella infatti visse in quel «lembo di paradiso» che è l’isola sarda, illetterata, nonostante la sua famiglia fosse benestante, ma ricca di una «fede semplice e tenace, profondamente radicata nel suo cuore e vissuta con quella essenzialità di forme propria dei tanti nuraghi presenti nel territorio». Il riferimento del celebrante è stato alle antichissime costruzioni che costellano la Sardegna «essenziali ma solide, che hanno resistito all’usura del tempo, giungendo intatte fino a noi».

Il cardinale Amato ha poi ricordato che Elisabetta «si mise in viaggio per un pellegrinaggio in Terra Santa» e «che per motivi contingenti, il viaggio da Porto Torres la portò a Genova e subito dopo a Roma, dove, a causa della salute molto cagionevole, rimase per tutto il resto della sua vita», senza mai poter raggiungere Gerusalemme né tornare a casa.

Infatti il suo confessore san Vincenzo Pallotti — ha spiegato il porporato — «le consigliò di non preoccuparsi dei figli e di non rischiare il viaggio in Sardegna, che poteva esserle fatale». Ella accettò, anche perché a Roma riceveva notizie tranquillizzanti sui suoi cari, che «si trovavano in buone mani, in casa del fratello sacerdote don Antonio Luigi». Certo, ha sottolineato il prefetto della Congregazione delle cause dei santi, i primi anni «ne sentì fortemente la mancanza, piangendo al loro ricordo. Ma san Vincenzo Pallotti la rassicurava continuamente». Poiché era finalmente giunta «a vivere la vocazione, avuta fin da piccola, di consacrarsi totalmente a Dio». A tale proposito, il porporato ha rievocato l’esperienza di una santa francese, la suora orsolina Maria dell’Incarnazione, al secolo Marie Guyart (1599-1672), canonizzata da Papa Francesco nel 2014. «Rimasta vedova giovanissima — ha detto — affidò al collegio dei gesuiti il suo figlio Claudio per farsi religiosa». Il bambino, che all’inizio piangeva implorando il ritorno a casa della mamma, non solo non subì alcuna conseguenza psicologica nella crescita, ma divenne benedettino e il più fervido ammiratore della madre, che nel frattempo era partita missionaria in Canada, pioniera dell’evangelizzazione in quelle terre.

Ritornando a parlare della beata Sanna, il cardinale Amato ha rievocato come a Roma nonostante il freddo, la fatica del cammino e «le braccia rattrappite» — per una infermità che l’aveva colpita sin dall’infanzia — ella si recasse spesso «all’ospedale San Giacomo o in case private per servire le ammalate».

Inoltre, ha proseguito nella ricostruzione della sua vicenda umana, delle elemosine che riceveva, «toltone quel poco che serviva per il suo misero vitto, ne faceva elemosina agli altri». E mai si turbava «per gli insulti ricevuti. Non permetteva che si parlasse male del prossimo. Pregava e faceva pregare per i condannati a morte».
In definitiva le opere di san Vincenzo Pallotti furono le principali destinatarie della sua carità: «per esse lavorava di maglia e cucito e a esse mandava oggetti e denaro. Il Pallotti soleva dire che i grandi benefattori dell’Istituto erano una donna povera, Elisabetta Sanna, e il cardinale Lambruschini».

L’Eucaristia, ha aggiunto il cardinale Amato, era «l’approdo della sua anima, adoratrice instancabile del Santissimo Sacramento dell’altare», tanto che ascoltava anche cinque o sei messe al giorno. Questo fervore eucaristico «lo riversava nell’amore del prossimo con un cuore aperto a tutti nel consiglio e nel servizio».

Già a Codrongianos, dopo la morte del marito, la sua casa era divenuta una specie di oratorio. E a Roma era «nota la sua disponibilità verso chi si rivolgeva a lei; nobili e plebei, amici e nemici, ricchi e poveri. romani e forestieri, grandi e piccoli». Infatti, con le sue parole «metteva pace nelle famiglie e ristabiliva la concordia tra i coniugi». Un biografo scrive che Elisabetta aveva una grazia particolare «per consolare gli afflitti, che, parlando con lei, sentivano tornare nei loro cuori pace e tranquillità». Riusciva, ha concluso il cardinale, a ispirare sentimenti di carità e perdono e ne dava l’esempio, poiché «non solo perdonava le offese, ma cercava di fare quanto più bene poteva a chi l’avesse offesa».

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 18 settembre 2016

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi Gesù ci porta a riflettere su due stili di vita contrapposti: quello mondano e quello del Vangelo. Lo spirito del mondo non è lo spirito di Gesù. E lo fa mediante il racconto della parabola dell’amministratore infedele e corrotto, che viene lodato da Gesù nonostante la sua disonestà (cfr Lc 16,1-13). Bisogna precisare subito che questo amministratore non viene presentato come modello da seguire, ma come esempio di scaltrezza. Quest’uomo è accusato di cattiva gestione degli affari del suo padrone e, prima di essere allontanato, cerca astutamente di accattivarsi la benevolenza dei debitori, condonando loro parte del debito per assicurarsi così un futuro. Commentando questo comportamento, Gesù osserva: «I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (v. 8).

A tale astuzia mondana noi siamo chiamati a rispondere con l’astuzia cristiana, che è un dono dello Spirito Santo. Si tratta di allontanarsi dallo spirito e dai valori del mondo, che tanto piacciono al demonio, per vivere secondo il Vangelo. E la mondanità, come si manifesta? La mondanità si manifesta con atteggiamenti di corruzione, di inganno, di sopraffazione, e costituisce la strada più sbagliata, la strada del peccato, perché una ti porta all’altra! È come una catena, anche se - è vero - è la strada più comoda da percorrere, generalmente. Invece lo spirito del Vangelo richiede uno stile di vita serio - serio ma gioioso, pieno di gioia! -, serio e impegnativo, improntato all’onestà, alla correttezza, al rispetto degli altri e della loro dignità, al senso del dovere. E questa è l’astuzia cristiana!

Il percorso della vita necessariamente comporta una scelta tra due strade: tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e altruismo, tra bene e male. Non si può oscillare tra l’una e l’altra, perché si muovono su logiche diverse e contrastanti. Il profeta Elia diceva al popolo di Israele che andava su queste due strade: “Voi zoppicate con i due piedi!” (cfr 1 Re 18,21). È bella l’immagine. È importante decidere quale direzione prendere e poi, una volta scelta quella giusta, camminare con slancio e determinazione, affidandosi alla grazia del Signore e al sostegno del suo Spirito. Forte e categorica è la conclusione del brano evangelico: «Nessun servo può servire a due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro» (Lc 16,13).

Con questo insegnamento, Gesù oggi ci esorta a fare una scelta chiara tra Lui e lo spirito del mondo, tra la logica della corruzione, della sopraffazione e dell’avidità e quella della rettitudine, della mitezza e della condivisione. Qualcuno si comporta con la corruzione come con le droghe: pensa di poterla usare e smettere quando vuole. Si comincia da poco: una mancia di qua, una tangente di là… E tra questa e quella lentamente si perde la propria libertà. Anche la corruzione produce assuefazione, e genera povertà, sfruttamento, sofferenza. E quante vittime ci sono oggi nel mondo! Quante vittime di questa diffusa corruzione. Quando invece cerchiamo di seguire la logica evangelica dell’integrità, della limpidezza nelle intenzioni e nei comportamenti, della fraternità, noi diventiamo artigiani di giustizia e apriamo orizzonti di speranza per l’umanità. Nella gratuità e nella donazione di noi stessi ai fratelli, serviamo il padrone giusto: Dio.

La Vergine Maria ci aiuti a scegliere in ogni occasione e ad ogni costo la strada giusta, trovando anche il coraggio di andare controcorrente, pur di seguire Gesù e il suo Vangelo.

Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

ieri a Codrongianos (Sassari) è stata proclamata Beata Elisabetta Sanna, madre di famiglia. Rimasta vedova, si dedicò totalmente alla preghiera e al servizio degli ammalati e dei poveri. La sua testimonianza è modello di carità evangelica animata dalla fede.

Oggi, a Genova, si conclude il Congresso Eucaristico Nazionale. Rivolgo un saluto speciale a tutti i fedeli là convenuti, e auspico che questo evento di grazia ravvivi nel popolo italiano la fede nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia, nel quale adoriamo Cristo sorgente di vita e di speranza per ogni uomo.

Martedì prossimo mi recherò ad Assisi per l’incontro di preghiera per la pace, a trent’anni da quello storico convocato da san Giovanni Paolo II. Invito le parrocchie, le associazioni ecclesiali e i singoli fedeli di tutto il mondo a vivere quel giorno come una Giornata di preghiera per la pace. Oggi più che mai abbiamo bisogno di pace in questa guerra che è dappertutto nel mondo. Preghiamo per la pace! Sull’esempio di san Francesco, uomo di fraternità e di mitezza, siamo tutti chiamati ad offrire al mondo una forte testimonianza del nostro comune impegno per la pace e la riconciliazione tra i popoli. Così martedì, tutti uniti in preghiera: ognuno si prenda un tempo, quello che può, per pregare per la pace. Tutto il mondo unito.

Saluto con affetto tutti voi, romani e pellegrini provenienti da diversi Paesi. In particolare saluto i fedeli della diocesi di Colonia e quelli di Marianopoli.

E a tutti auguro una buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!