Eufrasia Eluvathingal del Sacro Cuore

Eufrasia Eluvathingal del Sacro Cuore

(1877-1952)

Beatificazione:

- 03 dicembre 2006

- Papa  Benedetto XVI

Canonizzazione:

- 23 novembre 2014

- Papa  Francesco

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 29 agosto

Vergine, della Congregazione delle Suore della Madre del Carmelo

  • Biografia
  • Omelia
  • Lettera Apostolica
“Tabernacolo mobile”: profonda unione con Dio e straordinarie esperienze mistiche

 

 

VITA  E  OPERE

 

 

Eufrasia Eluvathingal del Sacro Cuore appartiene alla congregazione delle Suore della Madre del Carmelo, fondata dal Beato Kuriakose Elias Chavara e dal missionario carmelitano italiano P. Leopoldo Beccaro, OCD, nel 1866 a Koonammavu, Distretto di Ernakulam, Kerala, India.

Madre Eufrasia nacque il 17 ottobre 1877 nella famiglia aristo­cratica dei Cherpukaran Eluvathingal, nel villaggio di Kattoor. Fu battezzata nella chiesa della Madre del Carmelo a Edathuruthy con il nome di Rosa. Aveva una madre molto devota e osservante, che seguì particolarmente la formazione religiosa dei cinque figli, tre maschi e due femmine, indirizzandoli soprattutto verso la devozione alla SS.ma Vergine Maria, insegnando loro a pregare con il rosario.

Rosa dedicò la propria verginità a Dio all’età di nove anni su indicazione della Vergine Maria che le apparve e le insegnò ad adorare Dio ogni ora con il coro angelico. Suo padre, un uomo forte e testardo, voleva darla in sposa al figlio di un ricco possidente locale. La figlia, ugualmente ostinata, non si arrese. Ma la morte della sorella minore di Rosa convinse il padre pentito a iscriverla, secondo il suo desiderio, al collegio delle Suore Carmelitane a Koonammavu.

Qui Rosa fu molto felice, ma dovette aspettare circa nove anni per entrare a far parte della vita religiosa, a causa delle sue cattive con­dizioni di salute. Per due volte dovette tornare a casa per curarsi e poi ritornò in collegio. Una volta fu in pericolo di vita, ma la Sacra Famiglia – Gesù, Maria e Giuseppe – le apparve e la guarì. Così fu accettata, a causa della sua pietà, modestia, vita disciplinata e obbediente.

Al momento della ri-divisione dei vicariati siro-malabaresi in Kerala, su istruzione del vescovo Menachery, Rosa fu condotta con altri trichuresi a Ambazhakkad, il primo convento della Diocesi indivisa di Trichur. Divenne postulante il 10 maggio 1897, all’età di 20 anni, e ricevette il nome di Eufrasia del Sacro Cuore di Gesù. L’anno seguente vestì l’abito religioso e il 24 maggio 1900, alla benedizione del nuovo convento a Ollur, emise la professione.

A causa degli eventi straordinari che le accadevano, il Vescovo le ordinò di confessare tutto a lui e, se ciò non fosse stato possibile, di scrivergli tutto riguardo alla sua vita spirituale. Lei obbedì e gli scrisse lettere ogni volta che non poteva comunicare con lui in persona. Nonostante lei chiedesse ripetutamente di distruggerle, a sua insaputa il Vescovo le conservò: queste lettere sono state custo­dite e costituiscono la principale fonte di conoscenza della sua santità, profonda spiritualità e unione con Dio, nonché delle sue straordinarie esperienze mistiche.

Dopo la professione fu nominata assistente della Maestra delle Novizie e prestò servizio anche nell’infermeria per le suore malate. Dopo quattro anni fu nominata ufficialmente prima Maestra delle Novizie, incarico che esercitò con carità e fortezza per lunghi periodi. Suor Eufrasia teneva particolarmente che le novizie crescessero in grande disciplina ascetica, santità e spiritualità, seguendo le orme del Maestro, Gesù Cristo.

Dopo nove anni, venne nominata Madre Superiora dello stesso Convento di St. Mary, a Ollur. Fu una vera madre per le consorelle, ma le ammoniva quando era necessario. Mostrava anche una partico­lare preoccupazione per i malati e i deboli. Come Superiora mise costantemente in pratica quello che insegnava. Conducendo un’austera vita di santità, fu un modello per tutti.

La popolazione di Ollur, vedendola pregare sempre vicino al san­tuario, le diede il soprannome di “Madre Orante” e “Sorella Virtuosa della Famiglia Cherpukaran”. Il modo in cui andava in giro, con gli occhi bassi, immersa nell’amore divino, era sufficiente a ispirare devozione in chi la vedeva. Osservando la pace e la serenità sul suo volto, le suore usavano anche chiamarla “Tabernacolo Mobile”.

Nella sua vita spirituale, seguiva il suo modello, Santa Teresa d’Avila. Gesù le concesse doni interiori straordinari ed ella raggiunse le vette più alte del misticismo. Scrisse al suo Padre Spirituale: “Negli ultimi quattro mesi ho notato qualcosa di speciale in me. Dovunque io sia, quando faccio un lavoro oppure sono impegnata in una conversazione, qualcuno mi parla amorevolmente nel mio cuore senza sosta e attira la mia mente, all’improvviso, verso quel grande amore del cuore” (Lettera 65, 1 giugno 1912).

Anche se Madre Eufrasia non fu contenta di essere nominata Superiora, accettò questo incarico per obbedienza. Nel suo ruolo, affidò la cura e l’amministrazione del Convento al Sacro Cuore di Gesù, la cui statua fece porre al centro del Convento e vi sostava spesso in preghiera. La sua devozione al Sacro Cuore era in lei una fiamma inestinguibile. Era solita consigliare gli altri di coltivare la stessa devozione.

Di solito Eufrasia sedeva ore e ore in comunione con il Signore dimenticando se stessa e le circostanze. Durante il tempo di ringra­ziamento dopo la comunione, otteneva estasi, visioni e rivelazioni.

Baciava ripetutamente e con fervore il crocifisso, condividendo la passione di Cristo anche flagellandosi e indossando una catena di spine attorno alla vita. Riceveva ogni giorno la comunione e si univa al sacrificio eucaristico in riparazione per il peccato e l’ingratitudine di molti.

Madre Eufrasia nutrì una devozione filiale nei confronti della Vergine Maria, e aveva per lei maggiore sollecitudine di quanta ne dimostrasse alla sua stessa madre. Pregando il rosario e cercando l’intercessione della Madre di Dio, offriva suffragi alle anime del purgatorio.

Intercedeva per la Chiesa, per il Papa, per i Vescovi e per i sa­cerdoti. Ogni volta che riceveva un favore dagli altri, usava ringraziare dicendo: “Non lo dimenticherò neanche dopo la morte”. Diede tutto ciò che aveva per gli altri e li aiutò in diversi modi.

A settantacinque anni, come aveva predetto, si ammalò e fu co­stretta a letto per tre giorni. La gente accorreva da ogni dove e cercava la sua benedizione. Chiese gli ultimi sacramenti e li ricevette con devozione. Il 29 agosto 1952 alle 20,40 la sua anima volò dal suo Signore. La campana della chiesa del convento di Cheralayam, per la cui fondazione aveva tanto pregato e offerto sacrifici, suonò da sola annunciando la morte di una “santa!” Dopo i funerali fu seppellita nel cimitero del convento, da dove i suoi resti furono trasferiti, il 30 gennaio 1990, nella cappella del convento di Santa Maria ad Ollur.

 

 

"ITER" DELLA CAUSA

 

 

In virtù della fama di santità, i fedeli si recavano alla tomba di Madre Eufrasia, invocando la sua intercessione nelle varie situazioni di vita, nelle malattie, nelle difficoltà economiche, per riuscire negli esami, per ottenere il lavoro, per essere aiutati a crescere nella preghiera e nella vita spirituale. In seguito a ciò, molti fedeli ottennero grande profusione di grazie e favori.

 

a) In vista della beatificazione

 

Nel 1987 si iniziò la Causa di beatificazione nell’eparchia di Trichur e il 22 ottobre nello stesso anno fu costituito il tribunale dell’Inchiesta sulla vita e virtù e sulla fama di santità e miracoli in genere di Madre Eufrasia.

Il 19 giugno 1991 si è tenuta l’ultima sessione del tribunale nella chiesa cattedrale di Trichur.

Il 20 giugno 1991 tutti gli atti del Processo Eparchiale furono inviati a Roma.

La Positio sulle virtù fu presentata alla Congregazione il 20 aprile 1994. Il 5 luglio 2002, le virtù della Serva di Dio furono rico­nosciute eroiche dal Santo Padre Giovanni Paolo II.

Nel frattempo la presunta guarigione miracolosa di un uomo da sarcoma di secondo grado, attribuita all’intercessione della Venera­bi­le Eufrasia, avvenuta nel 1997, veniva indagata dal tribunale epar­chiale di Trichur dal 3 dicembre 1998 all’8 gennaio 1999. Gli atti del processo furono inviati a Roma il 6 marzo 1999 e il 26 novembre 1999 la Congregazione delle Cause dei Santi ha promulgato il decreto di validità.

Nella Consulta Medica della Congregazione, che si è tenuta il 3 febbraio 2005, i membri all’unanimità hanno riconosciuto l’inspiega­bi­lità di detta guarigione. Successivamente i Consultori Teologi e poi i Cardinali e i Vescovi del Dicastero hanno espresso il loro giudizio favorevole ravvisando nell’evento l’intercessio­ne di Madre Eufrasia.

Il miracolo fu riconosciuto dal Santo Padre Benedetto XVI il 26 giugno 2006. Madre Eufrasia è stata beatificata il 3 dicembre 2006 nella Parrocchia di St. Antony a Ollur, Kerala.

 

b) In vista della canonizzazione

 

In vista della canonizzazione, il 10 aprile 2008 si è costituito un tribunale eparchiale per l’indagine su un presunto miracolo – la guarigione dalla “cisti del dotto tireoglosso di un bambino di 6 anni, della parrocchia di Kallettumkara dell’eparchia di Irinjalakuda, Kerala, attribuita all’intercessione della Beata Eufrasia. La sessione dell’apertura si è tenuta il 22 giugno 2008.

L’Indagine Eparchiale è stata completata il 31 agosto 2010.

Il 3 ottobre 2010 gli atti dell’Indagine Eparchiale furono consegnati alla Congregazione delle Cause dei Santi.

Nella Consulta Medica, che si è tenuta il 4 luglio 2013, i Periti hanno espresso il loro parere favorevole circa l’inspiegabilità scientifica della guarigione.

Il 17 dicembre 2013 si è tenuto il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi e tutti hanno espresso la loro valutazione favore­vole sulla guarigione del fanciullo avvenuta per l’intercessione della Beata Eufrasia Eluvathinkal del Sacro Cuore.

CERIMONIA DI CANONIZZAZIONE DEI BEATI:
 - GIOVANNI ANTONIO FARINA 
- KURIAKOSE ELIAS CHAVARA DELLA SACRA FAMIGLIA 
- LUDOVICO DA CASORIA 
- NICOLA DA LONGOBARDI 
- EUFRASIA ELUVATHINGAL DEL SACRO CUORE
- AMATO RONCONI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'Universo
Piazza San Pietro 
Domenica, 23 novembre 2014

 

La liturgia oggi ci invita a fissare lo sguardo su Gesù come Re dell’Universo. La bella preghiera del Prefazio ci ricorda che il suo regno è «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Le Letture che abbiamo ascoltato ci mostrano come Gesù ha realizzato il suo regno; come lo realizza nel divenire della storia; e che cosa chiede a noi.

Anzitutto, come Gesù ha realizzato il regno: lo ha fatto con la vicinanza e la tenerezza verso di noi. Egli è il Pastore, di cui ci ha parlato il profeta Ezechiele nella prima Lettura (cfr 34,11-12.15-17). Tutto questo brano è intessuto di verbi che indicano la premura e l’amore del Pastore verso il suo gregge: cercare, passare in rassegna, radunare dalla dispersione, condurre al pascolo, far riposare, cercare la pecora perduta, ricondurre quella smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, avere cura, pascere. Tutti questi atteggiamenti sono diventati realtà in Gesù Cristo: Lui è davvero il “Pastore grande delle pecore e custode delle nostre anime” (cfr Eb 13,20; 1Pt 2,25).

E quanti nella Chiesa siamo chiamati ad essere pastori, non possiamo discostarci da questo modello, se non vogliamo diventare dei mercenari. A questo riguardo, il popolo di Dio possiede un fiuto infallibile nel riconoscere i buoni pastori e distinguerli dai mercenari.

Dopo la sua vittoria, cioè dopo la sua Risurrezione, come Gesù porta avanti il suo regno? L’apostolo Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, dice: «E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (15,25). E’ il Padre che a poco a poco sottomette tutto al Figlio, e al tempo stesso il Figlio sottomette tutto al Padre. Gesù non è un re alla maniera di questo mondo: per Lui regnare non è comandare, ma obbedire al Padre, consegnarsi a Lui, perché si compia il suo disegno d’amore e di salvezza. Così c’è piena reciprocità tra il Padre e il Figlio. Dunque il tempo del regno di Cristo è il lungo tempo della sottomissione di tutto al Figlio e della consegna di tutto al Padre. «L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (1 Cor 15,26). E alla fine, quando tutto sarà stato posto sotto la regalità di Gesù, e tutto, anche Gesù stesso, sarà stato sottomesso al Padre, Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28).

Il Vangelo ci dice che cosa il regno di Gesù chiede a noi: ci ricorda che la vicinanza e la tenerezza sono la regola di vita anche per noi, e su questo saremo giudicati. E’ la grande parabola del giudizio finale di Matteo 25. Il Re dice: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (25,34-36). I giusti domanderanno: quando mai abbiamo fatto tutto questo? Ed Egli risponderà: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

La salvezza non comincia dalla confessione della regalità di Cristo, ma dall’imitazione delle opere di misericordia mediante le quali Lui ha realizzato il Regno. Chi le compie dimostra di avere accolto la regalità di Gesù, perché ha fatto spazio nel suo cuore alla carità di Dio. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore, sulla prossimità e sulla tenerezza verso i fratelli. Da questo dipenderà il nostro ingresso o meno nel regno di Dio, la nostra collocazione dall’una o dall’altra parte. Gesù, con la sua vittoria, ci ha aperto il suo regno, ma sta a ciascuno di noi entrarvi, già a partire da questa vita, facendoci concretamente prossimo al fratello che chiede pane, vestito, accoglienza, solidarietà. E se veramente ameremo quel fratello o quella sorella, saremo spinti a condividere con lui o con lei ciò che abbiamo di più prezioso, cioè Gesù stesso e il suo Vangelo!

Oggi la Chiesa ci pone dinanzi come modelli i nuovi Santi che, proprio mediante le opere di una generosa dedizione a Dio e ai fratelli, hanno servito, ognuno nel proprio ambito, il regno di Dio e ne sono diventati eredi. Ciascuno di essi ha risposto con straordinaria creatività al comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Si sono dedicati senza risparmio al servizio degli ultimi, assistendo indigenti, ammalati, anziani, pellegrini. La loro predilezione per i piccoli e i poveri era il riflesso e la misura dell’amore incondizionato a Dio. Infatti, hanno cercato e scoperto la carità nella relazione forte e personale con Dio, dalla quale si sprigiona il vero amore per il prossimo. Perciò, nell’ora del giudizio, hanno udito questo dolce invito: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25,34).

Con il rito di canonizzazione, ancora una volta abbiamo confessato il mistero del regno di Dio e onorato Cristo Re, Pastore pieno d’amore per il suo gregge. Che i nuovi Santi, col loro esempio e la loro intercessione, facciano crescere in noi la gioia di camminare nella via del Vangelo, la decisione di assumerlo come la bussola della nostra vita. Seguiamo le loro orme, imitiamo la loro fede e la loro carità, perché anche la nostra speranza si rivesta di immortalità. Non lasciamoci distrarre da altri interessi terreni e passeggeri. E ci guidi nel cammino verso il regno dei Cieli la Madre, Maria, Regina di tutti i Santi. Amen.

La liturgia oggi ci invita a fissare lo sguardo su Gesù come Re dell’Universo. La bella preghiera del Prefazio ci ricorda che il suo regno è «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Le Letture che abbiamo ascoltato ci mostrano come Gesù ha realizzato il suo regno; come lo realizza nel divenire della storia; e che cosa chiede a noi.

Anzitutto, come Gesù ha realizzato il regno: lo ha fatto con la vicinanza e la tenerezza verso di noi. Egli è il Pastore, di cui ci ha parlato il profeta Ezechiele nella prima Lettura (cfr 34,11-12.15-17). Tutto questo brano è intessuto di verbi che indicano la premura e l’amore del Pastore verso il suo gregge: cercare, passare in rassegna, radunare dalla dispersione, condurre al pascolo, far riposare, cercare la pecora perduta, ricondurre quella smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, avere cura, pascere. Tutti questi atteggiamenti sono diventati realtà in Gesù Cristo: Lui è davvero il “Pastore grande delle pecore e custode delle nostre anime” (cfr Eb 13,20; 1Pt 2,25).

E quanti nella Chiesa siamo chiamati ad essere pastori, non possiamo discostarci da questo modello, se non vogliamo diventare dei mercenari. A questo riguardo, il popolo di Dio possiede un fiuto infallibile nel riconoscere i buoni pastori e distinguerli dai mercenari.

Dopo la sua vittoria, cioè dopo la sua Risurrezione, come Gesù porta avanti il suo regno? L’apostolo Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, dice: «E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (15,25). E’ il Padre che a poco a poco sottomette tutto al Figlio, e contemporaneamente il Figlio sottomette tutto al Padre, e alla fine anche sé stesso. Gesù non è un re alla maniera di questo mondo: per Lui regnare non è comandare, ma obbedire al Padre, consegnarsi a Lui, perché si compia il suo disegno d’amore e di salvezza. Così c’è piena reciprocità tra il Padre e il Figlio. Dunque il tempo del regno di Cristo è il lungo tempo della sottomissione di tutto al Figlio e della consegna di tutto al Padre. «L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (1 Cor 15,26). E alla fine, quando tutto sarà stato posto sotto la regalità di Gesù, e tutto, anche Gesù stesso, sarà stato sottomesso al Padre, Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28).

Il Vangelo ci dice che cosa il regno di Gesù chiede a noi: ci ricorda che la vicinanza e la tenerezza sono la regola di vita anche per noi, e su questo saremo giudicati. Questo sarà il protocollo del nostro giudizio. E’ la grande parabola del giudizio finale di Matteo 25. Il Re dice: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (25,34-36). I giusti domanderanno: quando mai abbiamo fatto tutto questo? Ed Egli risponderà: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

La salvezza non comincia dalla confessione della regalità di Cristo, ma dall’imitazione delle opere di misericordia mediante le quali Lui ha realizzato il Regno. Chi le compie dimostra di avere accolto la regalità di Gesù, perché ha fatto spazio nel suo cuore alla carità di Dio. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore, sulla prossimità e sulla tenerezza verso i fratelli. Da questo dipenderà il nostro ingresso o meno nel regno di Dio, la nostra collocazione dall’una o dall’altra parte. Gesù, con la sua vittoria, ci ha aperto il suo regno, ma sta a ciascuno di noi entrarvi, già a partire da questa vita – il Regno incomincia adesso – facendoci concretamente prossimo al fratello che chiede pane, vestito, accoglienza, solidarietà, catechesi. E se veramente ameremo quel fratello o quella sorella, saremo spinti a condividere con lui o con lei ciò che abbiamo di più prezioso, cioè Gesù stesso e il suo Vangelo!

Oggi la Chiesa ci pone dinanzi come modelli i nuovi Santi che, proprio mediante le opere di una generosa dedizione a Dio e ai fratelli, hanno servito, ognuno nel proprio ambito, il regno di Dio e ne sono diventati eredi. Ciascuno di essi ha risposto con straordinaria creatività al comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Si sono dedicati senza risparmio al servizio degli ultimi, assistendo indigenti, ammalati, anziani, pellegrini. La loro predilezione per i piccoli e i poveri era il riflesso e la misura dell’amore incondizionato a Dio. Infatti, hanno cercato e scoperto la carità nella relazione forte e personale con Dio, dalla quale si sprigiona il vero amore per il prossimo. Perciò, nell’ora del giudizio, hanno udito questo dolce invito: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25,34).

Con il rito di canonizzazione, ancora una volta abbiamo confessato il mistero del regno di Dio e onorato Cristo Re, Pastore pieno d’amore per il suo gregge. Che i nuovi Santi, col loro esempio e la loro intercessione, facciano crescere in noi la gioia di camminare nella via del Vangelo, la decisione di assumerlo come la bussola della nostra vita. Seguiamo le loro orme, imitiamo la loro fede e la loro carità, perché anche la nostra speranza si rivesta di immortalità. Non lasciamoci distrarre da altri interessi terreni e passeggeri. E ci guidi nel cammino verso il regno dei Cieli la Madre, Maria, Regina di tutti i Santi.

 

LITTERAE APOSTOLICAE

de peracta beatificatione

 

BENEDICTUS  pp. XVI

ad perpetuam rei memoriam

 

 

«Tabernaculum mobile» ita appellabatur a sororibus Carmelitis cum haud celata veneratione Venerabilis Serva Dei Euphrasia a Sacro Corde Iesu, quae totum otium suum perlibenter sistebat coram Iesu eucharistico in sacello sui Conventus Sanctae Mariae in Ollur, intra fines hodiernae archidioecesis Trichuriensis, in statu civili Kerala in India.

Ipsa nata est die XVII mensis Octobris anno MDCCCLXXVII atque baptizata sub nomine Rosae, in memoria sanctae Rosae de Lima. Iam puellula a sua pia matre inducta est ad iter sanctitatis singulari insignitum devotione erga Virginem Mariam, quae apparuit illi tamquan pulcherrima Domina, se declarans non solum Angelo­rum Reginam in caelis, sed etiam caram omnium hominum Matrem in terra, eamque invitans ut Carmeli claustrum ingrederetur. Novem annos nata, virginitatem suam divino Domino sui cordis consecravit. At primum oratione ac patientia tenacem patris sui Antonii oppo­sitionem superare debuit, viri divitis et iracundi, qui eam veluti venustam sponsam videre cupiebat aureis monilibus adornatam. Huiusmodi oppositio evanuit tantummodo post alterius filiolae inopinatam mortem, quae uti punitio habita est propter repugnantiam divinae voluntati.

Admissa ad Institutum Sororum Sanctae Mariae a Monte Carmelo, infirma cum esset valetudine, Rosa tempore novitiatus graviter aegrotavit et expulsionem periclitabatur; attamen ita mira­biliter sanata est, ut Vicarius Apostolicus Trichuriensis, Excellen­tissimus Dominus Ioannes Menacherry, decreverit eam retinere et ad vota nuncupanda admittere, sub nomine sororis Euphrasiae a Sacro Corde Iesu. Cernens insuper in ea electam animam, eius spiritale moderamen ipse sibi reservare voluit. Euphrasia excelluit Dei amore precibus et oblationibus, proximique amore alacrem adhibens curam de minimis etiam aliorum necessitatibus. Spiritalem laetitiam, quam in sua intima cum Deo necessitudine experiebatur, aliis subridens communicabat.

Plurimis in epistulis, quas obtemperans patri spirituali scripse­rat, veluti conscientiae manifestationem, Euphrasia non solum puram suam detexit animam, sed etiam alta adepta est sanctitatis fastigia. Ex iis – ab Episcopo servatis, etiamsi illa eum suppliciter rogaverat eas deleri statim post lecturam – plane patet quod non deficerent ei tentationes atrocesque diabolicae vexationes, compen­satae tamen caelestibus solaciis uti Virginis Mariae atque Sacri Cordis Iesu apparitionibus; et quibusdam diebus, cum Sancta Missa non celebrabatur, ipse Dominus praebebat ei sanctam Communio­nem. Euphrasia narrat se a Divino Sponso anulum recepisse mystici sponsalicii.

Novitiarum magistra electa, huiusmodi officium maximo conscientiae sensu absolvit, ac similiter inde materna sollicitudine officium moderatricis Conventus S. Mariae in urbe Ollurensi. Intendebat omnibus etiam minimis necessitatibus sororum, praeser­tim aegrotantium et seniorum, procurans iis cibum specialem, dum ipsa semel in die manducabat, non solum carnem vitans, sed etiam ova et lac. Preces et oblationes offerebat pro purgatorii animabus, quae – sicut scripserat patri spirituali – apparebant ei auxilium petiturae vel gratias ipsi reddentes pro valido suffragio. Cum Christo coniuncta in passionis mysterio, acerbas patiebatur macerationes sese flagellans portansque circum lumbos catenam spinarum. Pro cunctis minimis adiutoriis sinceram expromebat gratitudinem dicens: «Numquam hoc obliviscar, nec post mortem».

Porro latere cupiens, Euphrasia sese auferre non potuit a conspectu aliorum, qui eam «Sanctam conventus» appellabant. Eamque videntes immersam in orationem, in manibus tenentem sanctum rosarium, homines vocabant eam simpliciter «Orantem». Ob continuam eius praesentiam coram Iesu in Eucharistia, sodales indiderunt ei cognomen «Tabernaculum mobile».

Post eius mortem, quae, consumptis vitae viribus, in diem XXIX mensis Augusti anno MCMLII incidit, cum LXXV aetatis ageret annum, mater Euphrasia, suae promissioni fidelis, non est oblita suos caros fideles, qui plurima proclamabant auxilia caelestia sibi collata post admotas illi preces.

Augescente eius fama miraculorum et sanctitatis, Iosephus Kundukulam, Episcopus Trichuriensis, anno MCMLXXXVIII beatifi­cationis et canonizationis Causam incohavit. Rite actis omnibus iure praescriptis, coram Venerabili Decessore Nostro, Servo Dei Ioanne Paulo II, die V mensis Iulii anno MMII promulgatum est Decretum super virtutibus theologalibus, cardinalibus iisque adnexis a Venera­bili Serva Dei heroico in gradu exercitis. Nos autem Ipsi comproba­vimus per Decretum diei XXVI mensis Iunii anni MMVI miraculum eiusdem intercessioni adscriptum. Demum illam beatae titulo honestandam Nos decrevimus atque statuimus ut ritus beatificationis Ollurensi in urbe ageretur die III mensis Decembris hoc anno MMVI.

Hodie igitur, sicut statuimus, Olluri de mandato Nostro Sua Beatitudo Varkey S.E.R. Cardinalis Vithayathil, Archiepiscopus Maior Ecclesiae Syro-Malabarensis, textum Litterarum Apostoli­carum legit, quibus Nos Venerabilem Servam Dei Euphrasiam a Sacro Corde Iesu (in saeculo Rosam Eluvathingal) in Beatorum numerum adscribimus:

Nos, vota Fratris Nostri Iacobi Thoomkuzhy, Archiepiscopi Trichuriensis, necnon plurimorum aliorum Fratrum in Episcopato multorumque christifidelium explentes, de Congregationis de Causis Sanctorum consulto, auctoritate Nostra Apostolica facultatem faci­mus ut Venerabilis Serva Dei Euphrasia a Sacro Corde Iesu, in saeculo Rosa Eluvathingal, virgo, sodalis Instituti Sororum Sanctae Mariae a Monte Carmelo, quae totam vitam suam egit in incessanti oratione coram Domino ut proximo subridentem vultum et Dei amorem ostenderet, Beatae nomine in posterum appelletur, eiusque festum die undetricesima Augusti, qua in caelum orta est, in locis et modis iure statutis quotannis celebrari possit.

In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Sollemnis hic ritus conclusus est publica adoratione Sanctissimi Sacramenti, expositi in ostensorio a Nobis illuc misso ut porro exaltetur fidelibusque proponatur fulgidum exemplum huius Beatae dictae «Tabernaculum mobile», persuasum omnino habentes nostris praecipue temporibus, quibus urgens necessitas novae evangeliza­tionis incumbit, huiusmodi hominum eucharisticam colentium sinceram devotionem exempla testimoniaque maximi esse momenti ad hoc sanctissimum caritatis Sacramentum usque magis aestiman­dum, venerandum et amandum.

Haec vero quae hic statuimus firma in posterum esse volumus, contrariis quibuslibet rebus minime obstantibus.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, sub anulo Piscatoris, die III mensis Decembris anno MMVI, Pontificatus Nostri secundo.

 

 

+ Tarsicius  Card. Bertone

Secretarius  Status

Loco + Sigilli

In Secret. Status tab., n. 54.029