Gaetano Catanoso

Gaetano Catanoso

(1879-1963)

Beatificazione:

- 04 maggio 1997

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 23 ottobre 2005

- Papa  Benedetto XVI

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 20 settembre

Sacerdote diocesano, Fondatore a Reggio Calabria della Congregazione delle Suore Veroniche del Volto Santo, per l’assistenza ai poveri e agli emarginati

  • Biografia
  • Omelia
  • omelia di beatificazione
"Il Volto Santo è la mia vita. È lui la mia forza. Se vogliamo adorare il Volto reale di Gesù... noi lo troviamo nella divina Eucaristia”

 

Gaetano Catanoso nacque a Chorio di San Lorenzo, nell’Arcidiocesi di Reggio Calabria, il 14 febbraio 1879 da Antonio Catanoso e Antonina Tripodi, agricoltori profondamente cristiani. Lo stesso giorno ricevette il Battesimo e nel 1882 il sacramento della Confermazione.

All’età di dieci anni, avvertita la chiamata al sacerdozio, entrò nel Seminario Arcivescovile di Reggio.

Terminato il periodo di formazione, fu ordinato sacerdote dal Cardinale Gennaro Portanova, il 20 settembre 1902. In quella occasione manifestò pubblicamente il proposito di voler essere un degno ministro di Cristo e ai parenti ed amici domandò di pregare per lui affinché il Cuore di Gesù lo avesse condotto alla santità. Fece allora la promessa di non commettere mai alcun peccato deliberato e di stare alla presenza di Dio ogni istante della vita.

Per due anni fu prefetto d’ordine in Seminario. Quindi, nel 1904, venne nominato parroco di Pentidattilo, un piccolo paese dell’Aspromonte, dove prosperava la povertà, l’analfabetismo, l’ignoranza religiosa e dove la gente viveva in silenzio il dramma dell’emarginazione e talvolta della prepotenza. Il Catanoso, senza attardarsi in teorizzazioni pastorali o sociologiche, si dedicò immediatamente ed interamente alla missione di pastore, facendosi tutto a tutti. Condivise le privazioni, i disagi, le gioie e le pene della sua gente.

Fin d’allora il popolo ravvisò in lui il carisma della paternità e spontaneamente cominciò a chiamarlo «padre », appellativo che mai più lo avrebbe abbandonato, perché meglio di ogni altro qualificava la sua personalità sacerdotale e pastorale.

Fu diligente nell’annuncio della parola di Dio e nell’insegnamento della dottrina cristiana, edificante nella celebrazione dei divini misteri, assiduo al ministero delle Confessioni, generoso con le famiglie bisognose, premuroso con i malati. Per i giovani, che non potevano frequentare le scuole pubbliche, aprì una scuola serale gratuita ed egli ne fu l’insegnante.

Collaborò nella predicazione e nell’amministrazione del sacramento della Penitenza con i parroci più vicini.

A Pentidattilo fu come incendiato dalla devozione al Volto sofferente del Signore. Abbracciò la missione di diffonderne il culto tra il popolo e di coinvolgere i sacerdoti e i laici nell’apostolato della riparazione dei peccati, specialmente della bestemmia e della profanazione delle feste religiose. « Il Volto Santo — affermava — è la mia vita. Lui è la mia forza »; ed ancora: «Gesù ha bisogno di molte Veroniche per i peccati di bestemmia e di sacrilegio e di molti Cirenei per la Croce sempre più pesante dei più poveri senza conforto e senza aiuto ». Con una felice intuizione unì questa devozione alla pietà eucaristica. Al riguardo scriveva: «La devozione al Volto Santo si incentra nel sacro velo della Veronica dove nostro Signore impresse col suo preziosissimo sangue i lineamenti della sua Faccia divina. È una reliquia preziosissima che la Chiesa conserva e che noi adoriamo. Ma se vogliamo adorare il Volto reale di Gesù, non l’immagine sola, questo Volto noi lo troviamo nella divina Eucaristia, ove col Corpo e Sangue di Gesù Cristo si nasconde sotto il bianco velo dell’ostia il Volto di Nostro Signore ». E siccome Cristo è presente anche in ogni uomo che soffre, si sforzò di riportare l’immagine del Creatore sul volto di tutti coloro che ne fossero privi a causa del peccato.

Nel 1918 divenne «Missionario del Volto Santo », iscrivendosi all’Arciconfraternita di Tours. L’anno successivo istituì a Pentidattilo la Pia Unione del Volto Santo e più tardi fondò un bollettino che diffondeva tale devozione.

Convinto che la rinascita spirituale e morale delle popolazioni calabresi non sarebbe stata possibile senza l’attività pastorale dei sacerdoti, promosse l’Opera dei Chierici Poveri, il cui scopo era quello di offrire ai giovani, sprovvisti di mezzi, il necessario per poter raggiungere il Sacerdozio. «Chiamiamo a raccolta — scriveva — tutte le nostre energie per dare alla Chiesa molti e santi sacerdoti, aiutando le vocazioni povere. È specialmente nelle nostre campagne dove si trovano i fiori più belli che aspettano la mano pietosa che li raccolga e li trapianti nell’aiuola del Signore. Non sono dunque le vocazioni che vengono a mancare, come vanno ripetendo alcuni che hanno il cuore chiuso alla generosità ». Ed aggiungeva: «Ben volentieri vorrei si convertisse in lagrime tutto il mio sangue, se con questo sacrificio potessi portare avanti tante vocazioni povere, che domani diminuiranno il pianto della Chiesa, che è madre delle anime, e il pianto di tante anime confortate dal ministero sacerdotale ».

Dal 1921 al 1940 fu parroco, nella città di Reggio, della Chiesa di Santa Maria della Purificazione (detta anche della Candelora), dove, coadiuvato dal fratello sacerdote, don Pasqualino, svolse un’attività ancora più intensa e più vasta. Tra i suoi impegni, un posto preminente occuparono l’evangelizzazione, la catechesi, le missioni al popolo, il culto dell’Eucaristia, il ministero delle Confessioni, l’assistenza ai poveri, ai malati e ai perseguitati da associazioni criminose, l’opera delle vocazioni sacerdotali, l’accoglienza di quanti ricorrevano a lui. Non volle mai porre limiti al suo zelo apostolico e ben se ne accorsero i suoi superiori che gli affidarono anche altri incarichi, spesso alquanto gravosi: direttore spirituale del Seminario Arcivescovile (1922-1949), cappellano degli Ospedali Riuniti (1922- 1933), confessore degli Istituti Religiosi cittadini e del carcere (1921- 1950), canonico penitenziere della Cattedrale (1940-1963), rettore della Pia Unione del Volto Santo, trasferita da Pentidattilo a Reggio nel 1950, con decreto di Mons. Demetrio Moscato, Arcivescovo di Salerno ed Amministratore Apostolico di Reggio e di Bova.

Negli anni trascorsi nell’Aspromonte, il Catanoso era venuto a diretto contatto con una difficile realtà sociale e religiosa. «Ancora nel lontano 1920 — scriveva — visitando molti paesi sperduti sui monti della Calabria e predicando in quasi tutte le parrocchie dell’Arcidiocesi, ho sentito una stretta al cuore nel vedere tanti bambini innocenti esposti alla corruzione, tanti giovanetti senza guida e senza orientamento nella vita, troppe chiese povere spoglie e tanti tabernacoli senza il dovuto decoro. Sacerdoti sofferenti e senza assistenza ». Cominciò così a concretizzarsi in lui il pensiero di dar vita ad una congregazione religiosa femminile, che avesse propagato la devozione al Volto Santo di Gesù e portato conforto ai sacerdoti più bisognosi ed aiuto alle parrocchie più sperdute ed abbandonate. Nel 1934, pertanto, incoraggiato anche da San Luigi Orione, che gli era amico da tempo, fondò le Suore Veroniche del Volto Santo, che nel 1953 vennero canonicamente approvate dall’Arcivescovo Giovanni Ferro e, successivamente, anche dalla Santa Sede. Egli stesso disse che le sue suore dovevano essere «gente che sa parlare alla propria gente, che ama il Signore in semplicità, che non chiede se nel paese dove è mandata c’è la casa o il giardino. Gente che va senza pretendere nulla, che si sacrifica, che soffre, che aiuta la Chiesa ». Aggiungeva: « Il vostro posto è quello che gli altri hanno rifiutato, tra la gente più povera e più umile ». Secondo questi criteri guidò il suo Istituto, aiutandolo a superare non poche difficoltà e ad estendersi in varie parrocchie dell’Arcidiocesi di Reggio ed oltre.

Per dare ulteriore sviluppo e vigore a quella devozione che era il fulcro della sua spiritualità e del suo apostolato, progettò la costruzione di un tempio dedicato al Volto Santo. Il sopraggiungere della morte non gli permise di vederne la realizzazione. La Provvidenza, però, gli concesse molto di più; gli concesse di poter fare della sua persona un tempio spirituale per il Signore (cf. 2 Cor 6, 26), un vero santuario vivente, che fu un punto di riferimento per l’intera città di Reggio.

A lui ricorrevano con fiducia gli Arcivescovi della città, i sacerdoti, le suore, i seminaristi, i laici, che trattava sempre con tenerezza e cordialità. Non spezzava la canna incrinata e non spegneva il lucignolo fumigante (cf. Mt 12, 20), invece incoraggiava tutti a lodare Dio con la propria vita e a vincere il male con il bene.

Autentico missionario del Vangelo, non si limitò a santificare se stesso, ma con la parola, gli scritti e le opere dette una splendida testimonianza di fedeltà a Cristo e promosse una pacifica e progressiva mobilitazione di anime, concretamente ed umilmente impegnate a migliorare le condizioni religiose della Calabria. Non restò indifferente neppure ai mali sociali, che sono la naturale conseguenza del peccato. Quindi, con la forza della carità e dell’umiltà, cercò di restituire ai poveri la loro dignità e di estirpare dalla società tutto ciò che si oppone al disegno divino.

Coltivò la sua vita interiore, riuscendo ad armonizzare la dedizione alle anime con l’amore al raccoglimento e alla preghiera.

La Messa celebrata ogni giorno e la frequente adorazione del Sacramento dell’altare furono l’anima del suo sacerdozio e il sostegno del suo apostolato. Documento importante della centralità che l’Eucaristia ebbe nella sua vita è l’«Ora eucaristica sacerdotale », da lui pubblicata per la prima volta nel 1915. Praticò il sacrificio, la mortificazione e la penitenza. Accettò con pazienza le malattie e la cecità che l’afflisse nell’ultimo scorcio di vita. Non solo evitò attentamente ogni forma di peccato, ma fu un banditore instancabile dell’apostolato della riparazione. Egli stesso, nel 1929, si offrì vittima al Cuore di Gesù, desiderando di completare nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa (cf. Col 1, 24). Nutrì per la Vergine Maria una devozione semplice e fervorosa, che irradiò tra le sue suore e il popolo.

Fin dalla fanciullezza aveva imparato a recitare quotidianamente il rosario e continuò a farlo fino alla morte. La corona del rosario era sempre tra le sue mani.

Anche nella vecchiaia, per quanto gli fu possibile, non tralasciò mai i suoi doveri sacerdotali e i suoi impegni pastorali, mentre con grande serenità si preparava all’incontro definitivo con Dio. Nell’ultima malattia spesso sussultava di gioia esclamando: «Com’è bello il Signore! Com’è bello il Signore! ».

Con il conforto dei sacramenti, si spense santamente il 4 aprile 1963 a Reggio, nella Casa Madre della Congregazione che lui aveva fondato.

Il clero e il popolo, che lo consideravano santo, parteciparono numerosi ai solenni funerali, presieduti dall’Arcivescovo, il quale, avendolo ben conosciuto, potè dire che il Padre Catanoso era stato «un piissimo sacerdote che ha sempre insegnato nella sua lunga vita come si ama e si serve il Signore ».

Fu annoverato tra i Beati da Papa Giovanni Paolo II, il 4 maggio 1987.

CAPPELLA PAPALE PER LA CONCLUSIONE 
DELL’XI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI,
DELL'ANNO DELL'EUCARISTIA
 E PER LA CANONIZZAZIONE DEI BEATI:

JÓZEF BILCZEWSKI; 
GAETANO CATANOSO; 
ZYGMUNT GORAZDOWSKI; 
ALBERTO HURTADO CRUCHAGA; 
FELICE DA NICOSIA

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Piazza San Pietro
Giornata Missionaria Mondiale
Domenica, 23 ottobre 2005

 

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio!
Cari fratelli e sorelle!

In questa XXX Domenica del tempo ordinario, la nostra Celebrazione eucaristica si arricchisce di diversi motivi di ringraziamento e di supplica a Dio. Si concludono contemporaneamente l’Anno dell’Eucaristia e l’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicata proprio al mistero eucaristico nella vita e nella missione della Chiesa, mentre sono stati da poco proclamati santi cinque Beati: il Vescovo Józef Bilczewski, i presbiteri Gaetano Catanoso, Zygmunt Gorazdowski e Alberto Hurtado Cruchaga, e il religioso Cappuccino Felice da Nicosia. Inoltre, ricorre quest’oggi la Giornata Missionaria Mondiale, appuntamento annuale che risveglia nella Comunità ecclesiale lo slancio per la missione. Con gioia rivolgo il mio saluto a tutti i presenti, ai Padri Sinodali in primo luogo, e poi ai pellegrini venuti da varie nazioni, insieme con i loro Pastori, per festeggiare i nuovi Santi. L’odierna liturgia ci invita a contemplare l’Eucaristia come fonte di santità e nutrimento spirituale per la nostra missione nel mondo: questo sommo "dono e mistero" ci manifesta e comunica la pienezza dell’amore di Dio.

La Parola del Signore, risuonata poc’anzi nel Vangelo, ci ha ricordato che nell’amore si riassume tutta la legge divina. Il duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo racchiude i due aspetti di un unico dinamismo del cuore e della vita. Gesù porta così a compimento la rivelazione antica, non aggiungendo un comandamento inedito, ma realizzando in se stesso e nella propria azione salvifica la sintesi vivente delle due grandi parole dell’antica Alleanza: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore…" e "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (cfr Dt 6,5; Lv 19,18). Nell’Eucaristia noi contempliamo il Sacramento di questa sintesi vivente della legge: Cristo ci consegna in se stesso la piena realizzazione dell’amore per Dio e dell’amore per i fratelli. E questo suo amore Egli ci comunica quando ci nutriamo del suo Corpo e del suo Sangue. Può allora realizzarsi in noi quanto san Paolo scrive ai Tessalonicesi nell’odierna seconda Lettura: "Vi siete convertiti, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero" (1 Ts 1,9). Questa conversione è il principio del cammino di santità che il cristiano è chiamato a realizzare nella propria esistenza. Il santo è colui che è talmente affascinato dalla bellezza di Dio e dalla sua perfetta verità da esserne progressivamente trasformato. Per questa bellezza e verità è pronto a rinunciare a tutto, anche a se stesso. Gli basta l’amore di Dio, che sperimenta nel servizio umile e disinteressato del prossimo, specialmente di quanti non sono in grado di ricambiare. Quanto provvidenziale, in questa prospettiva, è il fatto che oggi la Chiesa additi a tutti i suoi membri cinque nuovi Santi che, nutriti di Cristo Pane vivo, si sono convertiti all’amore e ad esso hanno improntato l’intera loro esistenza! In diverse situazioni e con diversi carismi, essi hanno amato il Signore con tutto il cuore e il prossimo come se stessi "così da diventare modello a tutti i credenti" (1 Ts 1,6-7).

Święty Józef Bilczewski był człowiekiem modlitwy. Msza św., Liturgia Godzin, medytacja, różaniec i inne praktyki religijne wyznaczały rytm jego dni. Szczególnie wiele czasu poświęcał adoracji eucharystycznej.

Również święty Zygmunt Gorazdowski zasłynął swoją pobożnością opartą o sprawowanie i adorację Eucharystii. Przeżywanie Ofiary Chrystusa prowadziło go ku chorym, biednym i potrzebującym.

[Il santo Józef Bilczewski fu un uomo di preghiera. La Santa Messa, la Liturgia delle Ore, la meditazione, il rosario e le altre pratiche di pietà scandivano le sue giornate. Un tempo particolarmente lungo era dedicato all’adorazione eucaristica.

Anche il santo Zygmunt Gorazdowski è diventato famoso per la devozione fondata sulla celebrazione e sull’adorazione dell’Eucaristia. Il vivere l’offerta di Cristo l’ha spinto verso i malati, i poveri e i bisognosi.]

Глибоке знання Богослов’я, віри та євхаристійної набожності Йосифа Більчевського вчинили так, що він став прикладом для священиків і свідком віри для всіх християн.

Зигмунд Гораздовський, засновуючи Асоціяцію священиків, Конгрегацію Сестер Св. Йосифа та ряд інших харитативних організацій, керувався завжди духом сопричастя, який міститься в Пресвятій Євхаристії.

[La profonda conoscenza della teologia, la fede e la devozione eucaristica di Józef Bilczeski hanno fatto di lui un esempio per i sacerdoti e un testimone per tutti i fedeli.

Zygmunt Gorazdowski, fondando l’Associazione dei sacerdoti, la Congregazione delle Suore di San Giuseppe e tante altre istituzioni caritative, si è sempre lasciato guidare dallo spirito di comunione, che pienamente si rivela nell’Eucaristia.]

"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore... Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22, 37 e 39). Questo sarebbe stato il programma di vita di san Alberto Hurtado, che volle identificarsi con il Signore e amare con il suo stesso amore i poveri. La formazione ricevuta nella Compagnia di Gesù, consolidata dalla preghiera e dall'adorazione dell'Eucaristia, lo portò a farsi conquistare da Cristo, poiché era un vero contemplativo nell'azione. Nell'amore e nel dono totale di sé alla volontà di Dio trovò la forza per l'apostolato. Fondò El Hogar de Cristo per i più bisognosi e i senzatetto, offrendo loro un ambiente familiare pieno di calore umano. Nel suo ministero sacerdotale si distinse per la sua semplicità e la sua disponibilità verso gli altri, essendo un'immagine viva del Maestro, "mite e umile di cuore". Alla fine dei suoi giorni, tra i forti dolori causati dalla malattia, ebbe ancora forze per ripetere:  "Contento, Signore, contento", esprimendo così la gioia con la quale visse sempre.

San Gaetano Catanoso fu cultore ed apostolo del Volto Santo di Cristo. "Il Volto Santo - affermava - è la mia vita. È lui la mia forza". Con una felice intuizione egli coniugò questa devozione alla pietà eucaristica. Così si esprimeva:  "Se vogliamo adorare il Volto reale di Gesù... noi lo troviamo nella divina Eucaristia, ove col Corpo e Sangue di Gesù Cristo si nasconde sotto il bianco velo dell'Ostia il Volto di Nostro Signore". La Messa quotidiana e la frequente adorazione del Sacramento dell'altare furono l'anima del suo sacerdozio:  con ardente ed instancabile carità pastorale egli si dedicò alla predicazione, alla catechesi, al ministero delle Confessioni, ai poveri, ai malati, alla cura delle vocazioni sacerdotali. Alle Suore Veroniche del Volto Santo, che egli fondò, trasmise lo spirito di carità, di umiltà e di sacrificio, che ha animato l'intera sua esistenza.

San Felice da Nicosia amava ripetere in tutte le circostanze, gioiose o tristi: "Sia per l’amor di Dio". Possiamo così ben comprendere quanto fosse intensa e concreta in lui l’esperienza dell’amore di Dio rivelato agli uomini in Cristo. Questo umile Frate Cappuccino, illustre figlio della terra di Sicilia, austero e penitente, fedele alle più genuine espressioni della tradizione francescana, fu gradualmente plasmato e trasformato dall’amore di Dio, vissuto e attualizzato nell’amore del prossimo. Fra Felice ci aiuta a scoprire il valore delle piccole cose che impreziosiscono la vita, e ci insegna a cogliere il senso della famiglia e del servizio ai fratelli, mostrandoci che la gioia vera e duratura, alla quale anela il cuore di ogni essere umano, è frutto dell’amore.

Cari e venerati Padri Sinodali, per tre settimane abbiamo vissuto insieme un clima di rinnovato fervore eucaristico. Vorrei ora, con voi ed a nome dell'intero Episcopato, inviare un fraterno saluto ai Vescovi della Chiesa in Cina. Con viva pena abbiamo sentito la mancanza dei loro rappresentanti. Voglio tuttavia assicurare a tutti i Presuli cinesi che siamo vicini con la preghiera a loro e ai loro sacerdoti e fedeli. Il sofferto cammino delle comunità, affidate alla loro cura pastorale, è presente nel nostro cuore: esso non rimarrà senza frutto, perché è una partecipazione al Mistero pasquale, a gloria del Padre. I lavori sinodali ci hanno permesso di approfondire gli aspetti salienti di questo mistero dato alla Chiesa fin dall’inizio. La contemplazione dell’Eucaristia deve spingere tutti i membri della Chiesa, in primo luogo i sacerdoti, ministri dell’Eucaristia, a ravvivare il loro impegno di fedeltà. Sul mistero eucaristico, celebrato e adorato, si fonda il celibato che i presbiteri hanno ricevuto quale dono prezioso e segno dell’amore indiviso verso Dio e il prossimo. Anche per i laici la spiritualità eucaristica deve essere l’interiore motore di ogni attività e nessuna dicotomia è ammissibile tra la fede e la vita nella loro missione di animazione cristiana del mondo. Mentre si conclude l’Anno dell’Eucaristia, come non rendere grazie a Dio per i tanti doni concessi alla Chiesa in questo tempo? E come non riprendere l’invito dell’amato Papa Giovanni Paolo II a "ripartire da Cristo"? Come i discepoli di Emmaus che, riscaldati nel cuore dalla parola del Risorto e illuminati dalla sua viva presenza riconosciuta nello spezzare il pane, senza indugio fecero ritorno a Gerusalemme e diventarono annunciatori della risurrezione di Cristo, anche noi riprendiamo il nostro cammino animati dal vivo desiderio di testimoniare il mistero di questo amore che dà speranza al mondo.

In questa prospettiva eucaristica ben si colloca l’odierna Giornata Missionaria Mondiale, alla quale il venerato Servo di Dio Giovanni Paolo II aveva dato come tema di riflessione: "Missione: Pane spezzato per la vita del mondo". La Comunità ecclesiale quando celebra l’Eucaristia, specialmente nel giorno del Signore, prende sempre più coscienza che il sacrificio di Cristo è "per tutti" (Mt26,28) e l’Eucaristia spinge il cristiano ad essere "pane spezzato" per gli altri, a impegnarsi per un mondo più giusto e fraterno. Ancor oggi, di fronte alle folle, Cristo continua ad esortare i suoi discepoli: "Date loro voi stessi da mangiare" (Mt 14,16) e, in suo nome, i missionari annunciano e testimoniano il Vangelo, talvolta anche con il sacrifico della vita. Cari amici, dobbiamo tutti ripartire dall’Eucaristia. Ci aiuti Maria, Donna eucaristica, ad esserne innamorati; ci aiuti a "rimanere" nell’amore di Cristo, per essere da Lui intimamente rinnovati. Docile all’azione dello Spirito e attenta alle necessità degli uomini, la Chiesa sarà allora sempre più faro di luce, di vera gioia e di speranza, realizzando appieno la sua missione di "segno e strumento di unità dell’intero genere umano" (Lumen gentium, 1).

BEATIFICAZIONE DEI SERVI DI DIO: FLORENTINO ASENSIO BARROSO,
CEFERINO GIMÉNEZ MALLA,GAETANO CATANOSO,
ENRICO REBUSCHINI E MARÍA ENCARNACIÓN ROSAL

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

VI Domenica di Pasqua, 4 maggio 1997

 

1. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Gv 15, 12).

La Liturgia di questa sesta domenica di Pasqua ci invita a riflettere sul grande comandamento dell'amore alla luce del Mistero pasquale. Proprio la meditazione del nuovo comandamento, cuore e sintesi dell'insegnamento morale di Cristo, ci introduce nell'odierna celebrazione, resa particolarmente solenne e suggestiva dalla proclamazione di cinque nuovi Beati.

Nella seconda lettura e nel brano evangelico la legge della carità ci viene presentata come il testamento di Gesù alla vigilia della sua Passione. "Questo vi ho detto, perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15, 11): così Egli conclude il suo discorso agli Apostoli nell'ultima Cena.

L'amore di Dio è dunque la sorgente della vera letizia. E' quanto hanno personalmente sperimentato questi nostri fratelli nella fede, che vengono oggi presentati alla Chiesa come modelli di generosa adesione al comandamento del Signore. Essi sono "beati". Nella loro esistenza terrena, hanno vissuto in un modo del tutto particolare l'amore di Dio e, proprio per questo, hanno potuto godere la pienezza della gioia promessa da Cristo.

Oggi vengono proposti alla nostra venerazione come testimoni privilegiati dell'amore di Dio. Con il loro esempio e con la loro intercessione, indicano il cammino verso quella piena felicità che costituisce l'aspirazione profonda dell'animo umano.

2. Come abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale, poc'anzi cantato, il mondo intero è invitato a gioire per le grandi opere di Dio: "Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia" (Sal 97, 4). Oggi da diverse parti del mondo, in particolare dai luoghi dove i nuovi Beati hanno vissuto ed operato, sale a Dio un intenso cantico di lode e di ringraziamento per la beatificazione di Florentino Asensio Barroso, Vescovo e martire, Ceferino Giménez Malla, martire, Gaetano Catanoso, presbitero, fondatore della Congregazione delle Suore Veroniche del Volto Santo, Enrico Rebuschini, presbitero, dell'Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi e María Encarnación Rosal, religiosa, riformatrice dell'Istituto delle Suore Betlemite.

3. «Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15, 9). Il Vescovo Florentino Asensio Barroso rimase nell'amore di Cristo. Come Lui si dedicò al servizio dei fratelli, soprattutto nel ministero sacerdotale, che svolse generosamente per diversi anni prima a Valladolid e poi per un breve lasso di tempo come Vescovo Amministratore Apostolico a Barbastro, sede per la quale era stato eletto pochi mesi prima dell'inizio della deplorevole guerra civile del 1936. Per un ministro del Signore l'amore si vive nella carità pastorale e pertanto, di fronte ai pericoli che si profilavano, non abbandonò il suo gregge, ma, da Buon Pastore, offrì la sua vita per esso.

Il Vescovo, come maestro e guida nella fede per il suo popolo, è chiamato a professarla con le parole e con le opere. Monsignor Asensio assunse fino alle sue estreme conseguenze la responsabilità di Pastore morendo per la fede che viveva e predicava. Negli ultimi istanti della sua vita, dopo aver subito vessatori e laceranti tormenti, quando uno dei suoi carnefici gli chiese se conosceva il destino che lo attendeva, rispose con serenità e fermezza: «Vado in Paradiso». Proclamava così la sua incrollabile fede in Cristo, vincitore della morte e donatore di vita eterna. Mentre viene elevato alla gloria degli altari, il Beato Florentino Asensio Barroso continua ad animare con il suo esempio la fede dei fedeli della sua amata Diocesi aragonese e veglia su di essa con la sua intercessione.

4. «Vi ho chiamato amici» (Gv 15, 15). Sempre a Barbastro lo zingaro Ceferino Giménez Malla conosciuto come «El Pelé» morì per la fede in cui era vissuto. La sua vita dimostra che Cristo è presente nei diversi popoli e razze e che tutti sono chiamati alla santità, che si raggiunge osservando i suoi comandamenti e rimanendo nel suo amore (cfr Gv 15, 11). El Pelé fu generoso e accogliente con i poveri, pur essendo lui stesso povero, onesto nella sua attività, fedele al suo popolo e alla sua razza «gitana», dotato di un'intelligenza naturale straordinaria e del dono del consiglio. Fu soprattutto un uomo di profonde credenze religiose.

La frequente partecipazione alla Santa Messa, la devozione alla Vergine Maria con la recita del rosario, l'appartenenza a diverse associazioni cattoliche lo aiutarono ad amare Dio e il prossimo con interezza. Così, anche a rischio della propria vita, non esitò a difendere un sacerdote che stava per essere arrestato, per la qual cosa lo condussero in prigione, dove non abbandonò mai la preghiera e quando fu fucilato stringeva fra le sue mani il rosario. Il Beato Ceferino Giménez Malla seppe seminare concordia e solidarietà fra i suoi, mediando anche nei conflitti che a volte nascono fra «payos» e zingari, dimostrando che la carità di Cristo non conosce limiti di razza e di cultura. Oggi «El Pelé» intercede per tutti dinanzi al Padre comune e la Chiesa lo propone come modello da seguire ed esempio significativo dell'universale vocazione alla santità, specialmente per gli zingari che hanno con lui stretti vincoli culturali ed etici.

5. Padre Gaetano Catanoso ha seguito Cristo sulla via della Croce, facendosi con lui vittima di espiazione per i peccati. Ripeteva spesso di voler essere il Cireneo che aiuta Cristo a portare la Croce, gravosa più per i peccati che per il peso materiale del legno.

Vera immagine del Buon Pastore, egli si prodigò instancabilmente per il bene del gregge affidatogli dal Signore, nella vita parrocchiale come nell'assistenza agli orfani ed agli ammalati, nel sostegno spirituale ai seminaristi ed ai giovani preti come nell'animazione delle Suore Veroniche del Volto Santo da lui fondate.

Nutrì e diffuse una grande devozione al Volto insanguinato e sfigurato di Cristo, che egli vedeva riflesso nel volto di ogni uomo sofferente. Tutti coloro che lo incontravano, percepivano nella sua persona il buon profumo di Cristo; per questo amavano chiamarlo "padre", e tale lo sentivano realmente, poiché egli era un segno eloquente della paternità di Dio.

6. Anche il beato Enrico Rebuschini ha camminato decisamente, lungo la sua esistenza, verso quella "perfezione della carità", che costituisce il tema dominante della Liturgia della Parola di questa Domenica. Sulle orme del Fondatore, san Camillo de Lellis, egli ha testimoniato la carità misericordiosa, esercitandola in tutti gli ambiti in cui ha operato. Il suo saldo proposito di "consumare il proprio essere per dare Dio al prossimo, vedendo in esso il volto stesso del Signore", lo impegnò in un arduo cammino ascetico e mistico, caratterizzato da un'intensa vita di preghiera, da un amore straordinario per l'Eucaristia e dall'incessante dedizione per gli ammalati ed i sofferenti.

Egli è divenuto un punto di riferimento sicuro sia per i Chierici Regolari Ministri degli Infermi, che per la Comunità cristiana di Cremona. Il suo esempio costituisce per tutti i credenti un pressante invito ad essere attenti verso i sofferenti ed i malati nel corpo e nello spirito.

7. «Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15, 16). Madre María Encarnación Rosalprima guatemalteca beatificata, fu scelta per continuare il carisma del Beato Pedro de San José Betancourt, fondatore dell'Ordine Betlemita, il primo ordine latinoamericano. Oggi il suo frutto permane nelle Suore Betlemite che, insieme a tutti i membri della grande famiglia dell'Associazione dei Laici, si adoperano per mettere in pratica il loro carisma evangelizzatore al servizio della Chiesa.

Donna costante, tenace e animata soprattutto dalla carità, la sua vita fu fedeltà a Cristo, suo confidente assiduo attraverso la preghiera e la spiritualità di Betlemme. Ciò le causò molteplici sacrifici e afflizioni, dovendo pellegrinare da un luogo all'altro per poter consolidare la sua opera. Non le importò rinunciare a molte cose pur di salvare l'essenziale e affermó: «Che si perda tutto, meno la carità».

Sulla base di ciò che aveva imparato alla scuola di Betlemme, ossia l'amore, l'umiltà, la povertà, la dedizione generosa e l'austerità, visse una splendida sintesi di contemplazione e di azione, unendo alle opere esclusivamente educative lo spirito di penitenza, di adorazione e di riparazione al Cuore di Gesù. Che il suo esempio permanga fra le sue figlie e che la sua intercessione accompagni la vita ecclesiale del Continente americano che si dispone con speranza a varcare le soglie del Terzo Millennio dell'era cristiana!

8. La santità è chiamata che Dio rivolge a tutti, ma senza forzare la mano a nessuno. Dio chiede ed attende la libera adesione dell'uomo. Nell'ambito di questa vocazione universale alla santità, Cristo sceglie poi per ciascuno un compito specifico e, se trova corrispondenza, Egli stesso provvede a portare a compimento l'opera iniziata, facendo sì che il frutto rimanga.

"Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi... Voi siete miei amici" (Gv 15,9.14), continua a ripetere il Signore ed attende la nostra risposta, come ha fatto con i nuovi Beati. Il loro esempio ci ricorda che tutti siamo impegnati, ciascuno in modo diverso, a portare frutto, per il bene non solo nostro, ma dell'intera comunità.

Esultiamo, oggi, per il dono di questi nuovi Beati. Rendiamo grazie a Dio per quanto essi hanno compiuto e per le opere di bene che hanno lasciato al loro passaggio sulla terra. Preghiamo affinché il loro esempio sia seguito da molti ed aumenti il numero degli operai nella vigna del Signore.

Si rinnovi la faccia della terra (cfr Sal 103,30) per la potenza dello Spirito Santo, ed in ogni angolo del mondo risuoni il cantico della gioia, risuoni l'annuncio dell'amore divino.

Dio è amore: Egli ci ha amati per primo. Nostro compito ora è di amarci gli uni gli altri come Egli ci ha amati. Da questo ci riconosceranno per suoi discepoli. Nasce di qui la nostra responsabilità: essere testimoni credibili. I nuovi Beati lo sono stati. Ci ottengano di esserlo anche noi, affinché questo mondo che amiamo sappia riconoscere in Cristo l'unico vero Salvatore!