Geltrude Comensoli

Geltrude Comensoli

(1847-1903)

Beatificazione:

- 01 ottobre 1989

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 26 aprile 2009

- Papa  Benedetto XVI

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 18 febbraio

Vergine, fondatrice dell’istituto delle Suore Sacramentine di Bergamo

  • Biografia
  • Omelia
  • il processo di santità
  • omelia di beatificazione
"Tradurre la carità contemplata nel Cristo eucaristico, in carità vissuta nel dedicarsi al prossimo"

 

Geltrude Comensoli nasce a Bienno in Val Camonica (Brescia) il 18 gennaio 1847, quinta di dieci figli. Lo stesso giorno della nascita i genitori, Carlo e Anna Maria Milesi, la portano al fonte battesimale della chiesa parrocchiale e le danno il nome di Caterina.

Nell’infanzia, Caterina conosce le gioie dell’innocenza e la spensieratezza dell’età. Il Signore, però, le fa sentire il desiderio di unirsi a Lui intimamente: la piccola è sovente trasportata da un forte bisogno di raccogliersi nella preghiera e nella meditazione. A chi le chiede che cosa faccia, risponde: “Penso”.

Verso i sette anni, non resistendo più al pressante invito di Gesù, una mattina molto presto, avvolta nell’ampio scialle nero della mamma, va nella vicina chiesa di S. Maria e, ritta in piedi alla balaustra, riceve furtivamente la Prima Comunione. Caterina pregusta attimi di Cielo e giura eterno amore con Gesù.

La fanciulla diventa sempre più seria, più raccolta, assorbita dal solo pensiero di Gesù presente nel sacramento dell’Eucaristia che viene lasciato lunghe giornate nella solitudine.

Giovinetta si fa apostola dell’Eucaristia: vorrebbe portare Gesù Sacramentato su un’alta montagna, perché tutti lo vedano e lo adorino.

Istituisce fra le migliori ragazze la Compagnia della Guardia d’onore. Il suo ideale è Gesù. Il motto: “Gesù amarti e farti amare” diventa il programma della sua vita.

Attratta ad una vita più perfetta, nel 1862 lascia la famiglia ed entra nell’Istituto delle Figlie di Carità, fondato da S. Bartolomea Capitanio, a Lovere (Brescia). Caterina fa concepire di sé le migliori speranze…, ma le mirabili e misteriose vie della Provvidenza sono diverse.

La Postulante si ammala di modo che viene dimessa dall’Istituto. Dopo la guarigione, a causa delle mutate condizioni finanziarie della famiglia, lascia il paese e, non a caso, entra, in qualità di domestica, dapprima nella casa del Prevosto di Chiari, Don G. B. Rota, il quale, qualche anno dopo, sarà elevato alla sede episcopale di Lodi, e poi, nella casa paterna della Contessa Fè-Vitali. Questi incontri ed esperienze saranno preziosi per Caterina.

Nel Natale 1876 ella rafforza i suoi legami con Gesù e scrive di suo pugno un impegnativo metodo di vita, al quale resterà sempre fedele.

Nella Festa del Corpus Domini 1878, con il permesso del suo confessore, rende perpetuo il suo voto di verginità, emesso la mattina della Comunione furtiva.

Senza trascurare i suoi doveri di domestica, Caterina si fa educatrice dei bambini di S. Gervasio (Bergamo) e li guida sulla via dell’onestà e delle virtù cristiane e sociali. Con la preghiera  assidua, la mortificazione, un’intensa vita interiore e l’esercizio delle opere di misericordia, Caterina si prepara ad accogliere la volontà del Signore.

Scioltasi dai legami familiari in seguito alla morte dei genitori, la giovane cerca il modo di concretizzare il suo ideale eucaristico. Apre il suo cuore a Mons. Speranza, allora Vescovo di Bergamo, il quale si trova a Bienno, ospite dei conti Fé-Vitali.

Egli la incoraggia e l’assicura che tale è la volontà di Dio.

Nel 1880, trovandosi a Roma con i suoi padroni, riesce a parlare con il Papa Leone XIII del suo progetto di fondare un Istituto religioso dedito all’adorazione eucaristica. Il Papa glielo modifica suggerendole di unire all’adorazione anche l’educazione delle giovani operaie.

Sorretta dal nuovo Vescovo di Bergamo, Mons. Guindani, e dal suo “Padre e Superiore”, Don F. Spinelli, il 15 dicembre 1882, Caterina, insieme a due altre compagne, dà origine alla Congregazione delle Suore Sacramentine di Bergamo, con la prima ora di adorazione al SS. Sacramento.

Il 15 dicembre 1884, veste l’abito religioso e prende il nome di Suor Geltrude del SS.mo Sacramento.

La nuova Congregazione si rivela opera di Dio. Come tutte le opere di Dio, infatti, deve attraversare la bufera delle avversità, che mette a dura prova la tenera pianticella. Questa, però, ha già diramato le sue profonde radici nel terreno ubertoso della preghiera, della mortificazione, dell’umiltà. Non importa che Suor Geltrude con le suore, consigliata dallo stesso Vescovo di Bergamo, Mons. Camillo Guindani, succeduto a Mons. Speranza, debba abbandonare il primo nido e rifugiarsi a Lodi.

Il Vescovo di Lodi, Mons. Rota, accoglie paternamente quelle figlie, raccomandategli dal Vescovo di Bergamo e, con gesto magnanimo, procura loro in Lavagna di Comazzo una casa che diventa provvisoriamente la Casa Madre dell’Istituto.

Superate le prove, l’8 settembre 1891, Mons. Rota, con apposito Decreto, erige canonicamente l’Istituto. Madre Geltrude il 28 marzo 1892 ritorna a Bergamo, culla della Congregazione, alla quale dà un impulso decisivo e vitale.

L’opera di Dio è compiuta!

La Fondatrice ha dato ormai tutte la garanzie di continuità per l’adorazione pubblica perpetua a Gesù Sacramentato, ha trasfuso nelle Suore il suo prezioso patrimonio spirituale, che è spirito di preghiera, di sacrificio, di mortificazione, di obbedienza, di umiltà, di carità, soprattutto verso i poveri.

Può quindi andare incontro allo Sposo. Il 18 febbraio 1903, a mezzogiorno, Madre Geltrude, piegando il capo verso la chiesa dell’Adorazione, inizia l’adorazione eterna.

CAPPELLA PAPALE
PER LA CANONIZZAZIONE DEI BEATI

Arcangelo Tadini (1846-1912) 
Bernardo Tolomei (1272-1348)
Nuno de Santa Maria Alvares Pereira (1360-1431)
Gertrude Comensoli (1847-1903)
Caterina Volpicelli (1839-1894)  

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Sagrato della Basilica Vaticana 
Domenica, 26 aprile 2009

 

Cari fratelli e sorelle,

in questa terza domenica del tempo pasquale, al centro della nostra attenzione la liturgia pone ancora una volta il mistero di Cristo risorto. Vittorioso sul male e sulla morte, l’Autore della vita, che si è immolato quale vittima di espiazione per i nostri peccati, “continua ad offrirsi per noi ed intercede come nostro avvocato; sacrificato sulla croce più non muore e con i segni della passione vive immortale” (cfr Prefazio pasquale 3). Lasciamoci interiormente inondare dal fulgore pasquale che promana da questo grande mistero, e con il Salmo responsoriale preghiamo: “Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto”.

La luce del volto di Cristo risorto risplende oggi su di noi particolarmente attraverso i tratti evangelici dei cinque Beati che in questa celebrazione vengono iscritti nell’albo dei Santi: Arcangelo Tadini, Bernardo Tolomei, Nuno de Santa Maria Alvares Pereira, Gertrude Comensoli e Caterina Volpicelli. Mi unisco volentieri all’omaggio che a loro rendono i pellegrini, qui convenuti da varie nazioni, ai quali con grande affetto rivolgo un cordiale saluto. Le diverse vicende umane e spirituali di questi nuovi Santi stanno a mostrarci il rinnovamento profondo che nel cuore dell’uomo opera il mistero della risurrezione di Cristo; mistero fondamentale che orienta e guida tutta la storia della salvezza. Giustamente pertanto la Chiesa sempre, ed ancor più in questo tempo pasquale, ci invita a dirigere i nostri sguardi verso Cristo risorto, realmente presente nel Sacramento dell’Eucaristia.

Nella pagina evangelica, san Luca riferisce una delle apparizioni di Gesù risorto (24,35-48). Proprio all’inizio del brano, l’evangelista annota che i due discepoli di Emmaus, tornati in fretta a Gerusalemme, raccontarono agli Undici come lo avevano riconosciuto “nello spezzare il pane” (v. 35). E mentre essi stavano narrando la straordinaria esperienza del loro incontro con il Signore, Egli “in persona stette in mezzo a loro” (v. 36). A causa di questa sua improvvisa apparizione gli Apostoli restarono intimoriti e spaventati, al punto che Gesù, per rassicurarli e vincere ogni titubanza e dubbio, chiese loro di toccarlo – non era un fantasma, ma un uomo in carne ed ossa - e domandò poi qualcosa da mangiare. Ancora una volta, come era avvenuto per i due di Emmaus, è a tavola, mentre mangia con i suoi, che il Cristo risorto si manifesta ai discepoli, aiutandoli a comprendere le Scritture e a rileggere gli eventi della salvezza alla luce della Pasqua. “Bisogna che si compiano – egli dice – tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” (v. 44). E li invita a guardare al futuro: “nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati” (v. 47).

Questa stessa esperienza, ogni comunità la rivive nella celebrazione eucaristica, specialmente in quella domenicale. L’Eucaristia, il luogo privilegiato in cui la Chiesa riconosce “l’autore della vita” (cfr At 3,15), è “la frazione del pane”, come viene chiamata negli Atti degli Apostoli. In essa, mediante la fede, entriamo in comunione con Cristo, che è “altare, vittima e sacerdote” (cfr Prefazio pasquale 5). Ci raduniamo intorno a Lui per far memoria delle sue parole e degli eventi contenuti nella Scrittura; riviviamo la sua passione, morte e risurrezione. Celebrando l’Eucaristia comunichiamo con Cristo, vittima di espiazione, e da Lui attingiamo perdono e vita. Cosa sarebbe la nostra vita di cristiani senza l’Eucaristia? L’Eucaristia è la perpetua e vivente eredità lasciataci dal Signore nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, che dobbiamo costantemente ripensare ed approfondire perché, come affermava il venerato Papa Paolo VI, possa “imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale” (Insegnamenti, V [1967], p. 779). Nutriti del Pane eucaristico, i santi che oggi veneriamo, hanno portato a compimento la loro missione di amore evangelico nei diversi campi, in cui hanno operato con i loro peculiari carismi.

Lunghe ore trascorreva in preghiera davanti all’Eucaristia sant’Arcangelo Tadini, che, avendo sempre di vista nel suo ministero pastorale la persona umana nella sua totalità, aiutava i suoi parrocchiani a crescere umanamente e spiritualmente. Questo santo sacerdote, uomo tutto di Dio, pronto in ogni circostanza a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, era allo stesso tempo disponibile a cogliere le urgenze del momento e a trovarvi rimedio. Assunse per questo non poche iniziative concrete e coraggiose, come l’organizzazione della “Società Operaia Cattolica di Mutuo Soccorso”, la costruzione della filanda e del convitto per le operaie e la fondazione, nel 1900, della “Congregazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth”, allo scopo di evangelizzare il mondo del lavoro attraverso la condivisione della fatica, sull’esempio della Santa Famiglia di Nazareth. Quanto profetica fu l’intuizione carismatica di Don Tadini e quanto attuale resta il suo esempio anche oggi, in un’epoca di grave crisi economica! Egli ci ricorda che solo coltivando un costante e profondo rapporto con il Signore, specialmente nel Sacramento dell’Eucaristia, possiamo poi essere in grado di recare il fermento del Vangelo nelle varie attività lavorative e in ogni ambito della nostra società.

Anche in san Bernardo Tolomei, iniziatore di un singolare movimento monastico benedettino, spicca l’amore per la preghiera e per il lavoro manuale. La sua fu un’esistenza eucaristica, tutta dedita alla contemplazione, che si traduceva in umile servizio del prossimo. Per il suo singolare spirito di umiltà e di accoglienza fraterna, fu dai monaci rieletto abate per ventisette anni consecutivi, fino alla morte. Inoltre, per assicurare l’avvenire della sua opera, egli ottenne da Clemente VI, il 21 gennaio 1344, l’approvazione pontificia della nuova Congregazione benedettina, detta di “S. Maria di Monte Oliveto”. In occasione della grande peste del 1348, lasciò la solitudine di Monte Oliveto per recarsi nel monastero di S. Benedetto a Porta Tufi, in Siena, ad assistere i suoi monaci colpiti dal male, e morì egli stesso vittima del morbo come autentico martire della carità. Dall’esempio di questo Santo viene a noi l’invito a tradurre la nostra fede in una vita dedicata a Dio nella preghiera e spesa al servizio del prossimo sotto la spinta di una carità pronta anche al sacrificio supremo.

«Sabei que o Senhor me fez maravilhas. Ele me ouve, quando eu o chamo» (Sal 4,4). Estas palavras do Salmo Responsorial exprimem o segredo da vida do bem-aventurado Nuno de Santa Maria, herói e santo de Portugal. Os setenta anos da sua vida situam-se na segunda metade do século XIV [catorze] e primeira do século XV [quinze], que viram aquela nação consolidar a sua independência de Castela e estender-se depois pelos Oceanos – não sem um desígnio particular de Deus –, abrindo novas rotas que haviam de propiciar a chegada do Evangelho de Cristo até aos confins da terra. São Nuno sente-se instrumento deste desígnio superior e alistado na militia Christi, ou seja, no serviço de testemunho que cada cristão é chamado a dar no mundo. Características dele são uma intensa vida de oração e absoluta confiança no auxílio divino. Embora fosse um óptimo militar e um grande chefe, nunca deixou os dotes pessoais sobreporem-se à acção suprema que vem de Deus. São Nuno esforçava-se por não pôr obstáculos à acção de Deus na sua vida, imitando Nossa Senhora, de Quem era devotíssimo e a Quem atribuía publicamente as suas vitórias. No ocaso da sua vida, retirou-se para o convento do Carmo por ele mandado construir. Sinto-me feliz por apontar à Igreja inteira esta figura exemplar nomeadamente pela presença duma vida de fé e oração em contextos aparentemente pouco favoráveis à mesma, sendo a prova de que em qualquer situação, mesmo de carácter militar e bélica, é possível actuar e realizar os valores e princípios da vida cristã, sobretudo se esta é colocada ao serviço do bem comum e da glória de Deus.

Una particolare attrazione per Gesù presente nell’Eucaristia avvertì sin da bambina santa Gertrude Comensoli. L’adorazione del Cristo eucaristico diventò lo scopo principale della sua vita, potremmo quasi dire la condizione abituale della sua esistenza. Fu infatti davanti all’Eucarestia che santa Gertrude comprese la sua vocazione e missione nella Chiesa: quella di dedicarsi senza riserve all’azione apostolica e missionaria, specialmente a favore della gioventù. Nacque così, in obbedienza a Papa Leone XIII, il suo Istituto che mirava a tradurre la “carità contemplata” nel Cristo eucaristico, in “carità vissuta” nel dedicarsi al prossimo bisognoso. In una società smarrita e spesso ferita, come è la nostra, ad una gioventù, come quella dei nostri tempi, in cerca di valori e di un senso da dare al proprio esistere, santa Gertrude indica come saldo punto di riferimento il Dio che nell’Eucaristia si è fatto nostro compagno di viaggio. Ci ricorda che “l’adorazione deve prevalere sopra tutte le opere di carità” perché è dall’amore per Cristo morto e risorto, realmente presente nel Sacramento eucaristico, che scaturisce quella carità evangelica che ci spinge a considerare fratelli tutti gli uomini.

Testimone dell’amore divino fu anche santa Caterina Volpicelli, che si sforzò di “ essere di Cristo, per portare a Cristo” quanti ebbe ad incontrare nella Napoli di fine Ottocento, in un tempo di crisi spirituale e sociale. Anche per lei il segreto fu l’Eucaristia. Alle sue prime collaboratrici raccomandava di coltivare una intensa vita spirituale nella preghiera e, soprattutto, il contatto vitale con Gesù eucaristico. E’ questa anche oggi la condizione per proseguire l’opera e la missione da lei iniziate e lasciate in eredità alle “Ancelle del Sacro Cuore”. Per essere autentiche educatrici della fede, desiderose di trasmettere alle nuove generazioni i valori della cultura cristiana, è indispensabile, come amava ripetere, liberare Dio dalle prigioni in cui lo hanno confinato gli uomini. Solo infatti nel Cuore di Cristo l’umanità può trovare la sua ‘stabile dimora”. Santa Caterina mostra alle sue figlie spirituali e a tutti noi, il cammino esigente di una conversione che cambi in radice il cuore, e si traduca in azioni coerenti con il Vangelo. E’ possibile così porre le basi per costruire una società aperta alla giustizia e alla solidarietà, superando quello squilibrio economico e culturale che continua a sussistere in gran parte del nostro pianeta.

Cari fratelli e sorelle, rendiamo grazie al Signore per il dono della santità, che quest’oggi rifulge nella Chiesa con singolare bellezza in Arcangelo Tadini, Bernardo Tolomei, Nuno de Santa Maria Alvares Pereira, Gertrude Comensoli e Caterina Volpicelli. Lasciamoci attrarre dai loro esempi, lasciamoci guidare dai loro insegnamenti, perché anche la nostra esistenza diventi un cantico di lode a Dio, sulle orme di Gesù, adorato con fede nel mistero eucaristico e servito con generosità nel nostro prossimo. Ci ottenga di realizzare questa missione evangelica la materna intercessione di Maria, Regina dei Santi, e di questi nuovi cinque luminosi esempi di santità, che oggi con gioia veneriamo. Amen!

La notizia della morte si sparge e quanti la conoscono, specie la gente umile e povera da lei prediletta, unanimemente la dichiarano santa. Il 9 agosto 1926 la salma venerata è trasportata dal cimitero di Bergamo alla Casa Madre dell’Istituto da lei fondato, dove giace in apposita cappella, attigua alla chiesa dell’Adorazione. La Chiesa, esaudendo il desiderio di moltissime persone, il 18 febbraio 1928 apre il processo diocesano sulla santità della vita di Madre Geltrude, sulle sue virtù e sui miracoli, e lo conclude nel 1939.

Nello stesso anno, sotto il Pontificato di Pio XII, si apre il Processo Apostolico.

Il 26 aprile 1961, alla presenza del Santo Padre Giovanni XXIII, ha luogo la Congregazione generale, dopo la quale è data lettura del decreto sulla eroicità delle virtù praticate da Madre Geltrude, alla quale viene attribuito il titolo di Venerabile.

Il 1° ottobre 1989 Giovanni Paolo II la proclama Beata. Il 26 aprile 2009 Benedetto XVI la iscrive nell’albo dei Santi.

BEATIFICAZIONE DI NICEFORO E 25 COMPAGNI MARTIRI, DI LORENZO SALVI,
DI GELTRUDE COMENSOLI E DI FRANCISCA-ANA CARBONELL

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 1° ottobre 1989

 

Prima dell’inizio della solenne concelebrazione di beatificazione odierna, il Santo Padre saluta Sua Grazia il Dottor Runcie, Arcivescovo di Canterbury e Primate della Comunione Anglicana, con queste parole. 

Today, at this Mass of Beatification, I wish to extend a fraternal welcome to the Most Reverend Robert Runcie, Archbishop of Canterbury and Primate of the Anglican Communion, on the occasion of his official visit to the Holy See. Yesterday evening we prayed together in the Church from which Pope Saint Gregory the Great sent Saint Augustine to England to preach the Gospel of Christ. As we venerate other men and women who, like Saints Gregory and Augustine, bore courageous witness to Christ, we pray that all Christians will come to ever greater unity in their witness to our one Lord and Saviour.

1. “Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8, 9).

Nella liturgia della domenica odierna questa frase, presa dalla lettera di san Paolo ai Corinzi, costituisce come una introduzione al Vangelo ed alla parabola del ricco epulone e di Lazzaro. In pari tempo la Chiesa, riunita presso la confessione di san Pietro, pronuncia questa frase guardando a tutti i servi di Dio che oggi vengono proclamati beati.

A ciascuno di loro Gesù ha indicato la strada verso la santità, diventando povero per primo e facendosi modello di tutti, egli che era il Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre. Contemporaneamente a ciascuno dei nuovi beati egli ha rivelato il mistero di questa povertà, che fa diventare ricchi. In questo modo a ciascuno di loro ha indicato la via alla santità.

La Chiesa oggi gioisce per questi suoi figli e figlie, che hanno percorso la via indicata dal divino Maestro.

2. Ella se alegra por los mártires de la Comunidad de los Pasionistas de Daimiel, en España. Era una comunidad dedicada exclusivamente a la formación de los jóvenes que allí al amparo del Cristo de la Luz, se preparaban para ser sacerdotes y anunciar un día el Evangelio en tierras americanas, preferentemente en México, Cuba y Venezuela. La comunidad se componía casi en su totalidad de jóvenes de 18 a 21 anos, asistidos por un selecto claustro de profesores y hermanos que cuidaban de su formación. Era un ambiente de gran entusiasmo misionero en un clima de retiro, estudio y oración. Hombres de Dios, que siguiendo el consejo de San Pablo amaban “la justicia, la piedad, la fe, la caridad, la paciencia, la mansedumbre”. 

Ninguno de los religiosos de la comunidad de Daimiel se había mezclado en cuestiones políticas. No obstante, en el clima del momento histórico que les había tocado vivir, también ellos se vieron arrastrados por la tempestad de persecución religiosa, dando generosamente su sangre, fieles a su condición de religiosos, y émulos, en pleno siglo veinte, del heroísmo de los primeros mártires de la Iglesia.

Cuando la noche del 21 de julio de 1936 se presentaron en el convento los milicianos armados, el Superior Provincial, P. Niceforo, los reunió a todos en la iglesia, donde se confesaron y recibieron la santa comunión como Viático. Allí el P. Niceforo les exhortó vivamente: “Hermanos e hijos muy amados: Este es nuestro Getsemanì. La naturaleza, en su parte débil, desfallece y se acobarda. Pero Jesucristo está con nosotros. Os voy a dar al que es la fortaleza de los débiles. A Jesús le confortó un ángel. A nosotros es el mismo Jesucristo quien nos conforta y sostiene. Dentro de pocos momentos estaremos con Cristo.

¡Moradores del Calvario, ànimo y a morir per Cristo! A mi me toca animaros, pero yo mismo me estimulo con vuestro ejemplo!”.

La mayoría, jóvenes de 18 a 21 anos, vivía soñando en el sacerdocio, pero el Señor había dispuesto que su primera misa fuera la de su propio holocausto. Ahora nosotros les exaltamos y damos gloria a Cristo, que los ha asociado a su cruz: “El Señor ama a los honrados . . . él sustenta al huérfano y a la viuda, y trastorna el camino de los malvados. El Senor reina eternamente”.   

Ecco le parole del Santo Padre in una nostra tradizione in italiano:

2. Essa si rallegra per i martiri della comunità dei passionisti di Daimiel, in Spagna. Era una comunità dedicata esclusivamente alla formazione dei giovani di quei luoghi che, sotto la protezione del Cristo della luce, si preparavano a essere sacerdoti e annunciare un giorno il Vangelo nelle terre americane, soprattutto in Messico, Cuba e Venezuela. La comunità era composta quasi totalmente da giovani dai diciotto ai ventun anni, assistiti da una selezionata cerchia di professori e fratelli che curavano la loro formazione. Era un ambiente di grande entusiasmo missionario in un clima di ritiro, studio e preghiera. Uomini di Dio, che seguendo il consiglio di san Paolo amavano “la giustizia, la pietà, la fede, la carità, la pazienza, la mitezza” (1 Tm 6, 11).

Nessuno dei religiosi della comunità di Daimiel si era intromesso in questioni politiche. Ciò nonostante nel clima del momento storico che toccava loro vivere, anche costoro si videro colpiti dall’imperversare della persecuzione religiosa, dando generosamente il loro sangue, fedeli alla loro condizione di religiosi ed emuli, nel pieno secolo XX, dell’eroismo dei primi martiri della Chiesa.

Quando, la notte del 21 luglio del 1936, si presentarono al convento le milizie armate, il superiore provinciale, padre Niceforo, riunì tutti nella chiesa, dove si confessarono e ricevettero la santa Comunione come viatico. Lì il padre Niceforo li esortò vivamente: “Amatissimi fratelli e figli: Questo è il nostro Getsemani. La natura nella sua parte debole ha paura ed è codarda. Ma Gesù Cristo è con noi. Vi darò ciò che costituisce la forza dei deboli. Gesù fu confortato da un angelo. Noi siamo confortati e sostenuti dallo stesso Gesù Cristo. Fra pochi istanti saremo con Cristo. Gente del Calvario, coraggio e andiamo a morire per Cristo! Tocca a me farvi coraggio, ma io stesso prendo forza dal vostro esempio!”.

La maggior parte, giovani dai diciotto ai ventun anni, aveva vissuto sognando il sacerdozio, ma il Signore aveva disposto che la loro prima Messa fosse quella del loro olocausto. Ora noi li onoriamo e rendiamo gloria a Cristo, che li ha uniti a sé nella Croce. “Il Signore ama i giusti . . . / Egli sostiene l’orfano e la vedova, / ma sconvolge le vie degli empi. / Il Signore regna sempre (Sal 145, 9-10).  

3. “Tu, uomo di Dio . . . tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede (1 Tm 6, 11-12).

In questo programma, dettato dall’apostolo Paolo al discepolo Timoteo, possiamo veder delineato l’itinerario spirituale del beato Lorenzo Salvi, uomo di Dio, non solo nella intensa preghiera, ma anche nella instancabile dedizione al ministero sacerdotale. Egli fu pienamente consapevole della missione affidata da Cristo ad ogni apostolo e si sforzò durante tutta la vita di seguire gli esempi del Figlio di Dio, che volle salvare il mondo mediante l’umiliazione della Croce.

Lorenzo combatté la “buona battaglia della fede”, secondo lo spirito della sua congregazione religiosa, lavorando intensamente nella predicazione delle missioni al popolo, nei corsi di esercizi spirituali, nel mistero delle confessioni. In quanti avvicinava egli cercava di instillare l’amore del Cristo povero ed umile, mediante la devozione all’infanzia di Gesù e alla sua Passione, momenti nei quali massimamente si rivelano l’umiltà e la dolcezza del salvatore. Convinto dell’infinita misericordia del Cuore di Cristo, egli non si stancava di esortare le anime alla fiducia, sull’esempio del bambino che in tutto s’affida alle braccia amorevoli e forti del padre.

Lorenzo conobbe il beato Domenico Barberi ed il suo progetto per il dialogo tra la Chiesa cattolica e quella anglicana: avrebbe voluto seguire in Inghilterra l’amico, ma l’obbedienza lo trattenne in patria. Anche in questo caso, come in tanti altri, egli seppe trovare in Cristo crocifisso, ideale della sua famiglia religiosa, la forza per rinunciare al proprio disegno apostolico e farsi guidare soltanto dalla preoccupazione di “conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento” (1 Tm 6, 14), cioè l’impegno dell’adesione senza riserve al volere di Dio.

Con questi solidi fondamenti il beato Salvi riuscì ad essere maestro di vita spirituale di molte anime, che lo ascoltarono nella predicazione, nel confessionale, nella direzione di coscienza. Ad esse egli annunciò con fervore mai smorzato il mistero di Cristo. “il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno tra gli uomini ha mai visto, né può vedere” (1 Tm 6, 15-16).

4. È ancora l’esempio del Cristo povero ed umile, contemplato soprattutto nel mistero eucaristico, a guidare l’impegno di Geltrude Comensoli nel faticoso itinerario spirituale e nelle travagliate vicende della fondazione delle suore sacramentine di Bergamo. È proprio l’umiltà del Pane eucaristico, sacramento della presenza reale di Cristo, che sostiene Geltrude e le consente di stare di fronte alla mensa dei potenti con l’intrepida costanza di Lazzaro, nella volontaria scelta dell’evangelico “ultimo posto”.

Geltrude sentì tale impegno di rinnegamento come una vocazione forte ed esigente: “Non alzerò mai la voce - scrive nei suoi propositi - non mi giustificherò mai, né a ragione né a torto. Soffrirò tutto in silenzio, qualsiasi cosa mi venisse fatta” (Gli scritti, p. 26). A tale spirito di umiltà ella volle educare le consorelle, chiedendo per esse l’interiore povertà dello spirito: “Diffidenza di sé, umiltà grande, generosità nel patire, e grande carità di comportamento” (Gli scritti, pp. 792-793).

Come il povero indicato dalla parabola, Geltrude soffrì la privazione di tutto, quando un dissesto finanziario determinò l’espropriazione dei beni materiali dell’istituto appena fondato e già fiorente. “Mio Gesù - scriveva in una sua memoria - di qui a qualche minuto . . . vengono a mettere tutto sotto sigillo . . . Gli uomini vogliono le nostre cose. Voi sigillate il mio cuore . . . tenetemi sempre con voi, mio diletto Gesù” (Gli scritti, pp. 56 s.).

Geltrude volle così in qualche modo, mettere tutta la sua ricchezza “nel seno di Abramo” (Lc 16, 22), cioè nel cuore di Cristo, presente nella Eucaristia: “Terrò il mio cuore sempre rivolto all’altare dove dimora l’amato Gesù. Stanca ed oppressa, afflitta, desolata, là sarà il mio luogo di riposo, veduta solo dal mio Gesù . . . La mia vita deve essere sepolta in Dio nel Divino suo Costato” (Gli scritti, p. 60; pp. 56 s.).

È l’Eucaristia che conduce al Regno: presso la mensa del Pane di vita, pegno della gloria futura, si alimenta quel fuoco della carità soprannaturale, in cui è dato all’anima di pregustare fin d’ora un’anticipazione della gioia riservata ai santi nel cielo.

5. También en la vida de la Beata Francisca-Ana de los Dolores de María vemos reflejadas las enseñanzas que hoy nos acaba de dar Jesús en su Evangelio. Ante el binomio riqueza-pobreza, Francisca-Ana escogiò la pobreza y excluyó del proyecto de su vida cristiana y consagrada la riqueza porque sabìa que podía apartarla de Dios. Dedicó lo poco que producían sus tierras al servicio de la parroquia y de los más necesitados: “El Señor da Pan a los hambrientos . . . el Señor sustenta al huérfano y a la viuda” .

Francisca-Ana a lo largo de su vida obedeció la voluntad de Dios. Una voluntad divina que a veces resulta difícil de discernir: de joven quiere ser monja y su padre se lo impide. Francisca-Ana ve en esta negativa paterna la voluntad de Dios: no puede ser monja en un convento, lo será en su propia casa por medio de una vida dedicada a la oración, a la mortificación y al apostolado.

Cuando a los cuarenta años queda sola en el mundo después de la muerte de sus padres y hermanos, ya sea por obediencia a su Director espiritual, ya sea porque las circunstancias socio-políticas de su nación no se lo aconsejan, difiere la realización de su ideal de consagrarse a Dios por medio de los votos religiosos hasta casi el final de su vida, cuando cuenta setenta anos de edad y funda en su propia casa el convento de la caridad.

Una vida llena de incertidumbres, pero una vida en la que no hubo ningún obstáculo para servir en todo a Dios, porque Francisca-Ana había dado todo lo que tenía, es más, se había dado ella misma consagrándose a Dios en la virginidad.

Así libre de todo lo que la pudiera atar a este mundo, combatió el combate de la Fe  emprendiendo decididamente el camino de la perfección cristiana. En la Beata Francisca-Ana de los Dolores de María el Señor nos da un magnífico ejemplo de saber anteponer el servicio de Dios al servicio de las riquezas y del mundo, de saber tener el corazón libre para consagrarlo y dedicarlo solamente a El.

Ecco le parole del Santo Padre in una nostra tradizione in italiano:

5. Anche nella vita della beata Francisca-Ana dei dolori di Maria vediamo riflessi gli insegnamenti che ci ha appena dato Gesù nel suo Vangelo. Di fronte al binomio ricchezza-povertà, Francisca-Ana scelse la povertà ed escluse dal progetto della sua vita cristiana e consacrata la ricchezza perché sapeva che poteva allontanarla da Dio. Dedicò quel poco che le sue terre producevano al servizio della parrocchia e dei più bisognosi: “Il Signore dà il pane agli affamati . . . / Il Signore sostiene l’orfano e la vedova” (Sal 145, 7. 9).

Francisca-Ana durante la sua vita obbedì alla volontà di Dio. Una volontà divina che a volte risulta difficile discernere: da giovane sceglie di essere suora e suo padre glielo impedisce. Francisca-Ana vede in questa negazione paterna la volontà di Dio: non può essere suora in un convento, lo sarà in casa sua grazie ad una vita dedicata alla preghiera, alla mortificazione e all’apostolato.

Quando a quarant’anni resta sola al mondo dopo la morte dei genitori e dei fratelli, sia per obbedienza al suo direttore spirituale, sia perché le circostanze socio-politiche della sua Nazione non glielo consentono, proroga la realizzazione del suo sogno di consacrarsi a Dio per mezzo dei voti religiosi fino quasi al termine della sua vita, quando ha già settant’anni e fonda in casa sua il convento della carità.

Una vita piena di incertezze, ma anche una vita in cui non ebbe nessun ostacolo per poter servire Dio, perché Francisca-Ana aveva dato tutto ciò che aveva, e non solo, si era lei stessa consacrata a Dio nella verginità.

Così, libera da tutto ciò che la potesse legare a questo mondo, combatte la battaglia della fede (1 Tm 6, 12) intraprendendo decisamente il cammino della perfezione cristiana. Con la beata Francisca-Ana dei dolori di Maria, il Signore ci offre un magnifico esempio del saper anteporre il servizio di Dio al servizio delle ricchezze e del mondo, del saper tenere il cuore libero per poterlo consacrare e dedicare solamente a lui.

6. Levando i nostri occhi verso questi nuovi beati, possiamo ben dire che essi hanno conservato “senza macchia ed irreprensibile il comandamento” (1Tm 6,14). Hanno confidato nel Cristo, nella sua Parola, ed hanno atteso la sua manifestazione ultima nella gloria della sua suprema ed unica regalità. Hanno perciò accolto il suo messaggio, seguendolo quaggiù povero ed umile, quali servi totalmente dediti ai fratelli. Con tale spirito essi hanno amato la Chiesa, hanno testimoniato per essa, l’hanno servita durante tutta la loro vita generosa, combattendo “la buona battaglia della fede” (1 Tm 6, 12), come uomini e donne di Dio, come apostoli del Vangelo.

La loro è stata veramente una “bella professione di fede davanti a molti testimoni” (1 Tm 6, 12). Molti furono, in effetti, i testimoni che ammirarono i loro esempi, che udirono la predicazione, che accolsero il messaggio della consacrazione a Cristo nella preghiera e nelle opere di carità. Molti sono, ancor oggi, e proprio in questa solenne circostanza, coloro che, considerando la vicenda dei nuovi beati, possono proclamare nella fede che Cristo è l’“unico sovrano, . . . il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere” (1 Tm 6, 15-16).

Gesù Cristo, che si è fatto povero perché diventasse ricco ogni uomo che ha seguito la sua chiamata - ciascuno di coloro che da oggi la Chiesa chiamerà beati -, è in pari tempo il re dei re e il Signore dei governanti, l’unico che conosce l’immortalità, che abita una luce irraggiungibile per l’uomo.

O Cristo Gesù!
Ti rendiamo grazie perché tu introduci l’uomo nella santità, che è la vita di Dio stesso.
Ti rendiamo grazie per: Niceforo ed i suoi compagni martiri,
per Lorenzo, Geltrude, Francesca-Anna.
Ti rendiamo grazie, o Cristo.
A Te la gloria e la potenza eterna. Amen.