Geremia da Valacchia

Geremia da Valacchia

(1556-1625)

Beatificazione:

- 30 ottobre 1983

- Papa  Giovanni Paolo II

Ricorrenza:

- 5 marzo

Religioso, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, ininterrottamente per quarant’anni diede assistenza agli infermi con carità e letizia

  • Biografia
  • omelia di beatificazione
"Dite il Pater Noster perché questa è la miglior orazione che può fare un cristiano, chè l'ha insegnata Dio alli apostoli"

 

Geremia da Valacchia, al secolo Ion Kostist nasce a Tzazo (Romania) il 29 giugno 1556. Nel 1574, a diciotto anni viene in Italia, riallacciando nella sua vicenda storica Oriente e Occidente, lanciando un emblematico ponte tra i popoli e tra le Chiese cristiane. Sorgente inesauribile della sua vita interiore era la preghiera, che lo faceva crescere ogni giorno nell’amore per il Padre e per i fratelli. Attingeva ispirazione e forza dalla meditazione assidua del Crocifisso, dall’intimità con Gesù Eucaristico e da una filiale devozione verso la Madre di Dio.

Per i poveri si prodigò generosamente, industriandosi con tutti i mezzi per sollevarne le miserie. Con illuminata larghezza di spirito diceva che bisognava ispirarsi alla liberalità del Padre celeste e dare gratuitamente quanto gratuitamente s’era ricevuto per condividerlo coi fratelli in necessità. Nell’assistenza agli ammalati spese tutta la ricchezza della sua generosità e della sua eroica abnegazione. Serviva instancabilmente, riservandosi come ambito privilegio i servizi più umili e più faticosi, scegliendo di accudire i malati più difficili e più esigenti.

Una carità così straordinaria non poteva restare circoscritta tra le mura del convento. Ecclesiastici, nobili e popolani chiedevano, nella malattia, una visita del frate valacco. E fu appunto per recarsi a visitare un ammalato in un rigido giorno d’inverno, che contrasse una pleuropolmonite che ne stroncò la robusta fibra.

Geremia da Valacchia è il primo romeno che ascende ufficialmente agli onori degli altari.

BEATIFICAZIONE DEI SERVI DI DIO GIACOMO CUSMANO, 
DOMENICO ITURRATE ZUBERO E GEREMIA DE VALACCHIA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Domenica, 30 ottobre 1983

 

1. Oggi la Chiesa esprime, con le parole del Libro della Sapienza, l’amore con il quale Dio abbraccia tutto il creato. Tali parole della liturgia odierna sono così belle che desidero ripeterle: “Tutto il mondo è davanti a te, come polvere sulla bilancia, / come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. / Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, / non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. / Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? / O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza? / Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, / amante della vita, poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. / Per questo tu castighi poco alla volta i colpevoli / e li ammonisci ricordando loro i propri peccati, / perché, rinnegata la malvagità, credano in te, Signore” (Sap 11, 22-12, 2).

2. Queste parole del Libro della Sapienza sembrano costituire come uno speciale accompagnamento di tutto ciò che la Chiesa vive nell’Anno della Redenzione. Esse sono per noi fonte di luce, nel momento in cui eleviamo alla gloria degli altari i servi di Dio: Giacomo Cusmano, Domenico del Santissimo Sacramento e Geremia da Valacchia.

L’Amore di Dio verso tutto il creato trova la sua particolarissima espressione nella santificazione dell’uomo. La Chiesa oggi gioisce proprio per questo, cioè perché tre suoi figli, collaborando con la Grazia di Dio, hanno percorso la via che conduce alla santità. Su questa via sono stati chiamati da Cristo, così come una volta fu chiamato il pubblicano Zaccheo. La vicenda di Zaccheo appare lo specchio di un’autentica conversione evangelica: egli infatti, accogliendo il Signore in casa e riparando le concussioni fatte nel suo lavoro, da un mirabile esempio di amore verso Dio e verso i fratelli. Questo duplice amore segna la via della perfezione cristiana, battuta dai Servi di Dio, che ora abbiamo proclamato Beati.

a) Anzitutto il Beato Giacomo Cusmano, medico e sacerdote. Egli, per sanare le piaghe della povertà e della miseria che affliggevano tanta parte della popolazione a causa di ricorrenti carestie ed epidemie, ma anche di una sperequazione sociale, scelse la via della carità: amore di Dio che si traduceva nell’amore effettivo verso i fratelli e nel dono di sé ai più bisognosi e sofferenti in un servizio spinto sino al sacrificio eroico.

Dopo aver aperto una prima “Casa dei poveri”, diede inizio ad una più vasta opera di promozione sociale, istituendo l’“Associazione del boccone del povero”, che fu come il granello di senapa da cui sarebbe sorta una pianta tanto rigogliosa. Facendosi povero coi poveri, non disdegnò di mendicare per le vie di Palermo, sollecitando la carità di tutti e raccogliendo viveri che poi distribuiva agli innumerevoli poveri che gli si stringevano intorno.

La sua opera, come tutte le opere di Dio, incontrò difficoltà che misero a dura prova la sua volontà, ma con la sua immensa fiducia in Dio e con la sua invitta fortezza di animo superò ogni ostacolo, dando origine all’Istituto delle “Suore Serve dei poveri” e alla “Congregazione dei missionari Servi dei poveri”.

Egli guidò i suoi figli e le sue figlie spirituali all’esercizio della carità nella fedeltà ai consigli evangelici e nella tensione verso la santità. Le sue regole e le sue lettere spirituali sono documenti di una sapienza ascetica in cui si accordano fortezza e soavità. L’idea centrale era questa: “Vivere alla presenza di Dio e in unione con Dio; ricevere tutto dalle mani di Dio; far tutto per puro amore e gloria di Dio”.

Questo magnifico “Servo dei poveri” si spense nell’esercizio di una carità che andava sempre più divampando sino a toccare vertici eroici. Essendo scoppiato un nuovo colera a Palermo, egli si adoperò senza pari per essere vicino, in tutti i momenti, ai suoi poveri. “Signore - egli ripeteva - colpite il pastore e risparmiate il gregge”. Ne uscì gravemente scosso nella salute e, a soli 54 anni, consumava il suo olocausto, consegnando amorevolmente la sua anima a quel Dio, il cui nome è Amore.

b) La seconda figura ecclesiale elevata oggi agli altari, il religioso trinitario Domenico Iturrate Zubero, nacque in terra di Spagna, nei Paesi Baschi. La sua breve esistenza, di appena ventisei anni, contiene un ricco messaggio che si concretizza nella tensione costante verso la santità. In questo cammino vi sono alcune caratteristiche peculiari che desidero passare in rassegna sinteticamente.

Il compimento fedele della volontà di Dio è una meta che raggiunse vertici altissimi, soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Per questo, nel 1922 scriverà nelle sue note spirituali: “La nostra conformità con la volontà divina dev’essere totale, senza riserve e costante”. Animato da questo spirito, e con il consenso del suo direttore spirituale, fece voto di “far sempre ciò che sapeva essere massimamente perfetto” proponendosi inoltre “di non negare niente a Dio Nostro Signore, ma di seguire in tutto le sue sante ispirazioni, con generosità e gioia”.

Come religioso trinitario, fece in modo di vivere secondo le due grandi direttive della spiritualità del suo ordine: il mistero della Santissima Trinità e l’opera della Redenzione, che in lui si fece esperienza di viva carità. E in quanto sacerdote, ebbe una chiara immagine della sua identità di “mediatore tra Dio e gli uomini”, o “rappresentante del Sacerdote eterno, Cristo”. Tutto ciò lo portava a vivere ogni Eucaristia come un atto di immolazione personale, unito alla Vittima Suprema, in favore degli uomini.

Non meno notevole fu la presenza di Maria nella traiettoria spirituale del nuovo Beato. Dall’infanzia fino alla morte. Una devozione che egli visse con una grande intensità e che fece in modo di trasmettere sempre agli altri, convinto com’era di “quanto buono e sicuro è questo cammino: andare al Figlio per mezzo della Madre”.

Questi soli accenni ci pongono dinanzi alla forza di un modello ed esempio valido per oggi. Con la sua testimonianza di fedeltà alla chiamata interiore e di risposta generosa ad essa, Padre Domenico mostra ai nostri giorni un cammino da seguire: quello di una fedeltà ecclesiale che plasma l’identità interiore e che conduce alla santità.

Desidero ora esortare i cristiani del popolo basco nella loro lingua: “Jarrai dezaten Beato berriaren Kristogana’ko zintzotasunikasbidea”.

c) Il terzo Beato è il frate cappuccino Geremia da Valacchia: un figlio della Romania, la nobile Nazione che porta nella lingua e nel nome l’impronta di Roma. La glorificazione di questo servo fedele del Signore, dopo tre secoli di misterioso nascondimento, è riservata ai nostri giorni, segnati dalla ricerca dell’ecumenismo e della solidarietà tra i popoli a livello internazionale.

Il Beato Geremia da Valacchia venendo dalla Romania in Italia, riallacciò nella sua vicenda storica Oriente e Occidente, lanciando un emblematico ponte tra i popoli e tra le Chiese cristiane. Sorgente inesauribile della sua vita interiore era la preghiera, che lo faceva crescere ogni giorno nell’amore per il Padre e per i fratelli. Attingeva ispirazione e forza dalla meditazione assidua del Crocifisso, dall’intimità con Gesù Eucaristico e da una filiale devozione verso la Madre di Dio.

Per i poveri si prodigò generosamente, industriandosi con tutti i mezzi per sollevarne le miserie. Con illuminata larghezza di spirito diceva che bisognava ispirarsi alla liberalità del Padre celeste e dare gratuitamente quanto gratuitamente s’era ricevuto per condividerlo coi fratelli in necessità. Nell’assistenza agli ammalati spese tutta la ricchezza della sua generosità e della sua eroica abnegazione. Serviva instancabilmente, riservandosi come ambito privilegio i servizi più umili e più faticosi, scegliendo di accudire i malati più difficili e più esigenti.

Una carità così straordinaria non poteva restare circoscritta tra le mura del convento. Ecclesiastici, nobili e popolani chiedevano, nella malattia, una visita del frate valacco. E fu appunto per recarsi a visitare un ammalato in un rigido giorno d’inverno, che contrasse una pleuropolmonite che ne stroncò la robusta fibra.

Rivolgendomi a voi Romeni nella vostra lingua, mi compiaccio che abbiate chiesto di mettere sul candelabro questa lampada ardente. Voi avete scoperto il suo messaggio e vi siete uniti intorno alla sua figura, che sintetizza ed esprime la vostra tradizione cristiana e le vostre aspirazioni. Nella vostra storia bimillenaria, pur ricca di tanti valori di fede, Geremia da Valacchia è il primo romeno che ascende ufficialmente agli onori degli altari. Egli che nella sua vita realizzò una sintesi armoniosa tra la Patria naturale e quella adottiva, contribuisca ora, proclamato “beato”, a promuovere la pace tra le nazioni e l’unità dei cristiani, additandone col suo esempio la strada maestra: la carità operosa per i fratelli.

I tre Beati si sono resi degni della chiamata del Signore mediante la loro profonda unione con Dio nella preghiera incessante e nella perfetta adesione alla Chiesa, che è stata fondata dal Maestro divino per dirigere, istruire e santificare i suoi figli e le sue figlie.

I nuovi Beati si sono lasciati ammaestrare dalla Chiesa, che hanno amato e seguito con grande docilità, e hanno così raggiunto quel vertice di perfezione e di santità, a cui essa non cessa di additare e di guidare le anime.

3. Oggi la Chiesa elevando, come Beati, alla gloria degli altari Giacomo, Domenico e Geremia, desidera venerare in modo particolare Dio: rendere gloria a Dio. L’uomo è ciò che è davanti a Dio; egli esiste per essere una “lode della sua gloria” (Ef 1, 14). La lode di Dio dà il senso alla vita, giacché, come dice sant’Ireneo, “la gloria di Dio è l’uomo vivente” (S. Ireneo, Adversus haereses IV, 20, 7). La lode non realizza soltanto l’uomo singolarmente preso, ma anche la Chiesa, come popolo di Dio, il cui ruolo è narrare le meraviglie di Dio! Per questo i Padri amavano definire la Chiesa come il “luogo della dossologia”. Lodare Dio significa riconoscere le meraviglie che esistono in lui e che egli riserva nell’Universo. Ma significa anche ammirare le meraviglie della Redenzione che egli opera nei santi, chiamandoli allo splendore della sua grazia e della sua perfezione. A questo proposito il Salmo responsoriale è quanto mai illuminante: “O Dio, mio re, voglio esaltare e benedire il tuo nome / in eterno e per sempre. / Grande è il Signore e degno di ogni lode, / la sua grandezza non si può misurare” (Sal 145, 1. 3).

4. Sì! I santi parlano della gloria del Regno di Dio. Proclamano la potenza della Redenzione di Cristo: la potenza della croce e della risurrezione. Sono una viva testimonianza che il Creatore e Padre ama tutte le cose esistenti (cf. Sap 11, 24).

Una tale testimonianza devono diventare al cospetto della Chiesa i beati Giacomo Cusmano, Domenico del Santissimo Sacramento, Geremia da Valacchia. Oggi desideriamo accogliere questa testimonianza nel tesoro della santità che la Chiesa custodisce con grande venerazione e gratitudine. Desideriamo accogliere la testimonianza dei nuovi beati nell’anno del Giubileo straordinario, affinché l’eredità del mistero della Redenzione sia viva e vivificante per le intere generazioni del Popolo di Dio.

“Tutte le cose sono tue, Signore, / amante della vita” (cf. Sap 11, 26). Amen.