Giovanni Battista Scalabrini

Giovanni Battista Scalabrini

(1839 - 1905)

Beatificazione:

- 09 novembre 1997

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 09 ottobre 2022

- Papa  Francesco

-

Ricorrenza:

- 1 giugno

Vescovo di Piacenza, Fondatore della Congregazione dei Missionari di San Carlo e della Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo; si adoperò con ogni mezzo per la sua Chiesa e rifulse per la sollecitudine verso i sacerdoti, i contadini e gli operai; in particolare, ebbe a cuore gli emigranti nelle città d’America

  • Biografia
  • Omelia
  • omelia di beatificazione
«Proprio a causa delle migrazioni forzate dalle persecuzioni la Chiesa superò i confini di Gerusalemme e di Israele e divenne “cattolica”; grazie alle migrazioni di oggi la Chiesa sarà strumento di pace e di comunione tra i popoli»

 

VITA  E  OPERE

 

Giovanni Battista Scalabrini nacque l’8 luglio 1839 a Fino Mornasco, in provin­cia di Como, Italia, terzo di otto figli. Il padre gestiva un modesto nego­zio di vini, la madre era casalinga. Battezzato lo stesso giorno della nascita, fu cresimato l’anno successivo. Maturò, sotto la guida del proprio parroco, la vocazione alla vita sacerdotale, così da entrare, nell’ottobre del 1857, nel seminario diocesano di Sant’Abbondio. Qui ebbe, fra i compagni di studi, San Luigi Guanella, di tre anni più gio­vane di lui. Dotato di un’intelligenza vivace, lo Scalabrini si distingueva negli studi in modo particolare. Compiute le diverse tappe della formazione seminaristica, il 30 maggio 1863 fu ordinato sacerdote da Mons. Giuseppe Marzorati, Vescovo di Como. Chiese allora di potersi aggregare al Pontificio Istituto Mis­sioni Estere (PIME), ma il Vescovo non glielo permise e lo nominò vicerettore del semi­nario e professore di storia e greco. Nel 1867 si coinvolse nella cura degli ammalati di colera a Portichetto, un paese vicino a Fino Mornasco, meritando per questo dal Governo una medaglia al valore civile. Nello stesso anno venne nominato rettore del seminario. Pochi anni più tardi il Vescovo lo nominò parroco di San Bartolomeo, nella periferia industriale di Como, dove ebbe a sviluppare una peculiare sensibilità per le problematiche sociali e l’educazione della gioventù. Scrisse anche il Piccolo catechismo per gli asili d’infanzia e, nel 1872, tenne in duomo undici conferenze, poi pubblicate, sul Concilio Vaticano I. Questa attività ne accrebbe la fama e contribuì alla sua nomina a Vescovo di Piacenza nel 1876. Aveva appena 36 anni.

 

Vescovo a Piacenza

 

Le prime iniziative del Vescovo Scalabrini rivelarono quello che sarebbe stato il suo ministero per 29 anni: contatto diretto col popolo, riforma della vita diocesa­na, attenzione al clero, preoccupazione per l’insegnamento della dottrina cristiana, carità per i più bisognosi. Così enunciava infatti il suo programma pastorale nella prima lettera alla diocesi (1876): «Inviato in prima ai poveri ed ai più infelici che traggono miseramente la vita nella desola­zione, soffrirò con essi, dando opera soprattutto a sovvenire e evangelizzare i pove­ri». Dopo tre secoli dall’ultima, indisse la visita pastorale a quel territorio, che contava 364 parrocchie, di cui molte in montagna. Riteneva la visita alle parrocchie «il più caro» degli uffici. Per questo, negli anni del suo episcopato, tenne cinque visite pastorali alla diocesi e la sesta era già stata indetta, allorché la morte ne impedì la realizzazione. Un’infor­mazione preziosa, che raccolse di mezzo al suo popolo, fu che circa l’11% dei suoi fedeli era costretta ad emigrare. In connessione con le visite pastorali, va considerata la celebrazione di tre Sinodi diocesani. Grande attenzione ebbe per il clero, che volle incontrare e riunire periodicamente, e per i tre seminari diocesani, quello Urbano, quello di Bedonia e il Collegio Alberoni, dei quali rinnovò la disciplina e gli studi. Parallelamente alla predicazione, inviò sessanta lettere pasto­rali, delle quali alcune ebbero grande risonanza, come quella del 1887 su Cattolici di nome e cattolici di fatto, che ebbe quattro edizioni in due mesi. Quando uscivano encicliche papali, era solito riprenderne il con­tenuto e guidarne alla compren­sione. Si avvalse dei mezzi di comuni­cazione e fondò nel 1896 L’Amico del Popolo, che l’anno successivo divenne un quotidiano, organo ufficiale dei cattolici piacentini. Consacrò circa 200 chiese, tra nuove e rinnovate; restaurò il duomo, riportandolo alle primitive linee medievali; coltivò e promosse in modo particolare il culto dell’Eucaristia, della Madonna e dei Santi.

Tema caro allo Scalabrini fu quello della catechesi. Due mesi dopo il suo arrivo in diocesi inviò la lettera pastorale Sull’in­se­gnamento del catechismo e nel 1876 inaugurò la rivista mensile Il Catechista cattolico. Tre anni dopo l’inizio del suo ministero si contavano in diocesi 4.000 catechisti. Il Beato Pio IX, nell’udienza del 7 giugno 1877, gli donò la sua croce pettorale e gli diede il nome di Apostolo del catechismo.

«Predicare la verità con la carità»: a questo motto restò fedele per tutto il suo episcopato. In occasioni di grandi calamità fu organiz­zatore solerte di un’attiva e capillare azione di aiuto e di assistenza. Ideò inoltre l’Istituto per le Sordomute, affidato nel 1874 alle Figlie di Sant’Anna, l’Opera pro mondariso per l’assistenza religio­sa, sociale e sindacale dei circa 170.000 migranti stagionali addetti alla coltura del riso in Piemonte e Lombardia. Il suo pensiero sociale è raccolto nel volume Il socialismo e l’azione del clero, vera e propria eco all’enciclica Rerum Novarum.

Appassionato nell’animazione dei laici, si adoperò perché l’Opera dei Congressi, espressione del Movimento Cattolico, avesse nella sua diocesi una fitta rete organizzativa, tanto che nel 1897 Piacenza era la seconda diocesi d’Italia per quota di partecipanti.

 

Fondatore degli istituti per gli emigrati

 

Si conta che dal 1875 al 1915 quasi 9 milioni di italiani presero la strada dell’emigrazione, diretti prima verso il Brasile e l’Argen­tina, poi verso gli Stati Uniti. Giovanni Battista Scalabrini non vide solo le migrazioni quale occasione di carità ed assistenza materiale, ma come una vera e propria sfida pastorale. Sradicati dal proprio contesto culturale infatti, molti migranti perdevano la fede. Fu per questo che il Beato, approfondito lo studio del problema e dopo aver tenuto una serie di conferenze in varie città, iniziò a pensare ad un modo istituzionale di accompagnare i migranti. Nel 1887 presentò alla Sacra Congregazione de Propaganda Fide il progetto di un’associa­zione per l’assistenza spirituale degli italiani in America. Il 15 novembre dello stesso anno Leone XIII approvò l’istituzione dei missionari per gli immigrati e il 28 novembre, a Piacenza, con la promessa dei primi due sacerdoti, ebbe inizio la Congregazione dei Missionari di San Carlo. L’Associazione di patronato per gli emigrati, la “San Raffaele”, istituzione laica fondata nel 1889 dallo stesso Scalabrini, ebbe il compito di essere presente soprattutto nei porti di imbarco e di sbarco.

«L’opera dei Missionari sarebbe incompleta, specialmente nel Sud d’America, senza l’aiuto delle Suore», diceva Scalabrini. Fu lui ad incoraggiare Madre Cabrini a recarsi nelle Americhe e le consegnò il crocifisso a Codogno nel marzo 1889. Fondò quindi, il 25 ottobre 1895, la Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo. Indirizzò al lavoro tra gli emigrati anche l’Istituto delle Suore di Madre Clelia Merloni, al quale diede un nuovo regolamento e l’approvazione diocesana.

Incoraggiato da Leone XIII, Scalabrini visitò i missionari ed i migranti prima negli Stati Uniti (1901), poi in Sud America (1904). Suggerì a San Pio X l’istituzione di un organismo, presso la Santa Sede, per la cura di tutti i migranti nel mondo, cosa che il Santo Pontefice mise in atto qualche anno più tardi, con l’istituzione dell’Ufficio speciale per l’emigrazione, annesso alla Congregazione Concistoriale.

Di ritorno dal viaggio in Brasile, il disturbo di salute, di cui soffriva da tempo, si aggravò. Si sottopose quindi ad un intervento chirurgico, ma le sue condizioni peggiorarono. Il 1° giugno 1905, festa dell’Ascensione di Gesù al cielo, rese l’anima a Dio.

La sensibilità pastorale di Mons. Scalabrini lo portò a cogliere l’importanza e la complessità politica, sociale e religiosa del fenomeno migratorio nelle società moderne, ad analizzarne le cause e a iniziare una serie di progetti concreti e mirati per la sua tutela e gestione costruttiva. Un profondo senso di cristiana carità animò l’azione del Vescovo di Piacenza, ma anche la ricerca di una strada nuova per un ruolo pubblico dei cattolici italiani come protagonisti nel campo sociale ed eventualmente in quello politico in un impegno d’interesse nazionale e umanitario. Il piano ecclesiale di attenzione ai migranti ideato dal Beato arrivava ad assumere una dimensione internazionale di coordinamento, che con il passare degli anni si rivelò sempre più necessaria, e che fece di Mons. Scalabrini l’uomo che ebbe, come disse di lui il Beato Giuseppe Toniolo, «l’intuizione dei fatti avvenire». La famiglia scalabriniana, oggi formata dai tre istituti dei Missionari, delle Suore Missionarie e delle Missionarie Secolari, mantiene vivo nel mondo il carisma della missione con i migranti, che lo Spirito Santo suscitò nel Beato Giovanni Battista Scalabrini.

 

 

"ITER" DELLA CAUSA

 

a) In vista della Beatificazione

 

Il 30 giugno 1936 si celebrò la prima delle 185 Sessioni del Processo super fama sanctitatis, virtutum et miraculorum di Giovanni Battista Scalabrini. Esso si prolungò fino al 29 febbraio 1940. Nel 1938 fu istruito il Processo sugli scritti e nel 1939 quello de non cultu. Nel marzo 1940 i Processi giunsero alla Sacra Congregazione dei Riti. Il 12 febbraio 1972 la Causa ottenne il nihil obstat quominus ad ulteriora procedatur.

La Positio super virtutibus fu redatta fra il 1984 e il 1986, immediatamente dopo la riforma procedurale delle Cause dei Santi con la Costituzione apostolica Divinus perfectionis Magister. Venne discussa, con felice esito, dal Congresso peculiare dei Consultori teologi il 25 novembre 1986 e dai Padri Cardinali e Vescovi della Congregazione il 17 febbraio 1987. Le virtù eroiche dello Scalabrini furono quindi riconosciute il 16 marzo 1987.

Per la sua Beatificazione la Congregazione delle Cause dei Santi ha esaminato, su istanza della Postulazione, la presunta guarigione miracolosa di una religiosa da “adenocarcinoma ovarico destro scarsamente diffe­ren­zia­to, in stadio avanzato (3° 4° stadio); carcinosi peritoneale diffusa; me­ta­stasi omen­­tali ed epatiche (capsula glissoniana e sospette metastasi parenchi­mali); ascite”. Dal 23 dicembre 1994 al 5 giugno 1995 il Vescovo di Piacenza istruì per competenza l’Inchiesta diocesana sull’asserito miracolo, sulla cui validità giuridica la Congregazione si espresse favorevolmente il 13 ottobre 1995. Il 5 dicembre dell’anno seguente la Consulta Medica giunse a conclusione unanime circa il carattere scientificamente inspiegabile della rapida, comple­ta e duratura guarigione della religiosa.

Il 21 marzo 1997 i Consultori teologi valutarono il fatto come un vero miracolo compiuto da Dio per intercessione di Giovanni Battista Scalabrini. Alle medesime conclusioni pervenne la Sessione Ordinaria dei Padri Cardinali e Vescovi il 3 giugno 1997.

San Giovanni Paolo II autorizzò la Congregazione a promulgare il decretum super miraculo il 7 luglio 1997 e il 9 novembre 1997, nel corso di una solenne celebrazione in Piazza San Pietro, annoverò Giovanni Battista Scalabrini nel numero dei Beati.

 

b) In vista della Canonizzazione

 

Considerato il contesto in cui si trova il mondo di oggi e ravvisando nel Beato Giovanni Battista Scalabrini la figura di un uomo di Dio e pastore della Chiesa alquanto attuale per la sua opera e dedizione nei confronti dei migranti, nel contesto dell’Anno Scalabriniano (7 novembre 2021-9 novembre 2022) per il 25° anniversario della sua Beatificazione, la Postulazione Generale dei Missionari di San Carlo si è rivolta a Papa Francesco, proponendo il loro Fondatore quale candidato al culto universale della Chiesa, nonché speciale protettore e celeste patrono dei migranti e dei rifugiati. Seguendo le orme tracciate dalla Congregazioni Scalabri­niane e dalla loro Postulazione Generale, sono quindi pervenute alla Suprema Autorità della Chiesa le Lettere postulatorie di molti esponenti della gerarchia ecclesiastica, tra i quali Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, Conferenze episcopali e Superiori Generali, con la richiesta, rivolta a Sua Santità, di voler decretare l’auspicata Canonizzazione del Beato Scalabrini dispensando, pro gratia Summi Pontificis, dall’esame di un presunto evento miracoloso.

 

Poiché tale supplica ha trovato benevola accoglienza da parte del Santo Padre, si è approntata la Positio super canonizatione. Nella Sessione Ordinaria del 17 maggio 2022 essa è stata sottoposta allo studio dei Padri Cardinali e Vescovi della Congregazione della Cause dei Santi, i quali hanno formulato il loro giudizio favorevole in vista della decisione definitiva del Pontefice circa la Canonizzazione del Beato Scalabrini. 

Nell’Udienza concessa il 21 maggio 2022 all’Eminentissimo Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Papa Francesco ha fatto suoi i voti della sopraddetta Sessione Ordinaria e ha stabilito che si proceda al Concistoro Ordinario Pubblico per il voto sulla Canonizzazione del Beato Giovanni Battista Scalabrini.

 

Cappella Papale presieduta da Papa Francesco con il rito della canonizzazione dei Beati Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti

 

Alle ore 10.15 di questa mattina, XXVIII domenica del Tempo Ordinario, sul Sagrato della Basilica di San Pietro, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica e il Rito della canonizzazione dei Beati Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti. Erano presenti le Delegazioni ufficiali di Italia e Argentina.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:

 

Omelia del Santo Padre

 

Mentre Gesù è in cammino, dieci lebbrosi gli vanno incontro gridandogli: «Abbi pietà di noi» (Lc 17,13). Tutti e dieci vengono guariti, ma soltanto uno di loro ritorna per ringraziare Gesù: è un samaritano, una sorta di eretico per i giudei. All’inizio camminano insieme, poi però la differenza la fa quel samaritano, che torna indietro «lodando Dio a gran voce» (v. 15). Fermiamoci su questi due aspetti che possiamo ricavare dal Vangelo odierno: camminare insieme e ringraziare.

Anzitutto, camminare insieme. All’inizio del racconto non c’è nessuna distinzione tra il samaritano e gli altri nove. Semplicemente si parla di dieci lebbrosi, che fanno gruppo tra di loro e, senza divisione, vanno incontro a Gesù. La lebbra, come sappiamo, non era soltanto una piaga fisica – che anche oggi dobbiamo impegnarci a debellare –, ma anche una “malattia sociale”, perché a quel tempo per timore della contaminazione i lebbrosi dovevano stare fuori dalla comunità (cfr Lv 13,46). Quindi non potevano entrare nei centri abitati, erano tenuti a distanza, relegati ai margini della vita sociale e perfino di quella religiosa, isolati. Camminando insieme, questi lebbrosi manifestano il loro grido nei confronti di una società che li esclude. E notiamo bene: il samaritano, anche se ritenuto eretico, “straniero”, fa gruppo con gli altri. Fratelli e sorelle, la malattia e la fragilità comuni fanno cadere le barriere e superare ogni esclusione.

Si tratta di un’immagine bella anche per noi: quando siamo onesti con noi stessi, ci ricordiamo di essere tutti ammalati nel cuore, di essere tutti peccatori, tutti bisognosi della misericordia del Padre. E allora smettiamo di dividerci in base ai meriti, ai ruoli che ricopriamo o a qualche altro aspetto esteriore della vita, e cadono così i muri interiori, cadono i pregiudizi. Così, finalmente, ci riscopriamo fratelli. Anche Naamàn il siro – ci ha ricordato la prima Lettura -, pur essendo ricco e potente, per guarire ha dovuto fare una cosa semplice: immergersi nel fiume in cui si bagnavano tutti gli altri. Anzitutto ha dovuto togliere la sua armatura, le sue vesti (cfr 2 Re 5): come ci fa bene togliere le nostre armature esteriori, le nostre barriere difensive e fare un bel bagno di umiltà, ricordandoci che siamo tutti fragili dentro, tutti bisognosi di guarigione, tutti fratelli. Ricordiamoci questo: la fede cristiana sempre ci chiede di camminare insieme agli altri, mai di essere marciatori solitari; sempre ci invita a uscire da noi stessi verso Dio e verso i fratelli, mai di chiuderci in noi stessi; sempre ci chiede di riconoscerci bisognosi di guarigione e di perdono, e di condividere le fragilità di chi ci sta vicino, senza sentirci superiori.

Fratelli e sorelle, verifichiamo se nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi dove lavoriamo e che ogni giorno frequentiamo, siamo capaci di camminare insieme agli altri, siamo capaci di ascoltare, di superare la tentazione di barricarci nella nostra autoreferenzialità e di pensare solo ai nostri bisogni. Ma camminare insieme – cioè essere “sinodali” – è anche la vocazione della Chiesa. Chiediamoci quanto siamo davvero comunità aperte e inclusive verso tutti; se riusciamo a lavorare insieme, preti e laici, a servizio del Vangelo; se abbiamo un atteggiamento accogliente – non solo con le parole ma con gesti concreti – verso chi è lontano e verso tutti coloro che si avvicinano a noi, sentendosi inadeguati a causa dei loro travagliati percorsi di vita. Li facciamo sentire parte della comunità oppure li escludiamo? Ho paura quando vedo comunità cristiane che dividono il mondo in buoni e cattivi, in santi e peccatori: così si finisce per sentirsi migliori degli altri e tenere fuori tanti che Dio vuole abbracciare. Per favore, includere sempre, nella Chiesa come nella società, ancora segnata da tante disuguaglianze ed emarginazioni. Includere tutti. E oggi, nel giorno in cui Scalabrini diventa santo, vorrei pensare ai migranti. È scandalosa l’esclusione dei migranti! Anzi, l’esclusione dei migranti è criminale, li fa morire davanti a noi. E così, oggi abbiamo il Mediterraneo che è il cimitero più grande del mondo. L’esclusione dei migranti è schifosa, è peccaminosa, è criminale, non aprire le porte a chi ha bisogno. “No, non li escludiamo, li mandiamo via”: ai lager, dove sono sfruttati e venduti come schiavi. Fratelli e sorelle, oggi pensiamo ai nostri migranti, quelli che muoiono. E quelli che sono capaci di entrare, li riceviamo come fratelli o li sfruttiamo? Lascio la domanda, soltanto.

Il secondo aspetto è ringraziare. Nel gruppo dei dieci lebbrosi ce n’è uno solo che, vedendosi guarito, torna indietro per lodare Dio e manifestare gratitudine a Gesù. Gli altri nove vengono risanati, ma poi se ne vanno per la loro strada, dimenticandosi di Colui che li ha guariti. Dimenticare le grazie che Dio ci dà. Il samaritano, invece, fa del dono ricevuto l’inizio di un nuovo cammino: ritorna da Chi lo ha sanato, va a conoscere Gesù da vicino, inizia una relazione con Lui. Il suo atteggiamento di gratitudine non è, allora, un semplice gesto di cortesia, ma l’inizio di un percorso di riconoscenza: egli si prostra ai piedi di Cristo (cfr Lc 17,16), compie cioè un gesto di adorazione: riconosce che Gesù è il Signore, e che è più importante della guarigione ricevuta.

E questa, fratelli e sorelle, è una grande lezione anche per noi, che beneficiamo ogni giorno dei doni di Dio, ma spesso ce ne andiamo per la nostra strada dimenticandoci di coltivare una relazione viva, reale con Lui. È una brutta malattia spirituale: dare tutto per scontato, anche la fede, anche il nostro rapporto con Dio, fino a diventare cristiani che non si sanno più stupire, che non sanno più dire “grazie”, che non si mostrano riconoscenti, che non sanno vedere le meraviglie del Signore. “Cristiani all’acqua di rose”, come diceva una signora che ho conosciuto. E, così, si finisce per pensare che tutto quanto riceviamo ogni giorno sia ovvio e dovuto. La gratitudine, il saper dire “grazie”, ci porta invece ad affermare la presenza di Dio-amore. E anche a riconoscere l’importanza degli altri, vincendo l’insoddisfazione e l’indifferenza che ci abbruttiscono il cuore. È fondamentale saper ringraziare. Ogni giorno, dire grazie al Signore, ogni giorno saperci ringraziare tra di noi: in famiglia, per quelle piccole cose che riceviamo a volte senza neanche chiederci da dove arrivino; nei luoghi che frequentiamo quotidianamente, per i tanti servizi di cui godiamo e per le persone che ci sostengono; nelle nostre comunità cristiane, per l’amore di Dio che sperimentiamo attraverso la vicinanza di fratelli e sorelle che spesso in silenzio pregano, offrono, soffrono, camminano con noi. Per favore, non dimentichiamo questa parola-chiave: grazie! Non dimentichiamo di sentire e dire “grazie”!

I due Santi oggi canonizzati ci ricordano l’importanza di camminare insieme e di saper ringraziare. Il Vescovo Scalabrini, che fondò due Congregazioni per la cura dei migranti, una maschile e una femminile, affermava che nel comune camminare di coloro che emigrano non bisogna vedere solo problemi, ma anche un disegno della Provvidenza: «Proprio a causa delle migrazioni forzate dalle persecuzioni – egli disse – la Chiesa superò i confini di Gerusalemme e di Israele e divenne “cattolica”; grazie alle migrazioni di oggi la Chiesa sarà strumento di pace e di comunione tra i popoli» (L’emigrazione degli operai italiani, Ferrara 1899). C’è una migrazione, in questo momento, qui in Europa, che ci fa soffrire tanto e ci muove ad aprire il cuore: la migrazione degli ucraini che fuggono dalla guerra. Non dimentichiamo oggi la martoriata Ucraina! Scalabrini guardava oltre, guardava avanti, verso un mondo e una Chiesa senza barriere, senza stranieri. Da parte sua, il fratello salesiano Artemide Zatti, con la sua bicicletta, è stato un esempio vivente di gratitudine: guarito dalla tubercolosi, dedicò tutta la vita a gratificare gli altri, a curare gli infermi con amore e tenerezza. Si racconta di averlo visto caricarsi sulle spalle il corpo morto di uno dei suoi ammalati. Pieno di gratitudine per quanto aveva ricevuto, volle dire il suo “grazie” facendosi carico delle ferite degli altri. Due esempi.

Preghiamo perché questi nostri santi fratelli ci aiutino a camminare insieme, senza muri di divisione; e a coltivare questa nobiltà d’animo tanto gradita a Dio che è la gratitudine.

 

Traduzione in lingua francese

 

Alors que Jésus est en chemin, dix lépreux viennent à sa rencontre en criant: "Aie pitié de nous" (Lc 17, 13). Les dix sont guéris, mais un seul d'entre eux revient pour remercier Jésus : c'est un Samaritain, une sorte d'hérétique pour les juifs. Au début, ils marchent ensemble, mais ensuite ce Samaritain fait la différence lorsqu’il revient «en louant Dieu à haute voix» (v. 15). Arrêtons-nous sur ces deux aspects que nous pouvons recueillir dans l'Évangile d'aujourd'hui: marcher ensemble et rendre grâce.

Tout d'abord, marcher ensemble. Au début du récit, il n'y a aucune différence entre le Samaritain et les neuf autres. On parle simplement de dix lépreux, qui font groupe et, sans division, vont à la rencontre de Jésus. La lèpre, comme nous le savons, n'était pas seulement un fléau physique – qu'aujourd'hui encore nous devons nous efforcer d'éradiquer – mais aussi une "maladie sociale", car à l'époque, par peur de la contamination, les lépreux devaient rester en dehors de la communauté (cf. Lv 13, 46). Par conséquent, ils ne pouvaient pas entrer dans les centres habités, ils étaient tenus à l'écart, relégués en marge de la vie sociale et même religieuse, isolés. Marchant ensemble, ces lépreux expriment leur désarroi contre une société qui les exclut. Et notons bien: le Samaritain, même s'il est considéré comme un hérétique, un "étranger", fait groupe avec les autres. Frères et sœurs, la maladie et la fragilité communes font tomber les barrières et dépasser toute exclusion.

C'est une belle image pour nous aussi: si nous sommes honnêtes avec nous-mêmes, nous nous rappelons que nous sommes tous malades dans le cœur, que nous sommes tous pécheurs, tous dans le besoin de la miséricorde du Père. Et nous cessons alors de nous diviser sur la base des mérites, des rôles que nous jouons ou de tout autre aspect extérieur de la vie, et les murs intérieurs tombent, les préjugés tombent. Alors, enfin, nous nous redécouvrons frères. Naaman le syrien aussi – nous le rappelle la première Lecture – bien que riche et puissant, a dû, pour être guéri, faire une chose simple: se plonger dans le fleuve dans lequel tous les autres se baignaient. Il a dû d'abord enlever son armure, ses vêtements (cf. 2 R 5): comme il est bon pour nous d'enlever nos armures extérieures, nos barrières défensives, et prendre un bon bain d'humilité, en nous rappelant que nous sommes tous fragiles à l'intérieur, que nous avons tous besoin de guérison, tous frères. Rappelons-nous ceci: la foi chrétienne nous demande toujours de marcher ensemble avec les autres, jamais d’être des marcheurs solitaires; elle nous invite toujours à sortir de nous-mêmes vers Dieu et vers nos frères et sœurs, jamais de nous refermer sur nous-mêmes; elle nous demande toujours de reconnaître que nous avons besoin de guérison et de pardon, et de partager les fragilités de ceux qui nous entourent, sans nous sentir supérieurs.

Frères et sœurs, vérifions si dans notre vie, dans nos familles, dans les lieux où nous travaillons et que nous fréquentons chaque jour, nous sommes capables de marcher ensemble avec les autres, nous sommes capables d'écouter, de surmonter la tentation de nous barricader dans notre autoréférence et de ne penser qu'à nos besoins. Mais marcher ensemble – c'est-à-dire être "synodal" – c’est aussi la vocation de l'Église. Demandons-nous dans quelle mesure nous sommes réellement des communautés ouvertes et inclusives envers tout le monde; si nous sommes capables de travailler ensemble, prêtres et laïcs, au service de l'Évangile; si nous avons une attitude d'accueil – non seulement avec des mots mais avec des gestes concrets – envers ceux qui sont loin et envers tous ceux qui s'approchent de nous, ne se sentant pas à la hauteur à cause de leurs parcours de vie mouvementés. Les faisons-nous sentir qu'ils font partie de la communauté ou bien les excluons-nous? J'ai peur quand je vois des communautés chrétiennes diviser le monde entre les bons et les mauvais, entre les saints et les pécheurs: c’est ainsi qu’on finit par se sentir meilleurs que les autres et écarter nombre de ceux que Dieu veut embrasser. S’il vous plait, toujours inclure, dans l'Église comme dans la société, encore marquée par tant d'inégalités et de marginalisations. Inclure tout le monde. Et aujourd’hui, le jour où Scalabrini devient saint, je voudrais penser aux migrants. L’exclusion des migrants est scandaleuse! En fait, l’exclusion des migrants est criminelle, elle les fait mourir devant nous. Et ainsi, aujourd’hui nous avons la Méditerranée qui est le plus grand cimetière du monde. L’exclusion des migrants est dégoûtante, elle est immorale, elle est criminelle. Ne pas ouvrir les portes à ceux qui sont dans le besoin. “Non, nous ne les excluons pas, nous les renvoyons”: dans les camps, où ils sont exploités et vendus comme esclaves. Frères et sœurs, aujourd’hui, pensons à nos migrants, à ceux qui meurent. Et ceux qui sont capables d’entrer, les recevons-nous comme des frères ou les exploitons-nous? Je laisse la question, seulement.

Le deuxième aspect est l’action de grâce. Dans le groupe des dix lépreux, il n'y en a qu'un seul qui, se voyant guéri, retourne louer Dieu et montrer de la gratitude à Jésus. Les neuf autres sont guéris, mais partent ensuite chacun de son côté, oubliant Celui qui les a guéris. Oublier les grâces que Dieu nous donne. Le Samaritain, en revanche, fait du don qu'il a reçu le début d'un nouveau chemin: il retourne vers Celui qui l'a guéri, il va pour connaître Jésus de près, il commence une relation avec Lui. Son attitude de gratitude n'est donc pas un simple geste de courtoisie, mais le début d'un parcours de reconnaissance: il se prosterne aux pieds du Christ (cf. Lc 17, 16), c'est-à-dire qu'il fait un geste d'adoration; il reconnaît que Jésus est le Seigneur, et qu'Il est plus important que la guérison reçue.

Et frères et sœurs, c'est une grande leçon aussi pour nous qui bénéficions chaque jour des dons de Dieu, mais qui suivons souvent notre propre chemin, oubliant de cultiver une relation vivante, réelle avec Lui. C'est une vilaine maladie spirituelle: tout considérer comme acquis, même la foi, même notre relation avec Dieu, au point de devenir des chrétiens qui ne savent plus s'étonner, qui ne savent plus dire “merci”, qui ne se montrent pas reconnaissants, qui ne savent pas voir les merveilles du Seigneur. “Chrétiens à l’eau de rose”, comme disait une dame que j’ai connue. C’est ainsi que nous finissons par penser que tout ce que nous recevons chaque jour est évident et dû. La gratitude, le fait de savoir dire "merci", nous amène au contraire à affirmer la présence du Dieu-amour. Et aussi à reconnaître l'importance des autres, en surmontant l'insatisfaction et l'indifférence qui enlaidissent le cœur. Il est fondamental de savoir rendre grâce. Chaque jour, dire merci au Seigneur, chaque jour, savoir nous remercier les uns les autres : en famille, pour ces petites choses que nous recevons parfois sans même nous demander d'où elles viennent; dans les lieux que nous fréquentons quotidiennement, pour les nombreux services dont nous bénéficions et pour les personnes qui nous soutiennent; dans nos communautés chrétiennes, pour l'amour de Dieu que nous expérimentons à travers la proximité des frères et sœurs qui, souvent en silence, prient, offrent, souffrent, marchent avec nous. S’il vous plait, n'oublions pas ce mot clé: merci! N’oublions pas d’entendre et de dire “merci”!

Les deux saints canonisés aujourd'hui nous rappellent l'importance de marcher ensemble et de savoir rendre grâce. L'évêque Scalabrini, qui fonda deux Congrégations pour le soin des migrants, une masculine et une féminine, affirmait que dans la marche commune de ceux qui émigrent, il ne faut pas voir seulement des problèmes, mais aussi un dessein de la Providence : «C'est justement à cause des migrations forcées par les persécutions – disait-il – que l'Église a dépassé les frontières de Jérusalem et d'Israël et est devenue "catholique"; grâce aux migrations d'aujourd'hui, l'Église sera un instrument de paix et de communion entre les peuples" (L'emigrazione degli operai italiani, Ferrara 1899). Il y a une migration, en ce moment, ici en Europe, qui nous fait beaucoup souffrir et nous pousse à ouvrir notre cœur: la migration des Ukrainiens qui fuient la guerre. N’oublions pas aujourd’hui l’Ukraine meurtrie! Scalabrini regardait au-delà, il regardait en avant, vers un monde et une Église sans barrières, sans étrangers. Pour sa part, le frère salésien Artemide Zatti, avec sa bicyclette, a été un exemple vivant de gratitude: guéri de la tuberculose, il a consacré toute sa vie à gratifier les autres, à soigner les malades avec amour et tendresse. On dit qu'il a été vu portant le cadavre d'un de ses malades sur ses épaules. Plein de gratitude pour ce qu'il avait reçu, il voulut dire son "merci" en prenant sur lui les blessures des autres. Deux exemples.

Prions pour que nos saints frères nous aident à marcher ensemble, sans murs de séparation, et à cultiver cette noblesse d’âme si agréable à Dieu qu'est la gratitude.

 

Traduzione in lingua inglese

 

As Jesus was walking along, ten lepers met him and cried out: “Have mercy on us!” (Lk 17:13). All ten were healed, yet only one of them returned to thank Jesus. He was a Samaritan, a kind of heretic for the Jewish people. At the beginning, they were walking together, but then the Samaritan left the others and turned back, “praising God with a loud voice” (v. 15). Let us stop and reflect on these two aspects of today’s Gospel: walking together and giving thanks.

First, walking together. At the beginning of the account, there is no difference between the Samaritan and the other nine. We only hear that they are lepers, who together, as a group, approach Jesus. Leprosy, as we know, was not only a physical affliction, one which even today we must make every effort to eliminate, but also a “social disease”, since in those days, for fear of contagion, lepers had to remain apart from the community (cf. Lev 13:46). Hence, they could not enter villages; they were kept at a distance, isolated and relegated to the margins of social and even religious life. By walking together, these lepers indicted a society that excluded them. We should also note that the Samaritan, although considered a heretic, “a foreigner”, is part of their group. Brothers and sisters, whenever disease and fragility are shared, barriers fall and exclusion is overcome.

This image is also meaningful for us: when we are honest with ourselves, we realize that we are all sick at heart, all sinners in need of the Father’s mercy. Then we stop creating divisions on the basis of merit, social position or some other superficial criterion; our interior barriers and prejudices likewise fall. In the end, we realize once more that we are brothers and sisters. Even Naaman the Syrian, as the first reading reminded us, for all his wealth and power, could only be healed by doing something simple: wash in the river in which everyone else was bathing. First of all, he had to remove his armour and his robes (cf. 2 Kings 5). We would do well to set aside our own outer armour, our defensive barriers, and take a good bath of humility, mindful that all of us are vulnerable within and in need of healing. All of us are brothers and sisters. Let us remember this: the Christian faith always asks us to walk alongside others, never to be solitary wayfarers. Faith always urges us to move beyond ourselves and towards God and our brothers and sisters, never to remain enclosed within ourselves. Faith invites us to acknowledge constantly that we are in need of healing and forgiveness, and to share in the frailty of those who are near to us, without feeling ourselves superior.

Brothers and sisters, let us reflect and see if in our lives, in our families, in the places where we daily work and spend our time, we are capable of walking together with others, listening to them, resisting the temptation to lock ourselves up in self-absorption and to think only of our own needs. To walk together – to be “synodal” – is also the vocation of the Church. Let us ask ourselves if we are really communities truly open and inclusive of all; if we cooperate, as priests and laity, in the service of the Gospel; and if we show ourselves welcoming, not only in words but with concrete gestures, to those both near and far, and all those buffeted by the ups and downs of life. Do we make them feel a part of the community? Or do we exclude them? I am troubled when I see Christian communities that divide the world into the good and the bad, saints and sinners: this makes them feel superior to others and exclude so many people that God wants to embrace. Please, always be inclusive: in the Church and in society, which is still marred by many forms of inequality and marginalization. Always be inclusive. Today, the day in which Bishop Scalabrini becomes a saint, I think of emigrants. The exclusion of emigrants is scandalous. Actually, the exclusion of emigrants is criminal. They are dying right in front of us, as the Mediterranean is the largest cemetery in the world. The exclusion of emigrants is revolting, sinful and criminal. Not opening doors to those in need – “No, we do not exclude them, we send them away” to camps, where they are exploited and sold like slaves. Brothers and sisters, today let us call to mind these emigrants, especially those who are dying. And those who are able to enter, do we welcome them as brothers and sisters or do we exploit them? I simply pose the question.

The second thing is giving thanks. In the group of the ten lepers, there was only one who, realizing that he was cured, turned back to praise God and to show gratitude to Jesus. The other nine were healed, but then went their own way, forgetting the one who had healed them. They forgot the graces given to them by God. The Samaritan, on the other hand, makes the gift he received the first step of a new journey: he returns to the one who healed him; he goes back to Jesus in order to know him better; he enters into a relationship with the Lord. His grateful attitude, then, is no mere act of courtesy, but the start of a journey of thanksgiving: he falls at Jesus’ feet (cf. Lk 17:16) and worships him. He recognizes that Jesus is the Lord, that Jesus is more important than the healing he received.

This is a great lesson also for us, brothers and sisters, who daily benefit from the gifts of God, yet so often go our own way, failing to cultivate a living and real relationship with him. This is a nasty spiritual disease: we take everything for granted, including faith, including our relationship with God, to the point where we become Christians no longer able to be amazed or to give thanks, lacking in gratitude and incapable of seeing the wonders of the Lord. A woman I know used to say, “They are rose-water Christians”. We end up thinking that all the gifts we receive each day are natural and due to us. Gratitude, the ability to give thanks, makes us appreciate instead the presence in our lives of the God who is love. And to recognize the importance of others, overcoming the dissatisfaction and indifference that disfigure our hearts. It is essential to know how to say “thank you”. To thank the Lord each day and to thank one another. In our families, for the little gifts we receive daily and so often do not even think about. In the places we spend our days, for the many services which we enjoy and for all those people who support us. In our Christian communities, for the love of God that we experience in the closeness of our brothers and sisters who, often silently, pray, sacrifice, suffer and journey with us. So please, let us not forget to say these key words: thank you!

The two saints canonized today remind us of the importance of walking together and being able to give thanks. Bishop Scalabrini, who founded two Congregations – one male and one female – for the care of emigrants, used to say that in the shared journeying of emigrants we should see not only problems, but also a providential plan. In his words: “Precisely because of the migrations imposed by persecutions, the Church pressed beyond the confines of Jerusalem and of Israel, and became ‘catholic’; thanks to the migrations of our own days, the Church will be an instrument of peace and of communion among peoples” (L’emigrazione degli operai italiani, Ferrara, 1899). The emigration currently taking place in Europe is causing great suffering and forcing us to open our hearts – that is the emigration of Ukrainians who are fleeing from war. Let us not forget the beleaguered Ukrainian emigrants. With great vision, Scalabrini looked forward to a world and a Church without barriers, where no one was a foreigner. For his part, the Salesian Brother Artemide Zatti – with his bicycle - was a living example of gratitude. Cured of tuberculosis, he devoted his entire life to serving others, caring for the infirm with tender love. He was said to have carried on his shoulders the dead body of one of his patients. Filled with gratitude for all that he had received, he wanted to say his own “thank you” by taking upon himself the wounds of others.

Let us pray that these Saints, our brothers, may help us to walk together, without walls of division; and to cultivate that nobility of soul, so pleasing to God, which is gratitude.

 

Traduzione in lingua tedesca

 

Traduzione in lingua spagnola

 

Mientras Jesús va de camino, diez leprosos se le acercan gritando: «Ten compasión de nosotros» (Lc 17,13). Los diez son sanados, pero sólo uno de ellos vuelve para dar las gracias a Jesús: es un samaritano, una especie de hereje para los judíos. Al principio caminan juntos, pero luego la diferencia la hace aquel samaritano, que regresa «alabando a Dios a grandes gritos» (v. 15). Detengámonos en estos dos aspectos que el Evangelio de hoy nos sugiere: caminar juntos agradecer.

En primer lugar, caminar juntos. Al principio de la narración no hay distinción entre el samaritano y los otros nueve. Se habla simplemente de diez leprosos, que forman un grupo y, sin división, van al encuentro de Jesús. La lepra, como sabemos, no era sólo una llaga física ―que también hoy debemos esforzarnos por erradicar―, sino también una “enfermedad social”, pues en aquella época, por miedo al contagio, los leprosos debían permanecer fuera de la comunidad (cf. Lv 13,46). Por eso, no podían entrar en los pueblos, se los mantenía a distancia, relegados a los márgenes de la vida social e incluso religiosa, aislados. Caminando juntos, estos leprosos expresan su grito contra una sociedad que los excluye. Y fijémonos bien que el samaritano, aunque sea considerado un hereje, un “extranjero”, forma grupo con los demás. Hermanos y hermanas, la enfermedad y la fragilidad en común hacen caer las barreras y superan toda exclusión.

Es también una imagen hermosa para nosotros, porque cuando somos honestos con nosotros mismos, recordamos que todos tenemos el corazón enfermo, que todos somos pecadores, que todos estamos necesitados de la misericordia del Padre. Y entonces dejamos de dividirnos en base a los méritos, a los papeles que desempeñamos o a cualquier otro aspecto exterior de la vida; y caen así los muros interiores, caen los prejuicios. Así, finalmente, nos redescubrimos como hermanos. También Naamán el sirio ―como nos ha recordado la primera lectura―, aunque era rico y poderoso, para ser curado tuvo que hacer una cosa sencilla, sumergirse en el río en el que todos los demás se bañaban. Para empezar, tuvo que quitarse su armadura, sus ropas (cf. 2 Re 5). Cuánto bien nos hace quitarnos nuestras armaduras exteriores, nuestras barreras defensivas, y darnos un buen baño de humildad, recordando que todos somos frágiles por dentro, y todos estamos necesitados de curación; todos somos hermanos. Recordemos que la fe cristiana siempre nos pide que avancemos junto a los demás, nunca que seamos caminantes solitarios; siempre nos invita a salir de nosotros mismos hacia Dios y hacia los hermanos, nunca a encerrarnos en nosotros mismos; siempre nos pide que nos reconozcamos necesitados de curación y de perdón, que compartamos las fragilidades de los que nos rodean, sin sentirnos superiores.

Hermanos y hermanas, comprobemos si en nuestra vida, en nuestras familias, en los lugares donde trabajamos y que frecuentamos cada día, somos capaces de caminar junto a los demás, somos capaces de escuchar, de vencer la tentación de atrincherarnos en nuestra autorreferencialidad y de pensar sólo en nuestras propias necesidades. Pero caminar juntos ―es decir, ser “sinodales”―, es también la vocación de la Iglesia. Preguntémonos hasta qué punto somos realmente comunidades abiertas y que incluyen a todos; si somos capaces de trabajar juntos, sacerdotes y laicos, al servicio del Evangelio; si tenemos una actitud de acogida ―no sólo con palabras, sino con gestos concretos― hacia los que están alejados y hacia todos los que se acercan a nosotros, sintiéndose inadecuados a causa de sus complicadas trayectorias de vida. ¿Los hacemos sentir parte de la comunidad o los excluimos? Me da miedo cuando veo comunidades cristianas que dividen el mundo en buenos y malos, en santos y pecadores; de esa manera, terminamos sintiéndonos mejores que los demás y dejamos fuera a muchos que Dios quiere abrazar. Por favor, hay que incluir siempre, tanto en la Iglesia como en la sociedad, todavía marcada por tantas desigualdades y marginaciones. Incluir a todos. Y hoy, en el día en que Scalabrini se convierte en santo, quisiera pensar en los migrantes. Es escandalosa la exclusión de los migrantes. Es más, la exclusión de los migrantes es criminal, los hace morir delante de nosotros. Y es así que tenemos hoy el Mediterráneo, que es el cementerio más grande del mundo. La exclusión de los migrantes es repugnante, es pecaminosa, es criminal. No abrir la puerta a quien tiene necesidad. “No, no los excluimos, los enviamos a otra parte”: a los campos de concentración, donde se aprovechan de ellos y son vendidos como esclavos. Hermanos y hermanas, pensemos hoy en nuestros migrantes, en los que mueren. Y a aquellos que son capaces de entrar, ¿los recibimos como hermanos o nos aprovechamos de ellos? Sólo dejo la pregunta.

El segundo aspecto es agradecer. En el grupo de los diez leprosos hubo uno solo que, al verse curado, volvió a alabar a Dios y a mostrar su gratitud a Jesús. Los otros nueve fueron sanados, pero luego cada uno tomó su camino, olvidándose de Aquel que los había curado. Olvidar las gracias que Dios nos da. El samaritano, en cambio, hizo del don recibido el inicio de un nuevo camino; regresó donde Aquel que lo había sanado, fue a conocer de cerca a Jesús y comenzó una relación con Él. Su actitud de gratitud no fue, pues, un simple gesto de cortesía, sino el inicio de un camino de gratitud. Se postró a los pies de Cristo (cf. Lc 17,16), es decir, realiza un gesto de adoración, reconoció que Jesús es el Señor, y que Él era más importante que la curación que había recibido.

Y esta, hermanos y hermanas, es también una gran lección para nosotros, que nos beneficiamos de los dones de Dios todos los días, pero que a menudo seguimos nuestro propio camino, olvidándonos de cultivar una relación viva, real con Él. Esa es una fea enfermedad espiritual, dar todo por sentado, incluso la fe, incluso nuestra relación con Dios, hasta el punto de convertirnos en cristianos que ya no saben asombrarse, que ya no saben decir “gracias”, que no muestran gratitud, que no saben ver las maravillas del Señor. “Cristianos superficiales”, como decía una señora que conocí. De esta manera, acabamos pensando que todo lo que recibimos cada día sea obvio y merecido. La gratitud, el saber decir “gracias”, nos lleva en cambio a atestiguar la presencia de Dios-amor. Y también a reconocer la importancia de los demás, superando la insatisfacción y la indiferencia que deforman nuestro corazón. Saber dar las gracias es esencial. Todos los días, dar gracias al Señor, aprender a darnos las gracias entre nosotros: en la familia, por esas pequeñas cosas que recibimos a veces sin ni siquiera preguntarnos de dónde vienen; en los lugares que frecuentamos cada día, por los muchos servicios que disfrutamos y por las personas que nos apoyan; en nuestras comunidades cristianas, por el amor de Dios que experimentamos a través de la cercanía de los hermanos y hermanas que muchas veces en silencio rezan, ofrecen, sufren, caminan con nosotros. Por favor, no olvidemos nunca esta palabra clave: ¡Gracias! No nos olvidemos de escuchar y decir “gracias.

Los dos santos canonizados hoy nos recuerdan la importancia de caminar juntos y de saber dar las gracias. El obispo Scalabrini, que fundó dos Congregaciones para el cuidado de los migrantes, una masculina y una femenina, afirmaba que en el caminar común de los que emigran no había que ver sólo problemas, sino también un designio de la Providencia: “Precisamente gracias a las migraciones forzadas por las persecuciones ―decía― la Iglesia cruzó las fronteras de Jerusalén y de Israel y se hizo ‘católica’; gracias a las migraciones de hoy la Iglesia será un instrumento de paz y comunión entre los pueblos” (cf. L'emigrazione degli operai italiani, Ferrara 1899). Hay una migración en este momento, aquí en Europa, que nos hace sufrir tanto y nos mueve a abrir el corazón. La migración de los ucranianos que huyen de la guerra. No nos olvidemos hoy de la Ucrania martirizada. Scalabrini miraba más allá, miraba hacia el futuro, hacia un mundo y una Iglesia sin barreras, sin extranjeros. Por su parte, el hermano salesiano Artémides Zatti, con su bicicleta, fue un ejemplo vivo de gratitud. Curado de la tuberculosis, dedicó toda su vida a saciar las necesidades de los demás, a cuidar a los enfermos con amor y ternura. Se dice que lo vieron cargarse sobre la espalda el cadáver de uno de sus pacientes. Lleno de gratitud por lo que había recibido, quiso manifestar su acción de gracias asumiendo las heridas de los demás. Dos ejemplos.

Recemos para que estos santos hermanos nuestros nos ayuden a caminar juntos, sin muros de división; y a cultivar esa nobleza de espíritu tan agradable a Dios que es la gratitud.

 

Traduzione in lingua portoghese

 

Ia Jesus a caminho, quando dez leprosos saíram ao seu encontro clamando: «Jesus, Mestre, tem misericórdia de nós» (Lc 17, 13). E os dez ficam curados, mas só um deles regressa para agradecer a Jesus: é um samaritano, uma espécie de herege para os judeus. No princípio, caminham juntos, mas em seguida destaca-se aquele samaritano, que regressa «glorificando a Deus em voz alta» (17, 15). Detenhamo-nos nestes dois aspetos que podemos deduzir do Evangelho de hoje: caminhar juntos e agradecer.

Antes de mais nada, caminhar juntos. No início da narração, não há qualquer distinção entre o samaritano e os outros nove. Fala-se simplesmente de dez leprosos, que fazem grupo entre si e, sem divisão, vão ao encontro de Jesus. Como sabemos, a lepra não era apenas uma úlcera física (ainda hoje devemos trabalhar por a debelar), mas também uma «doença social», porque naquele tempo, por medo do contágio, os leprosos deviam estar fora da comunidade (cf. Lv 13, 46). Por conseguinte não podiam entrar nos centros habitados, mas eram mantidos à distância, relegados para as margens da vida social e até religiosa, isolados. Caminhando juntos, estes leprosos clamam contra uma sociedade que os exclui. E note-se que o samaritano, apesar de ser considerado herético, «estrangeiro», faz grupo com os outros. Irmãos e irmãs, a doença e a fragilidade comuns fazem cair as barreiras e superar toda a exclusão.

Trata-se duma imagem significativa também para nós: se formos honestos connosco mesmos, havemos de nos lembrar que todos estamos doentes no coração, todos somos pecadores, todos necessitamos da misericórdia do Pai. Consequentemente deixaremos de nos dividir com base nos méritos, nas funções que desempenhamos ou em qualquer outro aspeto exterior da vida, e caem assim os muros interiores, caem os preconceitos, e por fim descobrimo-nos irmãos. Como nos recordou a primeira Leitura, o próprio sírio Naaman, apesar de ser rico e poderoso, para curar teve de fazer uma coisa simples: mergulhar no rio onde se banhavam todos os outros. Antes de mais nada, teve que tirar a sua armadura, as suas vestes (cf. 2 Rs 5). Como nos faz bem tirar as nossas armaduras exteriores, as nossas barreiras defensivas e tomar um bom banho de humildade, recordando-nos de que todos somos frágeis por dentro, todos necessitados de cura, todos somos irmãos! Lembremo-nos disto: a fé cristã sempre nos pede para caminhar junto com os outros, para nunca ser caminhantes solitários; sempre nos convida a sair de nós próprios rumo a Deus e aos irmãos, sem nunca nos fecharmos em nós mesmos; sempre nos pede para nos reconhecermos necessitados de cura e perdão, e partilharmos as fragilidades de quem vive ao nosso redor, sem nos sentirmos superiores.

Irmãos e irmãs, verifiquemos se, na nossa vida, nas nossas famílias, nos nossos lugares de trabalho e de convivência diária, somos capazes de caminhar juntamente com os outros, somos capazes de ouvir, superar a tentação de nos entrincheirarmos na nossa autorreferencialidade e pensarmos só nas nossas necessidades. Mas caminhar juntos – por outras palavras, ser «sinodais» – é também a vocação da Igreja. Interroguemo-nos até que ponto somos verdadeiramente comunidades abertas e inclusivas em relação a todos; se conseguimos trabalhar juntos, padres e leigos, ao serviço do Evangelho; se temos uma atitude acolhedora – feita não só de palavras, mas de gestos concretos – tanto para com os distantes como para com todos os que se aproximam de nós, sentindo-se inábeis por causa dos seus percursos de vida conturbada. Fazemo-los sentir parte da comunidade, ou excluímo-los? Tenho medo, quando vejo comunidades cristãs que dividem o mundo em bons e maus, em santos e pecadores: assim acaba-se por se sentir melhor que os outros e manter fora a muitos que Deus quer abraçar. Por favor, sempre havemos de incluir tanto na Igreja como na sociedade, ainda caraterizada por tantas desigualdades e marginalizações. Incluir todos. E hoje, dia em que Scalabrini se torna Santo, quero pensar nos migrantes. É escandalosa a exclusão dos migrantes! Mais, a exclusão dos migrantes é criminosa, fá-los morrer diante dos nossos olhos. E assim temos hoje o Mediterrâneo, que é o cemitério maior do mundo. A exclusão dos migrantes é repugnante, é pecaminosa, é criminosa. Não abrir as portas a quem precisa. «Não! Nós não os excluímos, mandamo-los embora»: para os campos de concentração, onde são explorados e vendidos como escravos. Irmãos e irmãs, hoje pensemos nos nossos migrantes, naqueles que morrem. E aqueles que conseguem entrar: recebemo-los como irmãos ou exploramo-los? Deixo apenas a pergunta…

O segundo aspeto é agradecer. No grupo dos dez leprosos, há apenas um que, ao ver-se curado, regressa para louvar a Deus e manifestar a sua gratidão a Jesus. Enquanto os outros nove ficam purificados mas prosseguem pelo seu caminho, esquecendo-se d’Aquele que os curou (esquecem a graça que Deus lhes dá), o samaritano faz do dom recebido o princípio dum novo caminho: regressa para junto de Quem o sarou, vai conhecer Jesus de perto, inicia uma relação com Ele. Assim, a sua atitude de gratidão não é um simples gesto de cortesia, mas o início dum percurso de gratidão: prostra-se aos pés de Cristo (cf. Lc 17, 16), isto é, faz um gesto de adoração, reconhecendo que Jesus é o Senhor e que é mais importante do que a cura recebida.

E esta, irmãos e irmãs, é uma grande lição também para nós, que todos os dias beneficiamos dos dons de Deus, mas frequentemente prosseguimos pela nossa estrada esquecendo-nos de cultivar uma relação viva, real com Ele. Trata-se duma grave doença espiritual: dar tudo como garantido, inclusive a fé, mesmo a nossa relação com Deus, a ponto de nos tornarmos cristãos que deixaram de saber maravilhar-se, já não sabem dizer «obrigado», não se mostram agradecidos, não sabem ver as maravilhas do Senhor. São «cristãos em água de rosas», como dizia uma senhora que conheci. E acaba-se, assim, por pensar que tudo o que recebemos diariamente seja óbvio e devido. Ao contrário, a gratidão, o saber dizer «obrigado» leva-nos a afirmar a presença de Deus-amor e também a reconhecer a importância dos outros, vencendo o descontentamento e a indiferença que nos embrutecem o coração. É fundamental saber agradecer. Devemos diariamente dar graças ao Senhor, sabermos em cada dia agradecer uns aos outros: em família, por aquelas pequenas coisas que às vezes recebemos sem nos interrogar sequer donde provêm; nos locais que frequentamos quotidianamente, pelos inúmeros serviços de que usufruímos e pelas pessoas que nos apoiam; nas nossas comunidades cristãs, pelo amor de Deus que experimentamos através da proximidade de irmãos e irmãs que muitas vezes em silêncio rezam, oferecem, sofrem, caminham connosco. Por favor, não esqueçamos esta palavra-chave: obrigado! Não nos esqueçamos de sentir necessidade e dizer «obrigado»!

Os dois Santos, canonizados hoje, lembram-nos a importância de caminhar juntos e saber agradecer. O Bispo Scalabrini, que fundou duas Congregações para o cuidado dos migrantes, uma masculina e outra feminina, afirmava que, no caminhar comum daqueles que emigram, é preciso não ver só problemas, mas também um desígnio da Providência: «Precisamente por causa da migração forçada pelas perseguições – disse ele –, a Igreja superou as fronteiras de Jerusalém e de Israel e tornou-se “católica”; graças às migrações de hoje, a Igreja será instrumento de paz e comunhão entre os povos» (A emigração dos trabalhadores italianos, Ferrara 1899). Neste momento, aqui na Europa, há uma migração, que nos faz sofrer tanto e nos impele a abrir o coração: a migração de ucranianos que fogem da guerra. Não esqueçamos hoje a martirizada Ucrânia! Scalabrini olhava mais além, olhava lá para diante, para um mundo e uma Igreja sem barreiras, sem estrangeiros. Por sua vez, o irmão salesiano Artemide Zatti, com a sua bicicleta, foi um exemplo vivo de gratidão: curado da tuberculose, dedicou toda a sua vida a favorecer os outros, a cuidar com amor e ternura dos doentes. Conta-se que o viram carregar aos ombros o corpo morto dum dos seus doentes. Cheio de gratidão por tudo o que havia recebido, quis dizer o seu «obrigado» ocupando-se das feridas dos outros. Dois exemplos!

Rezemos para que estes nossos santos irmãos nos ajudem a caminhar juntos, sem muros de divisão; e a cultivar esta nobreza de alma tão agradável a Deus que é a gratidão.

 

Traduzione in lingua polacca

 

Gdy Jezus jest w drodze, przychodzi do niego dziesięciu trędowatych wołając: „ulituj się nad nami!” (Łk 17,13). Cała dziesiątka zostaje uzdrowiona, ale tylko jeden z nich powraca, by podziękować Jezusowi: to Samarytanin, swoisty heretyk dla żydów. Początkowo idą razem, ale potem ów Samarytanin, w przeciwieństwie do innych wrócił, „chwaląc Boga donośnym głosem” (w. 15). Zatrzymajmy się na tych dwóch aspektach, które możemy wyczytać z dzisiejszej Ewangelii: podążanie razem i dziękczynienie.

Po pierwsze, podążanie razem. Na początku opisu nie ma jakiegokolwiek rozróżnienia między Samarytaninem a pozostałą dziewiątką. Mowa jest po prostu o dziesięciu trędowatych, którzy tworzą grupę i nie rozdzielając się idą na spotkanie z Jezusem. Trąd, jak wiemy, był nie tylko utrapieniem fizycznym - które i dziś musimy starać się wyplenić - lecz także „chorobą społeczną”, gdyż w tamtych czasach, w obawie przed zakażeniem, trędowaci musieli przebywać poza wspólnotą (por. Kpł 13,46). Nie mogli więc wchodzić na tereny zabudowane, byli trzymani na dystans, usuwani na margines życia społecznego, a nawet religijnego. Byli izolowani. Idąc razem, ci trędowaci wyrażają swój sprzeciw wobec społeczeństwa, które ich wyklucza. I zauważmy dobrze: Samarytanin, mimo że jest uznany za heretyka, to znaczy „cudzoziemca”, tworzy grupę z innymi. Bracia i siostry, wspólna choroba i słabość sprawiają, że opadają bariery i są przezwyciężane wszelkie wykluczenia.

Jest to piękny obraz także dla nas: kiedy jesteśmy szczerzy wobec siebie, pamiętamy, że wszyscy jesteśmy chorzy w sercu, że wszyscy jesteśmy grzesznikami, wszyscy potrzebujemy miłosierdzia Ojca. A wówczas przestajemy dzielić się na podstawie zasług, odgrywanych ról czy jakiegoś innego zewnętrznego aspektu życia, a w ten sposób upadają wewnętrzne mury, uprzedzenia upadają. W ten sposób w końcu odkrywamy na nowo, że jesteśmy braćmi. Również Syryjczyk Naaman – jak nam przypomniało pierwsze czytanie – choć był bogaty i wpływowy, by zostać uzdrowionym musiał uczynić coś prostego, zanurzyć się w rzece, w której kąpali się wszyscy inni. Przede wszystkim musiał zdjąć swoją zbroję, swoje szaty (por. 2 Krl 5): jakże jest to dla nas dobre, gdy zdejmiemy nasze zbroje zewnętrzne, nasze bariery obronne i weźmiemy dobrą kąpiel pokory, przypominając sobie, że wszyscy jesteśmy wewnętrznie delikatni i wszyscy potrzebujemy uzdrowienia, wszyscy jesteśmy braćmi. Pamiętajmy o tym: wiara chrześcijańska zawsze od nas wymaga, abyśmy szli razem z innymi, nigdy nie byli samotnymi piechurami. Zawsze zachęca nas, abyśmy wychodzili z naszych ograniczeń ku Bogu i ku naszym braciom i siostrom, nigdy nie zamykając się w sobie. Zawsze wymaga od nas, abyśmy uznali, że potrzebujemy uzdrowienia i przebaczenia, i abyśmy dzielili słabości tych, którzy są blisko nas, bez poczucia wyższości.

Bracia i siostry, sprawdźmy, czy w naszym życiu, w naszych rodzinach, w miejscach, w których pracujemy i w których bywamy na co dzień, potrafimy iść razem z innymi, potrafimy słuchać, przezwyciężać pokusę zabarykadowania się w swoim egocentryzmie i myślenia tylko o własnych potrzebach. Ale podążanie razem - czyli bycie „synodalnymi” - jest także powołaniem Kościoła. Zadajmy sobie pytanie, na ile jesteśmy naprawdę otwarci i inkluzywni jako wspólnoty wobec wszystkich; czy potrafimy współpracować, kapłani i świeccy, w służbie Ewangelii; czy mamy postawę gościnną – wyrażającą się nie tylko słowami, ale konkretnymi gestami - wobec tych, którzy są daleko, i wobec wszystkich, którzy zbliżają się do nas, czując się nie na miejscu z powodu swoich trudnych dróg życiowych. Czy sprawiamy, że czują się częścią wspólnoty, czy też ich wykluczamy? Lękam się widząc wspólnoty chrześcijańskie dzielące świat na dobrych i złych, na świętych i grzeszników: w ten sposób czujemy się lepsi od innych i odsuwamy od siebie wielu, których Bóg chce objąć. Proszę abyśmy zawsze włączali: tak w Kościele jak i w społeczeństwie, wciąż naznaczonym wieloma nierównościami i marginalizacją. Włączali wszystkich. A dziś, w dniu, w którym Scalabrini zostaje świętym, chciałbym pomyśleć o migrantach. Wykluczenie migrantów jest skandaliczne. Rzeczywiście: wykluczenie migrantów jest karygodne, sprawia, że umierają oni na naszych oczach. I tak dziś mamy Morze Śródziemne, które jest największym cmentarzem na świecie. Wykluczenie migrantów jest obrzydliwe, jest grzechem, jest przestępstwem. Nie otwieranie drzwi potrzebującym ... „Nie, nie wykluczamy ich: odsyłamy ich”, do lagrów, gdzie są wykorzystywani i sprzedawani jako niewolnicy. Bracia i siostry, dziś pomyślimy o naszych migrantach, o tych, którzy umierają. A tych, którzy są w stanie przybyć, czy przyjmujemy ich jako braci, czy też wyzyskujemy? Stawiam tylko pytanie…

Drugim aspektem jest dziękczynienie. W grupie dziesięciu trędowatych tylko jeden, dostrzegając, że został uzdrowiony, wraca, by chwalić Boga i okazać wdzięczność Jezusowi. Pozostałych dziewięciu zostaje uzdrowionych, ale potem idą swoją drogą, zapominając o Tym, który ich uzdrowił. Zapomnieli o łaskach otrzymanych od Boga. Samarytanin natomiast czyni z otrzymanego daru początek nowej drogi: wraca do Tego, który go uzdrowił, idzie poznać bliżej Jezusa, nawiązuje relację z Nim. Jego postawa wdzięczności nie jest więc zwykłym gestem grzecznościowym, ale początkiem drogi wdzięczności: pada na twarz u stóp Chrystusa (por. Łk 17, 16), czyli wykonuje gest adoracji: uznaje, że Jezus jest Panem i że jest ważniejszy od zyskanego uzdrowienia.

Jest to bracia i siostry, także wspaniała lekcja dla nas, którzy codziennie korzystamy z Bożych darów, ale często idziemy własną drogą, zapominając o pielęgnowaniu żywej, realnej relacji z Nim. To brzydka choroba duchowa: uważać wszystko za oczywiste, nawet wiarę, nawet naszą relację z Bogiem, do tego stopnia, że stajemy się chrześcijanami, którzy nie potrafią się już zadziwić, którzy nie umieją powiedzieć „dziękuję”, którzy nie okazują wdzięczności, którzy nie potrafią dostrzec cudów Pana. Chrześcijanie rozwodnieni, jak mawiała pewna moja znajoma. I w ten sposób dochodzimy do myślenia, że wszystko co otrzymujemy każdego dnia jest oczywiste i należne. Wdzięczność, umiejętność powiedzenia „dziękuję”, prowadzi nas natomiast do stwierdzenia obecności Boga-Miłości. A także uznania znaczenia innych, przezwyciężając niezadowolenie i obojętność, które oszpecają nasze serca. Czymś fundamentalnym jest umiejętność dziękowania. Każdego dnia powiedzieć Panu „dziękuję”, każdego dnia umieć dziękować między sobą: w rodzinie, za te małe rzeczy, które otrzymujemy czasem nawet nie zastanawiając się skąd pochodzą; w miejscach, w których bywamy codziennie, za wiele usług, z których korzystamy i za ludzi, którzy nas wspierają; w naszych wspólnotach chrześcijańskich, za miłość Boga, której doświadczamy poprzez bliskość braci i sióstr, którzy często w milczeniu modlą się, ofiarowują, cierpią, idą wraz z nami. Proszę was bardzo: nie zapominajmy o tym słowie kluczowym: dziękuję! Nie zapominajmy, aby odczuwać i mówić: dziękuję! Dziękuję.

Dwaj kanonizowani dziś święci przypominają nam jak ważne jest, byśmy szli razem i umieli dziękować. Biskup Scalabrini, który założył zgromadzenie dla opieki nad migrantami, dwa - jedno męskie i drugie żeńskie - stwierdził, że we wspólnej wędrówce tych, którzy emigrują, należy widzieć nie tylko problemy, ale także plan Opatrzności: „Właśnie z powodu migracji wymuszonych przez prześladowania - mówił - Kościół pokonał granice Jerozolimy i Izraela i stał się «katolicki»; dzięki dzisiejszym migracjom Kościół będzie narzędziem pokoju i komunii między narodami” (L'emigrazione degli operai italiani, Ferrara 1899). Jest pewna migracja, właśnie teraz, tu w Europie, przede wszystkim, która sprawia nam wiele cierpienia i porusza nas do otwarcia naszych serc: migracja Ukraińców uciekających przed wojną. Nie zapominajmy dziś o udręczonej Ukrainie. Scalabrini patrzył poza to co uchwytne, patrzył przed siebie, w stronę świata i Kościoła bez barier, bez cudzoziemców. Z kolei salezjański brat współpracownik Artemides Zatti ze swoim rowerem był żywym przykładem wdzięczności: wyleczony z gruźlicy, całe swoje życie poświęcił wdzięczności innym, opiece nad chorymi z miłością i czułością. Podobno widziano go, jak niósł na ramionach martwe ciało jednego ze swoich pacjentów. Pełen wdzięczności za to, co otrzymał, chciał powiedzieć swoje „dziękuję” biorąc na siebie rany innych. Dwa wzory.

Módlmy się, aby ci nasi święci bracia pomagali nam podążać razem, bez murów podziału; i pielęgnować tę tak miłą Bogu szlachetność ducha, jaką jest wdzięczność.

 

Traduzione in lingua araba

 

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

وتقديس الأسقف سكالابريني (Scalabrini) والأخ الرّاهب السّالزياني أرتيميد زاتّي (Artemide Zatti)

9 تشرين الأوّل/أكتوبر 2022

ساحة القدّيس بطرس

بينما كان يسوع سائِرًا، جاء عشرة برص للقائه وهم يصرخون: "رُحْماكَ يا يسوع أَيُّها المُعَلِّم!" (لوقا 17، 13). ونالوا الشّفاء، العشرة جميعًا، لكن واحدٌ منهم فقط عاد ليشكر يسوع: كان سامريًا، نوعًا من الهرطوقي بالنسبة لليهود. في البداية كانوا يسيرون معًا، ولكن بعد ذلك، حدث اختلاف، وهو السّامري الذي اختلف عن العشرة، فرجع وهو "يُمَجِّدُ اللهَ بِأَعلَى صَوتِه" (الآية 15). لنتوقّف عند هذين الجانبَين اللذين يمكننا استخلاصهما من إنجيل اليوم: السّير معًا والشّكر.

أوّلًا، السّير معًا. في بداية القصة لم يكن أيّ فرق بين السّامري والتسعة الآخرين. كان الكلام فقط عن عشرة بُرص، جماعة واحدة فيما بينهم، وبدون انقسام، ذهبوا للقاء يسوع. لم يكن البَرص، كما نعلَم، مرضًا في الجسد فقط – وحتى اليوم يجب أن نهتم لاستئصاله - بل كان أيضًا ”مرضًا اجتماعيًّا“. ففي ذلك الوقت كان على البُرص أن يبقوا بعيدًا عن الجماعة خوفًا من أن ينَجِسوا الآخرين (راجع الأحبار 13، 46). لذلك لم يستطيعوا أن يدخلوا المراكز المأهولة، كان يُوقَفون على مسافة، مُبعَدين على هامش الحياة الاجتماعيّة والدينيّة أيضًا. كانوا يسيرون معًا، وصرخوا معًا في وجه مجتمع يستبعدهم. ونلاحظ جيّدًا: أنّ السّامري، حتى لو اعتبر هرطوقيًا، ”وغريبًا“، كان جزءًا من الجماعة. أيّها الإخوة والأخوات، المرض والضّعف المشترك يؤدي إلى سقوط الحواجز والتغلّب على كلّ إقصاء.

إنّها صورة جميلة لنا أيضًا: عندما نكون صادقين مع أنفسنا، نتذكّر أنّنا جميعًا مرضى في القلب، وأنّنا جميعًا خطأة، وجميعنا بحاجة إلى رحمة الآب. فنتوقّف عن تقسيم أنفسنا على أساس الاستحقاق والجدارة، والأدوار التي نقوم بها أو بعض جوانب الحياة الخارجيّة الأخرى، وتسقط الجدران الداخليّة أيضًا، والأحكام المسبقة. وهكذا، في النهاية، سنُعيد اكتشاف أنفسنا أنّنا إخوة. حتى نعمان السّوري – كما ذكّرتنا القراءة الأولى -، على الرّغم من كونه غنيًا وصاحب سلطان، لكي يبرأ، كان عليه أن يعمل شيئًا بسيطًا: أن يغتسل في النهر الذي كان يغتسل فيه جميع الآخرين. وكان عليه أوّلًا أن يخلع درعه وملابسه (راجع 2 ملوك 5): كم هو حَسَنٌ لنا أن نزيل دروعنا الخارجيّة وحواجزنا الدفاعيّة ونقبل اغتسال التواضع، متذكّرين بأنّنا جميعًا ضعفاء في الداخل وبحاجة الى الشّفاء، وكلّنا إخوة. لنتذكّر هذا: الإيمان المسيحيّ يطلب منا دائمًا أن نسير مع الآخرين، وألّا نكون أبدًا مشاة منفردين؛ ويدعونا دائمًا إلى أن نخرج من أنفسنا لنسير نحو الله وإخوتنا، وألّا ننغلق أبدًا على أنفسنا؛ ويطلب منا دائمًا أن نعترف أنّنا بحاجة إلى الشّفاء والمغفرة، وأن نشارك في ضعف الذين هم في قربنا، دون أن نشعر أنّنا أفضل منهم.

أيها الإخوة والأخوات، لنتحقّق هل نحن قادرون على السّير معًا مع الآخرين، في حياتنا، وفي عائلاتنا، وفي الأماكن التي نعمل فيها والتي نتردّد عليها كلّ يوم، وهل نستطيع أن نصغي إليهم، ونتغلّب على تجربة حصر أنفسنا في مرجعيتنا الذاتيّة، فنفكّر فقط في احتياجاتنا. لكن أن نسير معًا - أي أن نكون ”سينودسًا“ - هو أيضًا دعوة الكنيسة. لنسأل أنفسنا كم نحن حقًا جماعة منفتحة وتشمل الجميع؛ هل نقدر أن نعمل معًا، كهنة وعلمانيّين، في خدمة الإنجيل؛ هل نرحّب بالغير ليس فقط بالكلام بل بأعمال ملموسة - أولئك البعيدين وكلّ الذين يقتربون منا، ويشعرون أنّهم مختلفون عنا بسبب مساراتهم المعذبة في الحياة. هل نُشعِرهم بأنّهم جزء من الجماعة أم نستبعدهم؟ إنّني أخاف عندما أرى جماعات مسيحيّة تقسّم العالم إلى صالحين وأشرار، وقديسين وخطأة: هكذا ينتهي بنا الأمر إلى أن نشعر بأنّنا أفضل من الآخرين، ونبعد الكثيرين الذين يريد الله أن يرحّب بهم. من فضلكم، لنشمل الجميع دائمًا: في الكنيسة كما في المجتمع، الذي ما زال يتسّم بالكثير من عدم المساواة والتهميش. لنشمل الجميع. واليوم، الذي أصبح فيه سكالابريني قديسًا، أودّ أن أفكّر في المهاجرين. إقصاء المهاجرين شكّ وحجر عثرة! بل إقصاء المهاجرين عمل إجرامي يجعلهم ذلك يموتون أمام أعيننا. وهكذا، لدينا اليوم البحر الأبيض المتوسط ​​وهو أكبر مقبرة في العالم. إقصاء المهاجرين أمر مثير للاشمئزاز، إنّه إثم، وإنّه عمل إجرامي، ألّا نفتح الأبواب للمحتاجين. قد يقول قائلٌ: ”لا، نحن لا نستبعدهم، بل نطردهم“: إلى معسكرات الاعتقال، حيث يتمّ استغلالهم وبيعهم مثل العبيد. أيّها الإخوة والأخوات، لنفكّر اليوم في مهاجرينا، الذين يموتون. والذين يستطيعون الدخول، فهل نقبلهم إخوةً أم نستغلهم؟ أطرح سؤالًا فقط.

الجانب الثّاني هو الشّكر. في جماعة البُرص العشرة، واحدٌ فقط، عندما رأى نفسه قد برئ، رجع ليسبّح الله ويعبّر عن شكره ليسوع. التّسعة الآخرون برئوا أيضًا، لكنهّم ذهبوا في طريقهم، ونَسَوا الذي شفاهم. بينما السّامري، جعل من العطيّة التي تلقّاها بداية مسيرة جديدة: رجع إلى الذي شفاه، وذهب ليتعرّف على يسوع عن قُرب، وبدأ علاقة معه. إذًا، لم يكن تعبيره عن شكره إشارة مجاملة بسيطة، بل بداية طريق شكر وعرفان جميل: ركع عند قدمي المسيح (راجع لوقا 17، 16)، أي إنّه قام بفعل سجود: عرف أنّ يسوع هو الرّبّ، وأنّه أهمُّ بكثير من الشّفاء الذي ناله.

وهذا، أيّها الإخوة والأخوات، درس كبير لنا نحن أيضًا، الذين نَنعَمُ كلّ يوم بمواهب الله، لكنّا غالبًا نذهب في طريقنا وننسى أن ننمّي علاقة حيّة وحقيقيّة معه. إنّه مرض روحيّ سيّئ: وهو أن نعتبر كلّ شيء أمرًا عاديًّا، حتّى الإيمان، وعلاقتنا مع الله أيضًا، لدرجة أنّنا نصبح مسيحيّين لا نعرف أن نبدي إعجابنا، ولا نعرف كيف نقول ”شكرًا“، ولا نظهر أنّنا عارفون للجميل، ولا نعرف أن نرَى عجائب الله. وهكذا، ينتهي بنا الأمر إلى أن نفكّر أنّ كلّ الذي نقبله كلّ يوم هو بديهي ومستحقّ. عرفان الجميل، وأن نعرف كيف نقول ”شكرًا“، يحملنا على أن نؤكّد على حضور الله-محبّة. وأيضًا إلى معرفة أهميّة الآخرين، فنتغلّب على عدم الرضى واللامبالاة التي تقَسِّى قلوبنا. من الضّروري أن نعرف كيف نشكر. كلّ يوم، أن نقول شكرًا لله، وكلّ يوم أن نعرف كيف نشكر بعضنا بعضًا: في العائلة، من أجل الأمور الصّغيرة التي نتلقّاها أحيانًا، حتّى دون أن نسأل أنفسنا من أين جاءت، وفي الأماكن التي نتردّد عليها كلّ يوم، ومن أجل الخدمات الكثيرة التي نتمتّع بها، ومن أجل الأشخاص الذين يدعموننا، وفي جماعاتنا المسيحيّة، من أجل محبّة الله التي نختبرها من خلال قربنا من الإخوة والأخوات الذين يصلّون غالبًا في صمت، ويقدّمون، ويتألّمون، ويسيرون معنا. من فضلكم، لا ننسَ هذه الكلمة المفتاح: شكرًا! لا ننسَ أن نشعر ونقول ”شكرا“!

يذكّرنا القدّيسان اللذان أُعلِنَتْ قداستهما اليوم بأهميّة السّير معًا ومعرفة القول: شكرًا. أكّد الأسقف سكالابريني، الذي أسّس جمعيّتين من أجل رعاية المهاجرين، إحداهما للرجال والأخرى للنساء، أنّه في المسيرة المشتركة للذين يهاجرون، يجب ألّا نرى المشاكل فقط، بل خطة للعناية الإلهيّة أيضًا، قال: "بسبب الهجرات الإجباريّة التي أدّت إليها الاضطهادات، تجاوزت الكنيسة حدود أورشليم وإسرائيل وأصبحت ”كاثوليكيّة“؛ وبفضل هجرات اليوم، ستكون الكنيسة أداة سلام وشركة بين الشّعوب" (هجرة العمّال الإيطاليّين، فيرّارا 1899). هناك هجرة، الآن، وهنا في أوروبا، تجعلنا نتألّم كثيرًا وتحركنا لنفتح قلبنا: هجرة الأوكرانيّين الذين فروا من الحرب. لا ننسَ أوكرانيا التي تعاني من آلام كثيرة! نظر سكالابريني إلى ما هو أبعد، نظر إلى الأمام، إلى عالم وكنيسة بلا حواجز، وبلا غُرباء. والرّاهب السّالزياني أرتيميد زاتّي، من جهته، وبدراجته، كان مثالًا حيًّا لعرفان الجميل: شُفي من مرض السّل، وكرّس حياته كلّها للعناية بالآخرين، ورعاية المرضى بالمحبّة والحنان. يُقال إنّهم مرّة رأوه يحمل جثّة أحد مرضاه على كتفيه. كان مليئًا بالشّكر لما تلقّاه، وأراد أن يقول ”شكرًا“ بحمله جراح الآخرين.

لنصلِّ حتّى يساعدنا أخوانا القدّيسان هذان على أن نسير معًا، من دون جدران فاصلة، وأن ننمّي فينا هذه الرّوح النّبيلة المرضيّة كثيرًا لدى الله، وهي الشّكر.

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA PER LA BEATIFICAZIONE
DI TRE SERVI DI DIO: VILMOS APOR, GIOVANNI BATTISTA SCALABRINI
E MARÍA VICENTA DE SANTA DOROTEA CHÁVEZ OROZCO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Festa della dedicazione della Basilica Lateranense
Piazza San Pietro - Domenica, 9 novembre 1997

 

1. "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere" (Gv 2, 19).

Le parole di Cristo, proclamate poc'anzi nel Vangelo, ci conducono al centro stesso del Mistero pasquale. Cristo, entrato nel tempio di Gerusalemme, manifesta la sua indignazione perché la casa del Padre suo è stata trasformata in un grande mercato. Dinanzi a questa reazione, gli ebrei protestano: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?" (Gv 2, 18). Ad essi Gesù risponde indicando un solo e grandissimo segno, un segno definitivo: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere".

Egli parla naturalmente non del tempio di Gerusalemme, ma di quello del proprio corpo. Dato infatti alla morte, il terzo giorno manifesterà la potenza della risurrezione. L'Evangelista aggiunge: "Quando, poi, fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù" (Gv 2, 22).

2. Nell'odierna domenica, la Chiesa che è in Roma e l'intero popolo cristiano celebrano la solennità della dedicazione della Basilica Lateranense, considerata per antichissima tradizione come la madre di tutte le chiese. La Liturgia ci propone parole relative al tempio: tempio che è, anzitutto, il corpo di Cristo, ma che, per opera di Cristo, è anche ogni uomo. Si domanda l'apostolo Paolo: "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" (1 Cor 3, 16). Questo tempio viene edificato sul fondamento posto da Dio stesso. "Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo" (1 Cor 3, 11). E' Lui la pietra angolare della costruzione divina.

Su Cristo, saldo fondamento della Chiesa, hanno edificato il tempio della loro vita i tre Servi di Dio, che oggi ho la gioia di elevare alla gloria degli altari: Vilmos Apor, Vescovo e martire; Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo e Fondatore dei Missionari e delle Missionarie di San Carlo, e María Vicenta di Santa Dorotea Chávez Orozco, Fondatrice dell'Istituto delle Serve della Santissima Trinità e dei poveri.

3. Boldog Apor Vilmos vértanúsággal koronázott lelkipásztori szolgálata által fölragyog Krisztusnak, az új és tökéletes Templomnak misztériumában való részesedés, amely által beteljesedik Isten és ember teljes közössége (vö. Jn 2, 21). A „szegények plébánosa" volt ó, e szolgálatát folytatta püspöksége alatt, a második világháború sötét évei folyamán is, mint a szükséget szenvedók bókezú jótevóje és az üldözöttek védelmezóje. Nem félt fölemelni hangját, hogy az evangéliumi elvek nevében megbélyegezze mindazt az igazságtalanságot és erószaktételt, amelyet a kisebbségek ellen, különösen pedig a zsidó közösségek ellen követtek el.

A Jó Pásztor mintájára, aki életét adja juhaiért (vö. Jn 10, 11), az újonnan avatott Boldog személy szerint megélte a húsvéti misztériumot, egészen életének végsó feláldozásáig. Éppen Nagypéntek napján érte a halálos golyó: nyáját védte, amikor halálra sebeztetett. Így élte meg, a vértanúság által, saját személyes Húsvétját. Hósies módon tanúságot tett a Krisztus iránti szeretetról és a felebarát iránti szolidaritásról, így a dicsóség koronája jutott neki osztályrészéül, a hú szolgák módjára. Vilmos Püspök hósies tanúságtétele becsületére válik a magyar nemzet nemes történelmének, s a mai naptól fogva az egész Egyház csodálattal tekint fel rá. Bátorítsa ez a híveket arra, hogy habozás nélkül kövessék Krisztust, saját életükben is. Ez az életszentség, amelyre minden megkeresztelt meghívást kapott!

[Traduzione dall'ungherese:

3.L'intima partecipazione al Mistero di Cristo, nuovo e perfetto Tempio nel quale si attua la piena comunione tra Dio e l'uomo (cfr Gv 2, 21), risplende nel servizio pastorale del beato Vilmos Apor, la cui esistenza fu coronata dal martirio. Egli fu il "parroco dei poveri", ministero che proseguì come Vescovo durante gli anni bui del secondo conflitto mondiale, operando come generoso benefattore dei bisognosi e difensore di quanti venivano perseguitati. Non temette di alzare la voce per stigmatizzare, in nome dei principi evangelici, le ingiustizie ed i soprusi contro le minoranze, specialmente contro la comunità ebraica.

Ad immagine del Buon Pastore che offre la vita per le sue pecore (cfr Gv 10, 11), il nuovo Beato visse in prima persona l'adesione al Mistero pasquale fino al supremo sacrificio della vita. La sua uccisione avvenne proprio nel giorno del Venerdì Santo: fu colpito a morte mentre difendeva il suo gregge. Egli ha così sperimentato, mediante il martirio, una propria singolare Pasqua, passando dall'eroica testimonianza di amore a Cristo e di solidarietà con i fratelli alla corona di gloria promessa ai fedeli servitori. L'eroica testimonianza del Vescovo Vilmos Apor fa onore alla storia della nobile Nazione ungherese e viene oggi proposta all'ammirazione di tutta la Chiesa. Possa essa incoraggiare i credenti a seguire senza esitazione Cristo nella propria vita. Questa è la santità a cui ogni battezzato è chiamato!]

4. "Santo è il tempio di Dio, che siete voi" (1 Cor 3, 17). L'universale vocazione alla santità fu costantemente sentita e vissuta in prima persona da Giovanni Battista Scalabrini. Amava ripetere spesso: "Potessi santificarmi e santificare tutte le anime affidatemi!". Anelare alla santità e proporla a quanti incontrava fu sempre la prima sua preoccupazione.

Profondamente innamorato di Dio e straordinariamente devoto dell'Eucaristia, egli seppe tradurre la contemplazione di Dio e del suo mistero in una intensa azione apostolica e missionaria, facendosi tutto a tutti per annunciare il Vangelo. Questa sua ardente passione per il Regno di Dio lo rese zelante nella catechesi, nelle attività pastorali e nell'azione caritativa specialmente verso i più bisognosi. Il Papa Pio IX lo definì l'"Apostolo del catechismo" per l'impegno con cui promosse in tutte le parrocchie l'insegnamento metodico della dottrina della Chiesa sia ai fanciulli che agli adulti. Per il suo amore verso i poveri, e in particolar modo verso gli emigranti, si fece apostolo dei numerosi connazionali costretti ad espatriare, spesso in condizioni difficili e col concreto pericolo di perdere la fede: per essi fu padre e guida sicura. Possiamo dire che il beato Giovanni Battista Scalabrini visse intensamente il Mistero pasquale non attraverso il martirio, ma servendo Cristo povero e crocifisso nei tanti bisognosi e sofferenti che predilesse con cuore di autentico Pastore solidale con il proprio gregge.

5. Templo precioso de la Santísima Trinidad fue el alma fuerte y humilde de la nueva beata mexicana, María Vicenta de Santa Dorotea Chávez Orozco. Impulsada por la caridad de Cristo, siempre vivo y presente en su Iglesia, se consagró a su servicio en la persona de los "pobrecitos enfermos", como ella maternalmente los llamaba. Un sinfín de dificultades y contratiempos fueron cincelando su carácter enérgico, pues Dios la quería sencilla, dulce y obediente para hacer de ella la piedra angular del Instituto de Siervas de la Santísima Trinidad y de los Pobres, fundado por la nueva beata en la ciudad de Guadalajara para la atención de los enfermos y los ancianos.

Virgen sensata y prudente, edificó su obra sobre el cimiento de Cristo doliente, curando con el bálsamo de la caridad y la medicina del consuelo los cuerpos heridos y las almas afligidas de los predilectos de Cristo: los indigentes, menesterosos y necesitados.

Su ejemplo luminoso, entretejido de oración, servicio al prójimo y apostolado, se prolonga hoy en el testimonio de sus hijas y de tantas personas de buen corazón que trabajan con denuedo para llevar a los hospitales y a las clínicas la Buena Nueva del Evangelio.

Traduzione italiana

[5. Tempio prezioso della Santissima Trinità fu l'anima forte e umile della nuova beata messicana, María Vicenta de Santa Dorotea Chávez Orozco. Animata dalla carità di Cristo, sempre vivo e presente nella sua Chiesa, si consacrò al suo servizio nella persona dei «poveri malati», come lei maternamente li chiamava. Un'infinità di difficoltà e di contrattempi forgiarono il suo carattere energico, poiché Dio la voleva semplice, dolce e obbediente per fare di lei la pietra d'angolo dell'Istituto delle Serve della Santissima Trinità e dei Poveri, fondato dalla nuova beata nella città di Guadalajara per l'assistenza ai malati e agli anziani.

Vergine saggia e prudente, edificò la sua opera sul fondamento di Cristo sofferente, curando con il balsamo della carità e la medicina della consolazione i corpi feriti e le anime afflitte dei prediletti di Cristo: gli indigenti, i poveri e i bisognosi.

Il suo esempio luminoso, intessuto di preghiera, di servizio al prossimo e di apostolato, si prolunga oggi nella testimonianza delle sue figlie e di tante persone di buon cuore che lavorano con coraggio per portare negli ospedali e nelle cliniche la Buona Novella del Vangelo.]

6. La prima Lettura, tratta dal Libro del Profeta Ezechiele, parla del simbolo dell'acqua. L'acqua è per noi associata al sacramento del Battesimo e sta a significare la rinascita alla vita nuova in Cristo. Oggi, proclamando Beati Vilmos Apor, Giovanni Battista Scalabrini e María Vicenta di Santa Dorotea Chávez Orozco, vogliamo ringraziare Dio per la grazia del loro Battesimo e per tutto ciò che Egli ha compiuto nella loro vita: "... se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio" (Gv 3, 5).

Ecco, questi Beati, rinati dallo Spirito Santo, sono entrati nel Regno di Dio, ed oggi la Chiesa lo annunzia e lo conferma con solennità. Edificata sul fondamento di Cristo, la Comunità cristiana gioisce per l'esaltazione di questi suoi figli ed innalza al cielo un cantico di ringraziamento per i frutti di bene realizzati grazie alla loro totale adesione alla volontà divina.

Sorretta dalla loro testimonianza e dalla loro intercessione, insieme alla Vergine Maria, Regina degli Apostoli e dei Martiri, guarda con fiducia verso il futuro, e si avvia con entusiasmo a varcare la soglia del nuovo millennio, proclamando che Cristo è l'unico Redentore dell'umanità: ieri, oggi, sempre. Amen!