Giovanni Calabria

Giovanni Calabria

(1873-1954)

Beatificazione:

- 17 aprile 1988

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 18 aprile 1999

- Papa  Giovanni Paolo II

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 4 dicembre

Presbitero, fondatore delle Congregazioni dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza
  • Biografia
  • Omelia
  • la carità
  • omelia di beatificazione
"Mostrare al mondo che Dio non è straniero, ma che è Padre, e pensa a noi, a patto che noi pensiamo a Lui e facciamo la nostra parte"

 

Giovanni Calabria nacque a Verona l'8 ottobre 1873, settimo e ultimo figlio di Luigi, ciabattino, e di Angela Foschio, serva di signori e donna di grande fede, educata dal Servo di Dio don Nicola Mazza nel suo Istituto per ragazze povere.

La povertà gli fu maestra di vita fin dalla nascita. Alla morte del babbo, dovette interrompere la IV elementare per cercarsi un lavoro come garzone. Accortosi delle virtù del ragazzo, il Rettore di San Lorenzo don Pietro Scapini, lo preparò privatamente agli esami di ammissione al liceo presso il Seminario. Superata la prova, vi fu ammesso e frequentò il liceo come esterno. Ma dovette interromperlo al 3° anno per il servizio militare.

E qui il giovane si distinse soprattutto per la sua grande carità. Si mise infatti al servizio di tutti, prestandosi agli uffici più umilianti e rischiosi. Si conquistò l'animo dei suoi commilitoni e dei suoi superiori, portandone parecchi alla conversione e alla pratica della fede.

Terminato il servizio militare, riprese nuovamente gli studi. In una fredda nottata di novembre del 1897 - frequentava il 1 ° anno di teologia - tornando da una visita agli infermi dell'ospedale, trovò accovacciato sull'uscio di casa un bambino fuggito dagli zingari. Lo raccolse, lo portò in casa, lo tenne con sé e condivise con lui la sua cameretta. Fu l'inizio delle sue opere in favore degli orfani e degli abbandonati.

Pochi mesi dopo, fondò la "Pia Unione per l'assistenza agli ammalati poveri ", riunendo attorno a sé un folto gruppo di chierici e di laici.

Questi sono solo gli inizi di una vita caratterizzata tutta dalla carità. "Ogni istante della sua vita fu la personificazione del meraviglioso cantico di San Paolo sulla Carità" scriverà in una sua lettera postulatoria a Paolo VI una dottoressa ebrea da don Calabria salvata dalla persecuzione nazifascista, nascondendola, vestita da suora, tra le religiose del suo Istituto.

Ordinato sacerdote l'11 agosto 1901, fu nominato Vicario Cooperatore nella parrocchia di S. Stefano e confessore nel Seminario. Si dedicò con particolare zelo alle confessioni e all'esercizio della carità privilegiando soprattutto i più poveri e gli emarginati.

Nel 1907, nominato Vicario della Rettoria di San Benedetto al Monte, intraprese anche l'accoglienza e la cura spirituale dei soldati. Il 26 novembre di quell'anno, in Vicolo Case Rotte, diede ufficiale inizio all'Istituto "Casa Buoni Fanciulli", che trovò l'anno seguente la sistemazione definitiva in Via San Zeno in Monte, attuale Casa Madre.

Con i ragazzi, il Signore gli mandò anche dei laici desiderosi di condividere con lui la propria donazione al Signore. Con questo manipolo di uomini donati totalmente al Signore nel servizio dei poveri con una vita radicalmente evangelica, fece rivivere alla Chiesa di Verona il clima della Chiesa Apostolica. E quel primo nucleo di uomini fu la base della " Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza " che verrà approvata dal Vescovo di Verona l' 11 febbraio 1932 e otterrà l'Approvazione Pontificia il 25 aprile 1949.

Subito dopo l'approvazione diocesana, la Congregazione si diffuse in varie parti d'Italia, sempre al servizio dei poveri, degli abbandonati e degli emarginati. Allargò la sua azione anche agli anziani e agli ammalati dando vita per essi alla " Cittadella della carità ". Il cuore apostolico di don Calabria pensò anche ai Paria dell'India, mandando nel 1934 quattro Fratelli a Vijayavada.

Nel 1910 fondò anche il ramo femminile, le "Sorelle", che diventeranno Congregazione di diritto diocesano il 25 marzo 1952 col nome di " Povere Serve della Divina Provvidenza " e il 25 dicembre 1981 otterranno l'Approvazione Pontificia.

Alle sue due Congregazioni don Calabria affidò la stessa missione ispiratagli dal Signore fin da giovane sacerdote: " Mostrare al mondo che la divina Provvidenza esiste, che Dio non è straniero, ma che è Padre, e pensa a noi, a patto che noi pensiamo a lui e facciamo la nostra parte, che è quella di cercare in primo luogo il santo Regno di Dio e la sua giustizia " (cfr. Mt 6, 25-34).

E per testimoniare tutto questo, accolse gratuitamente nelle sue case ragazzi materialmente e moralmente bisognosi, creò ospedali e case di accoglienza per assistere nel corpo e nello spirito ammalati e anziani. Aprì le sue case di formazione ai giovani e anche agli adulti poveri, per aiutarli a raggiungere la propria vocazione sacerdotale o religiosa, assistendoli gratuitamente fino alla teologia o alla definitiva decisione per la vita religiosa, lasciandoli poi liberi di scegliere quella Diocesi o Congregazione che il Signore avesse loro ispirato. Stabilì che i suoi religiosi esercitassero l'apostolato nelle zone più povere, " dove nulla c'è umanamente da ripromettersi ".

Sono proprio queste le parole che il Beato Card. Schuster fece scolpire sulla sua tomba.

A cominciare infatti dal 1939-40 fino alla morte, in contrasto col suo innato desiderio di nascondimento, allargò i suoi orizzonti fino a raggiungere le frontiere della Chiesa, " gridando " a tutti che il mondo si può salvare solo ritornando a Cristo e al suo Vangelo.

Fu così che divenne una voce profetica, un punto di riferimento. Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici videro in lui la guida sicura per loro stessi e per le loro iniziative. Per questo i Vescovi della Conferenza Episcopale del Triveneto, nella loro lettera postulatoria al Papa Giovanni Paolo II, poterono scrivere: " Don Calabria, proprio per preparare la Chiesa del Duemila - espressione a lui familiare -, fece della sua vita tutto un sofferto e accorato appello alla conversione, al rinnovamento, all'ora di Gesù con accenti impressionanti di incalzante urgenza... Ci pare che la vita di don Calabria e la sua stessa persona costituisca una "profezia" del vostro appassionato grido a tutto il mondo: Aperite portas Christo Redemptori!".

Capì che in questo radicale e profondo rinnovamento spirituale del mondo dovevano essere coinvolti anche i laici. Per questo, nel 1944 fondò la " Famiglia dei Fratelli Esterni ", composta appunto da laici.

Pregò, scrisse, agì e soffrì anche per l'unità dei cristiani. Per questo intrattenne fraterni rapporti con protestanti, ortodossi ed ebrei: scrisse, parlò, amò, mai discusse. Conquistò con l'amore. Lo stesso Pastore luterano Sune Wiman di Eskilstuna (Svezia) che ebbe con lui un copioso scambio epistolare, rivolse il 6 marzo 1964 una lettera postulatoria al Santo Padre Paolo VI per domandargli la glorificazione del suo venerato amico.

E questo fu anche il periodo più misteriosamente doloroso della sua vita. Sembrava che il Cristo l'avesse associato all'agonia del Getsemani e del Calvario, accettando la sua offerta di "vittima" per la santificazione della Chiesa e per la salvezza del mondo. Il Beato card. Schuster lo paragonò al Servo di Jahvé.

Morì il 4 dicembre 1954. Alla vigilia però, fece il suo ultimo gesto di carità offrendo la sua vita al Signore per il papa Pio XII, agonizzante. Il Signore aveva accettato la sua offerta e, mentre lui moriva, il Papa, misteriosamente e improvvisamente, ricuperava la salute vivendo in piena efficienza per altri quattro anni.

Lo stesso Pontefice, ignaro dell'ultimo gesto di offerta di don Calabria, ma conoscitore profondo di tutta la sua vita, alla notizia della sua morte, in un telegramma di condoglianze alla Congregazione, l'aveva definito "campione di evangelica carità".

Don Giovanni Calabria è stato beatificato dal Papa Giovanni Paolo II il 17 aprile 1988.

PROCLAMAZIONE DI TRE NUOVI BEATI: 
MARCELLINO BENEDETTO CHAMPAGNAT, DON GIOVANNI CALABRIA, 
E SUOR AGOSTINA LIVIA PIETRANTONI

OMELIA DI GIOVANI PAOLO II

Piazza San Pietro - Domenica, 18 aprile 1999

 

1. "Prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero" (Lc 24, 30-31)

Abbiamo poc'anzi riascoltato queste parole del Vangelo di Luca: esse raccontano l'incontro di Gesù con due discepoli in cammino verso il villaggio di Emmaus, il giorno stesso della risurrezione. Quest'inatteso incontro fa scaturire la gioia nel cuore dei due viandanti sconsolati e riaccende in essi la speranza. Il Vangelo riferisce che, quando lo riconobbero, partirono "senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme" (Lc 24, 33). Sentivano il bisogno di informare gli Apostoli di "ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane" (Lc 24, 35).

Il desiderio di rendere testimonianza a Gesù sgorga nel cuore dei credenti dall'incontro personale con Lui. E' quanto è avvenuto per i tre nuovi Santi, che oggi ho la gioia di elevare alla gloria degli altari: Marcellino Benedetto Champagnat, Giovanni Calabria ed Agostina Livia Pietrantoni. Essi hanno aperto i loro occhi dinanzi ai segni della presenza di Cristo: lo hanno adorato ed accolto nell'Eucaristia, lo hanno amato nei fratelli più bisognosi, hanno riconosciuto le tracce del suo disegno di salvezza negli eventi dell'esistenza quotidiana.

Hanno ascoltato le parole di Gesù ed hanno coltivato la sua compagnia sentendosi ardere il cuore in petto. Quale fascino indescrivibile esercita la misteriosa presenza del Signore in quanti lo accolgono! E' l'esperienza dei santi. E' la stessa esperienza spirituale che possiamo fare noi, incamminati sulle strade del mondo verso la patria celeste. Pure a noi il Risorto viene incontro con la sua Parola, rivelandoci il suo amore infinito nel Sacramento del Pane eucaristico, spezzato per la salvezza dell'intera umanità. Possano gli occhi del nostro spirito aprirsi alla sua verità ed al suo amore, come è avvenuto per Marcellino Benedetto Champagnat, per don Giovanni Calabria e per Suor Agostina Livia Pietrantoni.

2. "Notre coeur n'était-il pas tout brûlant au-dedans de nous, quand il nous expliquait les Écritures?". Ce désir brûlant de Dieu qui habitait les disciples d'Emmaüs se manifesta vivement chez Marcellin Champagnat, qui fut un prêtre saisi par l'amour de Jésus et de Marie. Grâce à sa foi inébranlable, il est resté fidèle au Christ, même dans les difficultés, au milieu d'un monde parfois dénué du sens de Dieu. Nous sommes appelés, nous aussi, à puiser notre force dans la contemplation du Christ ressuscité, en nous mettant à l'école de la Vierge Marie.

Saint Marcellin annonça l'Évangile avec un coeur tout brûlant. Il fut sensible aux besoins spirituels et éducatifs de son époque, spécialement à l'ignorance religieuse et aux situations d'abandon que connaissait particulièrement la jeunesse. Son sens pastoral est exemplaire pour les prêtres: appelés à proclamer la Bonne Nouvelle, ils doivent être également pour les jeunes, qui cherchent un sens à leur existence, de véritables éducateurs, accompagnant chacun d'entre eux sur la route et leur expliquant les Écritures. Le Père Champagnat est aussi un modèle pour les parents et les éducateurs, les aidant à porter un regard plein d'espérance sur les jeunes, à les aimer d'un amour total, qui favorise une véritable formation humaine, morale et spirituelle.

Marcellin Champagnat nous invite aussi à être des missionnaires, pour faire connaître et aimer Jésus Christ, comme le firent les frères maristes jusqu'en Asie et en Océanie. Avec Marie pour guide et pour Mère, le chrétien est missionnaire et serviteur des hommes. Demandons au Seigneur d'avoir un coeur aussi brûlant que Marcellin Champagnat, pour le reconnaître et pour être ses témoins.

3. "Questo Gesù Dio l'ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni" (At 2, 32).

"Noi tutti ne siamo testimoni": chi parla è Pietro, a nome degli Apostoli. Nella sua voce riconosciamo quelle di innumerevoli altri discepoli, che nel corso dei secoli hanno fatto della loro vita una testimonianza del Signore morto e risorto. A questo coro si uniscono i santi oggi canonizzati. Si unisce don Giovanni Calabria, testimone esemplare della Risurrezione. In lui risplendono fede ardente, carità genuina, spirito di sacrificio, amore alla povertà, zelo per le anime, fedeltà alla Chiesa.

Nell'anno del Padre, che ci introduce nel Grande Giubileo del Duemila, siamo invitati a dare massimo risalto alla virtù della carità. L'esistenza di Giovanni Calabria è stata tutta un vangelo vivente, traboccante di carità: carità verso Dio e carità verso i fratelli, specialmente verso i più poveri. Sorgente del suo amore per il prossimo erano la fiducia illimitata ed il filiale abbandono che nutriva per il Padre celeste. Ai suoi collaboratori amava ripetere le parole evangeliche: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6, 33).

4. L'ideale evangelico della carità verso il prossimo, specialmente verso i piccoli, i malati, gli abbandonati, ha condotto anche Agostina Livia Pietrantoni alle vette della santità. Formata alla scuola di santa Giovanna Antida Thouret, Suor Agostina comprese che l'amore per Gesù domanda il generoso servizio verso i fratelli. E' infatti nel loro volto, specialmente in quello dei più bisognosi, che brilla il volto di Cristo. "Dio solo" fu la "bussola" che orientò tutte le sue scelte di vita. "Tu amerai", il primo e fondamentale comandamento posto all'inizio della "Regola di vita delle Suore della Carità", fu la fonte ispiratrice dei gesti di solidarietà della nuova Santa, la spinta interiore che la sostenne nel dono di sé agli altri.

Nella prima Lettera di Pietro, poc'anzi ascoltata, leggiamo che la redenzione è avvenuta non "a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro", ma per "il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia" (1Pt 1, 19). La consapevolezza dell'infinito valore del Sangue di Cristo, sparso per noi, indusse santa Agostina Livia Pietrantoni a rispondere all'amore di Dio con un amore altrettanto generoso e incondizionato, manifestato nell'umile e fedele servizio ai "cari poveri", come essa soleva ripetere.

Disposta a qualunque sacrificio, testimone eroica della carità, pagò con il sangue il prezzo della fedeltà all'Amore. Possano il suo esempio e la sua intercessione ottenere per l'Istituto delle Suore della Carità, che celebra quest'anno il secondo centenario di fondazione, un rinnovato slancio apostolico.

5. "Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino" (Lc 24, 29). I due stanchi viandanti supplicarono Gesù di sostare nella loro casa per condividere la loro stessa mensa.

Resta con noi, Signore risorto! E' questa anche la nostra quotidiana aspirazione. Se tu rimani con noi, il nostro cuore è in pace.

Accompagnaci, come hai fatto con i discepoli di Emmaus, nel nostro cammino personale ed ecclesiale.

Aprici gli occhi, affinché sappiamo riconoscere i segni della tua ineffabile presenza.

Rendici docili all'ascolto del tuo Spirito. Nutriti ogni giorno del tuo Corpo e del tuo Sangue, sapremo riconoscerti e ti serviremo nei nostri fratelli.

Maria, Regina dei Santi, aiutaci a tenere la nostra fede e la nostra speranza fisse in Dio (cfr 1 Pt 1, 21).

San Marcellino Benedetto Champagnat, san Giovanni Calabria e santa Agostina Livia Pietrantoni pregate per noi!

Testimone esemplare della Risurrezione, in lui risplendono fede ardente, carità genuina, spirito di sacrificio, amore alla povertà, zelo per le anime, fedeltà alla Chiesa.

La carità fu la caratteristica di tutta la sua vita. Morì il 4 dicembre 1954. Alla vigilia, fece il suo ultimo gesto di carità offrendo la sua vita al Signore per il papa Pio XII, agonizzante. Il Signore aveva accettato la sua offerta e, mentre lui moriva, il Papa, misteriosamente e improvvisamente, ricuperava la salute vivendo in piena efficienza per altri quattro anni.

Profeta della paternità di Dio e della ricerca del suo Regno.

BEATIFICAZIONE DI GIUSEPPE NASCIMBENI E GIOVANNI CALABRIA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Stadio Bentegodi - Verona
Domenica, 17 aprile 1988

 

1. “Di questo voi siete testimoni” (Lc 24, 48).

Caro pastore della Chiesa che è in Verona, signori Cardinali, diletti fratelli nell’episcopato, carissimi fratelli e sorelle della diocesi di Verona e del Veneto.

Ci troviamo nel tempo pasquale, che è iniziato con la domenica di Risurrezione per estendersi su tutto un periodo di cinquanta giorni fino a Pentecoste. Cristo destinò questi giorni agli incontri con i suoi apostoli - e poi, dopo la sua Ascensione al Padre, alla loro preparazione diretta alla venuta del Paraclito.

La liturgia della Chiesa ci permette di partecipare a questo tempo beato, per così dire, in un duplice ritmo: anzitutto, quello degli eventi che ebbero luogo prima dell’Ascensione, il ritmo cioè degli incontri diretti col Signore risorto; successivamente, il ritmo delle testimonianze degli Atti degli Apostoli, le testimonianze che diedero gli apostoli subito dopo la discesa dello Spirito Santo; il tempo degli inizi della Chiesa.

Vi è uno stretto legame tra l’uno e l’altro, come lo si può bene notare nelle letture dell’odierna liturgia.

2. Cristo appare agli apostoli, ancora impressionati per la recente notizia dell’incontro sulla via di Emmaus. Stavano ancora parlandone, quando Cristo viene visibilmente in mezzo a loro e dice “Pace a voi!”. Essi, tuttavia, hanno paura.

Non c’è da meravigliarsi. Gli apostoli sapevano che Cristo era morto tra le torture della croce ed era stato sepolto in una tomba. Stupiti quindi e spaventati potevano ben immaginare di vedere un fantasma (cf. Lc 24, 37).

Allora il Risorto dice loro: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate” (Lc 24, 39). Infine chiede qualche cosa da mangiare (cf. Lc 24, 41).

Un giorno l’apostolo Giovanni scriverà “Noi abbiamo veduto con i nostri occhi . . . abbiamo contemplato . . . le nostre mani hanno toccato” (1 Gv 1, 1). La testimonianza degli apostoli si fonda su un’esperienza diretta.

Per rispondere, fino in fondo, alla domanda dei suoi discepoli, Gesù - così come aveva fatto sulla via di Emmaus - spiegò che bisognava “che si compissero tutte le cose scritte su di lui” nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi: il Cristo doveva patire e risuscitare dai morti il terzo giorno (cf. Lc 24, 44. 46).

3. Nel giorno della Pentecoste l’apostolo Pietro ripeterà le medesime parole: “Dio ha adempiuto così ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo sarebbe morto” (At 3, 18). È stato quindi condannato alla morte di croce con una sentenza umana. Ma la sentenza divina è stata diversa: “Dio l’ha risuscitato dai morti, e di questo noi siamo testimoni” (At 3, 15).

In questo modo la Chiesa degli apostoli cresceva e si consolidava nella certezza che Gesù Cristo “è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo . . . abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, giusto” (1 Gv 2, 2. 1).

Coloro ai quali “ardeva” il cuore in petto - quando il Risorto spiegava le Scritture (cf. Lc 24, 32); quando si faceva conoscere nello spezzare il pane, come ad Emmaus (cf. Lc 24, 35); quando stava insieme con loro perfino a mensa - sono diventati i testimoni.

Sulla testimonianza apostolica si costruisce la fede della Chiesa, di generazione in generazione.

4. Una tale fede, nutrita costantemente dall’Eucaristia, rinnovata dalla preghiera e anche dalla lettura e dalla conoscenza dei Libri Sacri, ha formato la vita della Chiesa in mezzo ai singoli popoli e nazioni.

Coloro che come testi oculari hanno avuto la certezza della verità rivelata in Cristo, sono diventati in seguito i testimoni e il fondamento della viva tradizione.

Venendo oggi nella vostra città, a Verona, e avendo davanti agli occhi tutto ciò di cui è costituito il suo passato e il suo presente - la sua eredità cristiana - oserei ripetere a tutti voi che siete qui ciò che Cristo ha detto agli apostoli: “Di questo. siete testimoni” (Lc 24, 48) anche voi.

Queste parole non diventano forse particolarmente attuali in questa circostanza, considerando proprio l’opera dei due figli di questa Chiesa, che mediante la beatificazione ottengono oggi la glorificazione nella vostra comunità cristiana!

5. Giuseppe Nascimbeni, un sacerdote della vostra diocesi, un parroco della vostra terra, un pastore d’anime legato ai problemi pastorali ed alle istanze sociali di una popolazione tanto vicina per costumi e tradizioni alla gente veronese di oggi.

Eppure un testimone singolare del Cristo per la sollecitudine amorosa, intelligente e fattiva verso le necessità del suo popolo; un pioniere nel promuovere opere e servizi sociali, e nell’aprirsi cristianamente alle esigenze via via incalzanti del tempo.

La fonte del suo zelo per le anime era l’Eucaristia, della quale era innamorato, al punto di non decidere mai alcuna questione importante senza avere prima pregato a lungo davanti al Santissimo Sacramento. Visse la sua missione di parroco con spirito missionario, aperto alle necessità della Chiesa, dedito a costruire o ricostruire la fede e l’esperienza di Cristo nell’anima dei suoi fedeli. Per questo istruiva i fanciulli ed i fedeli con costanti predicazioni, era particolarmente sollecito nell’insegnamento della catechesi, premuroso nell’offrire agli adulti occasioni di riflessione sulla dottrina e sulla morale cristiana, generoso nel provvedere alla formazione dei giovani attraverso gli oratorii maschile e femminile. Questi strumenti di apostolato, che sono nella tradizione di codesta Chiesa di Verona, costituirono la palestra della sua santificazione come pastore d’anime. Con tali mezzi riuscì ad inserirsi pienamente nella vita del suo popolo, che amava e voleva condurre a Dio.

Era attento a comporre gli odii, a provvedere alle necessità dei più poveri, premuroso verso i lontani, che cercava con zelo, verso i malati, i soldati, i migranti, i poveri, “ritenuti i suoi padroni perché gli rubavano il cuore” (cf. “Informatio super virtutibus”, 55).

Con questo spirito apostolico istituì la congregazione delle “Piccole Suore della Sacra Famiglia”, per estendere ancor più, mediante la loro opera, il suo ministero di parroco. Egli volle legare la Congregazione al lavoro pastorale nelle parrocchie con l’intento che fosse da essa propagata la devozione alla Famiglia di Nazaret, modello di vita e di santità per tutte le famiglie cristiane.

6. Don Giovanni Calabria è un altro testimone che ha lasciato una profonda traccia nella vostra Chiesa: testimone della carità verso i poveri, dello zelo per le anime, dell’amore intenso per Dio.

Esperto della povertà, come sapete, perché nato da famiglia poverissima; aiutato egli stesso dalla carità nel periodo dei suoi studi, amò soprattutto i giovani poveri, gli orfani, gli abbandonati. La sua esperienza gli aveva offerto una particolare sensibilità e capacità nell’avvicinare i giovani lontani dalla fede, sprovvisti di aiuti, bisognosi soprattutto di calore familiare.

Fu proprio la singolare e vasta esperienza della povertà che suscitò in lui la fiducia illimitata nella Provvidenza di Dio. Egli chiamò sempre “opera del Signore” le sue iniziative e le sue fondazioni. È noto che fin da giovane egli era stato fortemente impressionato dalle parole del Vangelo: “Non vi angustiate per il cibo e il vestito: il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33). Con questo animo egli chiamò la sua famiglia religiosa “Poveri Servi della Divina Provvidenza” affidando ai suoi figli spirituali il compito di andare là “dove non c’è niente di umano da ripromettersi”.

Questo progetto di carità, umanamente paradossale, così audace, così fiducioso, così singolare, non può non colpire e indurre a rendere grazie a Dio, che ha suscitato in mezzo a noi un tale testimone di fiducia senza riserve nella parola del Vangelo.

Ma di don Calabria occorre ancora ricordare l’amore per la Chiesa. Il gemito degli ultimi anni della sua vita, come è noto, era quasi un riflesso dell’angoscia del Crocifisso per le anime. Egli riferiva come voce del Signore quel sospiro tanto insistente: “La mia Chiesa, la mia Chiesa”. Da questo amore sofferto per la Sposa di Cristo nacque in don Calabria la dedizione ai sacerdoti ed ai religiosi. Voi ricordate ancora i suoi appassionati, sofferti, arditi appelli alle autorità ecclesiastiche, ai sacerdoti, ai religiosi, ai sacerdoti in difficoltà, per chiedere a tutti un radicale rinnovamento di vita, un ritorno vigoroso alla “apostolica vivendi forma”. Tale messaggio al clero ed alle persone consacrate non deve essere dimenticato. La vostra Chiesa ha il compito e l’eredità di mantenerlo vivo e di testimoniarlo con generosità e vigore nel nostro tempo.

L’amore alla Chiesa suscitò in don Calabria anche l’impegno per l’unità dei cristiani.

Egli pregò per questo scopo, ebbe contatti di amicizia con membri di altre Chiese e comunità ecclesiali, offerse l’abbazia di Maguzzano come sede della sezione italiana della “Catholica Unio”. Dalle sue lettere risulta chiaramente la sua intuizione che la piena comunione dei cristiani passa per una via importante, quella che cerca di coinvolgere l’intero Popolo di Dio nel desiderio e nella ricerca dell’unità desiderata da Cristo.

7. Ecco, fratelli e sorelle carissimi, due esempi che il Signore ha suscitato in mezzo a voi, due testimoni della vostra fede, due modelli per l’impegno che vi riguarda nel tempo presente.

Essi continuano a parlare a noi oggi della santità della famiglia cristiana, della carità verso i giovani, della comprensione per le loro miserie, al fine di sanarle e di redimerle.

Essi esortano alla santificazione le anime consacrate a Dio nel ministero e nella vita religiosa; ed incitano ad un affetto premuroso per la Chiesa di Cristo, per le sue sofferenze ed i suoi problemi, per la Chiesa che Gesù chiama “sua” con ineffabile amore.

Queste voci, rese autorevoli dalla santità, suggeriscono alla Chiesa veronese di oggi un programma impegnativo di vita, un progetto di lavoro pastorale urgente e vigoroso per tutti. Occorre salvare la famiglia, salvarla dalla disunione, dalla meschinità dell’edonismo, dalla tentazione di fuga dalle leggi morali che la riguardano o dalle esigenze dell’amore vero e santificante. Occorre salvare i giovani dal degrado di una vita priva di ideali. Occorre essere, come gli apostoli, testimoni di Cristo, consci della sua presenza in mezzo a noi, affinché dall’amore di Cristo nasca per tutti la forza dell’impegno severo, e nello stesso tempo liberante, che solo può condurre a un domani migliore.

8. Ecco, in questo giorno solenne entrambi i beati ascoltano insieme con noi la voce della Chiesa, che si esprime con le parole del salmista:
 “Sappiate che il Signore fa prodigi per il suo fedele” (Sal 4, 4).

Veramente. Il Signore fa così.

I vostri beati lo confermano. Confermano anche la verità delle parole della prima lettera di san Giovanni apostolo: “Chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto” (1 Gv 2, 5).

Quindi noi tutti ringraziamo il Risorto per la testimonianza dell’amore perfetto di Dio e del prossimo, che si è fatta vedere nella vita dei nuovi beati, Giuseppe e Giovanni.

Ardono i nostri cuori . . . quando il Signore parla a noi col vivo esempio di fratelli e concittadini.

Ardono . . . ritrovano coraggio, riacquistano la fede nel bene e nella verità. Diventiamo così come i primi discepoli di Cristo nel cenacolo; Cristo appare in mezzo a noi, oggi, e dice: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? . . . Sono proprio io” (Lc 24, 38-39).

Sì! Lui è in mezzo a noi: “Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre!” (Eb 13, 8). Resta con noi! Trasformaci! Sii la nostra vita.

“Sono proprio io”.

Amen.