Giovanni de Britto

Giovanni de Britto

(1647-1693)

Beatificazione:

- 18 maggio 1859

- Papa  Pio IX

Canonizzazione:

- 22 giugno 1947

- Papa  Pio XII

- Basilica Vaticana

Ricorrenza:

- 4 febbraio

Religioso, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che, in località Oriur nel regno di Maravá in India, dopo aver convertito molti alla fede imitando la vita e la condotta degli asceti di quella regione, coronò la sua vita con un glorioso martirio

  • Biografia
  • Omelia
"Io amo più il cielo che la terra, più le boscaglie di Madurai che il palazzo del Portogallo"

 

João de Brito nacque a Lisbona in Portogallo il 1° marzo 1647.

Ancora ragazzo fu ammesso tra i paggi del re di Spagna, ma si ammalò gravemente: sua madre fece voto a san Francesco Saverio che, se il figlio fosse guarito, gli avrebbe fatto vestire per un anno l’abito della Compagnia di Gesù. Così avvenne, ma Giovanni domandò di diventare davvero gesuita.

Ordinato sacerdote nel 1673, fu inviato in India. La sua inculturazione profonda, che lo portò ad assumere abiti e stili di vita simili a quelli degli asceti indiani, gli valse numerose conversioni. 

Essendo fuori dalle regioni controllate dai portoghesi, i gesuiti di Madurai vivevano secondo caratteristiche specifiche. Si erano conformati ai costumi indigeni e, nel caso di conflitto o di persecuzione da parte delle autorità locali, non potevano attendersi un aiuto dai portoghesi o da un’altra potenza straniera. Accettando questa situazione, poterono costituire una Chiesa cristiana indipendente dalla protezione occidentale. A tale prouna violenta tempesta fece fallire il suo piano. Secondo alcuni, anche fra i suoi compatrioti, de Brito esagerava nei metodi di adattamento.

La condanna a morte, però, doveva essere confermata. Giovanni fu condotto alla presenza di Raganata Tevar. Questi ascoltò un’esposizione della religione cristiana fatta dal missionario, e ne fu tanto impressionato che ordinò di mettere in libertà tutti i prigionieri cristiani. Aggiunse però che la legge del Dio di Giovanni non era adatta né a lui né al suo popolo. Perciò ordinò che il missionario fosse espulso dal suo regno, proibendogli di predicare il cristianesimo e minacciandolo di morte, se non avesse obbedito. Poco dopo questi avvenimenti, il provinciale scrisse a de Brito, comunicandogli che doveva partire per l’Europa, perché era stato eletto procuratore della Provincia. Giovanni ricordò al provinciale che aveva fatto il voto di non ritornare mai in Portogallo, ma la sua obiezione non fu accolta. Perciò egli partì da Goa il 15 dicembre 1686 per il suo ritorno in Europa.

Mentre si trovava in Portogallo, conservò molte delle abitudini che seguiva in India: continuò a dormire su una stuoia e a cibarsi soltanto di vegetali. A chi si meravigliava di questi suoi atteggiamenti, rispondeva che i suoi fratelli a Madurai conducevano una vita molto più eroica e penitente, esposti a pericoli continui, e aggiungeva che, essendo desideroso di ritornare in India, voleva mantenersi in forma per rientrare in azione, se gli fosse stato permesso. Dovette di nuovo vincere le resistenze di chi lo voleva trattenere a Lisbona: questa volta, anche lo stesso re e i suoi ministri.

Molti gli dicevano che poteva fare molto di più per l’India rimanendo in Europa. Il re finì per dargli il permesso di partire, ma dichiarò che lo avrebbe richiamato dopo due anni. Giunse anche a scrivere al generale della Compagnia di Gesù, attraverso il suo confessore padre Sebastião de Magalhães, per chiedere il rientro di Giovanni de Brito in Portogallo, ma non ottenne nulla. Il missionario, più tardi, l’11 aprile 1692, ricordando questi tentativi, scrisse al padre João da Costa: «Ho sempre detto a Vostra Reverenza che non pensavo di ritornare in Portogallo. Io amo più il cielo che la terra, più le boscaglie di Madurai che il palazzo del Portogallo».

Mentre attendeva di tornare in oriente, Giovanni si rivolse al provinciale, che era allora il padre André Freire, chiedendo che lo mandasse di nuovo nella missione del Madurai. Desiderava soprattutto ritornare a Marava, cosa che poi ottenne.

Grazie alla sua attività, ci furono molte conversioni, anche fra i parenti del rajah, ma questi successi non potevano non provocare odio e minacce di vendetta. Giovanni de Brito era consapevole della situazione, e il 22 luglio 1692 scriveva al padre João da Costa: «Ora si dice che a Marava sperano di prendermi e di tagliarmi la testa, e così mettere fine alla predicazione del Vangelo in quella terra. Se così è stabilito, perché parlare? Andremo più presto in cielo; e poiché la notizia è già molto diffusa, giudico che non sia gloria di Dio lasciare ora queste terre».

In realtà gli avvenimenti precipitarono. Gli ultimi fatti si riferiscono alla conversione di Tadaia Theva, che chiese di essere battezzato da Giovanni de Brito, dopo essere stato guarito da una malattia. Poiché era un personaggio conosciuto e una delle sue mogli era cugina del ra j a h , la sua conversione non poteva passare inosservata. Far diventare cristiana una persona così importante era la via sicura per provocare una violenta persecuzione. Perciò Giovanni radunò i suoi catechisti e i cristiani più influenti ed espose il problema.

Terminate queste consultazioni, egli era fermamente deciso a battezzare il principe. Si incontrò intanto con il catecumeno e cominciò a istruirlo. Gli spiegò anche quello che considerava un grande ostacolo: doveva essere pronto a vivere con una sola delle sue mogli, allontanando le altre quattro, e ciò avrebbe certamente provocato l’ira del rajah  Il principe non si intimorì e dichiarò che era disposto a conservare soltanto la prima moglie e a escludere le altre, fra le quali la cugina del rajah.

Quando si giunse al battesimo, avvenne quello che si prevedeva: Giovanni fu preso con i suoi compagni, e il 28 gennaio 1693 tutti furono giudicati e condannati a morte. Il ra j a h diede l’ordine che fossero fucilati e li fece condurre nel luogo dell’esecuzione. Tadaia Theva, circondato da molti cristiani, si fece avanti per dire ai soldati che prima dovevano uccidere lui. Temendo una sollevazione, il rajah ordinò che i condannati tornassero in prigione e dispose che Giovanni fosse trasferito a Oriyur e consegnato a Udaia Theva, suo parente, per essere poi giustiziato. I suoi compagni finirono per essere liberati.

Il 29 gennaio Giovanni fu scortato a Oriyur, dove fu decapitato il 4 febbraio. La sera prima scrisse al padre Francisco Laínez, superiore della missione: «Ora spero di subire la morte per il mio Dio e mio Signore, cercata due volte in India, nella missione e a Marava: davvero con una grande fatica, ma con un premio inestimabile. La colpa di cui mi accusano è di insegnare la legge di Dio nostro Signore, e che in nessun modo si devono adorare gli idoli. Quando la colpa è una virtù, la sofferenza è una gloria». Sono parole che manifestano la dedizione di un europeo che ha messo da parte, per quanto possibile, il suo stile occidentale per poter trasmettere lo spirito di Cristo adottando le pratiche ascetiche dei penitenti indiani.

IN SOLLEMNI CANONIZATIONE

BEATORUM IOANNIS DE BRITTO MARTYRIS,
BERNARDINI REALINO
ET IOSEPH CAFASSO CONFESSORUM
IN BASILICA VATICANA PERACTA

HOMILIA SANCTISSIMI DOMINI NOSTRI PIO PP. XII*

Die XXII mensis Iunii, Anno Domini MDCCCCXXXXVII

 

[. . .] Tum vero Ssmus Dnus Noster, sedens, ex Cathedra Divi Petri sollemniter pronunciavit :

Ad honorem Sanctae et Individuae Trinitatis, ad exaltationem Fidei Catholicae et Christianae Religionis augmentum, auctoritate Domini Nostri Iesu Christi, Beatorum Apostolorum Petri et Pauli ac Nostra; matura deliberatione praehabita et divina ope saepius implorata, ac de Venerabilium Fratrum Nostrorum Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalium, Patriarcharum, Archiepiscoporum et Episcoporum in Urbe existentium consilio; Beatos Ioannem de Britto Martyrem, Iosephum Cafasso et Bernardinum Realino Confessores, Sanctos esse decernimus et definimus ac Sanctorum Catalogo adscribimus; statuentes ab Ecclesia Universali illorum memoriam quolibet anno die eorum natali, nempe Ioannis de Britto die quarta Februarii, Iosephi Cafasso die vigesimatertia lunii, Bernardini Realino die secunda Iulii, pia devotione recoli debere. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Venerabiles Fratres, Dilecti Filii,

Quae hodie in fulgentibus Ecclesiae caelis nova licet sidera cernere, inclitos dicimus viros, quos nuper, Divino adspirante Numine, sanctitudinis infula decoravimus, eo nos advocant suaviterque invitant, ubi non turbida ac volucria caducae huius vitae adipiscemur gaudia, sed plena, stabili ac perpetua aliquando fruemur beatitate: « Loquitur enim eorum voce virtus ipsa » (cfr. Cic. Tusc. 2, C. 19) christiana nempe virtus, qua per aspera ad astra nobis fortiter strenueque volentibus ac caelesti fretis auxilio, iter patet et aditus.

Iuvat igitur praeclara eorum intueri exempla, ut ad ea imitanda ac persequenda impensiore studio exardescamus.

Ioannes de Britto, superna quadam impulsione permotus supernoque spiritu afflatus, ex Regia Lusitaniae Aula, ubi honorifico fungebatur ministerio, requieta petiit Societatis Iesu claustra; ibique tam rite, tam sancte institutus ac conformatus succrevit, ut non modo sodalibus, sed moderatoribus etiam suis admirationi esset. Atque apostolatus ardore vehementissimo inflammatus, sibi summo honori duxit patriam relinquere suam, atque immensis oceani transnavigatis tractibus, amplissimas adire Indiarum regiones, ibique Iesu Christi doctrinam, amorem Regnumque praedicare. Quot labores indefatigabili alacritate exantlavit, quot pericula superavit acerrima, quot denique rerum miracula Deo donante patravit, ut innumeros homines, quibus catholica religio vel omnino ignota, vel despicientiae ac dedecori esset, ad Divini Redemptoris traduceret praecepta, ac sacro epiatos lavacro, supernae vitae efficeret supernaeque beatitatis heredes. S. Francisci Xaverii imitator atque aemulator studiosissimus vivida vigebat actuosaque fide, flagranti aestuabat caritate, et cum omnem spem suam in Deo posuisset, nullis umquam difficultatibus victus, nullis umquam perterritus minis, civilem christianumque cultum novis gentibus invexit, ac fines Iesu Christi Regni ad ignotas usque terras omni ope produxit ac propagavit. Ac postremo grandem illam Apostoli gentium sententiam usurpare poterat :« Mihi . . . vivere Christus est, et mori lucrum » (Phil. 1, 21); nam et ipse, post diuturnos susceptos apostolicos labores, post itinera asperrima ipsiusque vitae discrimina non semel superata, ex hostili ethnicorum furore habuit ut in carcerem detrusus, ac deinde capite truncatus, martyrii palmam piissimo obitu assequeretur.

Quod vero Ioannes De Britto in longinquis exterisque regionibus sanctissime gessit, non minoribus cum fructibus salutaribus Bernardinus Realinus egit in patria sua. Siquidem, paternis reiectis bonis, honestoque abdicato, quo fungebatur, munere, in Loyolaeam Societatem et ipse asciscitur ; atque inibi fidelissime vivens, omnium virtutum laudibus ita enituit, ut, brevi temporis spatio, sanctitatis apicem attigisse videliietur. Quas quidem virtutum laudes postquam feliciter, divina opitulante gratia, assecutus est, nihil reliqui fecit, ut eas, qua concionibus aptis ad cuiusvis ordinis cives habitis, qua consiliis ac suasionibus impertitis prudentissimis, et qua praesertim praelucenti exemplo suo, ceteris omnibus, quotquot adire posset, impenso studio adipiscendas commendaret. Cum autem sacrum concionatorem ageret vel apud rudem proletariamque plebem, vel apud elatioris fortunae culturaeque viros, vel apud clerum etiam - cuius rectam institutionem, disciplinam ac sanctimoniam tantopere provexit - ita sibi feliciter auditorum conciliabat animos, ut eos ad admissa cuiusque sua deflenda et ad opportuna suscipienda renovatae vitae proposita veh,ementler permoveret. At in sacro potissimum paenitentiae tribunali uberrimos messui salutaresque fructus. Ibi enim, vel cum hiemali frigore algerent membra, vel cum aestivo sudore maderent, per diuturnum horarum spatium omnes benigno suavique excipiebat vultu; obcallatos vitiis obfirmatosque in peccatis animos ad lacrimas excitabat ad frugemque bonam; aerumnosos ac miseros omni ope solabatur; dubios, vacillantes ac spe deiectos confirmabat, erigebat prudenterque moderabatur; quos vero segnes, neglegentes, vel non satis virtute praestantes experiebatur, eos suasu impulsuqtte suo ad cotidie magis in Christiana perfectione proficiendum enixe adhortabatur. Atque ita factum est ut, quando post mortem pientissimam ad superos evolavit, omnes eum quasi patrem, magistrum, apostolum insolabiliter dolerent ac lacrimarent.

Iosephus Cafasso iam a puero sanctitatis indicia praebuit praeclarissima. Candidum innocentiae lilium, paenitentiae spinis saeptum, illibatum servavit; atque aequales, quoscumque occasione data attingere poterat, suavitate animi, hortationibus exemplisque suis vehementer ad virtutem allexit. Sacerdotali autem dignitate auctus, universam suae vitae actionem superna vi supernoque afflatu ita pervasit, ut iam non ipsemet vivere videretur, sed in eo Christus. Aberrantes ac via deceptos homines ad rectum revocare iter, obfuscatas eorum mentes divina collustrare veritate, ingurgitatos in vitia animos ad impetrandam a misericordiarum Patre veniam excitare salutariter, infortunatos omneque genus miseros solari atque ad aeternarum rerum spem erigere, carceribus detentos visitare et ad frugem bonam reducere, eorum denique, qui capitali poena damnati essent, extremas detergere lacrimas, piumque caelestibus muneribus consecrare obitum, haec omnia nullo non tempore summis in deliciis habuit. At quod peculiare videtur munus, eidem providentis Dei consilio concreditum, hoc est : clerum nempe evangelicae integritate doctrinae instituere ac conformare, eumdemque non sine uberrimis fructibus ad sacerdotalem perfectionem excitare quam maxime.

Cum igitur, virtutibus ac meritis refertus, ad mortalis suae vitae exitum pervenisset, non mortem reformidavit, sed libenter oppetiit; ac suaviter arridens, elatisque ad caelum ulnis, quasi qui caelestia iam praeciperet ac delibaret gaudia, ad superūm choros evolavit.

Habetis, Venerabiles Fratres ac dilecti filii, haec praeclara sanctitatis exempla veluti ante oculos posita; in ea igitur studioso volentique animo intueamini. Ii discant potissimum a S. Ioanne di Britto apostolatus ardorem invictamque ad mortem usque fortitudinem, qui sacris apud exteras gentes expe ditionibus dant operam; discant vero, qui apud suos in animarum incumbunt salutem procurandam, a S. Bernardino Realino et a S. Iosepho Cafasso indefessam alacritatem. patientiam, benignitatem atque adsiduam imprimis in sancta precatione constantiam, quandoquidem, non propitiato Deo, inanis est atque inefficax quivis hominum labor. Omnes denique ab iisdem ad christianam assequendam perfectionem sese excitatos sentiant, quicumque volunt ut gravissimum officium est — ex hoc terrestri exsilio ad caelestem contendere patriam, ubi sempiterna tandem pace fruemur summaque felicitate. Amen.