Giuseppe Moscati

Giuseppe Moscati

(1880-1927)

Beatificazione:

- 16 novembre 1975

- Papa  Paolo VI

Canonizzazione:

- 25 ottobre 1987

- Papa  Giovanni Paolo II

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 12 aprile e 16 novembre

Medico, laico: mai venne meno al suo servizio di quotidiana e infaticabile opera di assistenza ai malati, per la quale non chiedeva alcun compenso ai più poveri, e nel prendersi cura dei corpi accudiva al tempo stesso con grande amore anche le anime

  • Biografia
  • Omelia
  • omelia di beatificazione
"Il dolore va trattato non come una contrazione muscolare, ma come il grido di un'anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l'ardenza dell'amore, la carità"

 

Giuseppe Moscati nacque il 25 luglio 1880 a Benevento, settimo tra i nove figli del magistrato Francesco Moscati e di Rosa De Luca, dei marchesi di Roseto. Fu battezzato il 31 luglio 1880.
Nel 1881 la famiglia Moscati si trasferí ad Ancona e poi a Napoli, ove Giuseppe fece la sua prima comunione nella festa dell'Immacolata del 1888. Dal 1889 al 1894 Giuseppe compì i suoi studi ginnasiali e poi quelli liceali al "Vittorio Emanuele", conseguendovi con voti brillanti la licenza liceale nel 1897, all'etá di appena 17 anni. Pochi mesi dopo, cominciò gli studi universitari presso la facoltà di medicina dell'Ateneo partenopeo.

È possibile che la decisione di scegliere la professione medica sia stata in parte influenzata dal fatto che negli anni dell'adolescenza Giuseppe si era confrontato, in modo diretto e personale, con il dramma della sofferenza umana. Nel 1893, infatti, suo fratello Alberto, tenente di artiglieria, fu portato a casa dopo aver subito un trauma inguaribile in seguito ad una caduta da cavallo. Per anni Giuseppe prodigò le sue cure premurose al fratello tanto amato, e allora dovette sperimentare la relativa impotenza dei rimedi umani e l'efficacia dei conforti religiosi, che soli possono darci la vera pace e serenità. È comunque un fatto che, fin dalla più giovane età, Giuseppe Moscati dimostra una sensibilità acuta per le sofferenze fisiche altrui; ma il suo sguardo non si ferma ad esse: penetra fino agli ultimi recessi del cuore umano. Vuole guarire o lenire le piaghe del corpo, ma è, al tempo stesso, profondamente convinto che anima e corpo sono tutt'uno e desidera ardentemente di preparare i suoi fratelli sofferenti all'opera salvifica del Medico Divino.

Il 4 agosto 1903, Giuseppe Moscati conseguì la laurea in medicina con pieni voti e diritto alla stampa, coronando così in modo degno il "curriculum" dei suoi studi universitari. A distanza di cinque mesi dalla laurea, il dottor Moscati prende parte al concorso pubblico indetto per l'ufficio di assistente ordinario negli Ospedali Riuniti di Napoli; quasi contemporaneamente sostiene un altro concorso per coadiutore straordinario negli stessi ospedali, a base di prove e titoli. Nel primo dei concorsi, su ventun classificati, riesce secondo; nell'altro riesce primo assoluto, e ciò in modo così trionfale che - come si legge in un giudizio qualificato - "fece sbalordire esaminatori e compagni".

Dal 1904 il Moscati presta servizio di coadiutore all'ospedale degl'Incurabili, a Napoli, e fra l'altro organizza l'ospedalizzazione dei colpiti di rabbia e, mediante un intervento personale molto coraggioso, salva i ricoverati nell'ospedale di Torre del Greco, durante l'eruzione del Vesuvio nel 1906.

Negli anni successivi Giuseppe Moscati consegue l'idoneità, in un concorso per esami, al servizio di laboratorio presso l'ospedale di malattie infettive "Domenico Cotugno". Nel 1911 prende parte al concorso pubblico per sei posti di aiuto ordinario negli Ospedali Riuniti e lo vince in modo clamoroso. Si succedono le nomine a coadiutore ordinario, negli ospedali e poi, in seguito al concorso per medico ordinario, la nomina a direttore di sala, cioè a primario. Durante la prima guerra mondiale è direttore dei reparti militari negli Ospedali Riuniti. A questo "curriculum" ospedaliero si affiancano le diverse tappe di quello universitario e scientifico: dagli anni universitari fino al 1908, il Moscati è assistente volontario nel laboratorio di fisiologia; dal 1908 in poi è assistente ordinario nell'Istituto di Chimica fisiologica. Consegue per concorso un posto di studio nella stazione zoologica. In seguito a concorso viene nominato preparatore volontario della III Clinica Medica, e preposto al reparto chimico fino al 1911. Contemporaneamente, percorre i diversi gradi dell'insegnamento.

Nel 1911 ottiene, per titoli, la Libera Docenza in Chimica fisiologica; ha l'incarico di guidare le ricerche scientifiche e sperimentali nell'Istituto di Chimica biologica. Dal 1911 insegna, senza interruzioni, "Indagini di laboratorio applicate alla clinica" e "Chimica applicata alla medicina", con esercitazioni e dimostrazioni pratiche. A titolo privato, durante alcuni anni scolastici, insegna a numerosi laureati e studenti semeiologia e casuistica ospedaliera, clinica e anatomo-patologica. Per vari anni accademici espleta la supplenza nei corsi ufficiali di Chimica fisiologica e Fisiologia. Nel 1922, consegue la Libera Docenza in Clinica Medica generale, con dispensa dalla lezione o dalla prova pratica ad unanimità di voti della commissione.

Celebre e ricercatissimo nell'ambiente partenopeo quando è ancora giovanissimo, il professor Moscati conquista ben presto una fama di portata nazionale ed internazionale per le sue ricerche originali, i risultati delle quali vengono da lui pubblicati in varie riviste scientifiche italiane ed estere. Queste ricerche di pioniere, che si concentrano specialmente sul glicogeno ed argomenti collegati, assicurano al Moscati un posto d'onore fra i medici ricercatori della prima metà del nostro secolo.

Non sono tuttavia unicamente e neppure principalmente le doti geniali ed i successi clamorosi del Moscati - la sua sicura metodologia innovatrice nel campo della ricerca scientifica, il suo colpo d'occhio diagnostico fuori del comune - che suscitano la meraviglia di chi lo avvicina. Più di ogni altra cosa è la sua stessa personalità che lascia un'impressione profonda in coloro che lo incontrano, la sua vita limpida e coerente, tutta impregnata di fede e di carità verso Dio e verso gli uomini. Il Moscati è uno scienziato di prim'ordine; ma per lui non esistono contrasti tra la fede e la scienza: come ricercatore è al servizio della verità e la verità non è mai in contraddizione con se stessa né, tanto meno, con ciò che la Verità eterna ci ha rivelato. L'accettazione della Parola di Dio non è, d'altronde, per il Moscati un semplice atto intellettuale, astratto e teorico: per lui la fede è, invece, la sorgente di tutta la sua vita, l'accettazione incondizionata, calda ed entusiasta della realtà del Dio personale e dei nostri rapporti con lui. Il Moscati vede nei suoi pazienti il Cristo sofferente, lo ama e lo serve in essi. È questo slancio di amore generoso che lo spinge a prodigarsi senza sosta per chi soffre, a non attendere che i malati vadano a lui, ma a cercarli nei quartieri più poveri ed abbandonati della città, a curarli gratuitamente, anzi, a soccorrerli con i suoi propri guadagni. E tutti, ma in modo speciale coloro che vivono nella miseria, intuiscono ammirati la forza divina che anima il loro benefattore. Così il Moscati diventa l'apostolo di Gesù: senza mai predicare, annuncia, con la sua carità e con il modo in cui vive la sua professione di medico, il Divino Pastore e conduce a lui gli uomini oppressi e assetati di verità e di bontà. Mentre gli anni progrediscono, il fuoco dell'amore sembra divorare Giuseppe Moscati. L'attività esterna cresce costantemente, ma si prolungano pure le sue ore di preghiera e si interiorizzano progressivamente i suoi incontri con Gesù sacramentato.

Quando, il 12 aprile 1927, il Moscati muore improvvisamente, stroncato in piena attività, a soli 46 anni, la notizia del suo decesso viene annunciata e propagata di bocca in bocca con le parole: "È morto il medico santo". Queste parole, che riassumono tutta la vita del Moscati, ricevono oggi il suggello ufficiale della Chiesa.

SOLENNNE RITO DI CANONIZZAZIONE DEL BEATO GIUSEPPE MOSCATI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Piazza San Pietro - Domenica, 25 ottobre 1987

 

1. “Venite, benedetti del Padre mio” (Mt 25, 34). Oggi ultima domenica collegata col Sinodo dei vescovi, parla a noi Cristo, rivolgendoci questo medesimo invito. Parla il Figlio Eterno, al quale il Padre ha dato “ogni giudizio”.

Di fatto, le suddette parole sono tratte dalla pagina evangelica sul giudizio finale, a cui tutti saremo convocati alla fine dei tempi: “E saranno riunite (davanti al Figlio dell’uomo) tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri” (Mt 25, 32).

Il brano evangelico, che è stato oggi proclamato, abbraccia soltanto la prima parte della descrizione del giudizio. Essa parla insieme del definitivo compimento della vocazione dell’uomo in Dio e della piena realizzazione del senso della vita umana: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”! (Mt 25, 34).

Nell’ultima domenica del Sinodo, il cui tema è la vocazione e missione dei laici nella Chiesa, questa desidera ripetere - quasi dal cuore stesso della liturgia odierna - all’intero popolo di Dio, e in particolare ai nostri fratelli e sorelle laici, questo invito: “Ricevete il regno” (cf. Mt 25, 34).

2. Questo invito è, in pari tempo, una chiamata alla santità. Che cos’è la santità? La santità è unione dell’uomo con Dio nella potenza del mistero pasquale di Cristo. Nella potenza dello Spirito di Verità e d’Amore. Proprio di ciò parla il Vangelo di oggi. L’amore ha la forza di unire l’uomo a Dio. E questo amore definitivo matura attraverso le molteplici opere di carità che l’uomo compie nel corso della sua vita: “Mi avete dato da mangiare . . . mi avete dato da bere . . . mi avete ospitato . . . mi avete vestito . . . mi avete visitato . . . siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 35-36).

Quando? Come?

“In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). In questa domanda: “quando . . . come?”, noi avvertiamo come un senso di sorpresa. Nella risposta di Cristo c’è la rivelazionedell’ammirabile misura dell’amore. L’Amore ha sempre e dappertutto la possibilità di raggiungere Gesù Cristo in persona. Esso ha la capacità sempre e dappertutto di unire l’uomo col cuore stesso di Dio. E in questo cuore, come in un perenne fuoco, l’amore “umano” - l’amore a misura delle quotidiane opere dell’uomo - supera se stesso. Partecipa di colui che solo è in pienezza l’Amore.

3. Le note parole dell’Apostolo tratte dalla Lettera ai Corinzi - a quel capitolo 13 che è conosciuto come “inno alla carità” - sono in un certo senso un commento alle parole di Cristo nell’odierno Vangelo.

L’Apostolo prima “descrive”, nei suoi tratti essenziali, l’amore che nasce nel cuore dell’uomo e matura fino alla sua piena dimensionequella propria di Dio.

Egli dunque scrive: “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13, 4-7).

E poi San Paolo insegna che proprio questo amore “non avrà mai fine” (1Cor 13,8). Esso cammina con ciascuno di noi fino al cospetto del Dio Vivente, quando ci sarà dato vederlo “a faccia a faccia” (1 Cor 13, 12). L’amore ci permetterà di ritrovare noi stessidinanzi all’infinita maestà di Dio che è santità perché è amore. Solo l’amore ci permetterà di guardare “in faccia” a colui che “è l’amore” (1 Gv 4, 8)

4. Oggi la Chiesa ci invita alla mensa della parola di Dio, per rileggere, alla sua luce, la più grande e definitiva vocazione di ciascuno di noi. In particolare di ciascuno e ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, che nel corso dei giorni e delle settimane passati siete stati in un certo senso protagonisti del grande lavoro del Sinodo.

La Chiesa pone dinanzi ai vostri occhi la figura di un Uomo, che elevato alla gloria degli altari in questa solenne canonizzazione, dice a tutti i laici nella Chiesa:

“Considerate . . . la vostra vocazione!” (1 Cor 1, 26).

L’uomo che da oggi invocheremo come santo della Chiesa universale, si presenta a noi come un’attuazione concreta dell’ideale del cristiano laico.

Giuseppe Moscati, medico primario ospedaliero, insigne ricercatore, docente universitario di fisiologia umana e di chimica fisiologica, visse i suoi molteplici compiti con tutto l’impegno e la serietà che l’esercizio di queste delicate professioni laicali richiede.

Da questo punto di vista il Moscati costituisce un esempio non soltanto da ammirare, ma da imitare, soprattutto da parte degli operatori sanitari: medici, infermieri e infermiere, volontari, e quanti, direttamente a indirettamente, sono impegnati nell’assistenza agli infermi e nel vastissimo mondo della sanità e della salute. Egli si pone come esempio anche per chi non condivide la sua fede.

5. Tuttavia fu proprio questa fede a conferire al suo impegno dimensioni e qualità nuove, quelle tipiche del laico autenticamente cristiano. Grazie ad esse gli aspetti professionali, nella sua vita, si integravano armoniosamente fra loro, si sostenevano l’un l’altro, per essere vissuti come una risposta a una vocazione, e quindi come una collaborazione al piano creatore e redentivo di Dio.

Per indole e vocazione il Moscati fu innanzitutto e soprattutto il medico che cura: il rispondere alle necessità degli uomini e alle loro sofferenze, fu per lui un bisogno imperioso e imprescindibile. Il dolore di chi è malato giungeva a lui come il grido di un fratello a cui un altro fratello, il medico, doveva accorrere con l’ardore dell’amore. Il movente della sua attività come medico non fu dunque il solo dovere professionale, ma la consapevolezza di essere stato posto da Dio nel mondo per operare secondo i suoi piani, per apportare quindi, con amore, il sollievo che la scienza medica offre nel lenire il dolore e ridare la salute.

6. Memore delle parole del Signore: “Ero malato e mi avete visitato” (Mt 25, 36), il Moscati vedeva Cristo stesso nel malato, che, nella sua debolezza, nella sua miseria, nella sua fragilità e insicurezza, a lui si rivolgeva invocando aiuto; vedeva chi gli stava innanzi come una persona, un essere in cui c’era un corpo bisognoso di cura, ma anche un essere in cui albergava uno spirito pur esso bisognoso di aiuto e di conforto.

“Ricordatevi - egli scriveva a un giovane dottore, suo alunno - che non solo del corpo vi dovete occupare, ma delle anime con il consiglio, e scendendo allo spirito, anziché con le fredde prescrizioni da inviare al farmacista”.

Infatti - sono ancora parole sue - “il medico si trova tanto spesso al cospetto di anime che stanno lì lì per capitolare e far ritorno ai principi ereditari degli avi, stanno lì ansiose di trovare un conforto, assillate dal dolore. Beato quel medico che sa comprendere il mistero di questi cuori e infiammarli di nuovo. Beati noi medici, tanto spesso incapaci ad allontanare una malattia, beati noi se ci ricordiamo che oltre i corpi abbiamo di fronte delle anime immortali, per le quali urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi”.

Per questo, il calore umano con cui il Moscati visitava premurosamente i malati, specie i più poveri e abbandonati, avvicinandoli in ospedale e nelle loro stesse abitazioni, era tale che la gente lo cercava; il suo tratto era ricco di quella bontà rispettosa e delicata, che Gesù Cristo diffondeva intorno a sé quando andava per le strade della Palestina facendo del bene e sanando tutti (cf. At 10, 38). Fu quindi anticipatore e protagonista di quella umanizzazione della medicina, avvertita oggi come condizione necessaria per una rinnovata attenzione e assistenza a chi soffre.

7. Nel costante rapporto con Dio, il Moscati trovava la luce per meglio comprendere e diagnosticare le malattie e il calore per poter essere vicino a coloro che, soffrendo, attendevano dal medico chi li servisse con partecipazione sincera.

Da questo profondo e costante riferimento a Dio, egli traeva la forza che lo sosteneva e che gli permetteva di vivere con integra onestà e assoluta rettitudine nel proprio delicato e complesso ambiente, senza addivenire ad alcuna forma di compromesso. Egli era il maestro, il primario di ospedale che non ambiva a posizioni: se queste gli venivano attribuite, era perché i suoi meriti non potevano essere negati, e quando le occupò, seppe esercitarle con assoluta dirittura e per il bene degli altri.

Uomo integro e cristiano coerente, non esitava a denunziare gli abusi, adoperandosi per demolire prassi e sistemi che andavano a danno della vera professionalità e della scienza, a danno degli infermi come pure degli studenti ai quali sentiva di dover trasmettere il meglio delle proprie cognizioni. Gli studenti sono i medici del domani. Conscio di ciò, il Moscati pensava alla qualità dei futuri medici, prendendo anche pubblicamente posizione affinché non venisse in alcun modo mortificata la loro preparazione e formazione. Preparazione e formazione che seppe incarnare con l’esempio. Anche la morte lo colse, mentre stava visitando una inferma.

Veramente, ogni aspetto della vita di questo laico medico ci appare animato da quella nota che è la più tipica del cristianesimo: l’amore, che Cristo ha lasciato ai suoi seguaci come il suo “comandamento”. Di questa sua personale esperienza del valore centrale del cristianesimo egli ha lasciato numerose tracce nei suoi scritti. Sono parole che a noi, oggi, suonano quasi come un testamento: “Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, egli osservava; solo pochissimi uomini sono passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell’eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene”.

8. Come non avvertire in queste parole quasi un’eco della pagina evangelica, che abbiamo oggi ascoltato? “Mi avete dato da mangiare, mi avete dato da bere . . . mi avete ospitato . . . mi avete vestito . . . mi avete visitato . . .”.

Quando? Come?

Auguro a tutti, amati fratelli e sorelle - qui convenuti in Piazza San Pietro o sparsi nelle varie parti del mondo - auguro a tutti che al termine della vostra vita possiate ripetere queste domande . . . e ricevere la stessa risposta di Cristo!

Allora “la tua luce sorgerà come l’aurora (dice il profeta) . . . e la gloria del Signore ti seguirà . . .” (Is 58, 8).

La carità “non avrà mai fine . . .

la più grande è la carità” (1 Cor 13, 8.13).

Amen!

SOLENNE RITO DI BEATIFICAZIONE DI GIUSEPPE MOSCATI

OMELIA DEL SANTO PADRE PAOLO VI

16 novembre 1975

    

Venerati Fratelli, figli e figlie, e pellegrini tutti carissimi!

Gioia grande oggi per la Chiesa, che pellegrina e militante nel mondo, è pur «Madre dei Santi, immagine della Città superna»! Gioia grande per l'Italia! che ancora una volta trova la sua corona, il suo conforto, il suo stimolo nella glorificazione d'uno dei suoi Figli, quasi a noi contemporaneo, e che ad onorarne la memoria in questa solenne cerimonia di beatificazione ammira oggi presente il Signor Presidente della Repubblica Giovanni Leone, al quale subito si rivolge la nostra grata compiacenza per tanto nobile testimonianza di fede e di venerazione per così degno concittadino e collega nel campo degli studi accademici; vada fin d'ora al Signor Presidente il nostro più devoto augurio per la sua esimia ed illustre Persona e per la sua alta civile missione! E grande gioia oggi anche per Napoli, di cui salutiamo in modo particolare i pellegrini, venuti col Cardinale Arcivescovo, e che esulta per l'elevazione agli altari del «suo» medico! E gioia grande per noi, a cui il Signore concede, nelle inesprimibili consolazioni spirituali di questo Anno Santo, di aggiungere alla schiera degli eroici campioni della virtù cristiana la figura nobile, semplice, radiosa del Professor Giuseppe Moscati! Chi è colui, che viene proposto oggi all'imitazione e alla venerazione di tutti? È un Laico, che ha fatto della sua vita una missione percorsa con autenticità evangelica, spendendo stupendamente i talenti ricevuti da Dio (Cfr. Matth. 25, 1430; Luc. 19, 11-27).

È un Medico, che ha fatto della professione una palestra di apostolato, una missione di carità, uno strumento di elevazione di sé, e di conquista degli altri a Cristo salvatore! È un Professore d'Università, che ha lasciato tra i suoi alunni una scia di profonda ammirazione non solo per l'altissima dottrina, ma anche e specialmente per l'esempio di dirittura morale, di limpidezza interiore, di dedizione assoluta data dalla Cattedra! È uno Scienziato d'alta scuola, noto per i suoi contributi scientifici di livello internazionale, per le pubblicazioni e i viaggi, per le diagnosi illuminate e sicure, per gli interventi arditi e precorritori! La sua esistenza è tutta qui: essa è trascorsa facendo del bene, a imitazione del Medico divino delle anime (Cfr. Act. 10, 38); il suo itinerario è stato percorso sacrificando tutto agli altri - se stesso, gli affetti familiari, il proprio tempo, il proprio denaro - nel solo desiderio di compiere il proprio dovere e di rispondere fedelissimamente alla propria vocazione; la sua vita è stata lineare e sublime, quotidiana e straordinaria, ordinata e pur protesa in un ritmo febbrile di attività, che iniziava ogni giorno in Dio, con le ascensioni eucaristiche della Comunione mattutina per poi riversarsi come una sorgente colma e inesauribile nella carità per i fratelli.

Ecco dunque: abbiamo un Uomo dei nostri tempi - alcuni ancora lo ricordano -; un Uomo relativamente giovane: morì infatti nel 1927 a 47 anni, nel pieno della sua maturità professionale e scientifica, umana e cristiana; il «cittadino» di una grande città - dalla natia Benevento era giunto presto a Napoli, ove visse fino alla morte - amato da tutti ma specialmente dai suoi poveri, ch'egli visitava nei tuguri miserabili portando luce, speranza, conforto, aiuto concreto. Un Uomo così giunge oggi alla Beatificazione; giunge cioè al solenne riconoscimento da parte della Chiesa di virtù eroicamente praticate, che, in vittorioso contrasto con la natura umana ferita dal peccato, con l'ambiente talora ostile, con difficoltà quotidiane, sono divenute come una seconda natura.

I. Ed ecco allora il primo pensiero di questa cerimonia lietissima: la figura del Professor Moscati conferma che la vocazione alla santità è per tutti, anzi è possibile a tutti. È un invito che parte da1 cuore di Dio Padre, il quale ci santifica e ci divinizza per la grazia meritataci da Cristo, sostenuta dal dono del suo Spirito, alimentata dai sacramenti, trasmessa dalla Chiesa. Immersi in questa corrente divina, tutti, senza eccezione, sono chiamati alla perfezione, a farsi santi. «Questa è la volontà di Dio, che vi santifichiate» scrive S. Paolo (1 Thess. 4, 3). E Dio tutti chiama a questi vertici, in cui semplicemente e sublimemente si definisce l'identità dei cristiani, dei membri del Popolo di Dio: «Siate santi perché Io sono santo» (Lev. 11, 44s.); «Siate perfetti, com'è perfetto il Padre vostro celeste» (Matth. 5. 48).

E la Chiesa non si è stancata di ripetere questo invito nel corso dei secoli, e ancora l'ha ribadito fermamente a noi, uomini del XX secolo: «È chiaro - ha detto infatti il Concilio Vaticano II - . . . che tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità : da questa santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa perfezione, i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo volle donarle, affinché, seguendo l'esempio di Lui e fattisi conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, si consacrino con tutta l'anima alla gloria di Dio e al servizio del prossimo» (Lumen Gentium, 40). È questo un punto fermo, che certamente sarà da ricordare, a conclusione dell'Anno Santo - ch'è stato ed è tutto un solenne invito alla santità e alla riconciliazione con Dio e con i fratelli - e a coronamento dei numerosi riti di glorificazione dei vari Beati e Santi, i cui esempi ci hanno allietati, confusi, spronati, entusiasmati, nel conoscerli, nell'esaltarli, nel venerarli. La vita cristiana deve e può essere vissuta in santità!

II. Come abbiamo detto, il nuovo Beato è stato un Medico, un Docente universitario, uno Scienziato. Questa qualificazione di Giuseppe Moscati ci presenta un aspetto particolare, da lui vissuto e realizzato nella difficile temperie culturale del suo tempo, e che anche per noi uomini delle generazioni successive conserva il suo valore apologetico : e cioè l'armonia fra scienza e fede. Sappiamo bene che fra i due termini vi fu opposizione irriducibile, nel sec. XIX e al principio del nostro, proprio l'epoca di Giuseppe Moscati, anche se, come lui, vi furono in quel periodo figure di scienziati credenti di altissimo livello (Cfr. A. EYMIEU, Science et religion, in D.A.F.C., IV, 1250-1252). L'equilibrio tra scienza e fede fu per Moscati una conquista, certo, nell'ambiente in cui specialmente uno studente di medicina doveva allora modellare la propria preparazione; ma fu anche e soprattutto una certezza, posseduta intimamente, che guidava le sue ricerche e illuminava le sue cure. Se si è perfino potuto vedere nelle eccezionali doti della sua arte medica e chirurgica una qualche scintilla di illuminazione soprannaturale, carismatica, ciò è stato certamente dovuto alla sintesi luminosa che egli aveva compiuta tra le acquisizioni della dottrina umana e le «imperscrutabili ricchezze» (Cfr. Eph. 3, 8) della fede e della grazia divina.

Per raggiungere questo supremo, pacificante traguardo, il Professor Moscati non scese a compromessi, non temette irrisioni: «Ama la verità - scriveva per sé il 17 ottobre 1922, tra le poche righe che di lui ci sono rimaste di questo genere -; mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio» (Positio super virtutibus, Romae 1972; Cfr. D. MONDRONE , La Civiltà Cattolica, 1975, IV, p. 263, Quad. 3009). Il problema si pone ancora oggi, talora in modo acuto e drammatico; lo sanno bene gli illustri clinici e studiosi che son venuti oggi alla glorificazione del loro collega, e che salutiamo con rispetto profondo. Ma è anche vero che oggi l'opposizione si fa più cauta, per la crisi filosofica della scienza e per l'avvertenza che i due ordini di conoscenza sono distinti e non opposti. Anzi si delinea una concezione dei due ordini della conoscenza - scienza e fede - che non solo li distingue, ma li rende complementari e convergenti nella ricerca trascendente della verità (Cfr. J. M. MALDAMÉ, La science en question, in Revue Tomiste [Toulouse], 73 an., t. 75, 3, 1975, pp. 449-465). Questa complementarietà e questa convergenza sono documentate specialmente dall'esperienza vissuta: di scienziati credenti e di credenti scienziati; allora e oggi.

Ed essi ci dimostrano, come ha fatto il nostro Beato, che la scienza non esclude la fede, anzi ha bisogno del suo complemento. Come ha sottolineato il Concilio Vaticano II, proprio dieci anni fa, «la ricerca metodica in ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza avvertirlo viene come condotto dalla mano di Dio» (Gaudium et Spes, 36).11 Così, davvero, è stato il Professor Moscati: «condotto dalla mano di Dio» nell'esercizio di un'attività divorante, che lo ha trovato attento collaboratore e docile adoratore di Dio per la salute fisica dei corpi martoriati come per la salvezza spirituale delle anime ferite. Possa egli comunicare le stesse sue certezze a tante anime nobili e rette, che pur temono di perder qualcosa della loro autonomia nel riconoscere quanto è di Dio!

III. Questo connubio vissuto tra scienza e fede ci fa intravedere infine qualcosa di quella che fu la «religione» di Giuseppe Moscati, quella per cui lo proponiamo all'imitazione e alla emulazione dei nostri contemporanei. Essa fu semplice, sicura, pensata e studiata, professata con devozione lineare, ma sapiente, con una anima di fanciullo nascosta nella complessità del suo spirito grande e coltivato. Ma questa religione fu soprattutto viva, perché professata nell'esercizio della carità! La fama del Professor Moscati brilla per questa fioritura instancabile, nascosta, eroica, di carità, che lo ha fatto spendere tutto per gli altri, nel beneficare i poveri, nel curare i corpi, nell'elevare le anime, senza chiedere mai nulla per sé, fino all'ultimo respiro, tanto che la morte lo colse durante le visite dei prediletti malati.

Si sono raccolti innumerevoli episodi di questa carità sovrumana, fatta di piccole cose, in una continua e lieta donazione, tanto che a Napoli hanno cominciato a chiamarlo il «medico santo» già fin dalla sua morte. Sono i Fioretti di un Beato del nostro secolo! Come grandeggia, in questa luce, la professione della medicina in Giuseppe Moscati! e come dobbiamo augurarci che tale professione, umana e provvida quant'altre mai, sia sempre animata e idealizzata dalla carità! Per comunicare calore, bontà, speranza nelle corsie degli ospedali, negli studi austeri dei medici, nelle aule sacre della scienza! Per difenderci dall'egoismo, dal freddo, dall'aridità che minaccia la società, spesso più preoccupata di diritti che di doveri. E così ogni altra professione onesta e civile deve ancor oggi essere animata dalla carità! La mite figura del Beato ce lo ripete col suo esempio suadente ed efficace: «Pietas ad omnia utilis est: la pietà è utile a tutto» (1 Tim. 4, 8).

Fratelli e Figli nostri! Il Concilio Vaticano II ha parlato della figura e del ruolo dei laici nella Chiesa, come di coloro che nel secolo «sono da Dio chiamati a contribuire quasi dall'interno, a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esempio del proprio ufficio, . . . e a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita, e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità» (Lumen Gentium, 31). La figura del Professor Moscati, con la straordinaria autorità che gli viene dalla sua statura morale, dal suo esempio vissuto, e dalla glorificazione della Chiesa, ricorda oggi che questo è vero, che questo è possibile, che questo è necessario. Ne ha bisogno la Chiesa e il mondo! È la consegna che viene specialmente al laicato dal rito odierno, dall'Anno Santo! Ecco il perché della nostra grande gioia: ch'essa rimanga viva in noi, faccia seguire opere fruttuose, e possa zampillare fino alla vita eterna, nell'incontro a faccia a faccia con Dio, nella luce dei Santi.

Nous saluons dans le bienheureux Giuseppe Moscati le modèle de tous les professeurs chargés de la formation scientifique de la jeunesse. Que les lieux consacrés à la recherche soient aussi des écoles d'une vie supérieure, d'élévation spirituelle dans lesquelles se trouve, à l'exemple de celui que nous célébrons, l'union du savoir rigoureux, du sens moral le plus délicat, de cet amour de Dieu, enfin, qui s'épanouit dans l'amour du prochain.

The Church renders homage to the role played by a great Catholic doctor, and extols his contribution made in the name of Christian charity. In honouring the dedication of Giuseppe Moscati, the Church also shows the relevance of his apostolate for al1 self-sacrificing men and women in the medica1 field. May his example bring joy and courage to many for years to come.

La figura del Venerable Giuseppe Moscati aparece en toda su grandeza cuando la consideramos en su relación para con los pobres. Fueron multitud los enfermos necesitados que acudían a él y a los que dedicaba con preferencia su competencia profesional y su caridad. En aquellos enfermos pobres el doctor Moscati veía siempre a Cristo y por El les servía con dedicación ejemplar. Por ello esta figura de médico cristiano resulta para nuestro tiempo tan atractiva e iluminante.

Unser neuer seliger war ein Mann des Gebetes. Er betete immer (Cfr. Luc. 18, 1). Giuseppe Moscati hatte aber auch eine glühende Andacht zur heiligen Eucharistie. Sie war die Sonne seines Lebens. Aus dieser Gnadenquelle schöpfte er die Kraft für seine heroische Liebe zu Gott und seinen selbstlosen Dienst an den Mitmenschen.