Giuseppina Bakhita

Giuseppina Bakhita

(1869-1947)

Beatificazione:

- 17 maggio 1992

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 01 ottobre 2000

- Papa  Giovanni Paolo II

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 8 febbraio

Vergine, che, nata nella regione del Darfur in Sudan, fu rapita bambina e, venduta più volte nei mercati africani di schiavi, patì una crudele schiavitù; resa, infine, libera, a Venezia divenne cristiana e religiosa presso le Figlie della Carità (Canossiane) e passò il resto della sua vita in Cristo nella città di Schio nel territorio di Vicenza prodigandosi per tutti

 

  • Biografia
  • Omelia
  • una vita di santità
  • omelia di beatificazione
"Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio!"

 

Nacque intorno al 1869 in un piccolo villaggio del Sudan occidentale (regione del Darfur). All'età di sette anni, fu rapita da mercanti arabi di schiavi. 

Bakhita, che significa «fortunata», non è il nome ricevuto dai genitori alla sua nascita, ma quello datole dai suoi rapitori. Venduta e rivenduta più volte sui mercati di El Obeid e di Khartoum conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù.

Nella capitale del Sudan, Bakhita venne comperata da un Console italiano, il signor Callisto Legnani. Per la prima volta dal giorno del suo rapimento si accorse, con piacevole sorpresa, che nessuno, nel darle comandi, usava più lo staffile; anzi la si trattava con maniere affabili e cordiali. Nella casa del Console, Bakhita conobbe la serenità, l'affetto e momenti di gioia, anche se sempre velati dalla nostalgia di una famiglia propria, perduta forse, per sempre. Situazioni politiche costrinsero il Console a partire per l'Italia. Bakhita chiese ed ottenne di partire con lui e con un suo amico, un certo signor Augusto Michieli.

Giunti a Genova, il Signor Legnani, su insistente richiesta della moglie del Michieli, accettò che Bakhita rimanesse con loro. Ella seguì la nuova «famiglia» nell'abitazione di Zianigo (frazione di Mirano Veneto) e, quando nacque la figlia Mimmina, Bakhita ne divenne la bambinaia e l'amica.

L'acquisto e la gestione di un grande hotel a Suakin, sul Mar Rosso, costrinsero la signora Michieli a trasferirsi in quella località per aiutare il marito. Nel frattempo, dietro avviso del loro amministratore, Illuminato Checchini, Mimmina e Bakhita vennero affidate alle Suore Canossiane dell'Istituto dei Catecumeni di Venezia. Ed è qui che Bakhita chiese ed ottenne di conoscere quel Dio che fin da bambina «sentiva in cuore senza sapere chi fosse».

«Vedendo il sole, la luna e le stelle, dicevo tra me: Chi è mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia grande di vederlo, di conoscerlo e di prestargli omaggio».

Dopo alcuni mesi di catecumenato Bakhita ricevette i Sacramenti dell'Iniziazione cristiana e quindi il nome nuovo di Giuseppina. Era il 9 gennaio 1890. Quel giorno non sapeva come esprimere la sua gioia. I suoi occhi grandi ed espressivi sfavillavano, rivelando un'intensa commozione. In seguito la si vide spesso baciare il fonte battesimale e dire: «Qui sono diventata figlia di Dio!».

Ogni giorno nuovo la rendeva sempre più consapevole di come quel Dio, che ora conosceva ed amava, l'aveva condotta a sé per vie misteriose, tenendola per mano.

Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima, con decisione e coraggio insoliti, manifestò la sua volontà di rimanere con le Madri Canossiane e servire quel Dio che le aveva dato tante prove del suo amore.

La giovane africana, ormai maggiorenne, godeva della libertà di azione che la legge italiana le assicurava.

Bakhita rimase nel catecumenato ove si chiarì in lei la chiamata a farsi religiosa, a donare tutta se stessa al Signore nell'Istituto di S. Maddalena di Canossa.

L'8 dicembre 1896 Giuseppina Bakhita si consacrava per sempre al suo Dio che lei chiamava, con espressione dolce, «el me Paron».

Per oltre cinquant'anni questa umile Figlia della Carità, vera testimone dell'amore di Dio, visse prestandosi in diverse occupazioni nella casa di Schio: fu infatti cuciniera, guardarobiera, ricamatrice, portinaia. Quando si dedicò a quest'ultimo servizio, le sue mani si posavano dolci e carezzevoli sulle teste dei bambini che ogni giorno frequentavano le scuole dell'Istituto. La sua voce amabile, che aveva l'inflessione delle nenie e dei canti della sua terra, giungeva gradita ai piccoli, confortevole ai poveri e ai sofferenti, incoraggiante a quanti bussavano alla porta dell'Istituto.

La sua umiltà, la sua semplicità ed il suo costante sorriso conquistarono il cuore di tutti i cittadini scledensi. Le consorelle la stimavano per la sua dolcezza inalterabile, la sua squisita bontà e il suo profondo desiderio di far conoscere il Signore.

Venne la vecchiaia, venne la malattia lunga e dolorosa, ma M. Bakhita continuò ad offrire testimonianza di fede, di bontà e di speranza cristiana. A chi la visitava e le chiedeva come stesse, rispondeva sorridendo: «Come vol el Paron». Nell'agonia rivisse i terribili giorni della sua schiavitù e più volte supplicò l'infermiera che l'assisteva: «Mi allarghi le catene...pesano!». Fu Maria Santissima a liberarla da ogni pena. Le sue ultime parole furono: «La Madonna! La Madonna!», mentre il suo ultimo sorriso testimoniava l'incontro con la Madre del Signore.

M. Bakhita si spense l'8 febbraio 1947 nella casa di Schio, circondata dalla comunità in pianto e in preghiera. Una folla si riversò ben presto nella casa dell'Istituto per vedere un'ultima volta la sua «Santa Madre Moretta» e chiederne la protezione dal cielo. La fama di santità si è ormai diffusa in tutti i continenti.

CAPPELLA PAPALE PER LA CANONIZZAZIONE DEI BEATI

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 1° Ottobre 2000

 

1. "La tua parola è verità: consacraci nel tuo amore" (Canto al Vangelo: cfr Gv 17,17). Questa invocazione, eco della preghiera che Cristo rivolse al Padre dopo l'Ultima Cena, sembra salire dalla schiera di santi e beati, che lo Spirito di Dio, di generazione in generazione, va suscitando nella sua Chiesa.

A duemila anni dall'inizio della Redenzione, oggi facciamo nostre quelle parole, mentre abbiamo dinanzi, quali modelli di santità, Agostino Zhao Rong e i 119 compagni, Martiri in Cina, María Josefa del Corazón de Jesús Sancho de Guerra, Katharine Mary Drexel e Giuseppina Bakhita. Dio Padre li ha "consacrati nel suo amore", esaudendo la domanda del Figlio, che per acquistargli un popolo santo ha steso le braccia sulla croce e morendo ha distrutto la morte e proclamato la risurrezione (cfr Pregh. eucarIIPrefazio).

A tutti voi, cari Fratelli e Sorelle, qui convenuti numerosi per esprimere la vostra devozione verso questi luminosi testimoni del Vangelo, rivolgo il mio cordiale saluto.

2. "I precetti del Signore danno gioia" (Sal. resp.) Queste parole del Salmo responsoriale ben rispecchiano l’esperienza di Agostino Zhao Rong e dei 119 compagni, Martiri in Cina. Le testimonianze che ci sono giunte lasciano intravedere in loro uno stato d’animo improntato a profonda serenità e gioia.

La Chiesa è oggi grata al suo Signore, che la benedice e la inonda di luce con il fulgore della santità di questi figli e figlie della Cina. Non è forse l'Anno Santo il momento più opportuno per far risplendere la loro eroica testimonianza? La giovinetta Anna Wang, quattordicenne, resiste alle minacce del carnefice che la invita ad apostatare e, disponendosi alla decapitazione, con il viso raggiante, dichiara: "La porta del Cielo è aperta a tutti" e mormora per tre volte "Gesù". E il diciottenne Chi Zhuzi, a coloro che gli hanno appena tagliato il braccio destro e si preparano a scorticarlo vivo, grida impavido: "Ogni pezzo della mia carne, ogni goccia del mio sangue vi ripeteranno che io sono cristiano".

Uguale convinzione e gioia hanno testimoniato gli altri 85 cinesi, uomini e donne di ogni età e condizione, sacerdoti, religiose e laici, che hanno suggellato la propria indefettibile fedeltà a Cristo e alla Chiesa con il dono della vita. Ciò è avvenuto nell'arco di vari secoli e in complesse e difficili epoche della storia della Cina. La presente celebrazione non è il momento opportuno per formulare giudizi su quei periodi storici: lo si potrà e lo si dovrà fare in altra sede. Oggi, con questa solenne proclamazione di santità, la Chiesa intende soltanto riconoscere che quei Martiri sono un esempio di coraggio e di coerenza per tutti noi e fanno onore al nobile popolo cinese.

In questa schiera di Martiri risplendono anche 33 missionari e missionarie, che lasciarono la loro terra e cercarono di introdursi nella realtà cinese, assumendone con amore le caratteristiche, nel desiderio di annunciare Cristo e di servire quel popolo. Le loro tombe sono là, quasi a significare la loro definitiva appartenenza alla Cina, che essi, pur con i loro limiti umani, hanno sinceramente amato, spendendo per essa le loro energie. "Noi non abbiamo mai fatto del male a nessuno – risponde il vescovo Francesco Fogolla al governatore che si appresta a colpirlo con la propria spada -. Al contrario, abbiamo fatto del bene a molti".

Dio fa scendere felicità

3. Sia la prima lettura sia il vangelo della liturgia odierna ci mostrano che lo Spirito soffia dove vuole e che Dio, in tutti i tempi, sceglie persone per manifestare il suo amore per gli uomini e suscita istituzioni chiamate a essere strumenti privilegiati della sua azione. Così accade con Santa María Josefa del Corazón de Jesús Sancho Guerra, fondatrice delle Serve di Gesù della Carità.

Nella vita della nuova Santa, prima basca ad essere canonizzata, si manifesta in modo singolare l'azione dello Spirito. Questi la guidò al servizio dei malati e la preparò ad essere Madre di una nuova famiglia religiosa.

Santa María Josefa visse la sua vocazione come apostolo autentico nel campo della salute, poiché il suo stile assistenziale cercava di coniugare l'attenzione materiale con quella spirituale, mirando con tutti i mezzi alla salvezza delle anime. Nonostante la malattia che la colpì negli ultimi dodici anni della sua vita, non lesinò sforzi né sofferenze e si dedicò completamente al servizio caritativo del malato in un clima di spirito contemplativo, ricordando che "l'assistenza non consiste solo nel dare le medicine e gli alimenti al malato; vi è tutto un altro tipo di assistenza... è quella del cuore, cercando di adattarsi alla persona che soffre".

Che l'esempio e l'intercessione di Santa María Josefa del Corazón de Jesús aiutino il popolo basco a bandire per sempre la violenza e che l'Euskadi sia una terra benedetta e un luogo di pacifica e fraterna convivenza, dove si rispettino sempre i diritti di tutte le persone e non si sparga mai più sangue innocente!

4. "Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!" (Gc 5,3)

Nella seconda lettura della liturgia di oggi, l'Apostolo Giacomo rimprovera i ricchi che credono nella loro ricchezza e trattano i poveri ingiustamente.

Madre Katharine Drexel nacque da una famiglia benestante a Filadelfia, negli Stati Uniti. Tuttavia, dai suoi genitori imparò che i possedimenti della sua famiglia non erano solo per loro ma dovevano essere condivisi con i meno fortunati. Giovane donna era profondamente turbata dalla povertà e dalle condizioni disperate di tanti nativi americani e afro-americani. Cominciò a devolvere i suoi averi all'opera missionaria e pedagogica fra i membri più poveri della società. In seguito comprese che era necessario fare qualcosa di più. Con grande coraggio e fiducia nella grazia di Dio, scelse di dedicare non solo i suoi averi, ma anche tutta la sua vita al Signore.

Alla sua comunità religiosa, le Suore del Santissimo Sacramento, insegnò una spiritualità basata sull'unione orante con il Signore Eucaristico e sul servizio devoto ai poveri e alle vittime della discriminazione razziale. Il suo apostolato contribuì ad accrescere la consapevolezza della necessità di combattere tutte le forme di razzismo attraverso l'educazione e i servizi sociali. Katharine Drexel è un esempio eccellente di quella carità pratica e di quella solidarietà generosa verso i meno fortunati che sono da tempo segni distintivi dei cattolici americani.

Che il suo esempio aiuti i giovani in particolare a comprendere che in questo mondo non esiste tesoro più grande della sequela di Cristo con cuore indiviso e dell'uso generoso dei doni che abbiamo ricevuto per servire gli altri e per edificare un mondo più giusto e fraterno.

5. "La legge del Signore è perfetta... rende saggio il semplice" (Sal 19, 8).

Queste parole del salmo responsoriale di oggi risuonano nella vita di suor Josephine Bakhita.

Resa schiava e venduta come tale alla tenera età di sette anni, soffrì molto nelle mani di padroni crudeli. Tuttavia comprese la verità profonda che Dio, e non l'uomo, è il vero padrone di ogni essere umano, di ogni vita umana. Questa esperienza divenne fonte di grande saggezza per questa umile figlia d'Africa.

Nel mondo di oggi, innumerevoli donne continuano a essere rese vittime, anche nelle società moderne più sviluppate. In santa Josephine Bakhita troviamo un'avvocata luminosa di emancipazione autentica. La storia della sua vita non ispira l'accettazione passiva, ma la ferma determinazione a operare efficacemente per liberare ragazze e donne dall'oppressione e dalla violenza e restituire loro dignità nel pieno esercizio dei loro diritti.

Penso al Paese della nuova Santa che negli scorsi 17 anni è stato lacerato da una guerra crudele, per la cui soluzione non si intravedono che pochi segni. A nome dell'umanità sofferente mi rivolgo ancora una volta ai responsabili:  aprite il vostro cuore alle grida di milioni di vittime innocenti e scegliete la via della negoziazione. Imploro la comunità internazionale:  non continuate a ignorare questa immensa tragedia umana. Invito tutta la Chiesa a invocare l'intercessione di santa Bakhita su tutti fratelli e le sorelle perseguitati e resi schiavi, in particolare in Africa e nel suo Paese natale, il Sudan, affinché possano sperimentare pace e riconciliazione.

6. Carissimi Fratelli e Sorelle, stimolati dal tempo di grazia giubilare, rinnoviamo la disponibilità a lasciarci profondamente purificare e santificare dallo Spirito. Su questa via ci attira anche la Santa di cui ricorre oggi la memoria: Teresa di Gesù Bambino. A lei, patrona delle missioni, e ai nuovi Santi affidiamo oggi la missione della Chiesa all’inizio del terzo millennio.

Maria, Regina di tutti i Santi, sostenga il cammino dei cristiani e di quanti sono docili allo Spirito di Dio, perché in ogni parte del mondo si diffonda la luce di Cristo Salvatore.

La storia della sua vita ispira la ferma determinazione a operare efficacemente per liberare ragazze e donne dall'oppressione e dalla violenza e restituire loro dignità nel pieno esercizio dei loro diritti.

Resa schiava e venduta come tale alla tenera età di sette anni, soffrì molto nelle mani di padroni crudeli. Tuttavia comprese la verità profonda che Dio, e non l'uomo, è il vero padrone di ogni essere umano, di ogni vita umana.

Il processo per la causa di Canonizzazione iniziò dodici anni dopo la sua morte e il 1 dicembre 1978 la Chiesa emanò il decreto sull'eroicità delle sue virtù.

La divina Provvidenza che «ha cura dei fiori del campo e degli uccelli dell'aria», ha guidato questa schiava sudanese, attraverso innumerevoli e indicibili sofferenze, alla libertà umana e a quella della fede, fino alla consacrazione di tutta la propria vita a Dio per l'avvento del regno.

BEATIFICAZIONE DEI SERVI DI DIO
JOSEMARÍA ESCRIVÁ DE BALAGUER E GIUSEPPINA BAKHITA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 17 maggio 1992

 

“È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22).

1. Ai due discepoli, lungo la strada per Emmaus, Gesù disse: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26).

La prima lettura, inoltre, ci ha fatto ascoltare gli Apostoli - Paolo e Barnaba - che “rianimano ed esortano i discepoli a restare saldi nella fede” (cf. At 14,22). Essi annunziano la stessa verità di cui aveva parlato Cristo sulla strada verso Emmaus; una verità confermata dalla sua vita e dalla sua morte: “È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio”.

I discepoli di Cristo crocifisso e risorto - attraverso il succedersi delle generazioni nel corso dei secoli - scelgono la stessa via che Egli aveva loro indicato. “Vi ho dato infatti l’esempio” (Gv 13,15).

2. Oggi ci è offerta l’occasione di fissare ancora una volta il nostro sguardo su questa via salvifica - la via verso la santità - soffermandoci sulle figure di due persone, che d’ora in poi chiameremo “beate”: Josemaría Escrivá de Balaguer, sacerdote, fondatore dell’“Opus Dei”, e Giuseppina Bakhita, Figlia della Carità, canossiana.

La Chiesa desidera servire e professare tutta la verità su Cristo, desidera essere dispensatrice di tutto il mistero del suo Redentore. Se la via verso il Regno di Dio passa attraverso molte tribolazioni, allora alla sua fine si trova anche la partecipazione alla gloria, quella gloria che Cristo ci ha rivelato nella sua Risurrezione.

La misura di tale gloria è data dalla Nuova Gerusalemme, annunziata dalle parole ispirate dell’Apocalisse di Giovanni: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno il suo popolo ed egli sarà il «Dio-con-loro»” (Ap 21, 3).

Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5) dice il Signore glorioso. La strada verso quella definitiva “novità” di ogni cosa passa, qui sulla terra, attraverso il “comandamento nuovo”: “che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato” (Gv 13, 34). Tale comandamento fu al centro della vita di due esemplari figli della Chiesa che oggi, nella letizia pasquale, sono proclamati beati.

3. Josemaría Escrivá de Balaguer, nacido en el seno de una familia profundamente cristiana, ya en la adolescencia percibió la llamada de Dios a una vida de mayor entrega. Pocos años después de ser ordenado sacerdote dio inicio a la misión fundacional a la que dedicaría 47 años de amorosa e infatigable solicitud en favor de los sacerdotes y laicos de lo que hoy es la Prelatura del Opus Dei.

La vida espiritual y apostólica del nuevo beato estuvo fundamentada en saberse, por la fe, hijo de Dios en Cristo. De esta fe se alimentaba su amor al Señor, su ímpetu evangelizador, su alegría constante, incluso en las grandes pruebas y dificultades que hubo de superar. «Tener la cruz es encontrar la felicidad, la alegría —nos dice en una de sus Meditaciones— tener la cruz es identificarse con Cristo, es ser Cristo y, por eso, ser hijo de Dios».

Con sobrenatural intuición, el beato Josemaría predicó incansablemente la llamada universal a la santidad y al apostolado. Cristo convoca a todos a santificarse en la realidad de la vida cotidiana; por eso, el trabajo es también medio de santificación personal y de apostolado cuando se vive en unión con Jesucristo, pues el Hijo de Dios, al encarnarse, se ha unido en cierto modo a toda la realidad del hombre y a toda la creación (cfr. Dominum et vivificantem, 50). En una sociedad en la que el afán desenfrenado de poseer cosas materiales las convierte en un ídolo y motivo de alejamiento de Dios, el nuevo beato nos recuerda que estas mismas realidades, criaturas de Dios y del ingenio humano, si se usan rectamente para gloria del Creador y al servicio de los hermanos, pueden ser camino para el encuentro de los hombres con Cristo. «Todas las cosas de la tierra-enseñaba-también las actividades terrenas y temporales de los hombres, han de ser llevadas a Dios» (Carta del 19 de marzo de 1954).

«Bendeciré tu nombre por siempre jamás, Dios mío, mi rey». Esta aclamación que hemos hecho en el salmo responsorial es como el compendio de la vida espiritual del beato Josemaría. Su gran amor a Cristo, por quien se siente fascinado, le lleva a consagrarse para siempre a él y a participar en el misterio de su pasión y resurrección. Al mismo tiempo, su amor filial a la Virgen María le inclina a imitar sus virtudes. «Bendeciré tu nombre por siempre jamás»: he aquí el himno que brotaba espontáneamente de su alma y que le impulsaba a ofrecer a Dios todo lo suyo y cuanto le rodeaba. En efecto, su vida se reviste de humanismo cristiano con el sello inconfundible de la bondad, la mansedumbre de corazón, el sufrimiento escondido con el que Dios purifica y santifica a sus elegidos.

[Josemaría Escrivá de Balaguer, nato in seno a una famiglia profondamente cristiana, già nell’adolescenza percepì la chiamata di Dio a una vita di maggior donazione. Pochi anni dopo essere stato ordinato sacerdote diede inizio alla missione fondazionale alla quale avrebbe dedicato 47 anni di amorosa e infaticabile sollecitudine in favore dei sacerdoti e dei laici di quella che oggi è la Prelatura dell’Opus Dei.

La vita spirituale e apostolica del nuovo beato si fondava sul sapersi, tramite la fede, figlio Dio in Cristo. Di questa fede si alimentavano il suo amore per il Signore, il suo zelo evangelizzatore, la sua allegria costante, anche nelle grandi prove e difficoltà che dovette superare. “Avere la croce è trovare la felicità, la gioia”, ci dice in una delle sue Meditazioni; “avere la Croce è identificarsi con Cristo, è essere Cristo e, per questo, essere figlio di Dio”.

Con soprannaturale intuizione, il beato Josemaría predicò instancabilmente la chiamata universale alla santità e all’apostolato. Cristo convoca tutti a santificarsi nella realtà della vita quotidiana; pertanto, il lavoro è anche mezzo di santificazione personale e di apostolato quando è vissuto in unione con Cristo, perché il Figlio di Dio, incarnandosi, in certo modo si e unito a tutta la realtà dell’uomo e a tutta la creazione (cfr. Dominum et vivificantem, n. 50). In una società nella quale la brama sfrenata del possesso di cose materiali le trasforma in idoli e in motivi di allontanamento da Dio, il nuovo beato ci ricorda che queste stesse realtà, creature di Dio e dell’ingegno umano, se si usano rettamente per la gloria del Creatore e per il servizio dei fratelli, possono essere via per l’incontro degli uomini con Cristo. “Tutte le cose della terra”, insegnava, “anche le attività terrene e temporali degli uomini, devono essere portate a Dio” (Lettera, 19.III.1954).

“Benedirò il tuo nome per sempre, Dio mio, mio Re”. Questa acclamazione che abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale è come il compendio della vita spirituale del beato Josemaría. Il suo grande amore per Cristo, dal quale si sente affascinato, lo porta a consacrarsi per sempre a Lui e a partecipare al mistero della sua passione e risurrezione. Al tempo stesso, il suo amore filiale per la Vergine Maria lo spinge a imitarne le virtù. “Benedirò il tuo nome per sempre”: ecco l’inno che spontaneamente si sprigionava dalla sua anima, e che lo spingeva a offrire a Dio tutto ciò che era suo e tutto ciò che lo circondava. Ed effettivamente la sua vita si riveste di umanesimo cristiano col sigillo inconfondibile della bontà, la mansuetudine del cuore, la sofferenza nascosta con cui Dio purifica e santifica i suoi eletti.]

4. La actualidad y trascendencia de su mensaje espiritual, profundamente enraizado en el Evangelio, son evidentes, como lo muestra también la fecundidad con la que Dios ha bendecido la vida y obra de Josemaría Escrivá. Su tierra natal, España, se honra con este hijo suyo, sacerdote ejemplar, que supo abrir nuevos horizontes apostólicos a la acción misionera y evangelizadora. Que esta gozosa celebración sea ocasión propicia que aliente a todos los miembros de la Prelatura del Opus Dei a una mayor entrega, en su respuesta a la llamada a la santificación y a una más generosa participación en la vida eclesial, siendo siempre testigos de los genuinos valores evangélicos, lo cual se traduzca en un ilusionado dinamismo apostólico, con particular atención hacia los más pobres y necesitados.

[L’attualità e l’importanza di questo messaggio spirituale, profondamente radicato nel Vangelo, sono evidenti, come mostra pure la fecondità con cui Dio ha benedetto la vita e l’opera di Josemaría Escrivá. La sua terra natale, la Spagna, si onora di questo suo figlio, sacerdote esemplare, che seppe aprire nuovi orizzonti apostolici all’azione missionaria ed evangelizzatrice. Che questa gioiosa celebrazione sia occasione propizia per animare tutti i membri della Prelatura dell’Opus Dei a una maggiore donazione nella risposta alla chiamata alla santificazione e a una più generosa partecipazione nella vita ecclesiale, essendo sempre testimoni di genuini valori evangelici; e che ciò si traduca in un ardente dinamismo apostolico, particolarmente attento ai più poveri e bisognosi.]

5. Anche nella Beata Giuseppina Bakhita troviamo una testimone eminente dell’amore paterno di Dio ed un segno luminoso della perenne attualità delle Beatitudini. Nata in Sudan, nel 1869, rapita da negrieri quando era ancora bambina, e venduta più volte sui mercati africani, conobbe le atrocità di una schiavitù che lasciò nel suo corpo i segni profondi della crudeltà umana. Nonostante queste esperienze di dolore, la sua innocenza rimase integra, ricca di speranza. “Da schiava non mi sono mai disperata - diceva - perché sentivo dentro di me una forza misteriosa che mi sosteneva”. Il nome di Bakhita - come l’avevano chiamata i suoi rapitori - significa Fortunata e tale infatti diventò, grazie al Dio di ogni consolazione, che sempre la teneva per mano e le camminava accanto.

Giunta a Venezia, per le vie misteriose della Divina Provvidenza, Bakhita ben presto si apriva alla grazia. Il battesimo e, dopo alcuni anni, la professione religiosa tra le Suore Canossiane, che l’avevano accolta ed istruita, furono le conseguenze logiche della scoperta del tesoro evangelico, per il quale sacrificò tutto, anche il suo ritorno, da libera, nella terra natale. Come Maddalena di Canossa, anch’ella voleva vivere per Dio solo, e con eroica costanza si avviò umile e fiduciosa per la strada della fedeltà all’amore più grande. La sua fede era salda, limpida, ardente. “Sapeste che grande gioia è conoscere Dio!”, soleva ripetere.

6. La nuova Beata trascorse 51 anni di vita religiosa canossiana, lasciandosi guidare dall’obbedienza in un impegno quotidiano, umile e nascosto, ma ricco di genuina carità e di preghiera. Gli abitanti di Schio, ove risiedette per quasi tutto il tempo, ben presto scoprirono nella loro “Madre Moretta” - così la chiamavano - un’umanità ricca nel dono, una forza interiore non comune che trascinava. La sua vita si consumò in una incessante preghiera dal respiro missionario, in una fedeltà umile ed eroica alla carità, che le consentì di vivere la libertà dei figli di Dio e di promuoverla attorno a sé.

Nel nostro tempo, in cui la corsa sfrenata al potere, al denaro, al godimento causa tanta sfiducia, violenza e solitudine, Suor Bakhita ci viene ridonata dal Signore come sorella universale, perché ci riveli il segreto della felicità più vera: le Beatitudini.

Il suo è un messaggio di bontà eroica ad immagine della bontà del Padre celeste. Ella ci ha lasciato una testimonianza di riconciliazione e di perdono evangelici, che recherà sicuramente conforto ai cristiani della sua patria, il Sudan, così duramente provati da un conflitto che dura da molti anni e che ha provocato tante vittime. La loro fedeltà e la loro speranza sono motivo di fierezza e di azione di grazie per tutta la Chiesa. In questo momento di grandi tribolazioni, Suor Bakhita li precede sulla via dell’imitazione di Cristo, dell’approfondimento della vita cristiana e dell’incrollabile attaccamento alla Chiesa. Nello stesso tempo desidero, ancora una volta, rivolgere un accorato appello ai responsabili delle sorti del Sudan, affinché diano realizzazione agli asseriti ideali di pace e di concordia; affinché il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo - e in primo luogo del diritto alla libertà religiosa - sia a tutti garantito, senza discriminazioni etniche o religiose.

Preoccupa grandemente la situazione delle centinaia di migliaia di profughi dalle regioni meridionali, che la guerra ha costretto ad abbandonare casa e lavoro; recentemente sono stati obbligati a lasciare anche i campi dove avevano trovato una qualche forma di assistenza e sono stati trasportati in luoghi desertici ed è stato perfino impedito il libero passaggio ai convogli di soccorsi delle agenzie internazionali. La loro situazione è tragica e non può lasciarci insensibili.

Raccomando vivamente agli Enti internazionali di assistenza di volere continuare ad inviare il loro provvido, necessario e urgente aiuto.

Mentre saluto la delegazione della Chiesa del Sudan, presente a questa celebrazione, rivolgo un affettuoso pensiero, accompagnato dalla preghiera, a tutta la Chiesa in quel Paese: ai Vescovi, al Clero diocesano e Missionario, ai laici impegnati nella pastorale, ed anche ai catechisti, collaboratori generosi e necessari per la propagazione della Verità, della Parola e dell’Amore di Dio.
Le popolazioni del Sudan sono sempre presenti nel mio cuore e nelle mie preghiere: le affido all’intercessione della nuova Beata Giuseppina Bakhita.

7. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 34-35). Con queste parole di Gesù si conclude il Vangelo della Messa di oggi.

In questa frase evangelica troviamo la sintesi di ogni santità; della santità che hanno raggiunto, per strade diverse ma convergenti nella stessa ed unica mèta, Josemaría Escrivá de Balaguer e Giuseppina Bakhita. Essi hanno amato Dio con tutta la forza del loro cuore ed hanno dato prova di una carità spinta fino all’eroismo mediante le opere di servizio agli uomini, loro fratelli. Perciò la Chiesa li eleva oggi agli onori degli altari e li presenta come esempi nell’imitazione di Cristo, che ci ha amato e ha donato se stesso per ognuno di noi (cf. Gal 2, 20).

8. “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui” (Gv 13, 31): il mistero pasquale della gloria. Attraverso il Figlio dell’uomo questa gloria si estende a tutto il visibile e l’invisibile: “Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno” (Sal 144, 10-11).

Ecco il Figlio dell’uomo: “Non bisognava che . . .sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”.

Ecco coloro che di generazione in generazione hanno seguito Cristo: “Attraverso molte tribolazioni, essi sono entrati nel regno di Dio”.

“Il tuo regno è regno di tutti i secoli” (Sal 144, 13). Amen.