Giuseppina Vannini

Giuseppina Vannini

(1859-1911)

Beatificazione:

- 16 ottobre 1994

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 13 ottobre 2019

- Papa  Francesco

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 23 febbraio

Vergine, fondatrice della Congregazione delle Figlie di S. Camillo per l’assistenza ai malati

  • Biografia
  • Omelia
  • Lettera Apostolica
  • omelia di beatificazione
“Vedete sempre negli infermi l’immagine di Gesù sofferente”

 

 

VITA  E  OPERE

 

 

Nascita e famiglia

 

    Giuditta Vannini nasce a Roma il 7 luglio 1859, seconda di tre figli, da Angelo e Annunziata Papi. Il giorno successivo riceve il Sacramento del Battesimo nella Chiesa di Sant’Andrea delle Fratte.

    All’età di quattro anni, il 18 agosto 1863, perde il papà; pochi anni dopo, all’età di sette anni, il 6 novembre 1866, è la mamma Annunziata ad andarsene, lasciando i tre fratellini orfani che furono fra loro separati per sempre.

 

Orfanatrofio

 

    Giuditta è accolta tra le orfanelle del Conservatorio Torlonia in Roma, dove prestano il loro servizio le Suore Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli.

    Qui vive con numerose orfanelle, apprende i piccoli lavori domestici, completa la sua formazione umana e consegue il diploma di maestra; parla e scrive in perfetto francese.

    Il 19 marzo 1873 riceve i sacramenti dell’eucaristia e della confermazione e, da quel giorno, avverte profondamente la chiamata del Signore alla vita consacrata. All’età di ventuno anni chiede e ottiene d’entrare tra le Vincenziane.

 

Vocazione religiosa

 

    Il 3 marzo 1883 la giovanissima Vannini entra nel noviziato delle Figlie della Carità nella casa centrale di Siena, ma il 19 aprile dello stesso anno viene inviata a Roma per un periodo supplementare di prova, dove per un anno vive presso un conoscente delle suore, guadagnandosi la vita con il lavoro del ricamo.

    Il 1° marzo 1884 ritorna nella casa di formazione a Siena dove, il 20 settembre dello stesso anno, viene ammessa a vestire l’abito religioso, dando inizio al periodo di noviziato.

    Dopo essere stata trasferita da Roma a Perugia, poi a Monte­nero, a Siena e a Bracciano, viene dimessa defi­ni­ti­vamente il 25 giugno 1888, per motivi di malferma salute.

    Ritorna a Roma; qui trova momentaneamente rifugio presso le Suore Sacramentine che l’apprezzano e vorrebbero che restasse con loro in qualità di religiosa “velata”, ma Giuditta non si sente al suo posto.

    Dio, intanto, le sta preparando la “sua” via, quella che la farà pienamente felice.

    Trova lavoro a Portici (Napoli) come maestra d’asilo, ma neanche qui si sente serena e decide di ritornare a Roma per andare ad abitare dalla zia materna Anna Maria Papi, sua madrina di battesimo.

 

Un incontro decisivo

 

    Nell’anno 1891, avviene l’incontro decisivo della sua vita: conosce il Beato Luigi Tezza, allora Procuratore generale dei Ministri degli Infermi (Camilliani). 

    Nel mese di dicembre 1891 le religiose di Nostra Signora del Cenacolo, residenti in Roma, offrono, nella propria casa, alle signore della colonia francese un corso di esercizi predicato nella loro lingua. Venuto a mancare inaspettatamente il predicatore prove­niente dalla Francia, le religiose chiedono al p. Tezza di sosti­tuirlo. Egli, che aveva predicato gli esercizi l’anno precedente, accetta l’invito.

    Tra le esercitanti vi è Giuditta Vannini, desiderosa di conoscere meglio la volontà di Dio a suo riguardo. Chiamata alla vita religiosa, non aveva potuto realizzare il desiderio per ostacoli che non dipendevano dalla sua volontà. Si era allora recata a quel ritiro su invito del suo direttore spirituale, p. Angelo Mondini (1833-1915), religioso della Congregazione della Missione di San Vincenzo de’ Paoli.

    Il 17 dicembre, avvicinandosi il termine degli esercizi, la Vannini si presenta al confessionale del predicatore, gli parla della sua vocazione alla vita religiosa e delle numerose difficoltà che incontra presso le Figlie della Carità, per cui non sa come realizzare la sua consacrazione a Dio. Il p. Tezza, dopo averle proposto alcuni Istituti, per ognuno dei quali la giovane trova difficoltà, le propone di impegnarsi con lui per dar vita ad un nuovo istituto. Davanti all’eventualità di diventare fondatrice, Giuditta risponde: “Padre! Mi lasci pregare e pensare e fra qualche giorno darò risposta”.

 

Fondatrice

 

    Al termine degli esercizi la Vannini torna da p. Tezza per metter­si interamente a sua disposizione nel progetto di cui le aveva parlato. Gli disse: “Non sono capace a nulla (…). Confido però in Dio il quale aiuta coloro che si abbandonano a Lui. Guidata dalla saggezza e dalla bontà vostra non dispero di riuscire con la santa grazia, a compiere l’opera alla quale mi sento chiamata dal cielo”.

    Con altre due giovani contattate dal Padre, le prime tre postulanti della nuova Congregazione trovano alloggio in Via Merulana, vicino all’Ospedale: è il 15 gennaio 1892.

    Il 2 febbraio del 1892, nella stanza dove era morto San Camillo, Giuditta e le altre due giovani ricevono dal Padre Giovanni Mattis, Superiore Generale dei Ministri degli Infermi, la mantellina con la croce rossa di San Camillo in qualità di aspiranti. Il 19 marzo 1892 Giuditta indossò l’abito religioso e prese il nome di Suor Maria Giuseppina. Un anno dopo, il 19 marzo 1893, emise privatamente i voti di povertà, castità, obbedienza e di servizio agli infermi anche con pericolo della propria vita (quarto voto). L’8 dicembre 1895 venne ammessa dal Cardinale Vicario, Lucido Maria Parocchi, alla professione dei voti perpetui; prima dell’inizio del corso di Esercizi spirituali si svolsero, con voto segreto, le elezioni e Madre Giuseppina fu eletta ufficialmente Superiora Generale.

 

Le croci

 

    Come in tutte le opere di Dio, le croci e le difficoltà non si fecero attendere. Mentre le vocazioni arrivavano e il nuovo Istituto si dilatava, il Padre Tezza, in qualità di Procuratore e Vicario Generale, avanzava al Sommo Pontefice Leone XIII richiesta per l’approva­zione pontificia; il Santo Padre, allora contrario al pullulare di piccoli Istituti, risponde negativamente sia nel 1892 sia nel 1893. L’eleva­zione della nuova Famiglia religiosa a Conservatorio dipendente dall’Ordinario, avviene il 24 gennaio 1894, per l’intervento del Cardinale Vicario, Lucido Maria Parocchi.

    L’altra dolorosissima prova è l’allontanamento del Fondatore Luigi Tezza, oggi Beato, a causa di false accuse, definite “ciarle” dal suo confratello e amico P. Ferrini. Gli venne tolta la facoltà di confessare le suore e anche di accedere alla loro comunità. Davanti a tali ingiuste accuse, il Tezza scelse il silenzio, offrendo tutto per il bene dell’Istituto delle Figlie di San Camillo.

 

La sua missione

 

    L’opera principale della Beata Vannini consiste nella fondazione dell’Istituto delle Figlie di San Camillo e nella dedizione totale alla formazione e accompagnamento delle religiose, per inse­gnare loro, con l’esempio innanzi tutto, a servire Gesù nella persona del prossimo. Ella ha una visione molto larga della “Carità”, concepita come: cura dei malati; carità verso i poveri; preghiera ed espiazione delle colpe degli uomini; formazione delle sue Figlie all’alto ideale della perfezione affinché siano vere apostole della carità, servendo gli infermi con il cuore e la tenerezza di una madre che assiste il suo unico figlio infermo.

    L’apostolato delle Figlie di San Camillo in Roma non passò inosservato.

    La Beata raccomandava spesso alle sue Figlie la virtù del­l’umiltà, convinta che “l’unica base della santità è l’umiltà”.

    Nonostante le prove e sotto la guida ferma e materna della Fondatrice, l’Istituto continuò ad espandersi in Italia e all’estero; nel 1893 sorse la prima comunità a Cremona, nel 1894 a Mesagne, in provincia di Brindisi, poi vennero la Francia, il Belgio e l’Argentina.  Al momento della morte della Fondatrice, da un resoconto presentato dalla stessa Madre Vannini due anni prima all’autorità ecclesiastica diocesana di Roma, risulta che la Congregazione delle Figlie di San Camillo contava già 124 religiose e 16 case.

    Con Decreto del 21 giugno 1909 il Cardinale Vicario di Roma approvò le “Regole e Costituzioni delle Figlie di San Camillo” ed elevò il Pio Conservatorio a Congregazione di diritto diocesano. Il Decreto di approvazione Pontificia arrivò il 17 giugno del 1931.

    Madre Giuseppina Vannini, dopo aver guidato l’Istituto per diciotto anni, all’età di 52 anni lasciò questa vita il 23 febbraio del 1911.

 

 

"ITER" DELLA CAUSA

 

 

a) In vista della beatificazione

 

    Negli anni 1955-56 fu celebrato il Processo Ordinario presso il Vicariato di Roma. Nello stesso periodo di tempo si tennero i Processi Rogatoriali di Buenos Aires e Cambrai sulla fama di santità.

    Il Decreto, relativo agli scritti, è del 22 marzo 1961.

    Il 15 dicembre 1977 fu emanato il Decreto di Introduzione della Causa di beatificazione e canonizzazione. Completata la raccolta della documentazione storica e preparata la Positio super virtutibus, la Causa affrontò con esito felice il Congresso Teologico il 25 ottobre 1991. La Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi, Membri della Congregazione, ha poi riconosciuto l’esercizio eroico delle virtù da parte della Serva di Dio, il 7 gennaio 1991. Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II emanò, il 7 marzo 1992, il relativo Decreto. Intanto nel 1958 avvenne un miracolo a Buenos Aires (Argentina) per intercessione di Madre Giuseppina Vannini.

    L’Inchiesta diocesana fu celebrata a Buenos Aires nel 1982. La validità di tale processo fu riconosciuta con Decreto della Congre­gazione delle Cause dei Santi il 20 dicembre 1985.

    La Consulta Medica del 16 marzo 1993 affermò che la guarigione era stata rapida, completa e duratura, scientificamente inspiegabile. Il Congresso dei Consultori Teologi del 4 giugno 1993 e la Sessione dei Cardinali e Vescovi riconobbero che tale guarigione miracolosa era avvenuta per intercessione della Madre Giuseppina Vannini.

    Il 23 dicembre 1993 venne promulgato il decreto sul miracolo alla presenza del Papa Giovanni Paolo II. Lo stesso Sommo Pontefice, il 16 ottobre 1994, celebrò la beatificazione.

 

b) In vista della canonizzazione

 

    In vista della canonizzazione, nel 2015 è stata istruita l’Inchiesta Diocesana, presso la Curia Diocesana di Sinop, (Brasile) su un presunto miracolo a favore di un operaio edile. Il caso è stato così definito dalla Consulta Medica tenutasi il 27 settembre 2018: “L’assenza di qualsivoglia significa­tiva lesività sia somatica sia psichica, necessariamente attese in un caso di precipitazione dall’altezza di mt. 10,80 nonostante la presenza di fattori frenanti, non trova spiegazione scientifica”.

    Il 19 febbraio 2019 si è riunito il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi della Congregazione delle Cause dei Santi per esaminare gli aspetti teologici del presunto miracolo. All’unanimità è stato espresso un parere affermativo, ravvisando così nell’evento in esame un miracolo operato da Dio per intercessione della Beata Giuseppina Vannini.

    I Cardinali e i Vescovi nella Sessione Ordinaria del 7 maggio 2019 hanno giudicato il caso in esame un vero miracolo, attribuito all’intercessione della Beata.

    Il Santo Padre Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto sul miracolo.

SANTA MESSA E CANONIZZAZIONE DEI BEATI:
GIOVANNI ENRICO NEWMAN, GIUSEPPINA VANNINI,
MARIA TERESA CHIRAMEL MANKIDIYAN, DULCE LOPES PONTES, MARGARITA BAYS

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
Domenica, 13 ottobre 2019

 

«La tua fede ti ha salvato» (Lc 17,19). È il punto di arrivo del Vangelo odierno, che ci mostra il cammino della fede. In questo percorso di fede vediamo tre tappe, segnalate dai lebbrosi guariti, i quali invocanocamminano e ringraziano.

Anzitutto, invocare. I lebbrosi si trovavano in una condizione terribile, non solo per la malattia che, diffusa ancora oggi, va combattuta con tutti gli sforzi, ma per l’esclusione sociale. Al tempo di Gesù erano ritenuti immondi e in quanto tali dovevano stare isolati, in disparte (cfr Lv 13,46). Vediamo infatti che, quando vanno da Gesù, “si fermano a distanza” (cfr Lc 17,12). Però, anche se la loro condizione li mette da parte, invocano Gesù, dice il Vangelo, «ad alta voce» (v. 13). Non si lasciano paralizzare dalle esclusioni degli uomini e gridano a Dio, che non esclude nessuno. Ecco come si accorciano le distanze, come ci si rialza dalla solitudine: non chiudendosi in sé stessi e nei propri rimpianti, non pensando ai giudizi degli altri, ma invocando il Signore, perché il Signore ascolta il grido di chi è solo.

Come quei lebbrosi, anche noi abbiamo bisogno di guarigione, tutti. Abbiamo bisogno di essere risanati dalla sfiducia in noi stessi, nella vita, nel futuro; da molte paure; dai vizi di cui siamo schiavi; da tante chiusure, dipendenze e attaccamenti: al gioco, ai soldi, alla televisione, al cellulare, al giudizio degli altri. Il Signore libera e guarisce il cuore, se lo invochiamo, se gli diciamo: “Signore, io credo che puoi risanarmi; guariscimi dalle mie chiusure, liberami dal male e dalla paura, Gesù”. I lebbrosi sono i primi, in questo Vangelo, a invocare il nome di Gesù. Poi lo faranno anche un cieco e un malfattore sulla croce: gente bisognosa invoca il nome di Gesù, che significa Dio salva. Chiamano Dio per nome, in modo diretto, spontaneo. Chiamare per nome è segno di confidenza, e al Signore piace. La fede cresce così, con l’invocazione fiduciosa, portando a Gesù quel che siamo, a cuore aperto, senza nascondere le nostre miserie. Invochiamo con fiducia ogni giorno il nome di Gesù: Dio salva. Ripetiamolo: è pregare, dire “Gesù” è pregare. La preghiera è la porta della fede, la preghiera è la medicina del cuore.

La seconda parola è camminare. È la seconda tappa. Nel breve Vangelo di oggi compaiono una decina di verbi di movimento. Ma a colpire è soprattutto il fatto che i lebbrosi non vengono guariti quando stanno fermi davanti a Gesù, ma dopo, mentre camminano: «Mentre essi andavano furono purificati», dice il Vangelo (v. 14). Vengono guariti andando a Gerusalemme, cioè mentre affrontano un cammino in salita. È nel cammino della vita che si viene purificati, un cammino che è spesso in salita, perché conduce verso l’alto. La fede richiede un cammino, un’uscita, fa miracoli se usciamo dalle nostre certezze accomodanti, se lasciamo i nostri porti rassicuranti, i nostri nidi confortevoli. La fede aumenta col dono e cresce col rischio. La fede procede quando andiamo avanti equipaggiati di fiducia in Dio. La fede si fa strada attraverso passi umili e concreti, come umili e concreti furono il cammino dei lebbrosi e il bagno nel fiume Giordano di Naaman (cfr 2 Re 5,14-17). È così anche per noi: avanziamo nella fede con l’amore umile e concreto, con la pazienza quotidiana, invocando Gesù e andando avanti.

C’è un altro aspetto interessante nel cammino dei lebbrosi: si muovono insieme. «Andavano» e «furono purificati», dice il Vangelo (v. 14), sempre al plurale: la fede è anche camminare insieme, mai da soli. Però, una volta guariti, nove vanno per conto loro e solo uno torna a ringraziare. Gesù allora esprime tutta la sua amarezza: «E gli altri dove sono?» (v. 17). Sembra quasi che chieda conto degli altri nove all’unico che è tornato. È vero, è compito nostro – di noi che siamo qui a “fare Eucaristia”, cioè a ringraziare –, è compito nostro prenderci cura di chi ha smesso di camminare, di chi ha perso la strada: siamo custodi dei fratelli lontani, tutti noi! Siamo intercessori per loro, siamo responsabili per loro, chiamati cioè a rispondere di loro, a prenderli a cuore. Vuoi crescere nella fede? Tu, che sei oggi qui, vuoi crescere nella fede? Prenditi cura di un fratello lontano, di una sorella lontana.

Invocare, camminare e ringraziare: è l’ultima tappaSolo a quello che ringrazia Gesù dice: «La tua fede ti ha salvato» (v. 19). Non è solo sano, è anche salvo. Questo ci dice che il punto di arrivo non è la salute, non è lo stare bene, ma l’incontro con Gesù. La salvezza non è bere un bicchiere d’acqua per stare in forma, è andare alla sorgente, che è Gesù. Solo Lui libera dal male, e guarisce il cuore, solo l’incontro con Lui salva, rende la vita piena e bella. Quando s’incontra Gesù nasce spontaneo il “grazie”, perché si scopre la cosa più importante della vita: non ricevere una grazia o risolvere un guaio, ma abbracciare il Signore della vita. E questa è la cosa più importante della vita: abbracciare il Signore della vita.

È bello vedere che quell’uomo guarito, che era un samaritano, esprime la gioia con tutto sé stesso: loda Dio a gran voce, si prostra, ringrazia (cfr vv. 15-16). Il culmine del cammino di fede è vivere rendendo grazie. Possiamo domandarci: noi che abbiamo fede, viviamo le giornate come un peso da subire o come una lode da offrire? Rimaniamo centrati su noi stessi in attesa di chiedere la prossima grazia o troviamo la nostra gioia nel rendere grazie? Quando ringraziamo, il Padre si commuove e riversa su di noi lo Spirito Santo. Ringraziare non è questione di cortesia, di galateo, è questione di fede. Un cuore che ringrazia rimane giovane. Dire: “Grazie, Signore” al risveglio, durante la giornata, prima di coricarsi è l’antidoto all’invecchiamento del cuore, perché il cuore invecchia e si abitua male. Così anche in famiglia, tra sposi: ricordarsi di dire grazie. Grazie è la parola più semplice e benefica.

Invocare, camminare, ringraziare. Oggi ringraziamo il Signore per i nuovi Santi, che hanno camminato nella fede e che ora invochiamo come intercessori. Tre di loro sono suore e ci mostrano che la vita religiosa è un cammino d’amore nelle periferie esistenziali del mondo. Santa Marguerite Bays, invece, era una sarta e ci rivela quant’è potente la preghiera semplice, la sopportazione paziente, la donazione silenziosa: attraverso queste cose il Signore ha fatto rivivere in lei, nella sua umiltà, lo splendore della Pasqua. È la santità del quotidiano, di cui parla il santo Cardinale Newman, che disse: «Il cristiano possiede una pace profonda, silenziosa, nascosta, che il mondo non vede. […] Il cristiano è gioioso, tranquillo, buono, amabile, cortese, ingenuo, modesto; non accampa pretese, […] il suo comportamento è talmente lontano dall’ostentazione e dalla ricercatezza che a prima vista si può facilmente prenderlo per una persona ordinaria» (Parochial and Plain Sermons, V,5). Chiediamo di essere così, “luci gentili” tra le oscurità del mondo. Gesù, «resta con noi e noi cominceremo a brillare come Tu brilli, a brillare in modo da essere una luce per gli altri» (Meditations on Christian Doctrine, VII,3). Amen.

 

LITTERAE APOSTOLICAE

de peracta beatificatione

 

IOANNES  PAULUS  PP.  II

ad perpetuam rei memoriam

 

 

    “Unusquisque petat a Domino gratiam materni affectus erga proximum, ut ei famulari possimus omni caritate, sive animae sive corpori, quia desideramus, gratia Dei favente, ministrare omnibus aegrotis eodem affectu quo amans mater solet unico filio aegrotanti assidere” (S. Camillus de Lellis).

    Josephina Vannini, virgo Deo consecrata, verba patris Camilli in cor suum contulit atque facta est mater patientium, quibus se totam omnino dedit; eos dilexit, ministravit eis, eos est solata curavitque eodem amantis matris affectu, perspiciens in eis ipsum Jesum qui dixit: “Eram infirmus, et visitastis me” (Mt 25, 36).

    Ipsa nata est Romae die VII mensis Julii anno MDCCCLIX ex Angelo Vannini et Annuntiata Papi, atque insequenti die baptismate abluta est in ecclesia S. Andreae Apostoli de Hortis. Utroque parente orbata septem annos nata, Hospitium Torloniae, Filiarum Caritatis a S. Vincentio de Paoli, Romae, ingressa est, ibique mansit usque ad annum MDCCCLXXXIII. Die III mensis Martii eo ipso anno Senae postulans facta est inter ipsas Caritatis Filias: attamen infirmae valetudinis causa egredi debuit. Vitam umbratilem duxit, praestolans vitae consecratae condicionem.

    Mense Decembri anno MDCCCXCI, dum exercitiis spiritualibus vacaret, novit Servum Dei Aloisium Tezza, sodalem Ordinis Cleri­corum Regularium Ministrantium Infirmis, eique animum suum patefecit. Servus Dei, utpote qui a multis iam annis constituere studeret coetum mulierum deditarum curae infirmorum secundum mentem S. Camilli de Lellis, adulescenti suasit ut ipsa fieret fautrix novae religiosae compaginis mulierum. Hoc modo ortus est primus nucleus Congretationis Filiarum S. Camilli, religiosarum scilicet ministerio infirmorum deditarum, caritatem evangelicam profitentium secundum magisterium et exemplum S. Camilli; quartum nuncupant votum, assidendi aegrotis etiam periculo propriae vitae. Hinc incepit Venerabilis Servae Dei altera vitae pars. Die VIII mensis Decembris anno MDCCCXCV emisit professionem perpetuam et facta est Antistita Generalis. Infirma corporis valetudine fruens, fortis tamem fide et zelo apostolico, mirabilia patravit hac in nova ministerii religiosi via, noctes atque dies aegrotis indigentibus et solitariis administrans, prout commentarii diurni significaverunt. Filiae S. Camilli factae sunt boni angeli, qui praesertim temporibus difficilioribus contulerunt ad Ecclesiae Romanae restaurationem in societate magna ex parte iam in saecularem condicionem redacta. Sicut frequenter evenit in operibus Dei, non defuerunt difficultates et impedimenta; passa est Serva Dei ob absentiam Patris Tezza, missi a Superioribus suis in Peruviam. At Mater Josephina, dolore roborata inde a primis vitae suae annis atque firmiter haerens in Dei voluntate, perrexit in moderamine communi­tatis suae indefracto animo, supernaturali prudentia, materna sollicitu­dine et mirabili humilitate. Magistra vitae spiritualis atque peritia quadam institutoria praedita in exsequendo suo charismate (i.e. cu­randis infirmis), docuit Filias altissimum bonum, ostentans eis unicum exemplar Jesum, qui “bene omnia fecit” (Mc 7,37); quapropter postu­lavit ab eis plenam fidelitatem erga propriam consecrationem plenam­que deditionem famulatui erga dolentia membra Domini. Fisa auxilio divino, XIX annis valuit constituere Institutum suum in Italia, in Gallia, Belgio et America Meridionali. Hodie Filiae S. Camilli operantur in quattuor continentibus: Europa, Asia, Africa et America. Meritis dives sanctitatisque fama insignis, vitam aeternam ingressa est die XXIII mensis Februarii anno MCMXI. Causa Canonizationis instituta est apud Curiam Vicariatus Romae. Servatis de iure servandis, Nobis praesentibus, die VII mensis Martii, anno MCMXCII, promulgatum est Decretum, quo Venerabilem Servam Dei heroum in modum virtutes theologales, cardinales iisque adnexas exercitavisse ediximus. Antea apud Curiam Archidioecesanam Bonaёrensem celebratus est Processus Canonicus de mira sanatione, Venerabilis Servae Dei deprecationi attributa. Cum autem consuetae inquisitiones felicem habuissent exitum, die XXIII mensis Decembris anno MCMXCIII coram Nobis promulgatum est Decretum super miro. Deinde statuimuis ut Beatificationis sollemnis ritus die XVI mensis Octobris, anno MCMXCIV, in Urbe fieret, cum in Civitate Vaticana ageretur Synodus Episcoporum “de vita consecrata deque eius munere in Ecclesia et in mundo”.

    Hodie igitur in foro ad Vaticanam Basilicam Sancti Petri spectante, inter Missarum sollemnia formulam hanc protulimus:

    «Nos, vota Fratrum Nostrorum Joannis Balland, Archiepiscopi Remensis, Caroli Oviedo Cavada, Archiepiscopi Sancti Jacobi in Chilia, Eliae Yanes Alvarez, Archiepiscopi Caesaraugustani, Richardi Mariae Carles Gordó, Archiepiscopi Barcinonensis et Camilli Cardinalis Ruini, Vicarii Nostri pro Romana dioecesi, necnon plurimorum aliorum Fratrum in Episcopatu multorumque Christi­fidelium explentes, de Congregationis de Causis Sanctorum consulto, auctoritate Nostra Apostolica facultatem facimus ut Venerabiles Servi Dei Nicolaus Roland, Albertus Hurtado Cruchaga, Maria Rafols, Petra a Sancto Joseph Pérez Florido et Josephina Vannini Beatorum nomine in posterum appellentur eorumque festum: Nicolai Roland die vicesima septima mensis Aprilis; Alberti Hurtado Cruchaga die decima octava mensis Augusti; Mariae Rafols die quinta mensis Novembris; Petrae a Sancto Joseph Pérez Florido die decima sexta mensis Octobris et Josephinae Vannini die decima sexta mensis Octobris in locis et modis iure statutis quotannis celebrari possit.

    In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti».

    Sueta etiam oratione habita de vita, virtutibus ac ministerio Beatorum, quos modo publice diximus, eos venerati sumus summaque Ipsi cum religione primi invocavimus, adhortantes deinde omnes Christifideles ad similem erga Beatos pietatem. Quae autem his Litteris decrevimus nunc et posthac rata et firma volumus esse, contrariis rebus minime obstantibus.

    Datum Romae, apud Sanctum Petrum, sub anulo Piscatoris, die XVI mensis Octobris, anno MCMXCIV, Pontificatus Nostri septimo decimo.

 

Angelus card. Sodano

Secretarius Status

Loco Sigilli

AAS  LXXXVII (1995), 777-779

BEATIFICAZIONE DI CINQUE RELIGIOSI: NICOLAS ROLAND,
ALBERTO HURTADO CRUCHAGA, MARÍA RAFOLS,
PETRA DE SAN JOSÉ PÉREZ FLORIDO E GIUSEPPINA VANNINI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Piazza San Pietro - Domenica, 16 ottobre 1994

 

1. Il Figlio dell’uomo è venuto per servire (cf. Mc 10, 45).

Con queste parole, che abbiamo ascoltato nel brano evangelico di oggi, Gesù risponde alla richiesta dei figli di Zebedeo: gli apostoli Giacomo e Giovanni. Nel racconto dell’evangelista Marco sono loro stessi a domandare di poter sedere, nella gloria, uno alla destra e uno alla sinistra del loro Maestro, mentre secondo il racconto di san Matteo la domanda viene avanzata dalla loro madre (cf. Mt 20, 20).

“Voi non sapete ciò che domandate” (Mc 10, 38), è la risposta di Cristo. Chiedono infatti di poter partecipare immediatamente alla gloria del Regno di Dio, mentre la strada che ad essa conduce passa necessariamente attraverso il calice della passione; quel calice che Gesù dovrà bere fino in fondo. Il Signore chiede agli apostoli: “Potete bere il calice che io bevo?” ed essi rispondono: “Lo possiamo” (Mc 10, 38). Forse in quel momento non sanno neppure con precisione a che cosa stanno dando il loro assenso. Il Maestro invece sa bene che, quando arriverà la loro ora, avranno parte al calice della sua passione (cf. Mc 10, 39), corrispondendo fedelmente alla grazia del martirio.

Fin qui la prima parte della risposta di Gesù. La seconda è ancor più importante. Egli spiega ai due fratelli che nel suo Regno la misura della grandezza è costituita dall’atteggiamento di servizio: “Chi vuole essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 44-45).

2. Abbiamo davanti agli occhi la scena descritta dall’evangelista e risuonano nell’intimo del nostro cuore le parole del Maestro divino mentre, nel corso dell’odierna liturgia domenicale, innalziamo alla gloria degli altari cinque nuovi Beati, che hanno speso la loro esistenza nella generosa consacrazione di sé a Dio e nel generoso servizio ai fratelli. Essi sono: Nicolas Roland, Sacerdote e Fondatore della Congregazione delle Suore del Santo Bambino Gesù; Alberto Hurtado Cruchaga, Sacerdote della Compagnia di Gesù; Maria Rafols, Fondatrice delle Suore di Carità di Sant’Anna; Petra de San José Pérez Florido, Fondatrice dell’Istituto delle Suore “Madri degli Abbandonati” e di “San Giuseppe della Montagna”; Giuseppina Vannini, Fondatrice della Congregazione delle Figlie di San Camillo.

Sono figli e figlie della Chiesa, pieni di santo ardimento, che hanno scelto la via del servizio seguendo le orme del Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire, ed ha servito dando la vita stessa in riscatto per molti (cf. Mc 10, 45).

La santità nella Chiesa ha sempre la sua sorgente nel mistero della Redenzione.

3. Il mistero della Redenzione, cari fratelli e sorelle, ci viene oggi ricordato con forza. Sì, abbiamo “un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli” (Eb 4, 14). E Gesù Cristo, il Signore crocifisso, risorto e vivo nella gloria. Fu lui l’anima dell’attività di Nicolas Roland.

Nel corso della sua vita, breve ma di grande densità spirituale, non smise mai di lasciare che il Signore compisse per mezzo suo la sua missione di gran sacerdote. Conformato alla persona di Cristo, ne condivideva l’amore per coloro che guidava al sacerdozio per “ricevere misericordia” (Eb 4, 16): “L’amore immenso di Gesù per voi, soleva dire, è più grande ancora della vostra infedeltà”.

Questa fede e questa speranza invincibili nell’amore misericordioso del Verbo incarnato lo avrebbero condotto a fondare la Congregazione delle Suore del Santo Bambino Gesù, dedite all’apostolato dell’educazione e dell’evangelizzazione dei bambini poveri. Asseriva infatti, in modo stupendo: “Gli orfani rappresentano Gesù Cristo negli anni della sua infanzia”.

Sia benedetto Dio, il quale, proprio mentre si sta svolgendo il Sinodo dei Vescovi sulla vita consacrata, ci fa riconoscere in Nicolas Roland, che ha favorito l’educazione dei più poveri, un esempio vivo per molti religiosi e religiose dei nostri giorni!

4. “Il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10, 45). Il Beato Alberto Hurtado si fece servitore per avvicinare gli uomini a Dio. La sua profonda vita interiore lasciava a chi lo incontrava l’immagine indimenticabile di uomo di Dio sempre disposto all’aiuto generoso. La sua figura di religioso esemplare nel compimento eroico dei suoi voti acquista uno speciale significato proprio in questi giorni in cui si sta celebrando il Sinodo dei Vescovi dedicato alla vita consacrata.

Nel suo ministero sacerdotale, caratterizzato da un vivo amore per la Chiesa, si distinse come maestro nella direzione spirituale e come predicatore instancabile, trasmettendo a tutti il fuoco di Cristo che portava dentro, in particolare nella fecondità di vocazioni sacerdotali e nella formazione di laici impegnati nell’azione sociale.

La vita del nuovo Beato ci ricorda che l’amore a Cristo non si limita alla sola persona del Verbo Incarnato. Amare Cristo è servire tutto il suo Corpo, specialmente i più poveri: fu questa una grazia particolare che il Beato Alberto Hurtado ricevette e che noi tutti dobbiamo chiedere incessantemente a Dio. Assisto dalla situazione dei poveri e mosso dalla sua fedeltà alla dottrina sociale della Chiesa, lavorò per rimediare ai mali del suo tempo, insegnando ai giovani che “essere cattolici equivale a essere sociali”. Figlio glorioso del continente americano, il Beato Alberto Hurtado appare oggi come segno illustre della nuova evangelizzazione, “una visita di Dio alla patria cilena”.

5. Nella Beata Maria Rafols contempliamo l’azione di Dio che fa “Eroina della carità” la umile giovane che lasciò la sua casa di Villafranca del Penedés (Barcellona) e, in compagnia di un sacerdote e di altre undici ragazze, intraprende un cammino di servizio agli infermi, seguendo Cristo e dando come Lui, “la sua vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45). Contemplativa nell’azione: questo è lo stile e il messaggio che ci lascia Maria Rafols. Le ore di silenzio e di preghiera nell’oratorio della cappella dell’Ospedale di Grazia di Zaragoza, conosciuto come “Domus infirmorum urbis et orbis” si prolungano poi nel servizio generoso a tutti gli infermi che li si trovavano: invalidi, dementi, donne abbandonate alla propria sorte e bambini. In tal modo manifesta che la carità, la vera carità, ha la propria origine in Dio, che è amore (1 Gv 4, 8).

Dopo aver trascorso la maggior parte della sua vita nel mortificato e celato servizio del “Brefotrofio”, offrendo amore, abnegazione e affetto, abbracciata alla croce compie la sua dedizione definitiva al Signore, lasciando alla Chiesa e in modo particolare alle sue Figlie, il gran insegnamento secondo cui la carità non muore, non passa mai, la grande lezione di una carità senza frontiere, vissuta nella dedizione di ogni giorno. Tutti i consacrati potranno vedere in essa una espressione della perfezione della carità alla quale sono chiamati, e alla cui profonda esperienza di vita vuole contribuire la celebrazione della presente Assemblea sinodale.

6. “Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti” (Mc 10, 44). La Beata Petra de San José è un esempio di donna consacrata che, tra innumerevoli difficoltà, accoglie con fede il carisma che lo Spirito le accorda al servizio di tutti.

Orfana fin da quando era molto piccola assunse per madre la Vergine. Questa esperienza segnò tutta la sua vita, scoprendo che il suo compito era quello di essere la madre di bambini, giovani o anziani che mancavano dell’affetto e dell’amore familiare. Madre Petra è infatti un esempio di come la verginità dei religiosi e delle religiose si trasformi in una feconda maternità spirituale, intrapresa e portata a compimento attraverso l’amore sponsale a Gesù Cristo, manifestata nella disponibilità totale e aperta ai bisognosi. Sentendosi amata da Dio e rispondendo a questo amore, anche in mezzo a mille prove, ci offre un modello luminoso di preghiera, di sacrificio per i fratelli e di servizio ai poveri, manifestazioni della vita religiosa sulla quale riflettono ora i Padri Sinodali.

La sua profonda devozione e la sua fiducia illimitata in San Giuseppe caratterizzarono tutta la sua vita e la sua opera, essendo chiamata, “apostolo di San Giuseppe del secolo XIX”. Negli ultimi periodi della sua esistenza terrena affiorano nelle sue labbra i nomi di Gesù, Maria e Giuseppe: la Sacra Famiglia di Nazareth, nella cui scuola di amore, preghiera e misericordia crebbe la sua spiritualità, conducendo le sue Figlie verso questo cammino di santità.

7. Servire i sofferenti: ecco lo speciale carisma di Giuseppina Vannini fondatrice della Congregazione delle Figlie di san Camillo. Essere tutta di Dio, amato ed onorato in chi è nel bisogno, fu la sua costante preoccupazione, tradotta in una carità quotidiana senza confini accanto agli infermi, sulle orme del grande apostolo degli ammalati, san Camillo de Lellis.

“Vedete sempre negli infermi l’immagine di Gesù sofferente”, ripeteva la Madre Vannini, invitando le consorelle a meditare sul Salvatore crocifisso, che il profeta Isaia presenta come “disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire” (Is 53, 3). Ed è qui, nella contemplazione del Cristo sulla croce, la chiave di lettura dell’esistenza e dell’attività della nuova Beata, oggi additata al popolo cristiano come esempio luminoso da imitare.

Quanto attuali sono la sua testimonianza ed il suo messaggio! Madre Vannini rivolge un forte richiamo anche ai giovani ed alle giovani di oggi, talora titubanti nell’assumere impegni totali e definitivi. Ella invita a generosa corrispondenza sia quanti sono chiamati alla vita consacrata, sia coloro che realizzano la loro vocazione nella vita familiare: su tutti Dio ha un disegno di santità.

8. Una settimana fa, in Piazza S. Pietro si sono radunate famiglie provenienti da tutto il mondo, per celebrare uno speciale incontro nel contesto dell’Anno della Famiglia. Abbiamo meditato, in quella circostanza, come la “communio personarum”, che si attua nella famiglia, apra la prospettiva verso quella “communio sanctorum”, a cui fa riferimento il Simbolo Apostolico. È una professione di fede che costituisce al tempo stesso un impegno e un programma da realizzare nella vita. La vocazione alla santità, infatti, è la vocazione essenziale di tutti i membri del popolo cristiano.

Oggi rendiamo grazie al Signore per tutti coloro che, come le persone poc’anzi iscritte nell’albo dei Beati, prendono parte alla sua infinita e perfetta santità. Al tempo stesso, vogliamo pregare per tutte le famiglie del mondo, perché, costruite sul fondamento del “grande Sacramento” del matrimonio (cf. Ef 5, 32), diventino già sulla terra l’inizio di quella “comunione dei santi” che si realizzerà in pienezza nel cielo.

Benedictus Dominus in sanctis suis . . . / et Sanctus in omnibus operibus suis. Amen!