Ignazio da Santhià

Ignazio da Santhià

(1686-1770)

Beatificazione:

- 17 aprile 1966

- Papa  Paolo VI

Canonizzazione:

- 19 maggio 2002

- Papa  Giovanni Paolo II

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 22 settembre

Presbitero, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, assiduo nell’ascolto dei penitenti e nell’assistenza ai malati

  • Biografia
  • Omelia
  • la fama di santità
  • omelia di beatificazione
"Il bel Paradiso non è fatto per i poltroni. Lavoriamo dunque!"

 

Ignazio da Santhià, Lorenzo Maurizio Belvisotti — così il suo nome di battesimo — nasce il 5 giugno 1686 a Santhià (Vercelli), quarto di sei figli dell'agiata famiglia di Pier Paolo Belvisotti e Maria Elisabetta Balocco. Rimasto orfano del padre a sette anni, la madre provvede alla sua formazione affidandolo al pio e dotto sacerdote don Bartolomeo Quallio, suo parente. Sentendosi chiamato alla vita ecclesiastica, dopo le scuole primarie nella città natale, nel 1706 Lorenzo Maurizio passa a Vercelli per gli studi filosofici e teologici. Ordinato sacerdote nell'autunno del 1710, resta nel capoluogo come cappellano-istruttore della nobile famiglia Avogadro. In questi primi anni di sacerdozio si associa anche all'apostolato dei Gesuiti, particolarmente nella predicazione delle missioni al popolo. Conoscerà così il suo futuro direttore spirituale, il padre gesuita Cacciamala. 

La natia Santhià, desiderando avere il suo concittadino, lo elegge canonico rettore dell'insigne collegiata di Santhià. A loro volta gli Avogadro lo eleggono parroco della parrocchia di Casanova Elvo di cui godono il giuspatronato. Tuttavia il quasi trentenne don Belvisotti non va in cerca di gloria: ha maturato ben altre mete. Rinunciando alle due nomine e ai benefici connessi, il 24 maggio 1716 entra nel convento-noviziato dei Cappuccini di Chieri (Torino) e assume il nome di fr. Ignazio da Santhià, con l'intenzione di partire in futuro per le missioni estere. 

La sua fermezza nel tendere alla perfezione, l'osservanza piena, premurosa, spontanea e gioiosa della vita cappuccina gli attirano l'ammirazione anche dei più anziani religiosi del noviziato. Dopo gli anni della formazione cappuccina (trascorsi a Saluzzo, a Chieri e a Torino, al Monte dei Cappuccini), nel Capitolo Provinciale del 31 agosto 1731 viene nominato maestro di noviziato nel convento di Mondovì (Cuneo). Rimane tredici anni in tale ufficio, e attraverso l'insegnamento e specialmente la testimonianza, Ignazio offre alla Provincia monastica del Piemonte ben 121 nuovi frati, alcuni dei quali moriranno in fama di santità. 

Venuto a conoscenza delle sofferenze del padre Bernardino Ignazio dalla Vezza, suo ex-novizio, missionario in Congo, e del rischio che interrompesse la sua attività missionaria, Ignazio si prostrò dinanzi a Gesù Sacramentato e con semplicità depose l'offerta, dettata dalla sua altissima carità: “Signore mio Gesù Cristo, se a voi piace che il male di questo buon operaio passi a me, che sono buono a nulla, fatelo. Io l'accetto volentieri per la vostra gloria”. Il missionario poteva riprendere le sue fatiche apostoliche, poiché il male era scomparso mentre per Ignazio iniziavano le sofferenze che lo costrinsero a rinunciare all'incarico.  

L'obbedienza ai superiori (alla quale mai si sottrasse), lo inducono a seguire, come cappellano capo, l'esercito del re di Sardegna Carlo Emanuele III, in guerra contro le armate franco-spagnole (1745-1746), per assistere i militari feriti o contagiati negli ospedali di Asti, Alessandria e Vinovo. 

Ammalati gravi, feriti gravissimi, corpi straziati... riempivano le corsie. In quel mondo di dolori padre Ignazio era l'angelo consolatore. “Correva di corsia in corsia, di letto in letto spinto dall'amore continuamente attento, applicato e indefesso nell'assistenza dei soldati infermi”, si legge in un documento storico scritto da un testimone.  

Finita la guerra, il Convento del Monte dei Cappuccini di Torino lo accoglie nuovamente per l'ultimo periodo della sua vita (1747-1770). Con generosità senza misura e con umile e intensa carità spirituale, Ignazio divide la sua attività pastorale tra il convento e la città di Torino: predica, attende al ministero della riconciliazione e, nonostante la non più giovane età e le gravi malattie, scende la collina su cui sorge il convento per percorrere le vie della città e incontrare di casa in casa poveri e ammalati, che attendono il conforto della sua parola e della sua invocata benedizione. 

Amava il silenzio, il raccoglimento, le veglie prolungate ai piedi del Tabernacolo, ma seppe pure rimboccarsi le maniche e mettersi al servizio degli infermi e dei poveri della comunità. “Il bel Paradiso, soleva ripetere, non è fatto per i poltroni. Lavoriamo dunque!”.  

Intanto si andavano moltiplicando i prodigi e il popolo lo battezzava “il santo del Monte”; contemporaneamente su di lui si accentrava anche la venerazione dei più distinti personaggi del Piemonte: dai regnanti all'Arcivescovo di Torino, Giovanni Battista Roero, al primo Vescovo di corte, il Cardinale Vittorio Delle Lanze; dal gran cancelliere Carlo Luigi Caisotti di Santa Vittoria, al sindaco della città. 

Imparate da me che sono mite e umile di cuore...”. Sono parole di Gesù, e come tutti i santi, anche padre Ignazio si dava pensiero perché non fossero cadute invano dalla bocca del Salvatore. L'umiltà l'ebbe radicata nel cuore e viva nel suo modo di agire e di parlare. Sapeva che l'umiltà è autentica e sincera conoscenza di Dio e di se stesso, e per questo non tralasciava occasione per studiare, per ammirare la bontà e la grandezza di Dio e per approfondire la comprensione della propria pochezza. Fino alla più avanzata età, cioè fino a qualche anno prima della morte, fece i lavori più umili quotidiani della vita di convento. 

Trascorse gli ultimi due anni nell'infermeria del suo convento, continuando a benedire, a confessare, a consigliare quanti accorrevano a lui. Il suo ardente desiderio di Dio, alimentato dalla contemplazione del Crocifisso e dalla lettura del Vangelo lo divorava. La sua vita appariva ormai assorbita e trasformata in quel Crocifisso che egli non sapeva allontanare dal suo sguardo. 

Il 22 settembre 1770, festa di San Maurizio, patrono suo e della provincia cappuccina del Piemonte, fr. Ignazio moriva serenamente nella sua cella, all'età di 84 anni. La notizia della sua morte si diffuse rapidamente e fu un accorrere così enorme di popolo per rendere omaggio alla salma che il Superiore del convento, per timore della ressa del popolo, fece celebrare i funerali in anticipo sull'ora stabilita.

CAPPELLA PAPALE PER LA CANONIZZAZIONE DI 5 BEATI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Pentecoste
Domenica, 19 maggio 2002

 

1. "Li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio" (At 2, 11)!

Così esclama, nel giorno di Pentecoste, la folla di pellegrini "di ogni nazione che è sotto il cielo" (v. 5), ascoltando la predicazione degli Apostoli.

Lo stesso stupore pervade anche noi, mentre contempliamo i grandi prodigi operati da Dio nell'esistenza dei cinque nuovi Santi, elevati alla gloria degli altari proprio nel giorno della Pentecoste: Alonso de Orozco, presbitero, dell'Ordine di Sant'Agostino; Ignazio da Santhià, presbitero, dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini; Umile da Bisignano, religioso, dell'Ordine dei Frati Minori; Paulina do Coração Agonizante de Jesus, vergine, fondatrice della Congregazione delle Irmãzinhas da Imaculada Conceisão; Benedetta Cambiagio Frassinello, religiosa, fondatrice dell'Istituto delle Suore Benedettine della Provvidenza.

Essi hanno percorso le strade del mondo annunciando e testimoniando Cristo con la parola e con la vita. Per questo sono diventati segno eloquente della perenne Pentecoste della Chiesa.

2. "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi" (Gv 20, 22-23). Con queste parole il Risorto trasmette agli Apostoli il dono dello Spirito e con esso il divino potere di rimettere i peccati. La missione di perdonare le colpe e di accompagnare gli uomini sulle vie della perfezione evangelica è stata vissuta, in modo singolare, dal sacerdote cappuccino Ignazio da Santhià, che per amore di Cristo e per progredire più speditamente nella perfezione evangelica si incamminò sulle orme del Poverello d'Assisi.

Ignazio da Santhià è stato padre, confessore, consigliere e maestro di molti - sacerdoti, religiosi e laici - che nel Piemonte del suo tempo ricorrevano alla sua guida saggia e illuminata. Egli continua ancora oggi a richiamare a tutti i valori della povertà, della semplicità e della autenticità di vita.

3. "Pace a voi!" (Gv 20, 19.21), disse Gesù comparendo agli Apostoli nel Cenacolo. La pace è il primo dono del Risorto agli Apostoli. Della pace di Cristo, principio ispiratore anche della pace sociale, si è fatto costante portatore Umile da Bisignano, degno figlio della nobile terra di Calabria. Con Ignazio da Santhià ha condiviso lo stesso impegno di santità nella scia spirituale di san Francesco d'Assisi, offrendo a sua volta una singolare testimonianza di carità verso i fratelli.

Nella nostra società, nella quale troppo spesso sembrano disperdersi le tracce di Dio, fra' Umile rappresenta un lieto e incoraggiante invito alla mitezza, alla benignità, alla semplicità e ad un sano distacco dai beni effimeri del mondo.

4. "En cada uno se manifiesta el Espíritu para el bien común" (1Co 12, 12). Así sucedió en la vida de San Alonso de Orozco, de la Orden de San Agustín. Nacido en la toledana villa de Oropesa, la obediencia religiosa le llevó a recorrer muchos lugares de la geografía española, terminando sus días en Madrid. Su dedicación pastoral al servicio de los más pobres en los hospitales y cárceles hace de él un modelo para quienes, impulsados por el Espíritu, fundan toda su existencia en el amor a Dios y al prójimo, según el supremo mandato de Jesús.

[4. "A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune" (1 Cor 12, 7). Così avvenne nella vita di san Alonso de Orozco dell'Ordine di sant'Agostino. Nato a Oropesa, nei pressi di Toledo, l'obbedienza religiosa lo portò a visitare molti luoghi della geografia spagnola, concludendo i suoi giorni a Madrid. La sua dedizione pastorale al servizio dei più poveri negli ospedali e nelle prigioni fa di lui un modello per quanti, spinti dallo Spirito, fondano tutta la loro esistenza sull'amore a Dio e al prossimo, secondo il mandato supremo di Gesù.]

5. A ação do Espírito Santo se manifesta de modo especial também na vida e missão de Madre Paulina, inspirando-a a constituir, juntamente com um grupo de jovens amigas, uma casa de acolhida, pouco depois batizada pelo povo de "Hospitalzinho São Virgílio", destinada a atenção material e espiritual de doentes e desamparados. Nasce assim, para atender os planos da Providência, a primeira Comunidade religiosa do sul do Brasil, denominada Congregação das Irmãzinhas da Imaculada Conceição. Foi neste Hospital, que o ser-para-os-outros constituiu o pano de fundo da vida de Madre Paulina. No serviço aos pobres e aos doentes, ela tornara-se manifestação do Espírito Santo, "consolador perfeito; doce hóspede da alma; suavíssimo refrigério" (Sequência).

[5. L'azione dello Spirito Santo si manifesta in modo particolare anche nella vita e nella missione di Madre Paulina, ispirandola a costituire, insieme a un gruppo di giovani amiche, una casa di accoglienza, battezzata poco dopo dal popolo come "Piccolo Ospedale San Virgilio" e destinata all'assistenza materiale e spirituale delle persone malate e abbandonate. Nacque così, in risposta ai piani della Provvidenza, la prima Comunità religiosa del Sud del Brasile, chiamata Congregazione delle Piccole Suore dell'Immacolata Concezione. Fu in questo ospedale che l'essere-per-gli-altri rappresentò il motivo principale della vita di Madre Paulina. Nel servizio ai poveri e ai malati divenne la manifestazione dello Spirito Santo, "consolatore perfetto; dolce ospite dell'anima; soavissimo refrigerio" (Sequenza).]

6. "O luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli". Le parole della Sequenza costituiscono una bella sintesi dell'intera esistenza di Benedetta Cambiagio Frassinello e ne spiegano la straordinaria ricchezza spirituale.

Guidata dalla grazia divina, la nuova Santa si preoccupò di adempiere con fedeltà e coerenza la volontà di Dio. Con fiducia illimitata nella bontà del Signore, si abbandonava alla sua "Provvidenza amorosa", profondamente convinta, come amava ripetere, che bisogna "fare tutto per amore di Dio e per piacere a lui". E' questa la preziosa eredità che santa Benedetta Cambiagio Frassinello lascia alle proprie figlie spirituali, e che oggi viene proposta all'intera Comunità cristiana.

7. "Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore" (Canto al Vangelo). Facciamo nostra questa invocazione dell'odierna liturgia. Lo Spirito Santo ha radicalmente trasformato gli Apostoli, prima chiusi per paura nel Cenacolo, in ardenti Araldi del Vangelo. Lo Spirito continua a sostenere la Chiesa nella sua missione evangelizzatrice lungo i secoli, suscitando in ogni epoca testimoni coraggiosi della fede.

Con gli Apostoli ricevette il dono dello Spirito la Vergine Maria (cfr At 1, 14). Insieme a Lei, in comunione con i nuovi Santi, imploriamo a nostra volta il prodigio di una rinnovata Pentecoste per la Chiesa. Domandiamo che scenda sull'umanità del nostro tempo l'abbondanza dei doni dello Spirito Santo.

Vieni, Santo Spirito, infiamma i cuori dei tuoi fedeli! Aiuta anche noi a diffondere nel mondo il fuoco del tuo amore. Amen!

Ignazio da Santhià è stato padre, confessore, consigliere e maestro. La missione di perdonare le colpe e di accompagnare gli uomini sulle vie della perfezione evangelica.

La fama della sua santità e i numerosi prodigi attribuiti alla sua intercessione inducono ad avviarne immediatamente il processo di canonizzazione. Dopo la causa ordinaria, nel 1782 viene introdotto il processo apostolico che, a motivo delle vicissitudini della Rivoluzione Francese e delle ricorrenti soppressioni che colpiscono gli Ordini religiosi nell'Ottocento, subisce continui rallentamenti e interruzioni.

E se fin dal 19 marzo 1827 Leone XII riconosce l'eroicità delle virtù di fr. Ignazio, solo il 17 aprile 1966, dopo oltre un secolo di quasi totale silenzio, Paolo VI procede alla solenne beatificazione.  

BEATIFICAZIONE DEL CAPPUCCINO IGNAZIO DA SANTHIÀ

OMELIA DI PAOLO VI

Domenica in Albis, 17 aprile 1966

 

IL GIUBILO DI TORINO E DEL PIEMONTE

Ancora una volta il Piemonte è in festa. Un altro suo figlio sale agli onori dell’altare. Esulta Santhià, degno luogo d’origine del nuovo Beato il quale, secondo il costume dei Cappuccini, dopo aver rinunciato a tutto, anche al proprio nome, conserva però l’appellativo della città che gli diede i natali e se lo porta con sé, in Paradiso: Beato Ignazio da Santhià. Esulta Vercelli, storica, illustre venerata sede diocesana e prima scuola spirituale del Beato, dove egli fu educato alla vita ecclesiastica e incardinato Sacerdote; esultano Chieri, Saluzzo, Mondovì, dove Frate Ignazio, passato dal Clero diocesano alla Famiglia religiosa dei Frati Minori Cappuccini (allora, nel sec. XVIII, in grande fiore in tutta l’Europa), fu alunno e maestro; ed esulta finalmente Torino, che si ingemma d’un nuovo eletto, e che della lunga vita di lui ebbe gli anni della maturità, quelli che misero in migliore evidenza la figura ascetica e spirituale dell’umile Cappuccino e raccolsero i frutti più copiosi del suo ministero. Salutiamo le personalità e i fedeli di queste città fortunate e facciamo Nostra di cuore la loro esultanza. In modo speciale il Nostro riverente saluto e le Nostre congratulazioni vanno al veneratissimo Arcivescovo di Torino, qui presente, a cui auguriamo di vedere crescere ancora la schiera dei Santi della sua tanto celebrata città e del suo popolo tanto valido e laborioso, e tanto insigne e fecondo di esempi cristiani.

LETIZIA DELL’ORDINE DEI MINORI CAPPUCCINI

Ma l’esultanza maggiore sale al Signore, a buon diritto, dai Cappuccini, che vedono riconosciuti solennemente dalla Chiesa i meriti di questo loro Confratello, vedono riaffermata la tradizione di santità, che distingue il loro ramo francescano di severa osservanza, e vedono ripresentata la loro scuola di evangelica vita religiosa all’ammirazione e all’imitazione del nostro tempo. Esprimiamo loro Noi stessi la Nostra compiacenza per questa beatificazione, la quale, mentre riaccende gaudio e fervore in una sempre numerosa e austera Famiglia religiosa, richiama la riflessione di tutta la Chiesa, in questo periodo postconciliare, sull’autenticità e sul merito della vita consacrata alla sequela e alla imitazione di Cristo, nel duplice intento della perfezione evangelica e della diffusione esemplare della carità in mezzo agli uomini, cristiani o no, d’ogni luogo e d’ogni tempo. Così fiorisca sempre il venerato Ordine Francescano, edificando la Chiesa con simili documenti e illustrando al mondo un redivivo, anzi un sempre vivo San Francesco.

VERO E PERFETTO FRANCESCANO

Subito, quando la figura d’un nuovo Beato, o d’un nuovo Santo è esaltata dal giudizio della Chiesa, che lo acclama degno di culto, nasce in tutti la curiosità di osservare i caratteri peculiari, che definiscono la fisionomia del vincitore, chiamato a sedere, come leggiamo nell’Apocalisse, con Cristo sul suo trono di gloria (cfr. Apoc. 3, 21). E la nostra mentalità agiografica, non poco abituata ad assimilare la santità alle manifestazioni carismatiche dell’uomo meraviglioso e dell’uomo miracoloso, le quali, alle volte, si accompagnano alla santità, vorrà trovare anche in Frate Ignazio da Santhià i segni singolari e prodigiosi, che stupiscono e che divertono. Ma nel caso presente questa scoperta sarà difficile, quasi delusa. Perché, se si eccettuano certi suoi momenti di estasi e di levitazione rimasti quasi segreti, e qualche singolare episodio, la vita del nuovo Beato non sembra offrire una storia avventurosa e interessante la fantasia, né segnalare fatti di carattere eccezionale, quelli che attirano l’ammirazione e insieme scoraggiano l’imitazione dei clienti spirituali dell’altrui santità. La esemplarità del nostro Frà Ignazio non sembra derivare da forme strane e superiori di spiritualità e di ascetismo, ma da un altro titolo, che Ci piace notare non solo a sua lode, ma a lode altresì di tutta la schiera dei più fedeli seguaci di San Francesco: il suo titolo di perfezione, potremmo dire, non è la singolarità, ma la normalità. Fu un vero Francescano, un vero Cappuccino. Così che in lui sono onorati oggi tutti i suoi identici fratelli. Ab uno disce omnes, Ci sembra lecito dire e augurare; e questo riconoscimento, che estende il titolo della perfezione religiosa ad una immensa e molto varia collettività, non abbassa il livello, cioè l’esigenza, della perfezione stessa, ma lo ravvisa raggiunto e raggiungibile da grande numero di aspiranti; solleva così il merito della intera collettività stessa; e mentre conserva, e sotto certi aspetti accresce, l’esemplarità del santo, la avvicina e tende a farla prossima alla sua imitabilità. Il santo allora non è tale, perché straordinario, e perciò irraggiungibile; ma perché perfetto e perché tipico nell’osservanza della norma che dovrebbe essere comune a tutta la schiera dei seguaci fedeli.

TRADIZIONI DI EROISMO E DI FEDELTÀ

Questa teorica concezione, che possiamo dire moderna, dell’agiografia, presenta certamente un pericolo, quello di troppo semplificare la via che ascende alla perfezione; via che, per essere evangelica, deve essere quale Cristo la definisce: «Quanto è angusta la porta e quanto aspra la via che conduce alla vita!», Egli ci ammonisce (Matt. 7, 14). Il desiderio di togliere dalla vita religiosa ogni artificioso ascetismo e ogni arbitraria esteriorità, per renderla, come oggi si dice, più umana e più conforme ai tempi, s’infiltra qua e là nella mentalità moderna di alcuni cristiani, anche religiosi, e può condurre insensibilmente a quel naturalismo, che non comprende più la stoltezza e lo scandalo della Croce (cfr. 1 Cor. 1, 23), e crede ragionevole conformarsi al comodo costume del mondo. Ma così non è nel nostro Beato. Lo troveremo, sì, semplice e accessibile, ma quanto ribelle allo spirito del mondo, quanto con se stesso povero e austero! È pur questa una nota della perfezione religiosa, che assume particolare rilievo nella scuola ascetica cappuccina; la nota della fedeltà testuale alle forme e, Dio voglia, allo spirito della primitiva osservanza francescana, rivendicata ancor prima della crisi protestante per via di interna riforma e ricondotta alla lettera della regola e del testamento del Fondatore San Francesco, e alimentata nel periodo aureo dei Cappuccini da maestri di spirito di grande nome e di grande influsso, sia nell’Ordine, sia nel popolo fedele: citiamo ad esempio Giovanni di Fano, Mattia Bellintani e Alessio Segala, entrambi di Salò, specialmente l’olandese Enrico Herp, e fra tutti San Lorenzo da Brindisi, e cento altri. (I nostri venerati P. Ilarino da Milano, Predicatore Apostolico, e P. Melchiorre di Pobladura, Relatore Generale per le cause storiche presso la Sacra Congregazione dei Riti, con molti altri loro illustri e studiosi Confratelli, ci vengono documentando queste splendide e ricchissime tradizioni spirituali e letterarie dell’Ordine Cappuccino). Ed è questa nota di fedeltà che descrive il profilo iconografico, non solo, ma spirituale altresì del Cappuccino, e che lo rende tuttora tanto popolare. Pensiamo a Padre Cristoforo, e a quanti umili e zelanti Cappuccini godono tuttora la stima e la fiducia della gente.

Padre Ignazio è precisamente uno di questi, e la Chiesa lo saluta oggi come un religioso ammirabile sotto ogni aspetto della sua vita francescana. È stato scritto argutamente di lui che fu un religioso «tutto-fare», perché appunto ogni momento della sua vita francescana ed ogni manifestazione della sua attività apostolica dimostrano questa versatilità per ogni interna ed esterna virtù, che lo può rendere a tutti esemplare.

UN PRIMATO SINGOLARE NELLA VIRTÙ DELL’OBBEDIENZA

Che se non volessimo rinunciare a cercare quale virtù Ci sembri in lui saliente, così da delineare un suo specifico profilo religioso e da determinare, per molti versi, l’esercizio di ogni sua francescana virtù, Noi diremmo essere nel Beato Ignazio da Santhià primeggiante la virtù dell’obbedienza, la virtù oggi più in crisi, ma appunto per questo più degna d’essere considerata nello specchio di questo nuovo Beato, che la Provvidenza ci consente d’onorare forse proprio a nostro ammonimento e a nostro conforto nel momento, che di tale virtù, per cui Cristo, factus oboediens usque ad mortem, ci istruì sulle vie del Vangelo e ci salvò, vi è maggiore bisogno.

Venga dunque nella nostra venerazione questo nuovo Fratello del Cielo, e col suo esempio, con la sua protezione, ci aiuti tutti a seguire il sentiero che al Cielo conduce.