Maria Gabriella Sagheddu

Maria Gabriella Sagheddu

(1914 - 1939)

Beatificazione:

- 25 gennaio 1983

- Papa  Giovanni Paolo II

Ricorrenza:

- 23 aprile

Vergine, religiosa dell’Ordine dei Cistercensi Riformati (Trappista), in tutta semplicità offrì la sua vita, terminata all’età di venticinque anni, per l’unità dei cristiani

 

  • Biografia
  • omelia di beatificazione
"Non c’è felicità più grande di quella di poter soffrire qualche cosa per amore di Gesù e per la salvezza delle anime"

 

Maria Sagheddu naque il 17 marzo 1914 a Dorgali, grosso centro agricolo e turistico della costa orientale della Sardegna (la vicina Cala Gonone, sul mare, ha ormai una meritata fama internazionale). La madre si chiamava Caterina Cucca e il padre Marcantonio Sagheddu, di professione pastore al servizio di un ricco possidente. Quando venne alla luce Maria, la numerosa famiglia (c’erano due fratelli e due sorelle più grandi di Maria, e dopo di lei altre due sorelline e un fratello) godeva di un discreto benessere. Ma ben presto arrivò il vento gelido della sofferenza e del dolore. A 5 anni perse un fratellino di appena un anno e subito dopo il padre non ancora cinquantenne. Nel 1932 perse anche la sorella Giovanna Antonia, poco più giovane di lei, a cui aveva fatto da sorella maggiore e anche da mamma. Il dolore fu grande e profondo. Questi lutti familiari sono momenti tragici che o uccidono esistenzialmente e spiritualmente o fanno maturare. La signora Caterina, dal carattere forte, non si perse d’animo e fece sacrifici enormi per mandare avanti la famiglia.

Fin da bambina Maria mostrava già un carattere forte e volitivo, non di rado capriccioso e volubile, qualche volta anche un po’ duro. Otteneva sempre quello che voleva: il tempo e l’età infatti giocavano per lei. Era di intelligenza sveglia e a scuola andava volentieri e con profitto, specialmente in matematica. Ma purtroppo, date le circostanze, non poté finire gli studi: cominciò quindi a lavorare per aiutare la famiglia.

Nella parrocchia di Santa Caterina di Alessandria, a Dorgali, c’era un numeroso gruppo di Azione Cattolica. Era quasi logico che anche Maria vi entrasse. E invece lei respinse ripetutamente l’invito a farne parte. Forse si sentiva indegna, o non ne capiva fino in fondo il significato. Fu però nel 1932, quindi a 18 anni, che inspiegabilmente agli occhi di tutti, Maria chiese di entrare in quel gruppo di AC. Stava maturando spiritualmente nella sua devozione alla Madonna (era molto devota del Santo Rosario) ma specialmente a Gesù Cristo, il centro di ogni spiritualità cristiana. Chi la conobbe notò il cambiamento rapido e deciso. Non c’era l’intervento di nessun psicologo alla base di esso ma l’idea della propria consacrazione totale al Cristo, attraverso la vita religiosa. Desiderava e voleva essere “tutta e sempre di Dio”, come confidò ad un suo parente l’anno prima della grande decisione.

Non aveva un’idea precisa sulla metodologia per seguire il Signore nella vita religiosa (cioè a quale ordine religioso riferirsi) lei voleva solamente e totalmente consacrarsi a Dio, il resto era secondario. Fu il vice parroco Don Basilio Meloni, suo confessore e direttore spirituale a consigliarle l’ordine dei trappisti.

Il terreno era già stato preparato e coltivato bene: Maria infatti non era la prima che lasciava il paese per la vita religiosa. Lei accettò la proposta, subito e volentieri. Altri l’avevano preceduta nel donare la propria vita a Dio, altri la seguiranno. Da questo punto di vista Dorgali è stato un paese estremamente generoso verso la Chiesa.

E il giorno della grande decisione venne: Maria entrò nella Trappa del Monastero di Grottaferrata (non lontano da Roma) il 6 ottobre 1935. Prese il nome di Maria Gabriella (a ricordo del mistero dell’Annunciazione, che lei meditava spesso). Il 13 aprile dell’anno seguente ci fu la solenne cerimonia della vestizione. Scrisse ai familiari: “Pregate sempre affinché io sia sempre fedele ai miei doveri e alle mie Regole facendo sempre la volontà di Dio senza mai offenderlo, e così vivere felicemente per tutta la vita nella sua casa”.

Nei suoi brevi anni di vita religiosa Maria Gabriella si distinse per la ricerca di una sempre maggiore conoscenza e amore a Dio, elemento che deve distinguere ogni cristiano, per il suo pensiero continuo ed il suo amore totale a Cristo, sposo della sua anima (lei voleva prepararsi degnamente per le nozze eterne con Lui) e per la devozione alla Madonna (quando poteva la pregava in continuazione). Altra connotazione di Maria Gabriella religiosa fu l’obbedienza pronta alle superiore e perfino una sincera devozione per esse. Scrisse un giorno: “Dalle mie superiori, non avrei potuto desiderare di meglio”. I suoi giorni trascorsero nell’obbedienza, nella preghiera e nell’umiltà (specialmente quando veniva rimproverata, era sempre pronta a riconoscere i propri sbagli con il famoso “Mea Culpa”).

L’anno 1937 rimane l’anno decisivo nella sua vita. Nella festa di Cristo Re fece i voti religiosi, disponendosi così anche davanti alla Chiesa al sacrificio totale di se stessa. Così scrisse in quel giorno: “Nella semplicità del cuore mio ti offro tutto lietamente, o Signore... Ti ringrazio con tutta l’effusione dell’anima e nel pronunciare i santi voti mi abbandono interamente a Te. Fa’, o Gesù, che mi mantenga sempre fedele alle mie promesse...”. E così fece.

Il secondo avvenimento, decisivo per lei, fu la Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani (che continuano ancora oggi). Due furono gli animatori di queste Settimane di Preghiera: il sacerdote Francis Wattson, e specialmente l’abate Paul Couturier.

Fu nel 1938 che la Madre Badessa lesse in comunità l’invito del Couturier “La preghiera universale dei Cristiani per l’unità cristiana”. Parole queste che ebbero una risonanza decisiva su Maria Gabriella, che ne rimase impressionata profondamente. Soprattutto avvertiva già nel profondo un richiamo chiaro ad offrirsi per questa nobile causa spirituale ed ecclesiale. L’abate aveva anche annunciato che c’erano già state delle offerte della vita per questa causa. La sua Madre Badessa, Maria Pia Gullini, donna buona e saggia, che aveva suscitato nel monastero questo fervore di preghiera per l’unità dei Cristiani, quando sentì il proposito di Maria Gabriella rimase dapprima un po’ dubbiosa: c’era bisogno di maggiore discernimento. Si trattava forse di un fuoco spirituale sì, ma di corto respiro e di dubbia durata? Era solo legato all’emozione del momento? Era forse suscitato dal desiderio di emulazione? La invitò, di conseguenza, a pregare e a riflettere ancora.

Dopo qualche giorno Maria Gabriella tornò da lei dicendole commossa: “Mi pare proprio che il Signore lo voglia, mi sento spinta a questo senza volerci pensare”. La Madre le rispose: “Non dico né sì né no. Si offra alla volontà di Dio” raccomandandole di chiedere al Padre Cappellano. E così ci fu l’offerta della propria vita, solenne e irrevocabile, fatta a Dio, nel più profondo del cuore. E Dio stesso, che legge nell’intimo più intimo di noi stessi, vide la sincerità estrema di quell’anima giovane ma generosa e decisa, e ne accolse l’amore, l’abbandono totale in Lui e l’offerta di sé, come vittima sull’altare. Dio la prese sul serio, perché Maria Gabriella era estremamente seria nel dono irrevocabile di sé a Lui, sull’esempio del Cristo. La sera di quello stesso giorno le fece capire che aveva accettato l’offerta. Avvertì infatti, in maniera imprevista, un’acuta piaga nella schiena. Era la tisi. Cominciava per lei la dura salita al Calvario, prima all’ospedale, poi nell’infermeria del monastero. Una volta disse all’infermiera: “La mia malattia è il mio tesoro, non posso darlo a nessuno”. E nei momenti di più acuto dolore soleva sussurrare: “Mio Dio, la tua gloria”. E così tornava il sollievo e la pace interiore. Alla mamma Caterina scrisse: “Io sono felice di poter soffrire qualche cosa per amore di Gesù... Non c’è felicità più grande di quella di poter soffrire qualche cosa per amore di Gesù e per la salvezza delle anime”.

Le sue sofferenze offerte con amore a Dio e la sua giovane vita finirono il 23 aprile 1939. La sua tomba è nella Cappella dell’Unità del Monastero di Vitorchiano.

La Chiesa nel 1983, dichiarandola Beata, riconobbe il sacrificio della vita di Maria Gabriella offerta per l’Unità dei Cristiani. Il prezzo altissimo pagato da quella giovane donna trappista era un vero segno di santità, cioè di comunione e di imitazione di Cristo, vittima al Padre per la salvezza del mondo.

 

Mario Scudu

 

(fonte: Rivista del Santuario Basilica di Maria Ausiliatrice – Torino Anno XXIX - N°4 – aprile 2008)

CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI 
E BEATIFICAZIONE DI SUOR MARIA GABRIELLA SAGHEDDU

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Martedì, 25 gennaio 1983

 

1. La celebrazione liturgica della conversione di Saulo di Tarso ci fa rivivere il momento drammatico del suo incontro personale con Cristo Signore, quando l’animoso discepolo di Gamaliele “pieno di zelo di Dio” (At  22, 3), folgorato sulla via di Damasco dalla inconfondibile voce di quel Gesù che perseguitava senza conoscere, si aprì immediatamente all’ascolto della sua parola, e nel momento stesso in cui accoglieva docilmente l’accorato rimprovero del Maestro divino, ne veniva costituito “strumento eletto per portarne il nome dinanzi ai popoli, al re e ai figli di Israele” (cf. At 9, 15), in qualità di suo “testimone davanti a tutti gli uomini” (At22, 15).

L’elemento centrale di tutta la vicenda è costituito dal fatto della conversione. Destinato ad evangelizzare i popoli “perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati” (At 26, 18), Saulo è chiamato da Cristo, innanzitutto, ad operare su se stesso una radicale conversione.

Il Cristo infatti - che gli appare come “luce più splendente del sole” (At 26, 13) - lo interpella nell’intimo, chiamandolo per nome, con un discorso strettamente personale, che non lascia spazio per equivoci o evasioni: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te recalcitrare contro il mio pungolo . . . su alzati, e rimettiti in piedi” (At 26, 14. 16).

E Saulo, che si è lasciato disarcionare dal Cristo, ed è rimasto abbagliato dalla inattesa esperienza di lui, inizia così il suo faticoso cammino di conversione, che durerà quanto la vita, partendo con umiltà inusitata da quel “cosa devo fare, Signore?”, e lasciandosi docilmente condurre per mano, fino a Anania, attraverso il cui ministero profetico gli sarà dato di conoscere il disegno di Dio.

2. Tale disegno è sintetizzato nelle parole del Signore: “Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome” (At 9, 16). Con questo breve cenno, quasi lampo nella notte, Cristo solleva per un attimo il velo sul futuro dell’Apostolo lasciandone intravedere la chiamata privilegiata a partecipare in modo singolarmente intenso al mistero della Passione e alla Croce. Tale partecipazione sarà così piena e vitale, all’interno di quel Corpo Mistico di cui per divina misericordia è divenuto membro, che Paolo potrà scrivere ai Colossesi: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi, e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24).

Da quel momento l’antico persecutore diverrà l’evangelizzatore per eccellenza del Cristo crocifisso, della “stoltezza” della croce, del mistero del peccato e della redenzione nel Sangue di Cristo, della morte e della risurrezione di lui, fino a poter dire: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20).

V’è ancora un elemento nell’episodio della conversione di Saulo che mi preme sottolineare: è l’accenno alla preghiera, base e fondamento di ogni preparazione e di ogni azione apostolica. Per consentire ad Anania di identificare Saulo, il convertito, il Signore gli offre un inconfondibile segno di riconoscimento: Anania lo troverà in preghiera. “Cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso: ecco, sta pregando” (At 9, 11).

3. È grande motivo di gioia constatare che proprio questi tre dati che emergono dalla narrazione degli Atti: la conversazione, la croce e la preghiera, sono essenzialmente gli elementi su cui si basa il movimento per ricostruire l’unità dei cristiani. Concludendo qui, sulla tomba dell’Apostolo delle Genti, la settimana di preghiera con questo rito, che ci vede raccolti in un profondo vincolo di carità intorno al medesimo Cristo salvatore, a tali elementi dobbiamo insieme rifarci. Nel dire questo sono certo di interpretare i sentimenti dei fratelli delle altre Chiese, che hanno voluto prendere parte a questa celebrazione. A ciascuno di loro vada il mio più cordiale saluto.

In questa atmosfera di carità ecumenica trova perfetta collocazione la breve ma così ricca storia della Beata Maria Gabriella dell’Unità, che intenzionalmente ho voluto elevare agli onori degli altari in questa data e in questo tempio. La sua vicenda, attraverso la vocazione trappista prima, e attraverso l’offerta della vita per l’unità dei cristiani poi, è tutta scandita su questi tre medesimi valori essenziali: conversione, immolazione per i fratelli, preghiera.

Né poteva essere altrimenti. Ce lo conferma il Concilio Ecumenico Vaticano II, che proprio in questa Basilica e in questa stessa data venne annunziato dal mio venerato predecessore Giovanni XXIII. Esso infatti, in tema di ecumenismo, si esprime in questi precisi termini: “Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento dello spirito, dalla abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità. Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino la grazia di una sincera abnegazione, dell’umiltà e mansuetudine nel servire e della fraterna generosità di animo verso gli altri . . . Questa conversione del cuore e questa santità di vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, si devono ritenere come l’anima di tutto il movimento ecumenico, e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale” (Unitatis Redintegratio, II, 7.8).

Del resto tutto il capitolo 17 di san Giovanni - quel capitolo le cui pagine sono state trovate ingiallite dalla quotidiana usura nel piccolo vangelo personale di suor Maria Gabriella - cos’altro è se non la preghiera erompente dal Cuore sacerdotale di Cristo, il quale, nella prospettiva incombente della Croce, implora per quanti crederanno in lui la conversione del cuore?

4. Mi è caro rilevare, e additare in modo particolare ai giovani, così appassionati di agonismo e di sport, che la giovane suora trappista, alla quale oggi tributiamo per la prima volta il titolo di Beata, seppe far proprie le esortazioni dell’apostolo ai fedeli di Corinto (1 Cor 9, 24) a “correre nello stadio per conquistare il premio”, riuscendo nel giro di pochi anni a collezionare - nello stadio della santità - una serie di primati da fare invidia ai più qualificati campioni. Essa è infatti storicamente la prima Beata che esce dalle file della Gioventù femminile di Azione cattolica; la prima fra le giovani e i giovani della Sardegna; la prima tra le monache e i monaci trappisti; la prima tra gli operatori a servizio dell’unità. Quattro primati mietuti nella palestra di quella “scuola del servizio divino” proposta dal Grande Patriarca san Benedetto, che evidentemente è valida ancor oggi dopo 15 secoli, se è stata capace di suscitare tali esempi di virtù in chi ha saputo accoglierla e metterla in pratica “con intelletto d’amore”.

È proprio infatti in questa fedeltà all’ascolto che la giovane Maria Sagheddu - per natura testarda ed asprigna, come viene descritta dai testimoni e dalla stessa sua santa mamma - è riuscita a realizzare quella “conversione del cuore” che san Benedetto chiede ai suoi figli. Conversione del cuore che è vera e primaria sorgente di unità.

Dal momento in cui la giovinetta ostinata e impetuosa, venuta a contatto con la croce di Cristo attraverso la morte della sorella prediletta, decise di arrendersi a lui, ricorse docile e umile alla guida di un padre spirituale, ed accettò di inserirsi nella vita della parrocchia, iscrivendosi nella Gioventù femminile di Azione cattolica, donandosi ai più piccoli nella catechesi, rendendosi servizievole agli anziani, trascorrendo ore in preghiera, è da allora che ebbe inizio quella “conversione” che la accompagnò di giorno in giorno, fino ad accogliere la chiamata vocazionale, e a lasciarsi alle spalle - appena ventunenne - la terra amata e le persone care della sua Sardegna, per presentarsi, pronta alla voce dello Sposo divino, ai cancelli della Trappa.

5. È proprio questa sua conversione a Dio, questo suo bisogno di unità nell’amore, che costituisce la premessa e il terreno fertile su cui il Signore farà scendere, al momento segnato, la chiamata al dono totale per i fratelli.

La sua offerta della vita per l’unità, che il Signore le ispirò durante la settimana di preghiere in questi medesimi giorni del 1938 - quarantacinque anni fa - e che egli mostrò di gradire come fragrante olocausto d’amore, non è l’inizio, ma il compimento della corsa spirituale della giovane atleta. Dall’unione raggiunta con la voce di Dio, scaturisce la mozione dello Spirito ad aprirsi ai fratelli.

È la scoperta del Verticale, dell’Assoluto di Dio, che dà senso e urgenza efficace all’apertura orizzontale ai problemi del mondo. V’è qui un richiamo, prezioso oggi più che mai, contro la facile tentazione di un orizzontalismo cristiano che prescinda dalla ricerca del Vertice; d’uno psicologismo che ignori la misteriosa presenza e l’imprevedibile azione della Grazia; di un attivismo che parta e si conchiuda solo a livello e in prospettiva terrena; di una fratellanza che rinunzi a illuminarsi di una comune paternità divina.

È da queste premesse che il gesto eroico di suor Maria Gabriella assurge alle altezze di grande evento ecclesiale. Proprio perché nasce da una sublime conversione in atto verso il Padre, la sua apertura ai fratelli la immedesima al Cristo crocifisso, raggiunge valore storico, assume portata ecumenica.

Questo ci induce non solo ad ammirare e venerare, ma a riflettere, ad imitare, ad approfondire, a soffrire e soprattutto a pregare, per radicare sempre più in Cristo il nostro cammino di conversione.

Così la Beata Maria Gabriella Sagheddu, che unisce graziosamente al nome dell’Angelo dell’annunzio quello della Vergine dell’ascolto, diviene segno dei tempi e modello di quell’“Ecumenismo spirituale”, a cui ci ha richiamato il Concilio. Ella ci incoraggia a guardare con ottimismo - al di là e al di sopra delle inevitabili difficoltà proprie del nostro essere uomini - alle meravigliose prospettive dell’unità ecclesiale, il cui progressivo affermarsi è legato al sempre più profondo desiderio di convertirci al Cristo, per rendere operante ed efficace il suo anelito: “Ut omnes unum sint”!

Sì, o Signore, che tutti si giunga presto ad essere una cosa sola. Te lo chiede, insieme con noi, la nuova Beata, che alla fiamma di questo tuo divino anelito consumò in gioiosa oblazione la propria giovane esistenza.

“Omnes . . . unum”. Amen!