Martiri della Thailandia

Martiri della Thailandia

(†1940)

Beatificazione:

- 22 ottobre 1989

- Papa  Giovanni Paolo II

Ricorrenza:

- 16 e 26 dicembre

Philip Siphong Onphitak (1907-1940), laico , padre di famiglia, dopo l’allontanamento del sacerdote dal villaggio di Song-Khon fu nominato capo della comunità cristiana e, alle prime avvisaglie della persecuzione contro i cristiani, fu condotto con l’inganno presso il fiume Tum Nok e fucilato;

Agnes Phila (1909-1940), Lucia Khambang (1917-1940), religiose, vergini delle Suore Amanti della Croce, e Agata Phutta, Cecilia Butsi, Viviana Hampai e Maria Phon, laiche, fucilate nel cimitero locale per essersi rifiutate di rinnegare la fede cristiana

  • Biografia
  • omelia di beatificazione
“Siamo lieti di restituire al Signore la vita che egli ci ha donato . . . Ti imploriamo di aprirci le porte del paradiso . . . Tu agisci secondo gli ordini degli uomini, ma noi agiamo secondo i comandamenti di Dio”

 

Il cristianesimo venne introdotto in Tailandia nel 1881 e nel 1940 i fedeli cattolici erano già settecento. Nei quattro anni successivi i missionari francesi furono costretti ad abbandonare il paese, in preda alla guerra tra Tailandia e l’allora Indocina francese. Come è solito in circostanze simili, venne considerata quale priorità l’unità nazionale ed invece “declassato” a pericolo il pluralismo religioso.

Il villaggio di Songkhon, sito sulle rive del grande fiume Mekong alla frontiera con il Laos, fu teatro nel 1940 del glorioso martirio di sette cristiani indigeni: Filippo Siphong Onphitak, Agnese Phila, Lucia Khambang, Agata Phutta, Cecilia Butsi, Bibiana Khamphai e Maria Phon.

Scopo della presente scheda biografica è soffermarsi in particolar modo sulla vicenda di Filippo, commemorato in data odierna dal Martyrologium Romanum, che infatti cita i santi ed i beati nei rispettivi anniversari della loro nascita al Cielo.
Filippo Siphong Onphitak, figlio del signor Intong e della signora Pheng, nacque ad Nong Sëng, provincia di Nakhon Phanom, il 30 settembre 1907 e qui fu battezzato. Allievo della scuola parrocchiale di Non Seng, al termine degli studi secondari fu inviato quale istitutore a Songkhon, ove giunse nel 1926. Cinque anni dopo sposò Marie Thong, la famiglia si stabilì a Songkhon ed nacquero cinque figli. Uomo assai buono, a Filippo fu affidato l’insegnamento nella suola parrocchiale e quale catechista coltivò la fede cristiana con tale zelo apostolico che i missionari, quando furono allontanati, gli affidarono la cura pastorale dei fedeli del villaggio, meritandogli così l’appellativo di “forte albero” della vita della Chiesa locale.

Nell’agosto 1940 un gruppo di gendarmi raggiunse in barca attraverso il Mekong il villaggio di Songkhon e, constatato che gli abitanti professavano una religione straniera, presero a far pressione affinché abiurassero. Il 29 novembre padre Figuet fu espulso, ma grazie all’incoraggiamento del catechista Siphong e delle religiose Agnese Phila e Lucia Khambang tutti rimasero fermi nella fede.

A metà di dicembre i soldati architettarono un inganno per uccidere Filippo, scrivendogli una falsa lettera a nome della Sotto-Prefettura di Mukdahan, nella quale gli si chiedeva di recarsi immediatamente in tale città. Consapevole dei pericoli, ma anche dei suoi diritti di cittadino, Siphong decise di sottostare all’ordine ricevuto. Il pomeriggio del 15 si avviò allora in bicicletta affiancato dai gendarmi Lu di Songkhon e No di Mukdahan. Il dì seguente, sul far della sera, il soldato Lu sparò due colpi di fucile su Siphong, che gridò con dolore: “Lu, perché fai questo? Perché mi uccidi?” e si fece il segno della croce. “Sei proprio sicuro che le formule magiche da pugile ti serviranno a qualche cosa?” lo schernì Lu colpendolo con un altro colpo letale al cuore. Filippo spirò immediatamente.

Era dunque il 16 dicembre 1940. Filippo Siphong Onphitak fu il primo indigeno tailandese a spargere il suo sangue per testimoniare la sua fede in Cristo. I due gendarmi ordinarono poi agli abitanti di Phaluka di seppellirlo, coprendo la tomba di rovi affinché l’anima del defunto non potesse tormentare i vivi. Dopo soli dieci giorni toccò la medesima sorte alle due religiose suddette ed alle quattro laiche loro compagne, ma alla loro vicenda si dedica un’apposita scheda in data 26 dicembre. Le spoglie mortali di Filippo furono rinvenute solamente nel 1959 e traslate nel cimitero di Songkhon accanto alle sei donne.

La beatificazione di questi sette martiri tailandesi, è stata celebrata a Roma da papa Giovanni Paolo II il 22 ottobre 1989, in seguito al riconoscimento del loro eroico martirio avvenuto il 1° settembre dell’anno precedente.

Il martirologio ufficiale della Chiesa Cattolica commemora dunque separatamente al 16 dicembre il Beato Filippo Siphong Onphitak, mentre al 26 dicembre le Beate Agnese Phila e Lucia Khambang, vergini delle Sorelle Amanti della Croce, e le compagne Agata Putta, Cecilia Butsi, Bibiana Hampai e Maria Phon, rispettando così la coincidenza con i rispettivi anniversari del martirio.

 

(fonte: santiebeati.it)

GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE E BEATIFICAZIONE DI
7 MARTIRI THAILANDESI, DI TIMOTEO GIACCARDO E DI MARIE DELUIL-MARTINY

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Domenica, 22 ottobre 1989

 

1. “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8).

In questa domenica la Chiesa affronta con profonda umiltà questa domanda e cerca di dare ad essa una risposta. Si tratta infatti di un interrogativo, reso oggi particolarmente pressante perché si celebra la Giornata Missionaria Mondiale. Che cosa sono le missioni? Di che cosa parlano le schiere di missionari e di missionarie, ecclesiastici e laici, in tutta la terra? Che cosa testimonia l’attività missionaria di tutte le Chiese locali e della Sede Apostolica, in particolare della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli? Di che cosa parlano le pontificie opere missionarie e quelle diocesane?

Tutto questo vuol dire: noi, tuoi discepoli, noi, tua Chiesa, o Cristo, o Figlio dell’uomo, desideriamo con tutta l’anima la tua venuta alla fine della storia! Desideriamo che quando verrai, tu trovi la fede sulla terra.

“Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Cor 9, 16) grida ancora oggi con l’Apostolo dei gentili tutta la Chiesa.

2. Facciamo nostra perciò l’accorata esortazione di Paolo, proclamata nella seconda lettura: “Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina” (2 Tm 4, 1-2).

Sì, Paolo, amante instancabile di Cristo! Sì, Apostolo dei gentili! Noi accogliamo il tuo grido, la tua pressante invocazione, così come l’accolse Timoteo, il tuo discepolo amato.

Desideriamo annunziare la Parola. Desideriamo insistere in ogni occasione opportuna e non opportuna, desideriamo esortare con tutta magnanimità e lungimiranza.

Questo ci è stato insegnato dalle schiere dei santi missionari, che di generazione in generazione non hanno cessato di lavorare nella vigna del Signore. La messe è molta! La messe è continuamente molta!

3. Quindi noi preghiamo il Padrone della messe perché mandi operai (cf. Lc 10, 2).

La tua Chiesa, o Cristo, desidera essere come Mosé durante la battaglia di Israele contro gli Amaleciti. La Chiesa tutta desidera rimanere con le mani alzate nella supplica. E quando le mani pesano per la stanchezza, altri fratelli le sosterranno. L’azione missionaria raggiunge la sua pienezza mediante la preghiera e il sacrificio. Raggiunge la pienezza nella clausura del carmelo, come ci insegna santa Teresa di Lisieux. La raggiunge grazie al sacrificio e alle sofferenze di tutti questi esseri umani che - dimenticando se stessi - invocano dal proprio letto di dolore: “Venga il tuo regno”.

Ecco, infatti, in questa lotta per il Regno di verità e di grazia, di pace e di salvezza, il nostro aiuto è in lui: nel nostro Signore e Creatore: “Il mio aiuto viene dal Signore . . . Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode di Israele . . . Il Signore è il tuo custode . . . Il Signore ti proteggerà da ogni male . . . veglierà su di te . . ., da ora e per sempre” (Sal 121 passim).

4. Today, Mission Sunday, we celebrate the Beatification of the holy Martyrs of Thailand. In union with the whole Church, we give thanks to the Most Blessed Trinity for the witness and example that those martyrs have given to the entire Christian world. Their example of prompt acceptance of the proclamation of the Faith found its highest confirmation in the noble martyrdom that they were to endure. It is significant that their generous sacrifice was made within a Christian community that, while still young, was prepared to bear witness to Jesus Christ and to the power of his love with full self-giving: “You shall be my witnesses . . . to the end of the earth”. 

The martyrs whose memory we celebrate today - some of them quite young - lived in an area which the rest of the world might consider remote: the village of Songkhong, in northeast Thailand. Their community lacked priests during the political upheaval that affected that area some fifty years ago. In this situation, Philip Siphong, a lay catechist and the father of a family, became convinced that he had to take an active role in the spreading of the Faith. Here was a lay person who was deeply conscious that through Baptism he belonged to Christ, Priest, Prophet and King, and was thus personally called to proclaim the Gospel.  Philip sensed the obligation to fill, to the extent possible, the gap which had been left by the priest who had been expelled from his land. In this spirit, he proclaimed the word insistently both in season and out of season, . . . and exhorted with unfailing patience and teaching.  Philip spent himself generously as a “ man of God ”, so that each of his brothers and sisters in the faith should be “ complete and equipped for every good work ”,  even for heroic witness of martyrdom. This was a witness that he himself was the first to offer, allowing himself to be arrested and killed rather than betray his faith.

Philip Siphong was followed on this path by Sisters Agnes Phila and Lucy Khambang, who sustained the Christian community in its fidelity to the Lord throughout those difficult days. Arrested a few days after Philip, together with some of their companions - Agatha Phutta, Cecilia Butsi, Bibiana Kamphai, Maria Phon - they faced death before a firing-squad with great courage, and sealed in blood the love which they bore for Christ. It was thus that God answered the prayer which Sister Agnes had put down in a letter written the night before their martyrdom: “ We ask to be your witnesses, O Lord, our God ”. 

Agnes, Lucy, Agatha, Cecilia, Bibiana, Maria: the names of the ancient Christian martyrs, the virgins and holy women who gave their lives for the faith, were to echo once again in the history of the nascent Church in Thailand. There, around the figure of the catechist and martyr Philip - the “ great tree ” as the was called in his village - the Gospel of Jesus Christ would spread its roots and find a new flowering.

“We rejoice in giving back to God the life that he has given us . . . We beseech you to open to us the doors of heaven . . . You are acting according to the orders of men, but we act according to the commandments of God ”. All these expressions, found in Sister Agnes’s last letter, could just as easily have been found in the Acts of the early Christian martyrs. The same witness to Christ that the martyrs of Thailand offered to their youthful Church is one that today, the day of their beatification, they offer to the Church throughout the world.

Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione in lingua italiana

4. Oggi, nella Giornata Missionaria Mondiale, celebriamo la beatificazione dei santi martiri della Thailandia. In unione con tutta la Chiesa, rendiamo grazie alla Santissima Trinità per la testimonianza esemplare data da quei martiri a tutto il mondo cristiano. Il loro esempio di pronta accettazione della proclamazione della fede ha avuto la sua più alta conferma nel nobile martirio che dovettero sostenere. È significativo che il loro generoso sacrificio sia avvenuto all’interno di una comunità cristiana che, seppur giovane, era preparata a dare testimonianza a Gesù Cristo e alla potenza del suo amore con la piena donazione di sé: “Sarete miei testimoni . . . fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8).

I martiri di cui oggi celebriamo la memoria - alcuni dei quali molto giovani - sono vissuti in una terra che il resto del mondo considera remota: il villaggio di Songkhong, nel nord-est della Thailandia. In questa situazione, Philip Siphong, un catechista laico padre di famiglia, si convinse di avere un compito attivo nella diffusione della fede. Ecco un laico profondamente consapevole della sua appartenenza, mediante il Battesimo, a Cristo, sacerdote, re e profeta e pertanto chiamato personalmente ad annunciare il Vangelo (Nuntius ob diem statutum ad Missiones fovendas, die 14 maii 1989Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XII, 1 [1989] 1224). Philip senti l’obbligo di colmare, il più possibile, il vuoto lasciato dal sacerdote che era stato allontanato dal villaggio. In questo spirito, egli si diede ad annunciare la Parola con insistenza, “opportune et inopportune”, e ad esortare con incrollabile pazienza ed insegnamenti (cf. 2 Tm 4, 2). Philip si diede generosamente come “uomo di Dio”, perché ciascuno dei suoi fratelli e delle sue sorelle nella fede potesse essere “completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Tm 3, 16), perfino per l’eroica testimonianza del martirio. Questa testimonianza egli stesso doveva essere il primo a dare, lasciandosi arrestare ed uccidere piuttosto che abiurare la sua fede.

Philip Siphong fu seguito su questa strada da suor Agnes Phila e suor Lucy Khambang, che sostenevano la comunità cristiana nella sua fedeltà al Signore per tutti quei difficili giorni. Arrestate pochi giorni dopo Philip, insieme con alcune compagne - Agatha Phutta, Cecilia Butsi, Bibiana Kamphai, Maria Phon - affrontarono la morte per fucilazione con grande coraggio e pagarono con il sangue l’amore che provavano per Cristo. Per questo Dio esaudì la preghiera espressa da suor Agnes in una lettera scritta la notte prima del martirio: “Ti chiediamo di essere tue testimoni, Signore, Dio nostro” (cf. Final Letter of Sr. Agnes Phila).

Agnes, Lucy, Agatha, Cecilia, Bibiana, Maria: i nomi delle prime martiri cristiane, vergini e sante donne che diedero la vita per la fede, echeggiano nuovamente nella storia della nascente Chiesa di Thailandia. Là, attorno alla figura del catechista e martire Philip - il “grande albero”, come veniva chiamato nel villaggio - il Vangelo di Gesù Cristo affonda le sue radici e conosce una nuova fioritura.

“Siamo liete di restituire al Signore la vita che egli ci ha donato . . . Ti imploriamo di aprirci le porte del paradiso . . . Tu agisci secondo gli ordini degli uomini, ma noi agiamo secondo i comandamenti di Dio”. Queste espressioni tratte dall’ultima lettera di suor Agnes, potrebbero trovarsi facilmente negli Atti dei primi martiri cristiani. La stessa testimonianza a Cristo offerta dai martiri della Thailandia alla loro giovane Chiesa la offrono oggi, giorno della loro beatificazione, a tutta la Chiesa del mondo.

5. “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8).

L’interrogativo che Gesù pone ancor oggi ai suoi discepoli ha sempre suscitato nella Chiesa rinnovato impegno per l’annuncio della verità. Il Regno di Dio, regno di verità, di grazia, di giustizia e di pace, richiede dedizione, esige prontezza nel saper cogliere ogni momento propizio, ogni occasione favorevole per annunciare la Parola ed esortare “con ogni magnanimità e dottrina” (2 Tm 4, 2).

È proprio la missione di una Chiesa inserita nel nostro tempo, nel quale tanta importanza hanno assunto le strutture e i mezzi della comunicazione, che ha suscitato in Timoteo Giaccardo, figlio della diocesi di Alba, in Piemonte, la volontà di mettersi radicalmente a servizio della Parola mediante la stampa e tutte le nuove vie della trasmissione delle idee.

Di fronte ad un mondo in cui la fede incontra difficoltà e insidie di ogni genere, che ne mettono in pericolo la stessa sopravvivenza in molte anime, Timoteo Giaccardo, primo discepolo di don Alberione, interpretò la fedeltà alla propria vocazione sacerdotale assumendosi l’incarico di lavorare per un annuncio che raggiungesse mediante la stampa una diffusione sempre più vasta e incisiva tra i fratelli. Così egli si propose di divulgare il Vangelo e gli insegnamenti della Chiesa con i mezzi moderni della comunicazione sociale, intesa come l’apostolato principale e tipico del mondo moderno: e questo nella fedeltà assoluta al Magistero della Chiesa, nella vita spirituale alimentata mediante l’adorazione eucaristica quotidiana e la devozione alla Madonna, negli esempi persuasivi di una umiltà e dolcezza, che lo resero caro all’intera famiglia paolina. Essa oggi - nel settantacinquesimo anniversario della sua fondazione - trova in lui l’ideale a cui guardare per la continuazione della missione affidatale da don Alberione.

“Il divino Maestro deve regnare su tutto, deve essere dato tutto a tutti: con il suo Vangelo alle menti; con la sua Santità alla volontà ed ai costumi; con il suo Cuore ai cuori; con la sua Croce al corpo; con la sua Preghiera e la sua Eucaristia allo spirito e alla vita mediante l’apostolato delle Edizioni”. Questo egli scriveva, ed in tale progetto santificò la sua vita, nella consapevolezza che la vocazione missionaria della Chiesa può e deve farsi carico della diffusione del Vangelo non solo in ogni luogo, ma anche nel contesto sociale e morale di tutte le meravigliose invenzioni tecniche che, soprattutto nel nostro tempo, l’ingegno umano è riuscito a trarre dal creato, come ha sottolineato il Concilio, esattamente venticinque anni fa, nel decreto “Inter Mirifica”. Anche le meraviglie delle comunicazioni sociali moderne sono “luogo” e “voce” ove s’incarna il messaggio della parola rivelata, strumento che gli apostoli devono usare perché non venga meno la fede e l’accoglienza della salvezza quando il Figlio dell’uomo verrà per portare a compimento il destino dell’uomo.

6. “Me voici, je suis venu pour faire ta volonté”.  Cette parole que la Lettre aux Hébreux attribue au Christ montre bien ce que Marie Deluil-Martiny fut appelée à accomplir tout au long de sa vie. Elle fut très tôt émue par “les blessures faites à l’amour de Jésus” et par les refus de Dieu trop fréquents dans la société. En même temps, elle découvrait la grandeur du don que Jésus faisait au Père pour sauver les hommes, la richesse d’amour qui rayonne de son Cœur, la fécondité du sang et de l’eau qui coulent de son côté ouvert. Elle fut convaincue qu’il fallait participer à la souffrance rédemptrice du Crucifié, en esprit de réparation pour les péchés du monde. Marie de Jésus s’offrit elle-même au Seigneur, au Prix de l’épreuve et dans une constante purification. Elle pouvait dire en vérité: “J’ai une passion pour Jésus . . . Sa vie en moi; ma vie en Lui” (1884).

Très tôt, Marie sut faire partager à ses proches son désir de vivre l’oblation du Sauveur, dans une ardente participation au sacrifice de la Messe. Quand elle fonda les Filles du Cœur de Jésus, elle mit au centre de la vie religieuse l’adoration eucharistique. Comprenant en profondeur le sacrifice du Christ, elle désirait que l’on s’unît sans cesse à l’offrande du Sang du Christ à la Trinité Sainte. Avec une juste compréhension de l’Eucharistie, elle inscrivait dans les orientations de l’Institut à la fois “une continuelle action de grâce” au Cœur de Jésus pour ses bienfaits et sa miséricorde, et “d’instantes supplications pour obtenir l’avènement du règne de Jésus-Christ dans le monde”. Parmi ses intentions, elle donnait une place de choix aux prêtres, à leur sainteté, à leur fidélité.

Au service de cette spiritualité exigeante, Marie de Jésus institua une vie religieuse simple et austère, rythmée par le grand office, pénétrée par l’adoration, et où la vie consacrée était véritable don de soi pour que l’amour du Christ soit connu et honoré. Elle a écrit un jour: “Mon cœur est plein de ces grandes choses qui sont l’oblation, l’immolation, la communion . . . O Dieu, si le sacrifice de ma vie misérable peut servir à propager ce secret d’amour, prenez-la . . .”.  Quand la vie lui fut enlevée dans la violence, elle était prête à s’offrir avec le Christ.

Marie de Jésus contemplait la Mère du Sauveur, au pied de la Croix et présente au cœur de l’Eglise naissante. La Vierge Mère était son vrai modèle. Avec Marie, la fondatrice des Filles du Cœur de Jésus prie et veille pour que les disciples du Fils de Dieu ne cessent d’annoncer au monde les merveilles de son amour.

Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione in lingua italiana

6. “Ecco, io vengo a fare la tua volontà” (Eb 10, 9). Queste parole attribuite a Cristo dalla lettera agli Ebrei mostrano bene che cosa Marie Deluil-Martiny fu chiamata a compiere lungo tutta la sua vita. Molto presto ella fu mossa a compassione delle “ferite fatte all’amore di Gesù” e dal rifiuto di Dio troppo frequente nella società. Nello stesso tempo, ella scopriva la grandezza del dono fatto da Gesù al Padre per salvare gli uomini, la ricchezza d’amore che irradia dal suo Cuore, la fecondità del sangue e dell’acqua che sgorgano dal suo fianco aperto. Ella si convinse che occorreva partecipare alla sofferenza redentrice del Crocifisso, in spirito di riparazione per i peccati del mondo. Maria di Gesù si offrì lei stessa al Signore, attraverso le prove e una costante purificazione. Poteva dire con verità: “Ho per Gesù una grande passione . . . La sua vita in me; la mia vita in Lui” (1884).

Presto Maria riuscì a far partecipi quanti aveva vicino del suo desiderio di vivere l’oblazione del Salvatore, in un’ardente partecipazione al sacrificio della Messa. Quando fondò le figlie del Cuore di Gesù, ella pose al centro della vita religiosa l’adorazione eucaristica. Comprendendo in profondità il sacrificio di Cristo, ella desiderava unirsi senza sosta all’offerta del sangue di Cristo alla Santissima Trinità. Con una giusta comprensione dell’Eucaristia, ella inseriva tra gli orientamenti dell’istituto sia “una continua azione di grazie” al Cuore di Gesù per i suoi benefici e la sua misericordia, sia “continue suppliche per ottenere l’avvento del regno di Gesù Cristo nel mondo”. Tra le sue intenzioni di preghiera, un posto di rilievo avevano i sacerdoti, la loro santità e la loro fedeltà.

Al servizio di questa esigente spiritualità, Maria di Gesù istituì una vita religiosa semplice e austera, ritmata dall’ufficio solenne, penetrata dall’adorazione, e in cui la vita consacrata fosse un autentico dono di sé perché l’amore di Cristo sia conosciuto e stimato. Scrisse un giorno: “Il mio cuore è pieno di grandi cose: l’oblazione, l’immolazione, la comunione . . . O Dio, se il sacrificio della mia miserabile vita può servire a propagare questo amore segreto, prendetela . . .” (Journal, die 23 oct. 1874). Quando le venne tolta la vita, ella era pronta a offrirsi con Cristo.

Maria di Gesù contemplava la Madre del Salvatore, ai piedi della Croce e presente in mezzo alla Chiesa nascente. La Vergine Madre era il suo vero modello. Con Maria, la fondatrice delle figlie del Cuore di Gesù prega e veglia perché i discepoli del Figlio di Dio non cessino di annunciare al mondo le meraviglie del suo amore.

7. “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

Rispondono oggi i martiri; in essi la Parola di Dio è viva ed efficace, capace di scrutare i desideri e i pensieri del cuore.

Rispondono i confessori e predicatori della fede. Rispondono le anime consacrate alla adorazione ed alla riparazione.

Rispondono Filippo - Agnese - Lucia e le loro quattro compagne. Rispondono Timoteo e Maria di Gesù.

Rispondono con la testimonianza della propria vita e morte. Potente è, come la morte, l’amore! Da questo amore germina la Parola di Dio: efficace e vivificante.

Nei martiri, nei confessori, nelle vergini, di generazione in generazione, si riconferma e rinnova la consapevolezza di Paolo: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!”.

Vieni Signore Gesù!