Nicola da Longobardi

Nicola da Longobardi

(1650-1709)

Beatificazione:

- 17 settembre 1786

- Papa  Pio VI

Canonizzazione:

- 23 novembre 2014

- Papa  Francesco

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 2 febbraio

Oblato professo dell’Ordine dei Minimi, svolse umilmente e santamente l’ufficio di portinaio

  • Biografia
  • Omelia
  • Lettera Apostolica
Esercitò le mansioni più umili: sacrestano, ortolano, dispensiere, cuoco, questuante, portinaio

 

 

VITA  E  OPERE

 

 

Nicola da Longobardi, al secolo Giovanni Battista Clemente Saggio, nacque il 6 gennaio 1650 a Longobardi, piccolo centro della costa tirrenica cosentina, allora in diocesi di Tropea, ora di Cosenza-Bisignano, dai coniugi Fulvio Saggio, contadino, e Aurelia Pizzini, filatrice. Dopo di lui nasce­ranno, nell’ordine: Domenica e Antonio gemelli, Muzio e Nicola.

Governava la Chiesa il Pontefice Innocenzo X (Pamphili), che aprì, proprio nel 1650 l’Anno Santo.

Il 10 gennaio 1650 venne battezzato coi nomi di Giovanni Battista Clemente, che poi, al momento della professione religiosa, mutò in quello di Nicola.

Gli atti dei processi canonici per la beatificazione di Fra Nicola ci dicono che, pur dimostrando fin dalla tenera età una non comune inclinazione allo studio, le ristrettezze economiche della famiglia non gli permisero di frequentare alcuna scuola. Apprese però le nozioni fondamentali ed imparò, in Religione, a scrivere il suo nome e cognome. Ma, se crebbe privo di scienza umana, fu ricolmo ben presto di scienza superna, che fece stupire i dotti di questo mondo. I genitori lo educarono alla virtù più con gli esempi che con le parole e il bambino, ben presto, imparò la difficile arte della mor­tificazione, non tanto come adeguamento alla vita povera della famiglia quanto come mezzo insostituibile di ascesi, studiandosi, con l’aiuto della grazia, di sintonizzare le esigenze del corpo con quelle dello spirito e preoccupandosi di fare vuoto nel suo cuore per dare posto a Dio solo. Ogni settimana si confessava dai Padri Minimi di San Francesco di Paola del convento di Longobardi; si comunicava nelle feste principali dell’anno; partecipava alla Messa ogni giorno. Teneva quasi sempre la corona tra le mani e spesso, nei brevi intervalli del lavoro nei campi, lo si vedeva appartarsi sotto qualche albero per far scorrere tra le dita la corona del rosario e contemplarne i misteri. Di indole amabile e gentile, di cuore generoso, si accattivava l’animo di chiunque l’avvicinasse.

Si istruì nelle verità della fede e il 3 maggio 1668 gli venne amministrata la Cresima.

Nello stesso periodo si aggregò all’Ordine dei Minimi come terziario, presso la chiesa del locale convento dell’Assunta, detto più comunemente di San Francesco di Paola. Ne frequentava le celebra­zioni e ne attinse la spiritualità.

Fino a 20 anni circa, lavorò nei campi con il padre. Edificava tutti con la sua vita cristiana, piena di evangelica pietà e carità verso parenti, concittadini e compagni di lavoro.

Nel 1670 Giovanni Battista, per devozione verso San Francesco di Paola e soprattutto per seguire la sua vocazione, espresse il desiderio di entrare tra i Minimi. I genitori, preoccupati per le con­se­guenze che la sua partenza avrebbe provocato sul bilancio familiare, da subito si mostrarono contrari. Il giovane, dopo l’enne­simo diniego, divenne cieco. Dinanzi a quell’inequivocabile messaggio, ai coniugi non rimase altro che dare il proprio consenso. Solo allora Giovanni Battista riacquistò la vista e gli fu possibile entrare nel proto-convento di Paola, in qualità di religioso oblato, nell’Ordine dei Minimi. Al religioso oblato incombevano gli uffici più umili nella comunità.

Il 28 settembre 1670 cominciò l’anno di noviziato, affidato alla guida del maestro P. Giovanni Paletta. Il 29 settembre 1671 pronunciò i quattro voti dei Minimi: castità, povertà, obbedienza e vita quaresimale, più la promessa solenne, equiparata a voto, di fedeltà all’Ordine. Da questo momento Giovanni Battista verrà chiamato Fra Nicola.

Nell’autunno del 1671 fu inviato, e vi dimorò per due anni circa, nel convento di Longobardi. Svolse gli uffici di sacrestano, ortolano, dispensiere, cuoco, questuante. Queste e altre mansioni vennero da lui fedelmente svolte in diversi conventi negli anni successivi: a San Marco Argentano, Montalto Uffugo, Cosenza, Spez­zano della Sila.

Dall’autunno 1677 alla primavera del 1679, venne richia­mato a Paola-Santuario dal provinciale, che lo scelse per suo compagno o segretario nelle visite ai conventi della provincia religiosa di San Francesco.

Dal maggio 1679 ad ottobre 1682, inviato a Roma, su richiesta del Superiore Generale, fu assegnato alla comunità del convento di San Francesco di Paola ai Monti, come compagno dell’anziano parroco locale.

Dopo la morte di quest’ultimo, Fra Nicola continuò nelle stesse mansioni col nuovo parroco. Anzi era anche in grado di impartire lezioni di catechismo, tanto che le mamme della par­rocchia ed anche delle altre, con i dovuti permessi, gareggiavano a mandare i propri figli ad apprendere le verità della fede dal fraticello dei Minimi.

Nel 1683 da Roma si recò pellegrino al Santuario di Loreto, per esprimere la sua pietà mariana alla Vergine lauretana e per inter­cedere in favore della liberazione di Vienna e dell’Europa cristiana dall’assedio dei Turchi. Da Loreto, dove andò “buono”, il Beato, nel giudizio di tutti i suoi confratelli, ritornò “santo”. Si affidava alla direzione spirituale di P. Giovanni Battista da Spezzano Piccolo.

Il triennio 1687-1689 per il Beato fu un periodo di frequenti esperienze mistiche, come le estasi, specialmente nel contem­plare il mistero della Santissima Trinità.

Nell’ottobre 1692, venne rinviato al proto-convento di Paola, col beneplacito del Pontefice Innocenzo XII (Pignatelli). Partì col Provinciale neo-eletto; vi dimorò due anni, occupato, nel primo, come secondo sacrestano, e nell’altro come portinaio e per le pulizie del chiostro. Fu un biennio di particolare “purificazione passiva”.

Dall’autunno 1694 a quello del 1696 venne inviato a Longo­bardi per curare l’ampliamento e il restauro della chiesa e del convento dei Minimi.

Nel 1697 Fra Nicola ricevette da Casa Colonna, per volontà testamentaria della principessa Donna Luisa de la Cerda, il corpo di Santa Innocenza V. e M., per la chiesa restaurata in Longo­bardi. Il 10 settembre vi si recò, via-mare, partendo da Fiumi­cino, e vi si trattenne pochi mesi per dargli degna collocazione in idonea decorazione artistica.

Morta Donna Luisa de la Cerda, Don Filippo Colonna passò a seconde nozze con Donna Olimpia Panfili, persona di grande spirito, di intelligenza non comune e di grande pietà. La Principessa Panfili ebbe un figlio, il principino Lorenzo, e volle che fosse tenuto al fonte battesimale da Fra Nicola. Il Battesimo, che doveva celebrarsi nella Parrocchia dei Santi Apostoli, nella cui circoscrizione era la Casa Colonna, per espresso desiderio della principessa, si tenne alla parrocchia di San Francesco di Paola, nel quartiere Monti a Roma. Per gratitudine al Beato Nicola, la Panfili volle rinnovare, abbellire e rivestire di marmo la cappella di San Francesco di Paola, ai Monti.

Il Beato, nel 1698, riprese in Roma l’ufficio di sacrestano, insieme con altre incombenze della casa, del giardino e dell’oro­logio della torre campanaria. Morì il suo primo direttore spirituale e si affidò successivamente alla guida di altri esemplari religiosi della stessa comunità.

Nel frattempo fu nuovamente addetto alla portineria e conser­vava la cura della cappella del Santo Padre e Fondatore, titolare della chiesa regionale dei Calabresi in Roma; due volte l’anno effettuava la questua della cera per le solenni Quarantore e per la festa del Santo.

Agli uffici di comunità aggiunse l’assistenza ai poveri, le visite agli infermi e la pratica della cosiddetta “visita alle Sette Chiese di Roma”. Frequenti furono le sue esperienze mistiche. I processi canonici parlano di varie esperienze del Beato, come quella in cui si vide porgere da Gesù l’anello dei mistici sponsali, e la “transverbe­razione” da parte di un angelo, con dardo infuocato.

Nel gennaio del 1709 Fra Nicola fece la sua offerta vittimale per la Chiesa e perché fosse evitato un nuovo “sacco” di Roma. Infatti si temeva da un momento all’altro un disastroso nuovo sac­cheggio della Capitale. Il Papa Clemente XI (Albani) cercò di impe­gnare tutte le risorse pastorali, spirituali e morali, per scongiurare il disastro. In particolare il Santo Padre aveva ordinato che fosse trasferita l’immagine del SS. Salvatore del “Sancta Sanctorum” del Laterano in varie chiese, anche nella Basilica Vaticana, e aveva disposto che tutti i religiosi vi si recassero successivamente in devoto pellegrinaggio. Ai religiosi Minimi fu assegnato il turno di preghiera per mezzanotte. Vi andò anche Fra Nicola, che si trattenne immobile e genuflesso per tutta la notte. Faceva un freddo rigidissimo per la neve caduta abbondantemente, tanto che a Fra Nicola procurò l’infiammazione polmonare e la pleurite, della quale negli anni precedenti già otto volte aveva sofferto, ma l’aveva sempre superata. Questa volta lo scoppio dell’infermità lo obbligò a letto. Comincian­dosi a spargere la notizia della sua infermità, molti si recarono a visitarlo, con manifestazioni di riconosci­mento e apprezzamento della sua santità e nobiltà di cuore, e gli inviarono i loro medici, nella speranza di vederlo guarito. Fra gli altri i principi Filippo Colonna, Augusto Chigi, Giuseppe Mattei Orsini, il Rospigliosi e il marchese Naro, ma più assiduo di tutti nel visitarlo fu il principe Marcantonio Borghese. Il Beato accoglieva tutti con grande cordialità e umiltà e dimostrava invitta pazienza nei patimenti, ferma speranza nella misericordia di Dio, conformità al suo volere. Il mattino del 2 febbraio 1709 Fra Nicola si confessò con straordinaria compunzione e dolore. Ricevette l’Eucaristia e l’Unzione degli infermi. Gli fu poi recata l’ambasciata del Santo Padre che pregasse per lui e si ricordasse, in paradiso, dei bisogni della Santa Chiesa. Dopo mezzanotte, quando era ormai il 3 febbraio, l’Oblato Minimo, prese il Crocifisso, lo accostò alle labbra, ne baciò i piedi e stringendolo al petto: “Paradiso! Paradiso!”, esclamò, addormentandosi nel Signore. Compiva 59 anni.

 

 

"ITER" DELLA CAUSA

 

 

a) In vista della beatificazione

 

La sua fama di santità, già diffusa in vita, si estese ancor più rapidamente dopo la morte, beneficando anche dell’incremento dei favori celesti in seguito all’invocazione privata del suo patrocinio.

Tale fama mosse i Superiori dell’Ordine dei Minimi a chiederne ufficialmente l’introduzione della Causa di beatificazione nel 1716. Questa ebbe i suoi regolari processi canonici, ordinari ed apostolici, che si svolsero nelle diocesi di Roma, Cosenza e Tropea dal 1720 al 1786.

Il Decreto sull’eroicità delle virtù è del 17 marzo 1771.

Il Decreto sul riconoscimento di due miracoli è del 2 aprile 1786.

La beatificazione avvenne il 17 settembre 1786, da parte del Sommo Pontefice Pio VI, nella Basilica Vaticana.

 

b) In vista della canonizzazione

 

Per procedere alla canonizzazione, la Postulazione ha pre­sentato alla Congregazione delle Cause dei Santi un evento straor­dinario accaduto nel 1938 a favore di un giovane muratore di Longobardi, caduto da un’impalcatura molto alta e illeso per l’invo­cazione al Beato, suo concittadino.

Presso la Curia ecclesiastica di Cosenza-Bisignano si è svolta l’Inchiesta Diocesana dal 24 maggio 2008 al 15 giugno 2009.

Il 13 dicembre 2012 si è riunita la Consulta Medica del Dicastero che ha ritenuto all’unanimità il caso scientificamente inspiegabile.

Il 28 novembre 2013 ha avuto luogo il Congresso peculiare dei Consultori Teologi.

La valutazione è passata all’esame della Sessione Ordinaria degli Em.mi ed Ecc.mi Prelati del Dicastero, che si è tenuta posi­tivamente il 4 marzo 2014.

In seguito, il Santo Padre Francesco ha autorizzato la Con­gregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decretum super Miraculo attribuito all’intercessione del Beato.

CERIMONIA DI CANONIZZAZIONE DEI BEATI:
 - GIOVANNI ANTONIO FARINA 
- KURIAKOSE ELIAS CHAVARA DELLA SACRA FAMIGLIA 
- LUDOVICO DA CASORIA 
- NICOLA DA LONGOBARDI 
- EUFRASIA ELUVATHINGAL DEL SACRO CUORE
- AMATO RONCONI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'Universo
Piazza San Pietro 
Domenica, 23 novembre 2014

 

La liturgia oggi ci invita a fissare lo sguardo su Gesù come Re dell’Universo. La bella preghiera del Prefazio ci ricorda che il suo regno è «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Le Letture che abbiamo ascoltato ci mostrano come Gesù ha realizzato il suo regno; come lo realizza nel divenire della storia; e che cosa chiede a noi.

Anzitutto, come Gesù ha realizzato il regno: lo ha fatto con la vicinanza e la tenerezza verso di noi. Egli è il Pastore, di cui ci ha parlato il profeta Ezechiele nella prima Lettura (cfr 34,11-12.15-17). Tutto questo brano è intessuto di verbi che indicano la premura e l’amore del Pastore verso il suo gregge: cercare, passare in rassegna, radunare dalla dispersione, condurre al pascolo, far riposare, cercare la pecora perduta, ricondurre quella smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, avere cura, pascere. Tutti questi atteggiamenti sono diventati realtà in Gesù Cristo: Lui è davvero il “Pastore grande delle pecore e custode delle nostre anime” (cfr Eb 13,20; 1Pt 2,25).

E quanti nella Chiesa siamo chiamati ad essere pastori, non possiamo discostarci da questo modello, se non vogliamo diventare dei mercenari. A questo riguardo, il popolo di Dio possiede un fiuto infallibile nel riconoscere i buoni pastori e distinguerli dai mercenari.

Dopo la sua vittoria, cioè dopo la sua Risurrezione, come Gesù porta avanti il suo regno? L’apostolo Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, dice: «E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (15,25). E’ il Padre che a poco a poco sottomette tutto al Figlio, e al tempo stesso il Figlio sottomette tutto al Padre. Gesù non è un re alla maniera di questo mondo: per Lui regnare non è comandare, ma obbedire al Padre, consegnarsi a Lui, perché si compia il suo disegno d’amore e di salvezza. Così c’è piena reciprocità tra il Padre e il Figlio. Dunque il tempo del regno di Cristo è il lungo tempo della sottomissione di tutto al Figlio e della consegna di tutto al Padre. «L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (1 Cor 15,26). E alla fine, quando tutto sarà stato posto sotto la regalità di Gesù, e tutto, anche Gesù stesso, sarà stato sottomesso al Padre, Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28).

Il Vangelo ci dice che cosa il regno di Gesù chiede a noi: ci ricorda che la vicinanza e la tenerezza sono la regola di vita anche per noi, e su questo saremo giudicati. E’ la grande parabola del giudizio finale di Matteo 25. Il Re dice: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (25,34-36). I giusti domanderanno: quando mai abbiamo fatto tutto questo? Ed Egli risponderà: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

La salvezza non comincia dalla confessione della regalità di Cristo, ma dall’imitazione delle opere di misericordia mediante le quali Lui ha realizzato il Regno. Chi le compie dimostra di avere accolto la regalità di Gesù, perché ha fatto spazio nel suo cuore alla carità di Dio. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore, sulla prossimità e sulla tenerezza verso i fratelli. Da questo dipenderà il nostro ingresso o meno nel regno di Dio, la nostra collocazione dall’una o dall’altra parte. Gesù, con la sua vittoria, ci ha aperto il suo regno, ma sta a ciascuno di noi entrarvi, già a partire da questa vita, facendoci concretamente prossimo al fratello che chiede pane, vestito, accoglienza, solidarietà. E se veramente ameremo quel fratello o quella sorella, saremo spinti a condividere con lui o con lei ciò che abbiamo di più prezioso, cioè Gesù stesso e il suo Vangelo!

Oggi la Chiesa ci pone dinanzi come modelli i nuovi Santi che, proprio mediante le opere di una generosa dedizione a Dio e ai fratelli, hanno servito, ognuno nel proprio ambito, il regno di Dio e ne sono diventati eredi. Ciascuno di essi ha risposto con straordinaria creatività al comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Si sono dedicati senza risparmio al servizio degli ultimi, assistendo indigenti, ammalati, anziani, pellegrini. La loro predilezione per i piccoli e i poveri era il riflesso e la misura dell’amore incondizionato a Dio. Infatti, hanno cercato e scoperto la carità nella relazione forte e personale con Dio, dalla quale si sprigiona il vero amore per il prossimo. Perciò, nell’ora del giudizio, hanno udito questo dolce invito: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25,34).

Con il rito di canonizzazione, ancora una volta abbiamo confessato il mistero del regno di Dio e onorato Cristo Re, Pastore pieno d’amore per il suo gregge. Che i nuovi Santi, col loro esempio e la loro intercessione, facciano crescere in noi la gioia di camminare nella via del Vangelo, la decisione di assumerlo come la bussola della nostra vita. Seguiamo le loro orme, imitiamo la loro fede e la loro carità, perché anche la nostra speranza si rivesta di immortalità. Non lasciamoci distrarre da altri interessi terreni e passeggeri. E ci guidi nel cammino verso il regno dei Cieli la Madre, Maria, Regina di tutti i Santi. Amen.

La liturgia oggi ci invita a fissare lo sguardo su Gesù come Re dell’Universo. La bella preghiera del Prefazio ci ricorda che il suo regno è «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Le Letture che abbiamo ascoltato ci mostrano come Gesù ha realizzato il suo regno; come lo realizza nel divenire della storia; e che cosa chiede a noi.

Anzitutto, come Gesù ha realizzato il regno: lo ha fatto con la vicinanza e la tenerezza verso di noi. Egli è il Pastore, di cui ci ha parlato il profeta Ezechiele nella prima Lettura (cfr 34,11-12.15-17). Tutto questo brano è intessuto di verbi che indicano la premura e l’amore del Pastore verso il suo gregge: cercare, passare in rassegna, radunare dalla dispersione, condurre al pascolo, far riposare, cercare la pecora perduta, ricondurre quella smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, avere cura, pascere. Tutti questi atteggiamenti sono diventati realtà in Gesù Cristo: Lui è davvero il “Pastore grande delle pecore e custode delle nostre anime” (cfr Eb 13,20; 1Pt 2,25).

E quanti nella Chiesa siamo chiamati ad essere pastori, non possiamo discostarci da questo modello, se non vogliamo diventare dei mercenari. A questo riguardo, il popolo di Dio possiede un fiuto infallibile nel riconoscere i buoni pastori e distinguerli dai mercenari.

Dopo la sua vittoria, cioè dopo la sua Risurrezione, come Gesù porta avanti il suo regno? L’apostolo Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, dice: «E’ necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (15,25). E’ il Padre che a poco a poco sottomette tutto al Figlio, e contemporaneamente il Figlio sottomette tutto al Padre, e alla fine anche sé stesso. Gesù non è un re alla maniera di questo mondo: per Lui regnare non è comandare, ma obbedire al Padre, consegnarsi a Lui, perché si compia il suo disegno d’amore e di salvezza. Così c’è piena reciprocità tra il Padre e il Figlio. Dunque il tempo del regno di Cristo è il lungo tempo della sottomissione di tutto al Figlio e della consegna di tutto al Padre. «L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (1 Cor 15,26). E alla fine, quando tutto sarà stato posto sotto la regalità di Gesù, e tutto, anche Gesù stesso, sarà stato sottomesso al Padre, Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28).

Il Vangelo ci dice che cosa il regno di Gesù chiede a noi: ci ricorda che la vicinanza e la tenerezza sono la regola di vita anche per noi, e su questo saremo giudicati. Questo sarà il protocollo del nostro giudizio. E’ la grande parabola del giudizio finale di Matteo 25. Il Re dice: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (25,34-36). I giusti domanderanno: quando mai abbiamo fatto tutto questo? Ed Egli risponderà: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

La salvezza non comincia dalla confessione della regalità di Cristo, ma dall’imitazione delle opere di misericordia mediante le quali Lui ha realizzato il Regno. Chi le compie dimostra di avere accolto la regalità di Gesù, perché ha fatto spazio nel suo cuore alla carità di Dio. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore, sulla prossimità e sulla tenerezza verso i fratelli. Da questo dipenderà il nostro ingresso o meno nel regno di Dio, la nostra collocazione dall’una o dall’altra parte. Gesù, con la sua vittoria, ci ha aperto il suo regno, ma sta a ciascuno di noi entrarvi, già a partire da questa vita – il Regno incomincia adesso – facendoci concretamente prossimo al fratello che chiede pane, vestito, accoglienza, solidarietà, catechesi. E se veramente ameremo quel fratello o quella sorella, saremo spinti a condividere con lui o con lei ciò che abbiamo di più prezioso, cioè Gesù stesso e il suo Vangelo!

Oggi la Chiesa ci pone dinanzi come modelli i nuovi Santi che, proprio mediante le opere di una generosa dedizione a Dio e ai fratelli, hanno servito, ognuno nel proprio ambito, il regno di Dio e ne sono diventati eredi. Ciascuno di essi ha risposto con straordinaria creatività al comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Si sono dedicati senza risparmio al servizio degli ultimi, assistendo indigenti, ammalati, anziani, pellegrini. La loro predilezione per i piccoli e i poveri era il riflesso e la misura dell’amore incondizionato a Dio. Infatti, hanno cercato e scoperto la carità nella relazione forte e personale con Dio, dalla quale si sprigiona il vero amore per il prossimo. Perciò, nell’ora del giudizio, hanno udito questo dolce invito: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25,34).

Con il rito di canonizzazione, ancora una volta abbiamo confessato il mistero del regno di Dio e onorato Cristo Re, Pastore pieno d’amore per il suo gregge. Che i nuovi Santi, col loro esempio e la loro intercessione, facciano crescere in noi la gioia di camminare nella via del Vangelo, la decisione di assumerlo come la bussola della nostra vita. Seguiamo le loro orme, imitiamo la loro fede e la loro carità, perché anche la nostra speranza si rivesta di immortalità. Non lasciamoci distrarre da altri interessi terreni e passeggeri. E ci guidi nel cammino verso il regno dei Cieli la Madre, Maria, Regina di tutti i Santi.

 

LITTERAE APOSTOLICAE

de peracta beatificatione

 

PIUS  pp. VI

ad perpetuam rei memoriam

 

Benedictus Dominus pater misericordiarum, et Deus totius consolationis, qui inter assiduos tribulationum, et calamitatum fluctus, quibus hisce luctuosis temporibus pro peccatis nostris affli­gimur, multiplici spirituali gaudio Nos diebus istis consolari dignatus est. Vere enim magna extitit spiritualis laetitiae ratio, cum Deus illu­strium servorum suorum victorias manifestat, qui telis quidem secularibus spoliati, sed divina virtute armati adversus blandientis mundi insidias, vel frementis infernalis hostis impetus, vel munda­norum turbinum minas, spe vivida, mente incorrupta, con­stanti fide, charitate ferventi fortes, et stabiles in acie perstiterunt, et bonum certamen, certamen fidei, certamen spiritale, praelium Christi ita de­cer­tarunt, ut gloriosum cursum consumarint, atque immarcescibilem coronam de manu Dei promeruerint.

Quamobrem cum magna superni numinis benignitate factum sit, ut in Brevi dierum curriculo beatorum honores, et cultum quinque Dei servis decernere Nobis ex alto concessum sit, Nos laetari, et in Domino merito gloriari oportet, quod Deus omnipotens per humili­tatis Nostrae ministerium hos famulos suos, ut in domo sua collu­ceant, in candelabro collocari voluerit. Congaudeat etiam nobiscum haec Nostra Ecclesia fidei, ac morum magistra, ac ecclesiarum mater, in qua renovans Dominus multarum excellentium virtutum exempla hac ipsa aetate in ornamentum totius catholicae Ecclesiae exaltavit vere humilem Dei servum Nicolaum a Longobardis oblatum professum fratrum ordinis s. Francisci de Paula minimorum nuncu­patorum quem neque doctrina clarum, neque ex literis humano studio comparatis praestantem, sed prorsus idiotam delegit, quo nimirum ostenderet abundantes divitias gratiae suae, et cuius admirabili vitae sanctitate, atque exemplo multos quidem ad vitam salutis perduceret, mundus vero, suique sectatores magis magisque coarguerentur. Siquidem postquam ipse in simplicitate cordis, et in sinceritate Dei primae suae aetatis, ac adolescentiae tempus in humili, et agresti domo paterna degerat, divino spiritu ductus ad religionis portum confugit, eamque ingressus coepit omni contentione corporis, et spiritus divina suffragante gratia digne ambulare in vocatione, qua vocatus fuerat. Nam carnem suam diris flagellis, et ieiuniis castigans omnia terrena desideria mortificare studuit: quare pacatis passioni­bus, et concupiscentiis illum captivantibus in lege peccati, ac sibi ipsi perfecte mortuus, tanta coelestium rerum contemplatione, ac suavissimo Dei colloquio fruebatur, ut licet plane rudis, et literarum omnino ignarus mirum in modum tamen de rebus divinis loqueretur, atque incomprehensibiles earum sensus proferret; dum vero sacro­sanctae Triadis mysterium recogitabat, aut illud ab aliis vel verbo, vel signis ei repraesentabatur, a sensibus alienatus ad tam sublimis mysterii contemplationem illico raperetur; atque a Deo tantis erat praeventus supernae dulcedinis benedictionibus, ut etiam tum quando demandatis sibi muneribus fungebatur, ab coelestis patriae gaudiis haud umquam recederet. Quamobrem illud, quod de seipso dicebat apostolus, ad eum transferre quodammodo posse videtur, vivo iam non ego, sed vivit in me Christus.

Cum itaque mature, diligenterque discussis, atque perpensis per congregationem venerabilium fratrum Nostrorum Sanctae Romanae Ecclesiae cardinalium sacris ritibus praepositorum processibus de apostolicae Sedis licentia confectis super vitae sanctitate, et virtuti­bus, tam theologicis, quam moralibus in gradu heroico, quibus eumdem servum Dei Nicolaum multipliciter claruisse, nec non miraculis, quae ad eius intercessionem, et ad manifestandam homini­bus ipsius sanctitatem a Deo patrata fuisse asserebantur, eadem congregatio coram Nobis constituta, auditis etiam consultorum suffragiis, uno spiritu, unaque voce censuerit posse, quandocumque Nobis videretur, praedictum Dei servum beatum declarari cum consuetis indultis.

Hinc est, quod Nos totius antedicti ordinis fratrum s. Francisci de Paula minimorum nuncupatorum supplicationibus Nobis super hoc humiliter porrectis inclinati, de supradictae congregationis con­cilio, et assensu, auctoritate apostolica tenore praesentium indul­gemus, ut idem Dei servus Nicolaus a Longobardis in posterum beati nomine nuncupetur, eiusque corpus, et reliquiae venerationi fidelium (non tamen in processionibus circumferendae) exponantur; imagines quoque radiis, seu splendoribus exornentur, ac de eo quotannis die ab ordinario, et ordinis praedicti praesulibus, ad quos spectat, desi­gnando, recitetur officium, et missa de communi Confessoris non Pontificis cum orationibus propriis a Nobis approbatis iuxta rubricas breviarii, ac missalis Romani.

Porro recitationem officii, et missae celebrationem huiusmodi fieri concedimus in toto ordine fratrum sancti Francisci de Paula minimorum nuncupatorum, ac in civitate, et dioecesi Tropiensi, in qua terra de Longobardis est sita, ubi dictus servus Dei natus est, ac in dioecesi Cosentina, in qua pariter diu commoratus est, ab omnibus utriusque. sexus Christifidelibus tam secularibus, quam regularibus, qui ad horas canonicas tenentur, et quantum ad missas attinet, etiam ab omnibus sacerdotibus ad ecclesias, in quibus festum peragetur, confluentibus. Praeterea primo dumtaxat anno a datis hisce literis, et quoad Indias a die, quo eaedem literae illuc pervenerint, inchoando in ecclesiis ordinis, civitatum, et dioecesum praedictarum solemnia beatificationis ipsius servi Dei cum officio, et missa sub ritu duplici maiori die ab ordinario respective constituta, postquam in basilica Nostra sancti Petri in Vaticano de urbe celebrata fuerint eadem solemnia die decima septima currentis septembris, pariter celebrandi facimus potestatem.

Non obstantibus constitutionibus, et ordinationibus apostolicis, ac decretis de non cultu editis, caeterisque contrariis quibuscumque. Volumus autem, ut earumdem Nostrarum literarum transumptis, seu exemplis etiam impressis manu secretarii dictae congregationis cardinalium subscriptis, et sigillo praefecti dictae congregationis mu­nitis eadem prorsus fides ab omnibus adhibeatur, quae adhiberetur ipsis praesentibus, si forent exhibitae, vel ostensae.

Datum Romae apud s. Mariam Maiorem sub anulo Piscatoris die XII septembris MDCCLXXXVI, Pontificatus Nostri anno duodecimo.

 

 

De mandato Summi Pontificis

B. Mariscottus Pro-Secretarius

 

Loco + Sigilli

Bullarium Romanum, pp. 3126-7