Nikolaus Gross

Nikolaus Gross

(1898-1945)

Beatificazione:

- 07 ottobre 2001

- Papa  Giovanni Paolo II

Ricorrenza:

- 15 gennaio

Padre di famiglia e martire: attivamente impegnato nell’ambito sociale, per non operare contro i comandamenti di Dio si oppose con ogni mezzo a un empio regime avverso all’umana dignità e alla fede; per questo fu gettato in carcere e, attraverso il supplizio dell’impiccagione, divenne partecipe della vittoria di Cristo

  • Biografia
  • omelia di beatificazione
"Come lavoratori cattolici rifiutiamo il nazionalsocialismo non solo per motivi politici ed economici, ma in particolare anche per il nostro atteggiamento religioso e culturale in modo chiaro e deciso"

 

Nikolaus Gross, un uomo come noi per estrazione e posizione sociale, nato il 30 settembre 1898, figlio di un fabbro di miniera a Niederweningern — vicino alla città di Essen — frequentò dal 1905 al 1912 la scuola elementare cattolica locale. Dapprima lavorò in un laminatoio e poi come manovale, quindi come minatore in una miniera di carbone dove per cinque anni svolse il suo lavoro in galleria.

Nel poco tempo libero cercò di migliorare la sua istruzione. Nel 1917 entrò a far parte del Gewerkverein christlicher Bergarbeiter, l'associazione sindacale dei minatori cristiani, nel 1918 nel partito Zentrumspartei e nel 1919 divenne membro dell'Antonius Knappenverein (KAB) di Niederwenigern. Già a 22 anni divenne segretario della sezione giovanile dell'associazione sindacale Christliche Bergarbeitergewerkschaft, solo un anno più tardi aiuto redattore della rivista Bergknappe. La sua ulteriore attività sindacale lo portò a Waldenburg in Slesia e, con una tappa intermedia a Zwickau, di nuovo nella Ruhr a Bottrop.

Nel frattempo aveva sposato Elisabeth Koch di Niederwenigern che nel corso di un felice matrimonio gli donò sette figli. Amava la sua famiglia più di ogni cosa e fu un padre esemplare, caratterizzato da un profondo senso di responsabilità nell'istruzione e nell'educazione alla fede. La serietà, con cui svolgeva questo compito la apprendiamo proprio dalla sua penna. Infatti scrisse nella sua breve pubblicazione Sieben um einen Tisch (A tavola in sette): «La mia profonda e continua preoccupazione riguarda i sette che devono diventare delle persone capaci, sincere e forti nella fede». Ma pur con tutto il suo amore per la famiglia non cerca rifugio nell'idillio familiare. Rimane attento ai problemi sociali, proprio per il senso di responsabilità verso la famiglia. Il lavoro e gli impegni sociali sono per lui il luogo nel quale realizza il suo impegno cristiano. Nella sua pubblicazione di dottrina religiosa nel 1943 scrive: «La maggior parte delle grandi prestazioni nasce dall'adempimento giornaliero del dovere nelle piccole cose quotidiane. E nel far questo il nostro amore va sempre ai poveri e agli ammalati in modo speciale».

All'inizio del 1927 diventa aiuto redattore presso la Westdeutsche Arbeiterzeitung, l'organo del KAB, di cui viene promosso ben presto capo redattore. Qui può offrire orientamento agli operai cattolici in molte questioni che riguardano la società ed il mondo del lavoro, con questo diventa sempre più chiaro che per lui le sfide politiche contengono un aspetto morale e che i compiti sociali non si possono risolvere senza sforzi spirituali. Il redattore diventa un apostolo della fede di cui dare testimonianza anche nella stampa. Quando con questa funzione si trasferisce nella Ketteler Haus di Colonia, cioè nel 1929, ha già un chiaro giudizio sul nazionalsocialismo che sta nascendo. Partendo dal principio del Vescovo Ketteler che la riforma della situazione sociale si può raggiungere solo con una riforma dell'atteggiamento interiore, ravvisa «immaturità politica» e «carenza di discernimento» nei successi dei nazionalsocialisti nella società. Già allora definisce i nazisti come «nemici mortali dello stato odierno». Come redattore dell'organo del KAB scrive il 14 settembre 1930: «Come lavoratori cattolici rifiutiamo il nazionalsocialismo non solo per motivi politici ed economici, ma in particolare anche per il nostro atteggiamento religioso e culturale in modo chiaro e deciso».

Già alcuni mesi dopo la presa del potere di Hitler nel 1933 il leader del Deutsche Arbeiterfront, Robert Ley, definì la Westdeutsche Arbeiterzeitung del KAB «nemica dello stato». Nel periodo, successivo Groß cercò di salvare il giornale dalla soppressione senza dover fare dei compromessi nel contenuto. Da allora in poi riuscì a scrivere tra le righe in modo che le persone addentro lo capissero. Nel novembre del 1938 il giornale dei lavoratori, nel frattempo ribattezzato Kettelerwacht, venne vietato definitivamente. Groß, che aveva dovuto lottare molto per la sua qualifica, non era un grande oratore, ma parlava in modo persuasivo, caloroso e convincente. Il fatto che Nikolaus Groß si unisse all'opposizione in Germania, derivò dalla sua convinzione nella fede cattolica. Per lui era valido il principio «che si deve obbedire più a Dio che all'uomo. Se ci viene chiesto qualcosa contrario a Dio o alla fede, non solo è nostro dovere morale, ma è anche nostro dovere assoluto rifiutare di obbedire (agli uomini)». Così scriveva Nikolaus Groß nel 1943 riguardo alla dottrina religiosa. Sempre più chiaramente si rendeva conto che questa situazione in Germania si sarebbe raggiunta sotto il regime di Hitler.

Le comuni riflessioni vennero fissate da Groß in due annotazioni, che poi caddero nelle mani della Gestapo: Die großen Aufgaben Ist Deutschland verloren? che contribuirono alla sua condanna.

A partire dal 1940 Groß dovette subire interrogatori e perquisizioni. Dopo che il giornale dell'associazione venne vietato pubblicò una serie di brevi scritti che avevano lo scopo di fortificare nei lavoratori la coscienza nella fede e nei valori etici.

La risposta ai motivi che spingevano uomini come Nikolaus Groß la troviamo nelle memorie del noto padre spirituale di tanti uomini, il prelato Caspar Schulte di Paderborn, che dice: «Nei miei molti colloqui, soprattutto con Nikolaus Groß ed il presidente ecclesiastico dell'associazione Otto Müller, ho imparato a conoscere e ad ammirare la grandezza morale di questi uomini». Non sono andati a morire casualmente. Hanno seguito la loro strada anche pronti ad affrontare una morte dolorosa per il bene della libertà. Il giorno prima dell'attentato dissi a Nikolaus Groß: «Signor Groß, non si dimentichi che ha sette figli. Io non ho la responsabilità di una famiglia. Si tratta della sua vita». E Groß mi diede una risposta degna della sua vera grandezza spirituale: «Se oggi non ci impegniamo con la vita, come vogliamo superare la nostra prova davanti a Dio e al nostro popolo?». Nel 1943 Groß scrisse in una breve pubblicazione quasi una profezia: «Qualche volta sembra che il cuore mi diventi pesante e che il compito divenga insuperabile se misuro l'imperfezione e l'insufficienza umana alla grandezza dell'impegno e al peso della responsabilità. Se una generazione deve pagare la sua breve vita con il prezzo più alto, la morte, cerchiamo inutilmente la risposta in noi stessi. La troviamo solamente in colui che con la sua mano ci protegge nella vita e nella morte. Non sappiamo mai quali problemi ci aspettano per la forza ed il vigore delle nostre anime... Le vie degli uomini si snodano nell'oscurità. Ma anche il buio non è senza luce; la speranza e la fede, che sempre ci precedono, attraverso l'oscurità fanno già presagire l'alba. Se sappiamo che la cosa migliore in noi, l'anima, è immortale, allora sappiamo anche che ci rivedremo». Quale testimonianza di senso del dovere, coscienza della realtà e fiducia nella fede! Segni luminosi per il nostro cammino in un periodo in cui tutti e tre sembrano essere andati perduti. Per Groß la fiducia in Dio era la base che non lo faceva vacillare.

Dopo l'attentato, fallito, del 20 luglio 1944 gli eventi precipitarono. Groß, che non aveva partecipato direttamente alla sua preparazione ed esecuzione, venne arrestato il 12 agosto 1944 verso mezzogiorno a casa sua e portato dapprima nel carcere di Ravensbrück e poi in quello di Tegel a Berlino. La moglie Elisabeth venne due volte a Berlino a trovarlo. Essa riferì di chiari segni di torture alle mani e alle braccia. Le lettere dal carcere di Nikolaus Groß testimoniano in modo convincente che per lui la preghiera continua fosse la fonte di forza nella sua posizione difficile e, alla fine, disperata. Non c'è quasi lettera in cui non si lasci sfuggire l'occasione di chiedere alla moglie e ai figli di pregare continuamente come lui stesso pregava giorno dopo giorno per la sua famiglia.

Nella preghiera si sapeva legato alla famiglia, allo stesso tempo però anche in uno scambio continuo con Dio.

Nelle sue lettere Nikolaus Groß mostra continuamente di credere che il suo destino ed il destino della sua famiglia era nelle manidi Dio.

Il 15 gennaio 1945 venne pronunciata la sentenza di morte da parte del Presidente del tribunale del popolo Roland Freisler. L'osservazione finale nei verbali ed in realtà l'unica motivazione della sentenza: «Nuotava insieme agli altri nella corrente del tradimento e quindi vi deve anche affogare!». I nazisti non facevano dei martiri. All'impiccato non concessero una tomba: per i fautori di menzogne e di odio c'era solo la brutale eliminazione.

La testimonianza della verità e della fede non si può però estinguere, continua a vivere in coloro che ci hanno preceduto, illuminando il nostro cammino. Il cappellano del carcere Buchholz, che da un nascondiglio diede la benedizione al condannato a morte per il suo ultimo breve tragitto, riferì poi: «Groß abbassò il capo in silenzio. Il suo viso sembrava già illuminato dallo splendore dal quale stava per venire accolto».

La sepoltura cristiana gli venne negata dal partito al potere e il suo cadavere venne cremato e le ceneri disperse sui campi gelati.

 CAPPELLA PAPALE PER LA BEATIFICAZIONE DI 7 SERVI DI DIO

OMELIA DEL SANTO PADRE

Domenica, 7 ottobre 2001

 

1. "Il giusto vivrà per la sua fede" (Ab 2, 4): con queste parole piene di fiducia e di speranza il profeta Abacuc si rivolge al popolo d'Israele in un momento particolarmente travagliato della sua storia. Rilette dall'apostolo Paolo alla luce del mistero di Cristo, queste stesse parole sono utilizzate per esprimere un principio universale: è con la fede che l'uomo si apre alla salvezza che gli viene da Dio.

Oggi abbiamo la gioia di contemplare questo grande mistero di salvezza attualizzato nei nuovi Beati. Sono essi i giusti che per la loro fede vivono accanto a Dio in eterno: Ignazio Maloyan, Vescovo e martire; Nikolaus Gross, padre di famiglia e martire; Alfonso Maria Fusco, presbitero; Tommaso Maria Fusco, presbitero; Émilie Tavernier Gamelin, religiosa; Eugenia Picco, vergine; Maria Euthymia Üffing, vergine.

Questi nostri illustri fratelli, ora elevati alla gloria degli altari, hanno saputo tradurre la loro indomita fede in Cristo in una straordinaria esperienza di amore verso Dio e di servizio verso il prossimo.

 

2. Monsignor Ignace Maloyan, morto martire all'età di 46 anni, ci ricorda la battaglia spirituale di ogni cristiano, la cui fede è esposta agli attacchi del male. È nell'Eucaristia che attingeva, giorno dopo giorno, la forza necessaria per compiere con generosità e passione il suo ministero di sacerdote, dedicando alla predicazione, alla pastorale dei sacramenti e al servizio dei più poveri.

Nel corso della sua esistenza visse pienamente le parole di san Paolo:  "Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza" (2 Tm 7). Di fronte ai pericoli della persecuzione, il Beato Ignace non accettò alcun compromesso, dichiarando a quanti facevano pressione su di lui:  "A Dio non piace che io rinneghi Gesù mio Salvatore. Versare il mio sangue a favore della mia fede è il più vivo desiderio del mio cuore!". Che il suo esempio illumini oggi tutti coloro che vogliono essere testimoni del Vangelo, per la gloria di Dio e per la salvezza dei fratelli!

3. Nella sua vita di madre di famiglia e di religiosa fondatrice delle Suore della Provvidenza, Émilie Tavernier Gamelin è stata il modello di un coraggioso abbandono alla Provvidenza. La sua attenzione per le persone e le situazioni la portò a inventare forme nuove di carità. Aveva un cuore aperto a ogni sofferenza, servendo soprattutto i poveri e i piccoli, che desiderava trattare come re.

Ritenendo di aver ricevuto tutto dal Signore, donava senza limiti. Tale era il segreto della sua gioia profonda, persino nelle avversità. In uno spirito di totale fiducia in Dio e con un senso acuto dell'obbedienza, come il "servo" del Vangelo, compì il suo dovere come un comandamento divino, volendo fare in tutto la volontà del Signore. Che la nuova Beata sia un modello di contemplazione e di azione per le Suore del suo Istituto e per le persone che lavorano con loro!

4. Entrambi i nuovi beati tedeschi ci riportano a un momento buio del XX secolo. Rivolgiamo lo sguardo al beato Nikolaus Gross, giornalista e padre di famiglia. Con acume comprese che l'ideologia nazionalsocialista non poteva accordarsi con la fede cristiana. Coraggiosamente prese la penna per difendere la dignità delle persone. Nikolaus Gross amò molto amato sua moglie e i suoi figli. Tuttavia, nemmeno per un momento il vincolo che lo univa alla famiglia fece sì che abbandonasse Cristo e la sua Chiesa. Egli sapeva bene che "Se oggi non impegniamo la nostra vita, come pretenderemo poi di stare al cospetto di Dio e del nostro popolo?".

Per questa sua convinzione fu condotto al patibolo, ma gli si spalancarono le porte del cielo. Nel beato martire Nikolaus Gross si realizza ciò che aveva predetto il profeta:  "Il giusto vivrà per la sua fede" (Ab, 2, 4).

5. Suor Euthymia ha recato una testimonianza di tutt'altro tipo. La suora clementina si è dedicata alla cura dei malati, in particolare dei prigionieri di guerra e degli immigrati. Fu detta anche "mamma Euthymia". Dopo la guerra dovette occuparsi di una lavanderia invece che della cura dei malati. Avrebbe certo preferito servire le persone piuttosto che le macchine. Ciononostante rimase una suora piena di empatia che aveva per tutti un sorriso amichevole e una buona parola. Esprimeva così il suo desiderio:  "Il Signore deve usarmi come un raggio di sole che illumina tutti i giorni". Visse secondo il motto:  qualunque cosa facciamo, siamo sempre solo "servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17, 10). La sua grandezza sta nella fede nelle piccole cose.

6. "Se aveste fede quanto un granellino di senapa...", esclama Gesù conversando con i discepoli (Lc 17,6).

Fu una fede genuina e tenace a guidare la vita e l'opera del beato don Alfonso Maria Fusco, fondatore delle Suore di San Giovanni Battista. Da quando era ragazzo, il Signore gli aveva posto nel cuore il desiderio appassionato di dedicare la vita al servizio dei più poveri, specialmente dei bambini e dei giovani, che incontrava numerosi nella sua città natale di Angri, in Campania. Per questo intraprese il cammino del Sacerdozio e divenne, in un certo senso, "il Don Bosco del Sud".

Fin dall'inizio volle coinvolgere nella sua opera alcune giovani che ne condividevano l'ideale, proponendo loro come motto le parole di san Giovanni Battista: "Parate viam Domini", "Preparate la via del Signore" (Lc 3,4). Confidando nella divina Provvidenza, il beato Alfonso Maria e le Suore Battistine hanno realizzato un'opera ben superiore alle loro stesse aspettative. Da una semplice casa di accoglienza è sorto un Istituto che oggi è presente in sedici Paesi e quattro continenti, accanto ai "piccoli" e agli "ultimi".

7. La singolare vitalità della fede, attestata dal Vangelo odierno, emerge anche nella vita e nell'attività di don Tommaso Maria Fusco, fondatore dell'Istituto delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue. In virtù della fede egli seppe vivere, nel mondo, la realtà del Regno di Dio in modo del tutto speciale. Tra le sue giaculatorie, una ve n'era a lui particolarmente cara: "Credo in te, mio Dio; aumenta la mia fede". E' proprio questa la domanda che gli Apostoli rivolgono a Gesù nel Vangelo di oggi (cfr Lc 17,6). Il beato Tommaso Maria aveva infatti capito che la fede è prima di tutto un dono, una grazia. Nessuno può conquistarla o guadagnarla da solo. Si può soltanto chiederla, implorarla dall'Alto. Perciò, illuminati dal prezioso insegnamento del nuovo Beato, non stanchiamoci mai di invocare il dono della fede, perché "il giusto vivrà per la sua fede" (Ab 1,4).

8. La sintesi vitale tra contemplazione e azione, assimilata a partire dalla quotidiana partecipazione all'Eucaristia, fu il fondamento dell'esperienza spirituale e dello slancio di carità di Eugenia Picco.

Nella sua vita si sforzò sempre di porsi in ascolto della voce del Signore, secondo l'invito dell'odierna liturgia domenicale (cfr Rit. al Sal. Resp.), mai sottraendosi ai servizi che l'amore verso il prossimo le richiedeva. A Parma ella si fece carico delle povertà della gente, rispondendo ai bisogni dei giovani e delle famiglie indigenti ed assistendo le vittime della guerra che in quel periodo insanguinava l'Europa. Anche di fronte alla sofferenza, con gli inevitabili momenti di difficoltà e di smarrimento che questa comporta, la beata Eugenia Picco seppe trasformare l'esperienza del dolore in occasione di purificazione e di crescita interiore. Dalla nuova Beata impariamo l'arte di ascoltare la voce del Signore, per essere testimoni credibili del Vangelo della carità in questo primo scorcio di millennio.

9. "Mirabilis Deus in sanctis suis!". Con le Comunità nelle quali i nuovi Beati hanno vissuto e per le quali hanno speso le loro migliori energie umane e spirituali, vogliamo ringraziare Dio, "mirabile nei suoi santi". Al tempo stesso, Gli chiediamo, per loro intercessione, di aiutarci a rispondere con rinnovato ardore all'universale vocazione alla santità.

Amen!