Nimatullah Kassab Al-Hardini

Nimatullah Kassab Al-Hardini

(1808-1858)

Beatificazione:

- 10 maggio 1998

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 16 maggio 2004

- Papa  Giovanni Paolo II

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 14 dicembre

Presbitero, dell’Ordine Libanese Maronita, uomo insigne per spirito di preghiera e penitenza, attese all’insegnamento della teologia, all’educazione dei giovani e all’impegno pastorale

  • Biografia
  • Omelia
  • omelia di beatificazione
"La prima preoccupazione di un monaco deve essere, giorno e notte, di non ferire o affliggere i suoi confratelli"

 

Nimatullah Al-Hardini, monaco libanese maronita, è nato nel 1808 a Hardin, nel Nord del Libano. Al fonte battesimale riceve il nome di Youssef. Figlio della Chiesa Maronita, Al-Hardini avvertì fin dall'infanzia l'influsso della tradizione monastica della sua Chiesa, nutrita della tradizione siriaca del Patriarcato di Antiochia. Apparteneva a una famiglia maronita, composta da sei figli.

Suo padre, Girgis Kassab di Hardin e sua madre, Mariam Raad di Tannourin, educarono i loro figli a una viva devozione verso Dio e la sua Chiesa. A Hardin, il giovane Youssef trascorse i primi anni dell'infanzia fra i monasteri e gli eremi del suo villaggio, San Doumit, San Giorgio...  Quattro figli della sua famiglia adottarono la vita monastica o sacerdotale come via per concretizzare il loro Battesimo. Tanios divenne parroco; Eliseo entrò nell'Ordine Libanese Maronita nel quale restò come eremita per 44 anni; Msihieh abbracciò la vita claustrale nel monastero di San Giovanni Battista di Hrasch e il nostro Beato Nimatullah entrò nel 1828 nell'Ordine Libanese Maronita all'età di 20 anni.

Durante la sua infanzia aveva fatto conoscenza con i monaci libanesi maroniti al monastero di Sant'Antonio di Houb (appartenente a quell'Ordine) dove fece i suoi primi studi. L'esempio della vita monastica ricevuto a Houb lo attirò verso un impegno rigoroso ed autentico nella vocazione cristiana. Dopo gli studi al monastero tornò presso il suo nonno materno, Youssef Raad, parroco del villaggio di Tannourin. L'esempio del nonno suscitò nel suo cuore l'amore per il sacerdozio, vissuto per il bene di tutta la Chiesa. A Tannourin recitava l'Ufficio divino al monastero con i monaci e in parrocchia con suo nonno ed i fedeli. Al-Hardini lasciò la casa paterna per abbracciare la vita monastica nell'Ordine Libanese Maronita. Fu inviato nel monastero di Sant'Antonio di Qozhaya, vicino alla «Qadischa» (Valle Santa) per i due anni di probazione insieme ad altri candidati alla vita monastica nello stesso Ordine.

Nimatullah fu rapidamente conosciuto per la sua scelta decisiva e divenne così un modello efficace di fermo radicamento alla vita monastica. Al noviziato si iniziò alla preghiera comunitaria ed al lavoro manuale. Secondo le Costituzioni dell'Ordine il novizio doveva apprendere la via per raggiungere la perfezione evangelica. Per questo, Al-Hardini dedicava tutto il tempo disponibile, anche quello destinato al riposo, alle visite al Santissimo Sacramento. Lo trovavano in Chiesa, inginocchiato, le mani levate in forma di croce, gli occhi fissi al Tabernacolo, immobile.

Dopo la professione monastica, il 14 novembre 1830, fu inviato al monastero dei Santi Cipriano e Giustina a Kfifan per studiare la filosofia e la teologia, partecipando contemporaneamente all'Ufficio nel coro e lavorando nei campi. Egli era conosciuto, inoltre, per l'abilità nel rilegare i manoscritti ed i libri, un mestiere che aveva imparato durante il noviziato a Qozhaya. In quel periodo, a causa del suo ascetismo e dell'intensa applicazione negli studi, si ammalò. Ma questo non gli impedì di perseverare nel manifestare la fedeltà al suo impegno. Per evitargli, tuttavia, la fatica enorme del lavoro nei campi il suo superiore lo destinò al guardaroba e divenne, così, il sarto della comunità.

Al termine dei suoi studi filosofici e teologici fu ordinato prete e divenne direttore dello Scolasticato e professore fino ai suoi ultimi anni. La sua giornata era, abitualmente, divisa in due parti. La prima metà per prepararsi alla celebrazione eucaristica e l'altra metà per il ringraziamento dopo quella celebrazione. Questa dimensione contemplativa era vissuta nella realtà pratica con l'amore per i fratelli e per la cultura. Egli fondò a Kfifan e, più tardi, a Bhersaf la scuola chiamata, secondo la tradizione, «Scuola sotto la quercia» per istruire gratuitamente la gioventù.

Al-Hardini soffrirà col suo popolo durante le due guerre civili del 1840 e del 1845, che prepareranno i sanguinosi avvenimenti del 1860, quando molti monasteri verranno bruciati, molte chiese devastate e molti cristiani maroniti massacrati. Fu una tappa decisiva nella sua spiritualità; la situazione civile in Libano, in generale, sotto il regime Ottomano fu altrettanto difficile che quella della Chiesa Maronita e del suo Ordine. Lanciò, così, il suo straordinario motto: «Il più bravo è colui che può salvare la sua anima», che non cessò di ripetere ai suoi confratelli. Nimatullah si era offerto in olocausto per il Libano e per il suo Ordine. In questa situazione la sua preghiera diventa espressione del suo sforzo per mantenere la sua fedeltà a Dio che è sempre presente e che non cessa mai d'amare gli uomini.

In questo contesto civile e religioso, doloroso e carico di difficoltà, suo fratello Padre Eliseo, eremita, lo invitò a lasciare la vita comunitaria per ritirarsi in un eremo. Gli rispose: «Quelli che lottano per la virtù nella vita comunitaria avranno il merito maggiore».

Secondo testimonianze autentiche gli venne rimproverato di essere stato duro e severo verso se stesso, ma misericordioso e indulgente verso i suoi confratelli. Radicale nella sua scelta, Al-Hardini concepisce la santità in termini di comunione. Non finisce mai di trovare occasione per dimostrare il suo amore senza misura. Gli vengono attribuite queste parole: «La prima preoccupazione di un monaco deve essere, giorno e notte, di non ferire o affliggere i suoi confratelli».

Nella sua afflizione Al‑Hardini domandava l'intercessione della Vergine Maria - il suo principale sostegno - per il Libano e per il suo Ordine. Recitava il Rosario ogni giorno con gli altri monaci; non si stancava mai di ripetere il Nome benedetto di Maria, invocandola giorno e notte; praticava il digiuno in suo onore tutti i sabati e le vigilie delle sue feste; aveva particolarmente cara la devozione al mistero dell'Immacolata Concezione, un dogma che la Chiesa Cattolica confermò nel 1854; dopo l'Angelus ripeteva spesso queste parole: «Benedetta sia l'Immacolata Concezione della Santissima Vergine». Incoraggiò i fedeli a venerare la Vergine, costituendo delle confraternite. Fondò anche 16 altari consacrati alla Madre di Dio; uno di questi altari, nel monastero di Kfifan, fu chiamato, dopo la sua morte, «Nostra Signora di Hardini».

All'età di 43 anni, nel 1845, fu nominato dalla Santa Sede Assistente Generale dell'Ordine con un mandato di tre anni, per il suo zelo nell'osservanza irreprensibile delle regole monastiche.

Uomo di cultura, Al-Hardini, come Assistente Generale, supplicherà il Superiore Generale di inviare i monaci per approfondire i loro studi, nel nuovo collegio dei Gesuiti fondato a Ghazir. Sette monaci vi furono mandati per assicurare la continuità di un insegnamento approfondito nello Scolasticato dell'Ordine. Negli anni 1848-1849 trascorse la sua vita comunitaria nei monasteri di San Marone d'Annaya e di Sant'Antonio di Houb. Nel 1850 fu nominato Assistente Generale una seconda volta. Nel 1853 tornò a Kfifan per insegnare la teologia morale. Nel 1856, per la terza volta, fu nominato Assistente Generale. Se accettò per ubbidienza di diventare Assistente, rifiutò in tutti i modi d'essere nominato Abate Generale dell'Ordine; ripeteva: «Piuttosto la morte, che essere nominato Superiore Generale». La sua umiltà si manifesta nella convinzione di essere incapace di quel perpetuo contatto con Dio che riteneva necessario per il buon servizio ai monaci del suo Ordine. Nell'esercizio della sua carica all'interno dell'Ordine si mantenne dolce nelle parole e nel modo di agire. Risiedette con gli altri assistenti presso il Padre Generale nel monastero di Nostra Signora di Tamich, la casa generalizia dell'Ordine; ma non smise di recarsi al monastero di Kfifan, sia per l'insegnamento, sia per il suo lavoro di rilegatura dei libri, eseguito in spirito di povertà, con speciale attenzione per i manoscritti liturgici. Si conserva ancora una testimonianza della sua attività nel breviario siriaco di cui si serviva e che aveva rilegato egli stesso. Quanto alla sua missione di professore, bisogna ricordare che ebbe fra i suoi allievi San Charbel, che fu nello Scolasticato dal 1853 al 1859 e che assistette alla morte del suo maestro ed alla commovente cerimonia del suo ufficio funebre.

Nel mese di dicembre, Al-Hardini, si trovava al monastero di Kfifan per insegnare, quando fu colpito da una polmonite causata dal freddo glaciale dell'inverno di quella regione. La sua malattia andò aggravandosi di giorno in giorno ed egli domandò a uno dei monaci di trasportarlo in una cella vicino alla chiesa per sentire il canto dell'Ufficio. Dopo dieci giorni d'agonia, egli ricevette l'Unzione degli infermi tenendo l'icona della Vergine Maria fra le mani e invocandola: «O Maria, vi affido la mia anima». Morì il 14 dicembre 1858, all'età di 50 anni. I suoi confratelli notarono una luce splendente nella sua cella, e un profumo che la riempì per qualche giorno.

Uomo di Dio e uomo di scienza, Al-Hardini trascorse tutta la sua vita come pastore d'anime e professore di teologia.

Fu riconosciuto fin da vivo come il «Santo» di Kfifan. Durante le vicende tormentate del suo paese e le difficoltà nell'Ordine, Nimatullah apprese pazientemente a scoprire l'amore come dono di sé nella sofferenza.

La sua causa di Beatificazione fu presentata a Roma nel 1926, con quelle del monaco Charbel (beatificato nel 1965 e canonizzato nel 1977) e di Santa Rafqa, monaca libanese maronita (beatificata nel 1985 e canonizzata nel 2001). Fu proclamato Venerabile il 7 settembre 1989 e Beato il 10 maggio 1998.

CAPPELLA PAPALE PER LA CANONIZZAZIONE DI 6 BEATI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Sesta Domenica di Pasqua, 16 maggio 2004 

 

1. "Vi do la mia pace" (Gv 14,27). Nel tempo pasquale ascoltiamo spesso questa promessa di Gesù ai suoi discepoli. La pace vera è frutto della vittoria di Cristo sul potere del male, del peccato e della morte. Quanti lo seguono fedelmente diventano testimoni e costruttori della sua pace.

In questa luce mi piace contemplare i sei nuovi Santi, che la Chiesa addita oggi all’universale venerazione: Luigi Orione, Annibale Maria di Francia, Josep Manyanet y Vives, Nimatullah Kassab Al-Hardini, Paola Elisabetta Cerioli, Gianna Beretta Molla.

2. "Uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo" (At 15,26). Queste parole degli Atti degli Apostoli ben possono applicarsi a san Luigi Orione, uomo totalmente donato alla causa di Cristo e del suo Regno. Sofferenze fisiche e morali, fatiche, difficoltà, incomprensioni e ostacoli di ogni tipo hanno segnato il suo ministero apostolico. "Cristo, la Chiesa, le anime - egli diceva - si amano e si servono in croce e crocifissi o non si amano e non si servono affatto" (Scritti, 68,81).

Il cuore di questo stratega della carità fu "senza confini perché dilatato dalla carità di Cristo" (ivi, 102,32). La passione per Cristo fu l'anima della sua vita ardimentosa, la spinta interiore di un altruismo senza riserve, la sorgente sempre fresca di una indistruttibile speranza.

Quest’umile figlio di un selciatore proclama che "solo la carità salverà il mondo" (ivi, 62,13) e a tutti ripete che "la perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sé a Dio e agli uomini, a tutti gli uomini" (ivi).

3. "Se uno mi ama, osserverà la mia parola" (Gv 14,23). In queste parole evangeliche vediamo delineato il profilo spirituale di Annibale Maria di Francia, che l’amore per il Signore spinse a dedicare l’intera esistenza al bene spirituale del prossimo. In questa prospettiva, egli avvertì soprattutto l’urgenza di realizzare il comando evangelico: "Rogate ergo… - Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!" (Mt 9,38).

Ai Padri Rogazionisti e alle Suore Figlie del Divino Zelo lasciò il compito di adoperarsi con tutte le forze perché la preghiera per le vocazioni fosse "incessante e universale". Questo stesso invito Padre Annibale Maria Di Francia rivolge ai giovani del nostro tempo, sintetizzandolo nella sua abituale esortazione: "Innamoratevi di Gesù Cristo".

Da questa provvidenziale intuizione è sorto nella Chiesa un grande movimento di preghiera per le vocazioni. Auspico di cuore che l’esempio di Padre Annibale Maria Di Francia guidi e sostenga anche in questo nostro tempo tale azione pastorale.

4. "El Espíritu Santo, que enviará el Padre en mi nombre, será quien os lo enseñe todo y os vaya recordando todo lo que os he dicho" (Jn 14, 26). Desde el principio el Paráclito ha suscitado hombres y mujeres que han recordado y difundido la verdad revelada por Jesús. Uno de éstos fue San José Manyanet, verdadero apóstol de la familia. Inspirándose en la escuela de Nazaret, realizó su proyecto de santidad personal y se dedicó, con entrega heroica, a la misión que el Espíritu le confiaba. Para ello fundó dos Congregaciones Religiosas. Un símbolo visible de su anhelo apostólico es también el templo de la Sagrada Familia de Barcelona.

[in lingua catalana]

Que sant Josep Manyanet beneeixi totes les famílies i us ajudi a portar els exemples de la Sagrada Família a les vostres llars".

[ ¡Que San José Manyanet bendiga a todas las familias y os ayude a llevar los ejemplos de la Sagrada Familia a vuestros hogares!]

Traduzione italiana delle parti pronunciate in spagnolo ed in catalano:

[4. "Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Gv 14, 26). 
Sin dall'inizio il Paraclito ha ispirato uomini e donne che hanno ricordato e diffuso la verità rivelata da Gesù. Uno di questi è stato san José Manyanet, vero Apostolo della famiglia. Ispirandosi alla scuola di Nazareth, ha realizzato il suo progetto di santità personale e si è dedicato, con sollecitudine eroica, alla missione che lo Spirito gli ha affidato. A tal fine ha fondato due Congregazioni Religiose. Un simbolo visibile del suo anelito apostolico è anche il tempio della Sacra Famiglia di Barcellona.] 
Que sant Josep Manyanet beneeixi totes les famílies i us ajudi a portar els exemples de la Sagrada Família a les vostres llars". 
[¡Que San José Manyanet bendiga a todas las familias y os ayude a llevar los ejemplos de la Sagrada Familia a vuestros hogares!] 
[Che San Giuseppe Manyanet benedica tutte le famiglie e vi aiuti a portare gli esempi della Sacra Famiglia alle vostre case!]

5. Homme de prière, amoureux de l’Eucharistie qu’il aimait adorer longuement, saint Nimatullah Kassab Al-Hardini est un exemple pour les moines de l’Ordre libanais maronite comme pour ses frères libanais et pour tous les chrétiens du monde. Il s’est donné totalement au Seigneur dans une vie de grand renoncement, montrant que l’amour de Dieu est la seule véritable source de joie et de bonheur pour l’homme. Il s’est attaché à chercher et à suivre le Christ, son Maître et Seigneur.

Accueillant à ses frères, il a soulagé et guéri beaucoup de blessures dans les cœurs de ses contemporains, leur témoignant la miséricorde de Dieu. Puisse son exemple éclairer notre route, susciter chez les jeunes en particulier un vrai désir de Dieu et de la sainteté, pour annoncer à notre monde la lumière de l’Évangile !

Traduzione italiana della parte pronunciata in francese:

[5. Uomo di preghiera, innamorato dell'Eucaristia, che gli piaceva adorare a lungo, Nimatullah Kassab Al-Hardini è un esempio per i monaci dell'Ordine libanese maronita, come pure per i suoi fratelli libanesi e per tutti i cristiani del mondo. Egli si è donato totalmente al Signore in una vita di grande rinuncia, mostrando che l'amore di Dio è l'unica fonte autentica di gioia e di felicità per l'uomo. Egli si è dedicato a cercare e a seguire Cristo, suo Maestro e Signore. 
Accogliendo i suoi fratelli, egli ha dato sollievo e ha curato molte ferite nel cuore dei suoi contemporanei, testimoniando loro la misericordia di Dio. Possa il suo esempio illuminare il nostro cammino, suscitare, in particolare tra i giovani, un desiderio autentico di Dio e di santità, per annunciare al mondo presente la luce del Vangelo!]

6. "L’angelo… mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo" (Ap 21,10). La splendida immagine proposta dall’Apocalisse di Giovanni esalta la bellezza e la fecondità spirituale della Chiesa, la nuova Gerusalemme. Di questa fecondità spirituale è singolare testimone Paola Elisabetta Cerioli, la cui esistenza fu copiosa di frutti di bene.

Contemplando la Santa Famiglia, Paola Elisabetta intuì che le comunità familiari restano solide quando i legami di parentela sono sostenuti e cementati dalla condivisione dei valori della fede e della cultura cristiana. Per diffondere questi valori la nuova Santa fondò l’Istituto della Sacra Famiglia. Era infatti convinta che i figli, per crescere sicuri e forti, hanno bisogno di una famiglia sana e unita, generosa e stabile. Aiuti Iddio le famiglie cristiane ad accogliere e a testimoniare in ogni circostanza l’amore di Dio misericordioso.

7. Dell’amore divino Gianna Beretta Molla fu semplice, ma quanto mai significativa messaggera. Pochi giorni prima del matrimonio, in una lettera al futuro marito, ebbe a scrivere: "L’amore è il sentimento più bello che il Signore ha posto nell’animo degli uomini".

Sull’esempio di Cristo, che "avendo amato i suoi… li amò sino alla fine" (Gv 13,1), questa santa madre di famiglia si mantenne eroicamente fedele all’impegno assunto il giorno del matrimonio. Il sacrificio estremo che suggellò la sua vita testimonia come solo chi ha il coraggio di donarsi totalmente a Dio e ai fratelli realizzi se stesso.

Possa la nostra epoca riscoprire, attraverso l’esempio di Gianna Beretta Molla, la bellezza pura, casta e feconda dell’amore coniugale, vissuto come risposta alla chiamata divina!

8. "Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore" (Gv 14,28). Le vicende terrene di questi sei nuovi Santi ci spronano a perseverare sulla propria strada, confidando nell’aiuto di Dio e nella materna protezione di Maria. Dal cielo ora veglino su di noi e ci sostengano con la loro potente intercessione.

CAPPELLA PAPALE PER LA BEATIFICAZIONE DI 12 SERVI DI DIO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 10 maggio 1998

     

1. "Io, Giovanni, vidi... la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio" (Ap 21, 1-2).

La splendida visione della Gerusalemme celeste, che l'odierna Liturgia della Parola ci ripropone, conclude il libro dell'Apocalisse e l'intera serie dei libri sacri che compongono la Bibbia. Con questa grandiosa descrizione della Città di Dio, l'autore dell'Apocalisse indica la definitiva sconfitta del male ed il conseguimento della comunione perfetta tra Dio e gli uomini. Proprio a tale traguardo finale tende fin dall'inizio la storia della salvezza.

Dinanzi alla comunità dei credenti, chiamati ad annunciare il Vangelo ed a testimoniare la propria fedeltà a Cristo pur in mezzo a prove di vario genere, ecco brillare la meta suprema: la celeste Gerusalemme! Siamo tutti avviati verso quel traguardo, dove ci hanno già preceduto i Santi ed i Martiri nel corso dei secoli. Nel nostro pellegrinaggio terreno questi nostri fratelli e sorelle, che sono passati vittoriosi attraverso la "grande tribolazione", ci sono di esempio, di stimolo e di incoraggiamento. La Chiesa, che "prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio" (S. Agostino, De civitate Dei, XVIII, 51,2), si sente sostenuta ed incoraggiata dall'esempio e dalla comunione della Chiesa celeste.

2. Nella gloriosa schiera dei Santi e dei Beati, che godono della visione di Dio, contempliamo in modo particolare gli illustri fratelli e sorelle nella fede che quest'oggi ho la gioia di elevare agli onori degli altari. Essi sono: Rita Dolores Pujalte Sánchez e Francisca del Sagrado Corazón de Jesús Aldea Araujo; María Gabriela Hinojosa e sei Socie; María Sagrario de San Luis Gonzaga Elvira Moragas Cantarero; Nimatullah Al- Hardini Youssef Kassab; María Maravillas de Jesús Pidal y Chico de Guzmán.

Con esperienze molto diverse ed in contesti assai differenti, essi hanno vissuto in modo eroico un'unica perfetta adesione a Cristo ed una stessa ardente carità verso il prossimo.

3. En béatifiant le Père Nimatullah Kassab Al-Hardini, moine libanais maronite, je voudrais tout d'abord rendre grâce pour mon voyage au pays des cèdres, il y a exactement un an. Aujourd'hui, c'est une nouvelle fête pour les Libanais du monde entier, car un de leurs frères leur est proposé comme modèle de sainteté. Tout au long de sa vie monastique, le nouveau Bienheureux incarne volontiers la parole des disciples du Christ que nous avons entendue dans la lecture du livre des Actes des Apôtres: "Il nous faut passer par bien des épreuves pour entrer dans le Royaume de Dieu".

Cette même lecture nous montre aussi les différents aspects de la mission: la prière, le jeûne et l'annonce de l'Évangile. Par son ascèse rigoureuse, par ses longues oraisons devant le Saint-Sacrement, par son souci de la recherche théologique et par son attention miséricordieuse envers ses frères, le Bienheureux Al-Hardini est un exemple de vie chrétienne et de vie monastique, pour la communauté maronite et pour tous les disciples du Christ en notre temps. Comme je le rappelais dans l'Exhortation apostolique post-synodale Une espérance pour le Liban, en évoquant saint Basile, "c'est une vie morale et une vie ascétique conformes à l'engagement pris qui provoquent à la réconciliation entre les personnes" (n. 53). Désormais, le nouveau Bienheureux est un signe d'espérance pour tous les Libanais, en particulier pour les familles et pour les jeunes. Homme de prière, il appelle ses frères à avoir confiance en Dieu et à s'engager de toutes leurs forces à la suite du Christ, pour construire un avenir meilleur. Puisse la terre libanaise continuer à être une terre de témoins et de saints, et devenir davantage une terre de paix et de fraternité!

4. Hemos escuchado en el Evangelio proclamado en esta celebración: "Os doy un mandamiento nuevo: que os améis unos a otros como yo os he amado" (Jn 13, 34). La Madre Rita Dolores Pujalte y la Madre Francisca Aldea, que hoy suben a la gloria de los altares, siguieron fielmente a Jesús, amando como Él hasta el final y sufriendo la muerte por la fe, en julio de 1936.

Pertenecían a la comunidad del Colegio de Santa Susana, de Madrid, de las Hermanas de la Caridad del Sagrado Corazón, que habían decidido permanecer en su puesto a pesar de la persecución religiosa desatada en aquel tiempo, para no abandonar a las huérfanas que allí atendían. Este acto heroico de amor y de entrega desinteresada por los hermanos costó la vida a la Madre Rita y a la Madre Francisca que, aun siendo enfermas y ancianas, fueron apresadas y abatidas a tiros.

El supremo mandamiento del Señor había arraigado profundamente en ellas durante los años de su consagración religiosa, vividos en fidelidad al carisma de la Congregación. Creciendo en el amor por los necesitados, que no se arredra ante los peligros ni rehuye el derramamiento de la propia sangre si fuera preciso, alcanzaron el martirio. Su ejemplo es una llamada a todos los cristianos a amar como Cristo ama aún en medio de las más grandes dificultades.

5. "La señal por la que conocerán que sois discípulos míos, será que os amáis unos a otros". ¡Qué bien se pueden aplicar estas palabras del Evangelio de hoy a la Hermana Gabriela Hinojosa y sus seis compañeras, mártires Salesas en Madrid, también en 1936! La obediencia y la vida fraterna en comunidad son elementos fundamentales de la vida consagrada. Así lo entendieron ellas, que por obediencia permanecieron en Madrid a pesar de la persecución, para seguir, aunque fuera desde un lugar cercano, la suerte del Monasterio.

Así, sostenidas por el silencio, la oración y el sacrificio, se fueron preparando para el holocausto, generosamente ofrecido a Dios. Al honrarlas como mártires de Cristo, nos iluminan con su ejemplo, interceden por nosotros y nos esperan en la gloria. Que su vida y su muerte sirvan de ejemplo a las Salesas, cuyos Monasterios se extienden por todo el mundo, y les atraigan numerosas vocaciones que sigan el dulce y suave espíritu de San Francisco de Sales y Santa Juana Francisca de Chantal.

6. El libro del Apocalipsis nos ha presentado la visión de Jerusalén, "arreglada como una novia que se adorna para su esposo" (21, 2). Aunque estas palabras se refieren a la Iglesia, las podemos aplicar también a las dos Carmelitas Descalzas que han sido proclamadas Beatas en esta celebración, habiendo alcanzado el mismo ideal por caminos diversos: la Madre Sagrario de San Luis Gonzaga y la Madre Maravillas de Jesús. Ambas, con el adorno de las virtudes cristianas, de sus cualidades humanas y de su entrega al Señor en el Carmelo Teresiano, aparecen hoy, a los ojos del pueblo cristiano, como esposas de Cristo.

La Madre María Sagrario, farmacéutica en su juventud y modelo cristiano para los que ejercen esta noble profesión, abandonó todo para vivir únicamente para Dios en Cristo Jesús (cf. Rm 6,11) en el Monasterio de las Carmelitas Descalzas de Santa Ana y San José de Madrid. Allí maduró su entrega al Señor y aprendió de Él a servir y sacrificarse por los hermanos. Por eso, en los turbulentos acontecimientos de julio de 1936, tuvo la valentía de no delatar a sacerdotes y amigos de la comunidad, afrontando con entereza la muerte por su condición de carmelita y por salvar a otras personas.

7. La Madre Maravillas de Jesús, también ella Carmelita Descalza, es otro ejemplo luminoso de santidad que la Iglesia propone hoy a la veneración de los fieles proclamándola Beata. Esta insigne madrileña buscó a Dios durante toda su vida y se consagró enteramente a Él en la vida recoleta del Carmelo. Fundó un monasterio en el Cerro de los Ángeles, centro geográfico de España, junto al Monumento al Sagrado Corazón, al cual se había consagrado la Nación. Debiendo salir del convento a causa de la guerra civil, puso todo su empeño en asegurar la pervivencia de la Orden, lo que la llevó a realizar numerosas fundaciones, que ella quiso estuvieran presididas por el espíritu de penitencia, de oblación y recogimiento, característico de la reforma teresiana.

Persona muy conocida en su época, supo aprovechar esa circunstancia para llevar muchas almas a Dios. Las ayudas que recibía, las empleó todas en socorrer monasterios, sacerdotes, seminarios y obras religiosas en necesidad. Por ello, son tantos los que le están agradecidos. Fue priora durante casi toda su vida religiosa, siendo como una verdadera Madre para sus hermanas. Vivió animada por una fe heroica, plasmada en la respuesta a una vocación austera, poniendo a Dios como centro de su existencia. Tras haber sufrido no pocas pruebas, murió repitiendo: "Qué felicidad morir carmelita". Su vida y su muerte son un elocuente mensaje de esperanza para el mundo, tan necesitado de valores y, en ocasiones, tan tentado por el hedonismo, el hacer fácil y el vivir sin Dios.

8. "Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli" (Sal 144,10). Insieme con Maria, Regina dei Santi, e con tutta la Chiesa, rendiamo grazie a Dio per le grandi opere che Egli ha compiuto in questi nostri fratelli e sorelle, che risplendono come fari di speranza per tutti. Essi costituiscono per l'intera umanità, ormai alle soglie del terzo millennio cristiano, un forte richiamo ai perenni valori dello spirito.

Facendo nostre le parole della Liturgia, lodiamo il Signore per il prezioso dono di questi Beati, che arricchiscono di rinnovato splendore il volto della Chiesa. "Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto prodigi" (Antifona all'Ingresso). Sì, cantiamo a Dio che ha rivelato a tutti i popoli la sua salvezza. E ciascuno di noi risponde nel suo cuore: "Benedirò il tuo nome per sempre, Signore". "Il tuo Regno è regno di tutti i secoli, il tuo dominio si estende ad ogni generazione" (cfr Sal. resp.).

Amen!