Rebecca (Rafqa Ar-Rayès)

Rebecca (Rafqa Ar-Rayès)

(1832-1914)

Beatificazione:

- 17 novembre 1985

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 10 giugno 2001

- Papa  Giovanni Paolo II

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 23 marzo

Vergine, religiosa della Congregazione dell'Ordine delle Suore Libanesi Maronite, che, cieca per trent’anni e affetta da altre infermità in tutto il corpo, perseverò nell’orazione continua confidando solo in Dio

  • Biografia
  • Omelia
  • omelia di beatificazione
"In unione con la Passione di Cristo"

 

Rebecca, al secolo Rafqa (Boutroussyeh) Pietra Choboq Ar-Rayès nacque a Himlaya, villaggio del Metn settentrionale, il 29 giugno 1832. Era figlia unica di Mourad Saber al-Choboq al-Rayès e di Rafqa Gemayel; fu battezzata il 7 luglio 1832 e ricevette il nome di Boutroussyeh (Pierina). I suoi genitori le insegnarono ad amare Dio e a pregare quotidianamente.

Nel 1839, quando aveva sette anni, perse sua madre, alla quale era molto attaccata.

Suo padre cadde, allora, in povertà e, nel 1843, la mandò a Damasco, a servizio nella casa di Asaad al-Badawi, che era di origine libanese, dove restò quattro anni.

Rafqa tornò alla casa paterna nel 1847 e scoprì che suo padre si era risposato in sua assenza con una donna chiamata Kafa. Ella aveva, allora, quindici anni; era bella, socievole e di buon carattere, dotata di una voce melodiosa e di una religiosità profonda e umile. La sua zia materna voleva farla sposare a suo figlio, e la sua matrigna invece al proprio fratello, e ciò fece nascere un dissidio fra loro. Rafqa fu addolorata di questo e decise di farsi religiosa.

Rafqa chiese a Dio di aiutarla a realizzare il suo desiderio. Le si presentò, allora, alla mente l'idea di recarsi al convento di Nostra Signora della Liberazione a Bikfaya, per divenire religiosa, insieme ad altre due ragazze che aveva incontrato lungo la strada.

Al momento di entrare in chiesa, ella sentì una gioia interiore indescrivibile. Un solo sguardo gettato sull'immagine di Nostra Signora della Liberazione fu sufficiente per confermare in lei la chiamata a consacrarsi a Dio: "Tu diventerai religiosa" le diceva una voce nel profondo del suo cuore. La Madre Superiora accettò lei sola, senza le sue due compagne, senza farle le domande d'uso. Rafqa non ritornerà più a casa sua. Suo padre e la moglie si recarono al convento, per cercare di distoglierla dalla sua decisione, ma inutilmente. Ella fece un anno di postulantato e il 9 febbraio 1855, festa di San Marone, prese l'abito di novizia.

Il 10 febbraio dell'anno seguente (1856), emise i voti religiosi, sempre nel convento di Nostra Signora della Liberazione a Bikfaya.

Il primo agosto 1858, la giovane religiosa fu inviata al Seminario di Ghazir, in compagnia di suor Maria Gemayel. I Padri Gesuiti dirigevano, all'epoca, quel seminario. I superiori si proponevano, allora, di dare un'educazione adeguata alle ragazze che desideravano entrare fra le Mariamât. Oltre a questo incarico, fu affidato a Rafqa il servizio della cucina del seminario. Fra i seminaristi c'erano, a quel tempo, il futuro Patriarca Elia Huwayek, l'Arcivescovo Boutros al-Zoghbi e molti altri.

Durante il soggiorno a Ghazir, profittò dei momenti liberi per approfondire le proprie conoscenze della lingua araba, dell'ortografia e dell'aritmetica.

In seguito i superiori la inviarono in numerose scuole della montagna libanese, come Beit-Chabab, Choueir, Hammana,e altre.

Nel 1860, Rafqa fu trasferita a Deir al-Qamar, per insegnare il Catechismo ai giovani. Ebbero luogo in quel periodo i drammatici avvenimenti che insanguinarono il Libano in quell'anno. Rafqa vide con i propri occhi il martirio di un gran numero di persone. Ebbe anche il coraggio di nascondere un bambino sotto il proprio mantello, salvandolo dalla morte. Rafqa trascorse a Deir al-Qamar circa un anno: poi tornò a Ghazir, passando per Beyrouth.

Nel 1862, per ordine dei suoi superiori, Rafqa fu trasferita alla scuola della sua Congregazione a Jbeil, dove trascorse un anno a istruire le ragazze ed a formarle nei principi della fede cristiana.

All'inizio del 1864, fu trasferita da Jbeil a Maad, su richiesta del grande benefattore Antoun Issa. Vi rimase sette anni, durante i quali fondò una scuola per istruire le ragazze; fu aiutata, in questo, da un'altra religiosa.

Durante il suo soggiorno a Maad, nel corso di una crisi che aveva scosso la Congregazione delle Mariamât, intorno al 1871, Rafqa entrò nella chiesa di San Giorgio e domandò a Dio di aiutarla a prendere una decisione secondo la sua volontà. In quei momenti sentì una voce che le diceva: "Tu sarai monaca".

Dopo aver pregato fervidamente, vide in sogno San Giorgio, San Simeone lo Stilita, e Sant'Antonio il Grande, Padre dei monaci, che le disse: "Entra nell'Ordine delle Monache Libanesi Maronite". Antoun Issa la aiutò a trasferirsi da Maad al monastero di San Simeone al-Qarn a Aïtou, dove fu subito ricevuta, e vestì l'abito di novizia il 12 luglio 1871. Quindi, il 25 agosto 1872, fece la professione religiosa solenne, e prese il nome di suor Rafqa, in ricordo di sua madre, che si era chiamata Rafqa.

Trascorrerà 26 anni nel monastero di Mar Semaan al-Qarn, Aïtou (1871-1897), essendo un esempio vivente, per le religiose sue consorelle, nell'obbedienza alle Regole, l'assiduità nelle preghiere, l'ascesi, l'abnegazione, ed il lavoro compiuto in silenzio.

La prima domenica d'ottobre del 1885, nella chiesa del monastero, mentre era in preghiera, domandò al Signore di farla partecipare alla sua Passione redentrice. La sua preghiera fu esaudita la sera stessa: essa cominciò a provare fortissimi dolori alla testa e ben presto furono colpiti anche gli occhi. Tutte le cure furono senza effetto e si decise di mandarla a Beyrouth per tentare altre cure. Durante il viaggio si fermò nella residenza dei monaci a San Giovanni Marco, a Jbeil, dove fu affidata a un medico americano che, dopo averla visitata, decise di operarla, ma durante l'operazione le estrasse per errore l'occhio destro. A Beyrouth, dove fu ospitata nel convento delle Figlie della Carità, i medici la visitarono e riuscirono ad arrestare l'emorragia provocata dall'operazione. Ma il male colpì ben presto anche l'occhio sinistro; allora, i medici giudicarono che qualunque cura sarebbe stata inutile e Rafqa tornò nel suo monastero, dove il dolore agli occhi la accompagnò per 12 anni. Sopportò il suo dolore con pazienza, in silenzio, nella preghiera e nella gioia, ripetendo continuamente: "In unione con la Passione di Cristo".

Le autorità religiose dell'Ordine Libanese Maronita avevano preso la decisione di fondare il monastero di San Giuseppe al-Daher, a Jrabta (Batroun), e, nel 1897, furono distaccate sei religiose dal monastero di Mar Semaan a Aïtou, per formare la prima comunità residente in questo nuovo monastero, sotto l'autorità della Madre Ursula Doumith di Maad. Rafqa faceva parte di questo gruppo. Nel 1899 la vista si estinse anche nel suo occhio sinistro: ella divenne completamente cieca, inaugurando una nuova tappa del suo calvario.

Rafqa visse l'ultima tappa della sua vita cieca e paralitica: gli occhi completamente spenti, dolori acuti nei fianchi, e una debolezza generale in tutto il corpo, ad eccezione del suo volto, che restò luminoso e sereno fino all'ultimo respiro. Il femore destro si era dislocato e spostato; lo stesso anche il femore dell'altra gamba; la clavicola si era dislocata e conficcata nel collo; le vertebre potevano essere contate ad una ad una. Non rimaneva nessuna parte del corpo sana, tranne le articolazioni delle mani, delle quali si serviva per lavorare a maglia, ringraziando il Signore per averle risparmiato la sofferenza di dover restare senza poter far nulla. La sua bocca lodava il Signore e gli rivolgeva fervidi ringraziamenti per averla associata alla sua Passione redentrice.

Rafqa si addormentò nel Signore in odore di santità il 23 marzo 1914, dopo una vita passata nella preghiera, nel servizio e nel portare la Croce, affidandosi all'intercessione di Maria, Madre di Dio, e di San Giuseppe. Fu sepolta nel cimitero del monastero.

Il 10 luglio 1927 la sua spoglia mortale venne trasferita in una tomba nuova, in un angolo della chiesa del monastero, e questoin seguito all'introduzione della sua causa di beatificazione, il 23 dicembre 1925, ed all'inizio dell'inchiesta sulla fama di santità,il 16 maggio 1926.

Sua Santità il Papa Giovanni Paolo II l'ha dichiarata Venerabile l'11 febbraio 1982; fu beatificata il 17 novembre 1985 e dichiarata esempio da imitare nella sua devozione al Santissimo Sacramento per l'anno del Giubileo del 2000.

CAPPELLA PAPALE PER LA CANONIZZAZIONE DI 5 BEATI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Santissima Trinità, 10 giugno 2001

 

1. "Sia benedetto Dio Padre, e l'unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: perché grande è il suo amore per noi" (Ant. d'inizio).

Sempre, ma specialmente nell'odierna festa della Santissima Trinità, l'intera Liturgia è orientata al mistero trinitario, sorgente di vita per ogni credente.

"Gloria al Padre, gloria al Figlio, gloria allo Spirito Santo": ogni volta che proclamiamo queste parole, sintesi della nostra fede, adoriamo l'unico e vero Dio in tre Persone. Contempliamo attoniti questo mistero che ci avvolge totalmente. Mistero di amore; mistero di ineffabile santità.

"Santo, Santo, Santo il Signore, Dio dell'universo" canteremo tra poco, entrando nel cuore della Preghiera eucaristica. Il Padre ha tutto creato con saggezza e amorevole provvidenza; il Figlio con la sua morte e risurrezione ci ha redenti; lo Spirito Santo ci santifica con la pienezza dei suoi doni di grazia e di misericordia.

Possiamo a giusto titolo definire l'odierna solennità una "festa della santità". In questo giorno, pertanto, trova la sua più opportuna cornice la cerimonia di canonizzazione di cinque Beati: Luigi Scrosoppi, Agostino Roscelli, Bernardo da Corleone, Teresa Eustochio Verzeri, Rafqa Pietra Choboq Ar-Rayès.

2. "Giustificati... per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo" (Rm 5,1).

Per l'apostolo Paolo, come abbiamo ascoltato nella seconda Lettura, la santità è dono che il Padre ci comunica mediante Gesù Cristo. La fede in Lui è, infatti, principio di santificazione. Per la fede l'uomo entra nell'ordine della grazia; per la fede egli spera di prendere parte alla gloria di Dio. Questa speranza non è vana illusione, ma frutto sicuro di un cammino ascetico tra tante tribolazioni, affrontate con pazienza e virtù provata.

Fu questa l'esperienza di san Luigi Scrosoppi, durante una vita interamente spesa per amore di Cristo e dei fratelli, specialmente dei più deboli e indifesi.

"Carità! Carità!": quest'esclamazione sgorgò dal suo cuore nel momento di lasciare il mondo per il Cielo. La carità egli esercitò in modo esemplare, soprattutto nei confronti delle ragazze orfane e abbandonate, coinvolgendo un gruppo di maestre, con le quali diede inizio all'Istituto delle "Suore della Divina Provvidenza".

La carità fu il segreto del suo lungo e instancabile apostolato, nutrito di costante contatto con Cristo, contemplato e imitato nell'umiltà e nella povertà della sua nascita a Betlemme, nella semplicità della vita laboriosa a Nazaret, nella completa immolazione sul Calvario, nell'eloquente silenzio dell'Eucaristia. Per questo la Chiesa lo addita ai sacerdoti e ai fedeli quale modello di profonda ed efficace sintesi tra la comunione con Dio e il servizio dei fratelli. Modello, in altre parole, di un'esistenza vissuta in comunione intensa con la Santissima Trinità.

3. "Grande è il suo amore per noi". L'amore di Dio per gli uomini si è manifestato con particolare evidenza nella vita di sant'Agostino Roscelli, che oggi contempliamo nel fulgore della santità. La sua esistenza, tutta permeata di fede profonda, può essere considerata un dono offerto per la gloria di Dio e per il bene delle anime. Fu la fede a renderlo sempre obbediente alla Chiesa e ai suoi insegnamenti, in docile adesione al Papa e al proprio Vescovo. Dalla fede seppe attingere conforto nelle ore tristi, nelle aspre difficoltà e negli avvenimenti dolorosi. Fu la fede la roccia solida alla quale seppe aggrapparsi per non cedere mai allo scoraggiamento.

Questa stessa fede sentì il dovere di comunicare agli altri, soprattutto a coloro che accostava nel ministero della confessione. Divenne maestro di vita spirituale specialmente per le Suore che egli fondò, le quali lo videro sereno pur in mezzo alle situazioni più critiche. Sant'Agostino Roscelli esorta anche noi a confidare sempre in Dio, immergendoci nel mistero del suo amore.

4. "Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo". Alla luce del mistero della Trinità acquista singolare eloquenza la testimonianza evangelica di san Bernardo da Corleone, anch'egli elevato oggi agli onori degli altari. Di lui tutti si meravigliavano e si domandavano come un frate laico potesse discorrere così altamente del mistero della Santissima Trinità. In effetti, la sua vita fu tutta protesa verso Dio, attraverso uno sforzo costante di ascesi, intessuta di preghiera e di penitenza. Coloro che lo hanno conosciuto attestano concordi che "egli sempre stava intento nell'orazione", "mai cessava di orare", "orava di continuo " (Summ., 35). Da questo colloquio ininterrotto con Dio, che trovava nell'Eucaristia il suo centro propulsore, traeva linfa vitale per il suo coraggioso apostolato, rispondendo alle sfide sociali del tempo, non scevro di tensioni e di inquietudini.

Anche oggi il mondo ha bisogno di santi come Fra' Bernardo immersi in Dio e proprio per questo capaci di trasmetterne la verità e l'amore. L'umile esempio di questo Cappuccino costituisce un incoraggiamento a non stancarci di pregare, essendo proprio la preghiera e l'ascolto di Dio l'anima dell'autentica santità.

5. "Lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera" (Anti. di Comunione). Teresa Eustochio Verzeri, che quest'oggi contempliamo nella gloria di Dio, nella sua breve ma intensa vita si lasciò condurre docilmente dallo Spirito Santo. A lei Dio si rivelò come misteriosa presenza davanti a cui ci si deve inchinare con profonda umiltà. Sua gioia era considerarsi sotto la costante protezione divina, sentendosi nelle mani del Padre celeste, nel quale imparò a confidare sempre.

Abbandonandosi all'azione dello Spirito, Teresa visse la particolare esperienza mistica "dell'assenza di Dio". Solo una fede incrollabile le impedì di non smarrire la confidenza in questo Padre provvidente e misericordioso, che la metteva alla prova: "E' giusto - ella scriveva - che la sposa, dopo aver seguito lo sposo in tutte le sue pene che ne accompagnarono la vita, abbia parte ancora con lui alla più terribile" (Libro dei doveri, III, 130).

E' questo l'insegnamento che santa Teresa lascia all'Istituto delle "Figlie del Sacro Cuore di Gesù", da lei fondato. Questo è l'insegnamento che lascia a tutti noi. Anche in mezzo alle contrarietà e alle sofferenze intime ed esteriori occorre mantenere viva la fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.

6. Canonizzando la beata Rafqa Choboq Ar-Rayes, la Chiesa illumina in modo particolare il mistero dell'amore donato e accolto per la gloria di Dio e la salvezza del mondo. Questa monaca dell'Ordine libanese maronita desiderava amare e dare la propria vita per i suoi fratelli. Nelle sofferenze che non hanno cessato di tormentarla negli ultimi ventinove anni della sua esistenza, santa Rafqa ha sempre manifestato un amore generoso e appassionato per la salvezza dei fratelli, traendo dalla sua unione con Cristo, morto sulla croce, la forza di accettare volontariamente e di amare la sofferenza, autentica via di santità.

Possa santa Rafqa vegliare su quanti conoscono la sofferenza, in particolare sui popoli del Medio Oriente che devono affrontare la spirale distruttrice e sterile della violenza! Per sua intercessione, chiediamo al Signore di aprire i cuori alla ricerca paziente di nuove vie per la pace, affrettando i giorni della riconciliazione e della concordia!

7. "O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!" (Sal 8,2.10). Contemplando questi fulgidi esempi di santità, ritorna spontanea nel cuore l'invocazione del Salmista. Il Signore non cessa di donare alla Chiesa e al mondo mirabili esempi di uomini e donne, nei quali si riflette la sua gloria trinitaria. La loro testimonianza ci spinga a guardare verso il Cielo e a cercare senza posa il Regno di Dio e la sua giustizia.

Maria, Regina di tutti i Santi, che per prima hai accolto la chiamata dell'Altissimo, sostienici nel servire Dio e i fratelli. E voi camminate con noi, santi Luigi Scrosoppi, Agostino Roscelli, Bernardo da Corleone, Teresa Eustochio Verzeri, Rafqa Pietra Choboq Ar-Rayès, perché la nostra esistenza, come la vostra, sia lode al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Amen!

SOLENNE BEATIFICAZIONE DI PIO DI SAN CAMPIDELLI,
MARIA TERESA DI GESÙ GERHARDINGER E RAFQA AR-RAYES

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 17 novembre 1985

 

“Voi siete il sale della terra” (Mt 5, 13).

1. Nell’odierna liturgia la Chiesa ci ricorda queste parole di Cristo Signore, pronunziate nel discorso della montagna.

Il sale ha il suo sapore che non può perdere. Grazie a questo sapore esso è necessario alla terra, è necessario all’uomo. Il cibo senza sale è insipido, senza gusto. Proprio per questo il sale deve conservare il suo sapore. Se lo perde, non serve a nulla (cf. Mt 5, 13).

Il Signore Gesù dice queste parole ai discepoli. E le dice servendosi di una parabola: “Voi siete il sale della terra”. Voi dovete essere sale. Voi dovete dare sapore - il sapore evangelico - alla vita dell’umanità. Siate il sale!

2. La Chiesa applica queste parole alle tre persone che oggi eleva alla gloria degli altari: Pio Campidelli, passionista; suor Maria Teresa di Gesù Gerhardinger, fondatrice delle Povere suore scolastiche di Nostra Signora; Rafqa (Rebecca) Ar-Rayes de Himlaya, monaca dell’Ordine Libanese Maronita. La santità è “il gusto” specifico della vita cristiana. E in questo senso i santi sono il sale della terra (cf. Lumen gentium, 33).

Come il buon sale, immersi nell’esperienza multiforme della vita umana e nell’epoca storica alla quale sono inviati, i santi, con l’intenso sapore della loro testimonianza fedele al Vangelo fino all’eroismo, sanno permeare il loro ambiente della dottrina di Cristo, contribuendo alla progressiva attuazione della missione della Chiesa nel mondo.

3. Nell’anno internazionale della gioventù è elevato alla gloria degli altari Pio Campidelli, fratel Pio di San Luigi, un giovane che, come sale saporoso, ha dato la vita per la sua terra, per il suo popolo: offrì la vita per la Chiesa, il Papa, la conversione dei peccatori, per la sua Romagna.

Fratel Pio ha trovato il valore fondamentale della sua vita religiosa proprio nel dono di se stesso. Questo tratto essenziale della sua fisionomia interiore apparve ai testimoni specialmente nel momento della morte, quando, “con piena conoscenza della sua prossima consumazione andavasi tuttodì offrendo a compiere perfettamente il suo sacrificio per uniformarsi alla volontà del suo Dio; l’offriva per la Chiesa . . . e in specie per il bene della sua diletta Romagna” (dal “Processo Canonico”). Solo in quel momento si espresse la peculiare nota della sua virtù, che rivelò lo stile dell’intera sua esperienza spirituale.

Fin da fanciullo Pio Campidelli aveva percepito l’attrazione alla preghiera, alla liturgia, all’istruzione religiosa e, sostenuto dal buon esempio della famiglia, vi aveva aderito con entusiasmo, manifestandolo con le espressioni tipiche dell’infanzia innocente, come la devozione alla Madonna al Santissimo Sacramento, al Crocifisso. Entrato nella Congregazione dei Passionisti, vi trovò il clima favorevole per sviluppare l’aspirazione dominante di vivere in unione con Dio nell’intimo di sé e per prepararsi a coinvolgere gli altri in questa esperienza appassionante nell’esercizio del ministero sacerdotale. Al sacerdozio, però, non poté arrivare perché Dio lo chiamò a sé, all’età di ventun anni. Nel voto particolare dei passionisti di fare continua memoria della passione, morte e risurrezione di Gesù, egli seppe coinvolgere totalmente la propria vita, realizzando così la missione della vocazione specifica della sua famiglia religiosa. Proveniva da gente povera, aveva salute fragile, intelligenza normale; ma non ritenne sfortuna né senti come una frustrazione la sua povertà e il suo limite. Realizzò, invece, il massimo di sé perché “ricercò la sapienza nella preghiera . . . seguì dalla giovinezza le sue orme . . . vi trovò insegnamento abbondante” (cf. Sir 51, 13-16). E fu così che fratel Pio fu vero “sale della terra” per quanti lo conobbero da vivo, e “sale” continua ad essere per quanti avvicinano la luminosa testimonianza del suo esempio.

4. “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 14). Gesù rivolge oggi queste parole del Vangelo in modo particolare anche alla nostra nuova beata Maria Teresa Gerhardinger. La Chiesa esalta la luce che emana dalla sua vita santa e dalla sua opera; proclamandola beata la pone sul candelabro, perché d’ora in avanti la sua luce splenda per tutti gli uomini. La Chiesa onora, in Madre Teresa una qualificata educatrice e insieme una straordinaria opera educativa cristiana, che tuttora continua, in molte regioni e continenti, mediante la congregazione da lei fondata, delle “Povere suore scolastiche di Nostra Signora”.

All’età di soli dodici anni, quando ancora si chiamava Carolina Gerhardinger, essa accolse prontamente la chiamata a divenire insegnante; e più tardi fondò la sua congregazione per l’educazione, rispondendo, così, a una grande sfida del suo tempo; sfida che interpretò come una speciale chiamata di Dio nei suoi riguardi. La carenza di educazione e di vita di fede, prodotta dai rivolgimenti politici e sociali, la decadenza morale delle famiglie, soprattutto l’abbandono della gioventù, richiedevano nuove vie per una efficace formazione e un rinnovamento cristiani, specialmente tra le popolazioni rurali e gli strati sociali più umili e poveri. Con la guida spirituale del vescovo Wittman, ben convinto del fatto che le donne e le madri determinano la vita morale delle città e delle nazioni, la beata Maria Teresa di Gesù si consacrò, insieme alle consorelle, soprattutto all’educazione cristiana della gioventù femminile, per ottenere il risanamento morale delle famiglie e il miglioramento della società mediante la formazione di buone madri e donne di casa.

Carolina Gerhardinger intese il suo compito educativo come un invito a essere, secondo lo spirito di Cristo, “sale della terra” per gli altri (cf. Mt 5, 13). Il suo impegno sociale è, in fondo, un apostolato cristiano, che trova la sua piena espressione nella persona che nella società secolarizzata del nostro tempo, rimane valido e attuale, oggi come allora.

Chiediamo che la beata Maria Teresa di Gesù Gerhardinger sia, d’ora in avanti, per tutti gli educatori cristiani, e non solo per le consorelle della sua congregazione, un luminoso esempio e una interceditrice.

5. È ancora una donna la terza figura luminosa elevata agli onori della beatificazione, la beata Rafqa. La sua origine ci fa volgere immediatamente lo sguardo e il cuore verso la terra così cara del Libano di cui la Bibbia ha conservato delle immagini assai suggestive. Oggi questa evocazione si accompagna a una profonda stretta del cuore, a causa delle innumerevoli sofferenze che schiacciano le infelici popolazioni di questo paese. È il motivo per il quale, e con quanto fervore, sale dal mio cuore una supplica alla nuova beata. La prego d’intercedere presso Dio per la sua nobile patria accasciata dai tormenti. Possano gli abitanti del Libano trovare nell’esempio di questa donna forte, che ha tanto sofferto e non ha mai fatto soffrire, un incoraggiamento ad avanzare sulle vie del perdono, della riconciliazione e della pace!

La beata Rafqa de Himlaya fu veramente “sale della terra e luce del mondo”: missione che incombe a tutti i discepoli del Cristo. Avendo molto ricevuto dalle ricche tradizioni ecclesiali e monastiche del Libano, la nuova beata ha trasmesso in cambio al suo Paese e alla Chiesa il sapore misterioso di un’esistenza totalmente impregnata dello spirito di Cristo redentore. Essa è veramente come “una luce in cima alla montagna”. Le si può anche applicare il bel versetto del Salmo 92: “Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano”!

Aggregatasi inizialmente alle Suore Marianite col nome di suor Anissa, vale a dire suor Agnese, dopo una breve preparazione fu incaricata dell’insegnamento elementare e dell’educazione religiosa ai suoi piccoli compatrioti. In questi compiti delicati, essa manifestò una diligenza e una dolcezza che impressionarono profondamente i suoi alunni e le loro famiglie. I fanciulli spontaneamente accorrevano a lei. Durante la persecuzione del 1860 ne salvò molti. Si racconta che un bambino di Deir-el-Qamar fuggì alla morte rifugiandosi sotto il mantello della cara suora.

L’anno 1871 segna una svolta nella vita di suor Anissa. La sua cara Congregazione delle Mariamette fu disciolta. Bussò allora alla porta dell’Ordine Libanese Maronita, e vi fece la professione solenne il 25 agosto 1873 sotto il nome di suo Rafqa, o Rebecca, che era il nome di sua madre stessa. Giunta alla cinquantina e godendo di buona salute, fu allora che suor Rafqa, spinta misteriosamente dallo Spirito Santo, desiderò la grazia di essere visitata dalla malattia. Lungi dall’essere vittima di un gusto morboso per il dolore, provava il fascino mistico della conformità al Cristo sofferente. A partire dal 1885, fino alla sua morte nel 1914, conoscerà quotidianamente dei mal di testa e di occhi che la condussero progressivamente ad uno stato d’impotenza e di cecità complete. La sua preghiera più frequente era questa: “In comunione con la tua sofferenza, o Gesù”.

Ammirevole suor Rafqa, imitazione così umile e autentica del Cristo crocifisso, noi ti ringraziamo! Se non hai aggiunto nulla alla redenzione unica e sovrabbondante del Signore Gesù, ci hai lasciato la testimonianza sconvolgente di una cooperazione misteriosa e dolorosa all’applicazione dei frutti di questa redenzione. Che i discepoli di Cristo, dovunque oggi essi siano, e i tuoi compatrioti libanesi così provati da dieci anni di conflitti, possano attingere nella tua vita di sofferenza e di gloria il coraggio evangelico di offrire, di sperare, di perdonare, di amare!