Virginia Centurione Bracelli

Virginia Centurione Bracelli

(1587-1651)

Beatificazione:

- 22 settembre 1985

- Papa  Giovanni Paolo II

Canonizzazione:

- 18 maggio 2003

- Papa  Giovanni Paolo II

- Piazza San Pietro

Ricorrenza:

- 15 dicembre

Laica, vedova, che, dedita a servire Dio, accorse in molti modi in aiuto dei poveri, sostenne le chiese rurali e istituì e resse l'Istituto delle Cento Signore della Misericordia protettrici dei Poveri di Gesù Cristo, che, affiancando l’organizzazione cittadina delle "Otto Signore della Misericordia", aveva il compito specifico di verificare direttamente, tramite le visite a domicilio, i bisogni dei poveri, specialmente se vergognosi

  • Biografia
  • Omelia
  • pensieri e preghiera
  • omelia di beatificazione
"Tutte le opposizioni si spianano, tutte le difficoltà si vincono"

 

Virginia Centurione nacque il 2 aprile 1587 a Genova da Giorgio Centurione, doge della Repubblica nel biennio 1621-1622, e da Lelia Spinola, ambedue discendenti da famiglie di antica nobiltà. Battezzata due giorni dopo, ebbe la prima formazione religiosa e letteraria dalla madre e da un precettore domestico.

Pur manifestando fin dalla fanciullezza l’inclinazione per la vita claustrale, dovette accettare la decisione del padre che la volle sposa, il 10 dicembre 1602, a Gaspare Grimaldi Bracelli, giovane e ricco erede di illustre casata, incline ad una vita sregolata e al vizio del gioco. Dall’unione nacquero due bambine: Lelia e Isabella.

La vita coniugale di Virginia fu di breve durata. Gaspare Bracelli, infatti, nonostante il matrimonio e la paternità, non abbandonò lo stile di vita gaudente, tanto da ridursi in fin di vita. Virginia, con silenziosa pazienza, preghiera e amabile attenzione, cercò di convincere il marito ad una condotta più morigerata. Purtroppo, Gaspare si spense cristianamente il 13 giugno 1607 ad Alessandria, assistito dalla sposa che lo aveva raggiunto per curarlo.

Rimasta vedova a soli 20 anni, Virginia fece voto di castità perpetua, rifiutando le occasioni di seconde nozze propostele dal padre e visse ritirata in casa della suocera, curando l’educazione e l’amministrazione dei beni delle figlie e dedicandosi alla preghiera e alla beneficenza.

Nel 1610 sentì più chiaramente la particolare vocazione a «servire Dio nei suoi poveri». Pur essendo controllata severamente dal padre e senza mai trascurare la cura della famiglia, cominciò a impegnarsi per i bisognosi. Ad essi sovveniva o direttamente, distribuendo in elemosine metà della sua rendita dotale, o per mezzo delle istituzioni benefiche del tempo. 

Collocate convenientemente le figlie in matrimonio, Virginia si dedicò a tempo pieno alla cura dei fanciulli abbandonati, dei vecchi, dei malati e della promozione degli emarginati. 

La guerra tra la Repubblica Ligure ed il Duca di Savoia, spalleggiato dalla Francia, seminando la disoccupazione e la fame, indusse Virginia, nell’inverno del 1624-1625, ad accogliere in casa dapprima una quindicina di giovani abbandonate e poi, con l’aumento del numero dei profughi in città, quanti più poveri, specialmente donne, le fu possibile, provvedendo in tutto al loro fabbisogno.

Con la morte della suocera nell’agosto del 1625, cominciò non solo ad accogliere le giovani che arrivavano spontaneamente, ma andò essa stessa per la città, particolarmente nei quartieri più malfamati, in cerca di quelle più bisognose e in pericolo di corruzione.

Per sovvenire alla crescente miseria, istituì le Cento Signore della Misericordia protettrici dei Poveri di Gesù Cristo, che, affiancando l’organizzazione cittadina delle «Otto Signore della Misericordia», aveva il compito specifico di verificare direttamente, tramite le visite a domicilio, i bisogni dei poveri, specialmente se vergognosi. 

Nell’intensificare l’iniziativa dell’accoglienza delle giovani, soprattutto al tempo della pestilenza e della carestia del 1629-1630, Virginia si vide costretta a prendere in affitto il vuoto convento di Montecalvario, dove si trasferì il 14 aprile 1631 con le sue assistite che pose sotto la protezione di Nostra Signora del Rifugio. Dopo tre anni l’Opera contava già tre case con circa 300 ricoverate. Virginia ritenne quindi opportuno chiederne il riconoscimento ufficiale al Senato della Repubblica che lo concesse il 13 dicembre 1635.

Le assistite di Nostra Signora del Rifugio divennero per la Santa le sue “figlie” per eccellenza, con le quali divideva il cibo e le vesti, le istruiva con il catechismo e le addestrava al lavoro perché si guadagnassero il proprio sostentamento.

Proponendosi di dare all’Opera una sede propria, dopo aver rinunciato all’acquisto del Montecalvario per il prezzo troppo alto, comprò due villette attigue sul colle di Carignano che, con la costruzione di una nuova ala e della chiesa dedicata a N. S. del Rifugio, divenne la casa madre dell’Opera. 

Lo spirito che animava l’Istituzione fondata dalla Bracelli era largamente presente nella Regola redatta negli anni 1644-1650. In essa é sancito che tutte le case costituiscono l’unica Opera di N. S. del Rifugio, sotto la direzione ed amministrazione dei Protettori (laici nobili designati dal Senato della Repubblica); vi é riconfermata la divisione tra le «figlie» con l’abito (suore e novizie) e «figlie» senza; tutte, però, debbono vivere - pur senza voti - come le monache più osservanti, in obbedienza e povertà, lavorando e pregando; debbono inoltre essere pronte ad andare a prestare servizio nei pubblici ospedali, come se vi fossero tenute da voto.

Col tempo l’Opera si svilupperà in due Congregazioni religiose: le Suore di Nostra Signora del Rifugio di Monte Calvario e le Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario.

Dopo la nomina dei Protettori (3 luglio 1641), che venivano considerati i veri superiori dell’Opera, la Bracelli non s’immischiò più nel governo della casa: era sottomessa al loro volere e si regolava secondo il loro benestare perfino nell’accettazione di qualche giovane bisognosa. Viveva come l'ultima delle «figlie», dedita al servizio della casa: usciva mattina esera a mendicare per il sostentamento della convivenza. Si prodigava per tutte come una madre, specialmente per le ammalate, prestando loro i più umili servigi.

Già negli anni precedenti aveva dato corso ad un’azione sociale risanatrice tesa a curare le radici del male e a prevenirne le ricadute: gli ammalati e gli inabili andavano ricoverati in appositi Istituti; gli uomini validi andavano avviati al lavoro; le donne dovevano esercitarsi al telaio e alla calza; i bambini dovevano obbligarsi a frequentare le scuole. 

Con il crescere delle attività e degli sforzi, Virginia vide decrescere intorno a sé il numero delle collaboratrici, particolarmente le donne borghesi e aristocratiche che temevano di compromettere la loro reputazione nel trattare con gente corrotta e seguendo una guida per quanto nobile e santa, un po’ temeraria nelle imprese.

Abbandonata dalle Ausiliarie, esautorata di fatto dai Protettori nel governo della sua Opera, occupando l’ultimo posto tra le sorelle nella casa di Carignano, mentre la sua salute fisica declinava rapidamente, Virginia parve attingere nuova forza dalla solitudine morale.

Il 25 marzo 1637, ottenne che la Repubblica prendesse la Vergine come protettrice. Perorò presso l’Arcivescovo della città l’istituzione delle Quarantore, che si iniziarono a Genova verso la fine del 1642, e la predicazione delle missioni popolari (1643). Si interpose per appianare le frequenti e sanguinose rivalità che insorgevano, per futili motivi, tra le nobili famiglie ed i cavalieri. Nel 1647 ottenne la riconciliazione tra la Curia arcivescovile ed il Governo della Repubblica, tra loro in lotta per pure questioni di prestigio. Senza mai perdere di vista i più abbandonati era sempre disponibile a chiunque, indipendentemente dal ceto sociale, si rivolgeva a lei per ricevere aiuto. 

Gratificata dal Signore con estasi, visioni, locuzioni interiori e altri doni mistici speciali, moriva il 15 dicembre 1651, all’età di 64 anni. Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II l’ha proclamata Beata, in occasione del suo viaggio apostolico in Genova, il 22 settembre 1985.

CAPPELLA PAPALE PER LA CANONIZZAZIONE DI QUATTRO BEATI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

V Domenica di Pasqua, 18 maggio 2003

     

1. "Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto" (Gv 15,5; cfr Canto al Vangelo). Le parole rivolte da Gesù agli Apostoli, al termine dell'Ultima Cena, costituiscono un toccante invito anche per noi, suoi discepoli del terzo millennio. Solo chi Gli rimane intimamente unito - innestato a Lui come il tralcio alla vite - riceve la linfa vitale della sua grazia. Solo chi vive in comunione con Dio produce frutti abbondanti di giustizia e di santità.

Testimoni di questa fondamentale verità evangelica sono i Santi che ho la gioia di canonizzare in questa quinta domenica di Pasqua. Due di essi provengono dalla Polonia: Józef Sebastian Pelczar, Vescovo, fondatore della Congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù; Urszula Ledóchowska, vergine, fondatrice delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante. Le altre due Sante sono italiane: Maria De Mattias, vergine, fondatrice della Congregazione delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo; Virginia Centurione Bracelli, laica, fondatrice delle Suore di Nostra Signora del Rifugio in Monte Calvario e delle Suore Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario.

2. "Doskonałość jest jak owe miasto Objawienia (Ap 21), mające dwanaście bram, wychodzących na wszystkie strony świata, na znak, że ludzie wszelkiego narodu, stanu i wieku wejść przez nie mogą. (...) Żaden stan lub wiek nie jest przeszkodą do życia doskonałego. Bóg bowiem nie ma względu na rzeczy zewnętrzne (...), ale na duszę (...), a żąda tylko tyle, ile dać możemy". Tymi słowami nasz nowy święty Józef Sebastian Pelczar wyrażał swoją wiarę w powszechne powołanie do świętości. Tym przekonaniem żył jako kapłan, profesor i biskup. Sam do świętości dążył i innych do niej prowadził. Dokładał wszelkiej gorliwości, ale tak to czynił, aby w jego posłudze sam Chrystus był Nauczycielem i Mistrzem.

Dewizą jego życia było zawołanie: "Wszystko dla Najświętszego Serca Jezusowego przez Niepokalane Ręce Najświętszej Maryi Panny". To ono kształtowało jego duchową sylwetkę, której charakterystycznym rysem jest zawierzenie siebie, całego swego życia i posługi, Chrystusowi przez Maryję.

Swoje oddanie Chrystusowi pojmował nade wszystko jako odpowiedź na Jego miłość, jaką zawarł i objawił w sakramencie Eucharystii. "Zdumienie – mówił - musi ogarnąć każdego, gdy pomyśli, że Pan Jezus, mając odejść do Ojca na tron chwały, został z ludźmi na ziemi. Miłość Jego wynalazła ten cud cudów, (...) ustanawiając Najświętszy Sakrament". To zdumienie wiary nieustannie budził w sobie i w innych. Ono prowadziło go też ku Maryi. Jako biegły teolog nie mógł nie widzieć w Maryi Tej, która "w tajemnicy Wcielenia antycypowała także wiarę eucharystyczną Kościoła"; Tej, która nosząc w łonie Słowo, które stało się ciałem, w pewnym sensie była "tabernakulum" - pierwszym "tabernakulum" w historii (por. Ecclesia de Eucharistia, 55). Zwracał się więc do Niej z dziecięcym oddaniem i z tą miłością, którą wyniósł z domu rodzinnego, i innych do tej miłości zachęcał. Do założonego przez siebie Zgromadzenia Służebnic Najświętszego Serca Jezusowego pisał: "Pośród pragnień Serca Jezusowego jednym z najgorętszych jest to, by Najświętsza Jego Rodzicielka była czczona od wszystkich i miłowana, raz dlatego, że Ją Pan sam niewypowiedzianie miłuje, a po wtóre, że Ją uczynił Matką wszystkich ludzi, żeby Ona swą słodkością pociągała do siebie nawet tych, którzy uciekają od świętego Krzyża i wiodła ich do Serca Boskiego".

Wynosząc do chwały ołtarzy Józefa Sebastiana, modlę się za jego wstawiennictwem, aby blask jego świętości był dla sióstr sercanek, Kościoła w Przemyślu i dla wszystkich wierzących w Polsce i na świecie zachętą do takiego umiłowania Chrystusa i Jego Matki.

["La perfezione è come quella città dell’Apocalisse (Ap 21), con dodici porte che si aprono verso tutte le parti del mondo, come segno che gli uomini di ogni nazione, di ogni stato e di ogni età possono attraversarle. (...) Nessuno stato o nessuna età sono ostacolo ad una vita perfetta. Dio infatti non considera le cose esterne (...), ma l’anima (...), ed esige soltanto tanto quanto possiamo dare". Con queste parole, il nostro nuovo santo Giuseppe Sebastiano Pelczar esprimeva la propria fede nella chiamata universale alla santità. Di questa convinzione visse come sacerdote, come professore , e come vescovo. Tendeva alla santità egli stesso e ad essa conduceva gli altri. Fu zelante in ogni cosa, ma lo fece in modo che nel suo servizio Cristo stesso fosse il Maestro.

Il motto della sua vita era: "Tutto per il Sacratissimo Cuore di Gesù per le mani immacolate della Santissima Vergine Maria". Fu esso a formare la sua figura spirituale, la cui caratteristica fu l’affidare a Cristo per mezzo di Maria se stesso, la propria vita, il proprio ministero.

Intendeva il suo dono a Cristo soprattutto come risposta al suo amore, racchiuso e rivelato nel sacramento dell’Eucaristia. Diceva: "Ogni uomo deve essere preso dallo stupore al pensiero che il Signore Gesù, dovendo andare al Padre su un trono di gloria, rimase sulla terra con gli uomini. Il suo amore ha inventato questo miracolo dei miracoli, istituendo il Santissimo Sacramento". Incessantemente destava in sé e negli altri questo stupore della fede. Fu esso a condurlo anche a Maria. Come esperto teologo, non poteva fare a meno di vedere in Maria colei che "nel mistero dell’Incarnazione anticipava anche la fede eucaristica della Chiesa"; colei che portando nel grembo il Verbo, che si fece carne, fu in un certo senso il "tabernacolo" - il primo "tabernacolo" nella storia (cfr. Ecclesia de Eucharistia, 55). Si rivolgeva dunque a Lei con filiale dedizione e con quell’amore che aveva portato dalla casa paterna, ed incoraggiava gli altri a tale amore. Scriveva alla Congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, da lui fondata: "Tra i desideri del Sacro Cuore di Gesù uno dei più ardenti è quello che la sua Santissima Madre sia venerata ed amata da tutti, primo, perché il Signore stesso l’ama in modo ineffabile, e poi perché la fece madre di tutti gli uomini, affinché, con la sua dolcezza attirasse a sé persino coloro che fuggono dalla santa Croce e li conducesse al Cuore Divino".

Elevando alla gloria degli altari Giuseppe Sebastiano Pelczar, chiedo che per sua intercessione lo splendore della sua santità sia per le Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, per la Chiesa di Przemyśl e per tutti i credenti in Polonia e nel mondo un incoraggiamento a questo amore verso Cristo e verso la sua Madre.]

3. Święta Urszula Ledóchowska przez całe swe życie wiernie i z miłością wpatrywała się w oblicze Chrystusa, swego Oblubieńca. W sposób szczególny jednoczyła się z Chrystusem konającym na Krzyżu. To zjednoczenie napełniało ją niezwykłą gorliwością w dziele głoszenia słowem i czynem Dobrej Nowiny o miłości Boga. Niosła ją przede wszystkim dzieciom i młodzieży, ale też osobom znajdującym się w potrzebie, ubogim, opuszczonym, samotnym. Do nich wszystkich mówiła językiem miłości popartej czynem. Z przesłaniem Bożej miłości przemierzyła Rosję, kraje skandynawskie, Francję i Włochy. Była w swoich czasach apostołką nowej ewangelizacji, dając swym życiem i działaniem dowód, że miłość ewangeliczna jest zawsze aktualna, twórcza i skuteczna.

I ona czerpała natchnienie i siły do wielkiego dzieła apostolstwa z umiłowania Eucharystii. Pisała: "Mam miłować bliźnich jak Jezus mnie umiłował. Bierzcie i jedzcie me siły, bo one są do waszej dyspozycji (...). Bierzcie i jedzcie moje zdolności, moją umiejętność (...), me serce - niech swą miłością rozgrzewa i rozjaśnia życie wasze (...). Bierzcie i jedzcie mój czas - niech on będzie do waszej dyspozycji. Jam wasza, jak Jezus jest mój". Czy w tych słowach nie brzmi echo oddania, z jakim Chrystus w Wieczerniku ofiarował samego siebie Uczniom wszystkich czasów?

Zakładając Zgromadzenie Sióstr Urszulanek Serca Jezusa Konającego przekazała mu tego ducha. "Przenajświętszy Sakrament - pisała - to słońce życia naszego, to nasz skarb, nasze szczęście, nasze wszystko na ziemi. (...) Kochajcie Jezusa w tabernakulum! Tam niech serce wasze czuwa, choć ciało przy pracy, przy zajęciu. Tam Jezus, a Jezusa trzeba nam kochać tak gorąco, tak serdecznie. Jeśli nie umiemy kochać, to przynajmniej pragnijmy kochać - kochać coraz więcej".

W świetle tej eucharystycznej miłości święta Urszula w każdej okoliczności umiała dostrzec znak czasu, aby służyć Bogu i braciom. Ona wiedziała, że dla człowieka wierzącego każde, nawet najmniejsze wydarzenie staje się okazją do realizowania planów Bożych. To, co zwyczajne czyniła nadzwyczajnym; codzienne zamieniała w ponadczasowe; to, co przyziemne czyniła świętym.

Jeżeli dziś święta Urszula staje się przykładem świętości dla wszystkich wierzących, to dlatego, że jej charyzmat może być podjęty przez każdego, kto w imię miłości Chrystusa i Kościoła chce skutecznie dawać świadectwo Ewangelii we współczesnym świecie. Wszyscy możemy uczyć się od niej, jak z Chrystusem budować świat bardziej ludzki - świat, w którym coraz pełniej będą realizowane takie wartości, jak: sprawiedliwość, wolność, solidarność, pokój. Od niej możemy uczyć się jak na co dzień realizować „nowe" przykazanie miłości.

[Sant’Orsola Ledóchowska, per tutta la sua vita, con fedeltà e con amore, fissava con lo sguardo il volto di Cristo, suo Sposo. In modo particolare si univa a Cristo agonizzante sulla Croce. Tale unione la colmava di uno straordinario zelo nell’opera dell’annunciare, con parole ed opere, la Buona Novella dell’amore di Dio. La portava prima di tutto ai bambini e ai giovani, ma anche a tutti coloro che si trovavano nel bisogno, ai poveri, agli abbandonati, ai soli. A tutti si rivolgeva con il linguaggio dell’amore provato con le opere. Con il messaggio dell’amore di Dio attraversò la Russia, i Paesi scandinavi, la Francia e l’Italia. Ai suoi tempi fu un’apostola della nuova evangelizzazione, dando con la sua vita e con la sua attività la prova di una costante attualità, creatività ed efficacia dell’amore evangelico.

Anche lei attingeva dall’amore per l’Eucaristia l’ispirazione e la forza per la grande opera dell’apostolato. Scriveva: "Devo amare il prossimo come Gesù ha amato me. Prendete e mangiate... Mangiate le mie forze, sono a vostra disposizione (...). Prendete e mangiate le mie capacità, il mio talento (...), il mio cuore, affinché con il suo amore esso riscaldi e illumini la vostra vita (...). Prendete e mangiate il mio tempo, sia a vostra disposizione. (...) sono vostra come Gesù-Ostia è mio". Non risuona in queste parole l’eco di un dono con il quale Cristo, nel Cenacolo, offrì se stesso ai Discepoli di ogni tempo?

Fondando la Congregazione delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante, trasmise ad essa questo spirito. "Il Santissimo Sacramento - scrisse - è il sole della nostra vita, il nostro tesoro, la nostra felicità, il nostro tutto sulla terra. (...) Amate Gesù nel tabernacolo! Là rimanga sempre il vostro cuore anche se materialmente siete al lavoro. Là è Gesù, che dobbiamo amare ardentemente, con tutto il cuore. E se non sappiamo amarlo, desideriamo almeno di amarlo - di amarlo sempre più".

Alla luce di quest’amore eucaristico Sant’Orsola sapeva scorgere in ogni circostanza un segno del tempo, per servire Dio e i fratelli. Sapeva, che per chi crede, ogni evento, persino il più piccolo diventa un’occasione per realizzare i piani di Dio. Quello che era ordinario, lo faceva diventare straordinario; ciò che era quotidiano lo mutava perché diventasse perenne; ciò che era banale lei lo rendeva santo.

Se oggi Sant’Orsola diventa esempio di santità per tutti i credenti, è perché il suo carisma possa essere accolto da chi nel nome dell’amore di Cristo e della Chiesa voglia in modo efficace testimoniare il Vangelo nel mondo di oggi. Tutti possiamo imparare da lei come edificare con Cristo un mondo più umano - un mondo in cui verranno realizzati sempre più pienamente valori come la giustizia, la libertà, la solidarietà, la pace. Da lei possiamo imparare come mettere in pratica ogni giorno il comandamento "nuovo" dell’amore.]

4. "Questo è il suo comandamento: che crediamo... e ci amiamo gli uni gli altri" (1 Gv 3,23). L'apostolo Giovanni esorta ad accogliere l'amore sconfinato di Dio, che per la salvezza del mondo ha dato il suo Figlio unigenito (cfr Gv 3,16). Questo amore si è espresso in modo sublime quando è espresso in modo sublime quando Cristo ha versato il suo Sangue quale "prezzo infinito del riscatto" per l'intera umanità. Dal mistero della Croce fu interiormente conquistata Maria De Mattias, che pose l'Istituto delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo "sotto lo stendardo del Divin Sangue". L'amore per Gesù crocifisso si tradusse in lei in passione per le anime e in un'umile dedizione ai fratelli, al "caro prossimo", come amava ripetere. "Animiamoci – esortava - a patire volentieri per amore di Gesù che con tanto amore ha dato il sangue per noi. Fatichiamo per guadagnare anime al cielo".

Questo messaggio Santa Maria De Mattias affida ai suoi figli e alle sue figlie spirituali quest'oggi, spronando tutti a seguire fino al sacrificio della vita l'Agnello immolato per noi.

5. Lo stesso amore sostenne Virginia Centurione Bracelli. Seguendo l'esortazione dell'apostolo Giovanni, volle amare non soltanto "a parole", o "con la lingua", ma "coi fatti e nella verità" (cfr 1 Gv 3,18). Mettendo da parte le sue nobili origini, si dedicò all'assistenza degli ultimi con straordinario zelo apostolico. L'efficacia del suo apostolato scaturiva da una adesione incondizionata alla volontà divina, che si alimentava di incessante contemplazione e di ascolto obbediente della parola del Signore.

Innamorata di Cristo, e per Lui pronta a donare se stessa ai fratelli, santa Virginia Centurione Bracelli lascia alla Chiesa la testimonianza di una santità semplice e feconda. Il suo esempio di coraggiosa fedeltà evangelica continua ad esercitare un forte fascino anche sulle persone del nostro tempo. Soleva dire: quando si ha come fine Dio soltanto, "tutte le opposizioni si spianano, tutte le difficoltà si vincono" (Positio, 86).

6. "Rimanete in me!". Nel Cenacolo Gesù ha più volte ripetuto questo invito, che san Józef Sebastian Pelczar, santa Urszula Ledóchowska, santa Maria De Mattias e santa Virginia Centurione Bracelli hanno accolto con totale fiducia e disponibilità. E' un invito pressante e amorevole rivolto a tutti i credenti. "Se rimarrete in me - assicura il Signore - e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato" (Gv 15,7).

Possa ciascuno di noi sperimentare nella propria esistenza l'efficacia di questa assicurazione di Gesù.

Ci sia di aiuto Maria, Regina dei Santi e modello di perfetta comunione con il suo divin Figlio. Ci insegni a restare "innestati" a Gesù, come tralci alla vite, e a non separarci mai dal suo amore. Nulla, infatti, possiamo senza di Lui, perché la nostra vita è Cristo vivo e presente nella Chiesa e nel mondo. Oggi e sempre. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo!

Pensieri

Prego Dio che mi doni, come prima grazia, di amarlo e servirlo con tutto il cuore e con tutte le forze;
che mi doni la grazia di amare il mio prossimo come me stessa;
che mi doni spirito d'umiltà e disprezzo di me stessa.

Prego Dio che mi doni la grazia di compiere il mio ufficio con ascoltare tutti i poveri con carità e provvederli per quanto potrò, ed essere considerata prudente nel parlare di loro;
che mi doni la grazia di distribuire subito i miei averi ai poveri e di essere diligente affinché i beni che passano per le mie mani vadano a chi sono destinati.

Prego Dio che mi doni la grazia di essere molto discreta nel parlare e più pronta al fare che al dire;
di esercitare le opere di misericordia corporali e spirituali e di essere zelantissima dell'onore e della reputazione di ciascuno, per povero, miserabile e malandato che sia;
che mi faccia avere ogni giorno il pensiero rivolto alla morte, e pensare che oggi debba essere l'ultimo. 

Prego Dio che mi doni la grazia di non dare al mio corpo che il necessario;
che mi doni i santissimi suoi sette doni e che io pensi bene del prossimo.
che mi doni la pazienza nel sopportare volentieri tutte le contrarietà per amor suo;
di far penitenza dei miei peccati e, per amor suo, averne dolore tutti i giorni della mia vita;
di ricorrere continuamente alla sua santissima Madre avendomela data anche per madre mia, e ricorrere a lei nei miei bisogni, esserle ubbidiente, amarla e servirla come devo;

Prego Dio che mi doni la grazia di aborrire il peccato più che la morte, e di voler morire piuttosto che peccare;
che mi doni la grazia, quando faccio orazione, di farla con attenzione, riverenza e conside­razione, e di non pretendere mai altro che solo la perfetta sua volontà.

Prego Dio che mi doni la grazia di prepararmi, per quanto posso, alla santissima Comunione continuamente, e che ogni mia azione che farò, sia preparazione per riceverla.

Per la sua infinita bontà e misericordia e per i meriti infiniti della sua santissima Passione, che mi dia la grazia, quando andrò a confessarmi, di andarvi preparata, e si degni concedermi tutte le suddette grazie, e che anche, quando l'avrò ricevuto nel Santissimo Sacramento, non lo lasci mai più, ma gli tenga continuamente compagnia con desiderio conti­nuo di arrivare a vederlo in paradiso.

Prego Dio che si degni, per sua bontà, d'essere presente alla mia morte per ricevere l'anima mia nelle sue mani;

Prego la Beata Vergine che si voglia trovare anche Lei alla mia morte, e, nel corso della mia vita, mi guardi continuamente.

Preghiera

Padre misericordioso,
che nella tua predilezione per i poveri e gli emarginati,
hai scelto la tua serva Virginia Centurione Bracelli
per rinnovare la società con nuove iniziative apostoliche
di istruzione e di assistenza,
donaci il coraggio di impegnare le nostre attività
a servizio dei fratelli più abbandonati,
per costruire con essi una nuova fraternità,
dove ri­splenda il tuo volto di Padre.

Per Cristo nostro Signore.

Amen.

BEATIFICAZIONE DI MADRE VIRGINIA CENTURIONE BRACELLI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Piazza della Vittoria - Genova
Domenica, 22 settembre 1985

 

1. “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” (Mc 9, 35).

Queste parole esigenti e forti del Vangelo, carissimi fratelli e sorelle di Genova, ci permettono di tracciare una sintesi del modello singolare di vita di Virginia Centurione Bracelli, che oggi ho proclamato beata in questa sua città, dove nacque e operò, e dove riposa il suo corpo.

Essere servo di tutti è la missione che il Figlio di Dio ha abbracciato, divenendo “servo” sofferente del Padre per la redenzione del mondo.

Gesù illustra con un mirabile gesto il significato che egli vuole dare alla parola “servo”: e ai discepoli, preoccupati di conoscere “chi tra loro fosse il più grande”, egli insegna che è necessario invece mettersi all’ultimo posto, al servizio dei più piccoli: “Prese un bambino, lo pose in mezzo, e abbracciatolo disse: Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me” (Mc 9, 37).

Accogliere un bambino poteva significare, specie a quel tempo, dedicarsi alle persone di minore considerazione; preoccuparsi con profonda stima, con cuore fraterno e con amore, di coloro che il mondo trascura e che la società emargina.

Gesù si rivela così il modello di coloro che servono i più piccini e i più poveri. Egli si identifica con chi sta all’ultimo livello della società, si cela nel cuore dell’umile, del sofferente, del derelitto, e per questo afferma: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me”.

2. La vita di Virginia Centurione sembra svolgersi tutta alla luce di questo messaggio: rinunciare ai propri beni, al fine di servire ed accogliere gli umili, i mendicanti, di dedicarsi agli ultimi, alle persone più trascurate dagli uomini.

Rimasta vedova, giovanissima, accolse l’invito del Signore a servirlo per i suoi poveri. “Voglio servire solo te che non puoi morire”; questa era la preghiera di Virginia di fronte al crocifisso. “Voglio che tu mi serva nei miei poveri”, fu la risposta del Signore.

Virginia si dedicò dapprima alle fanciulle abbandonate della sua città, affinché non divenissero vittime, per la miseria sociale, di miserie morali ancor più umilianti. Al fine di assicurare loro quanto occorreva per una vita dignitosa, le ospitò dapprima nella sua casa, e si fece essa stessa, da nobile qual era, mendicante. La passione della carità la condusse pur in mezzo a una società nobile, ricca, gelosa dei propri privilegi, a imitare il Cristo, il quale “da ricco che era si è fatto povero per noi” (cf. 2 Cor 8, 9).

La meditazione del mistero del Calvario le permise di comprendere in modo concreto e fattivo il messaggio della sapienza del libro di Tobia: “Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l’elemosina con la giustizia . . . meglio è praticare l’elemosina che mettere da parte l’oro” (Tb 12, 8).

Fattasi dunque povera per amore di Cristo, vivente nei suoi poveri, Virginia diede vita a un tipo di carità che non si riduceva al semplice soccorso, ma programmava un impegno di vera promozione umana. Volle fare il possibile per assicurare ai mendicanti condizioni sociali accettabili e non prive di futuro. Anticipò così, genialmente, il senso moderno dell’assistenza, insegnando a mettere a frutto i doni della carità e aiutando, con delicata pedagogia, l’indigente ad uscire dalla triste mentalità indotta dalla miseria, e a divenire responsabile di se stesso.

Ricercare i poveri per questo, anche a domicilio, nel cuore dei quartieri più umili e miserabili della città, fu impegno peculiare che riservò a se stessa quando guidò le “Dame” e le “Ausiliarie della misericordia” a prestare il loro servizio ai bisognosi, poiché aveva compreso che la carità di Cristo non attende il misero, ma lo cerca, lo persegue nella sua indigenza, per puro amore.

3. Se ci domandiamo di dove provenissero la forza e il coraggio per una così grande dedizione e per tanto lavoro, troviamo che al centro della sua vita operava la contemplazione del crocifisso; il Gesù del Calvario, sempre presente, amato e invocato specialmente nei momenti più critici della vita sua personale e di quella delle sue fondazioni. Con l’apostolo Paolo Virginia poteva dire: “Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20).

Il Signore sa avvicinare con indicibile amore alla sua croce alcune anime elette valendosi delle contraddizioni degli uomini, delle umiliazioni che scaturiscono dalla miseria morale del mondo. Egli purifica così lo spirito dei suoi santi, li rende capaci di raccogliere il messaggio della croce, farlo proprio, viverlo con intensa generosità. Tale accostarsi alla croce di Cristo è un dono che attinge al misterioso operare della grazia divina e talvolta sconcerta le prospettive di chi pensa in termini terreni. Eppure, in verità, Cristo annuncia sempre la sua misericordia proprio attraverso queste anime, che egli trasforma in testimoni eccelsi di carità, poiché nelle prove seppero “rifugiarsi in lui”, e poterono “donare con gioia”, come abbiamo cantato nel salmo.

4. Un amore profondo a Cristo e un amore autentico ai poveri e ai bisognosi è il messaggio che Virginia ripete in questa circostanza alla città di Genova, quale essa è oggi, col suo intenso sviluppo, con la febbrile attività del suo porto e delle sue fabbriche, della sua vita operosa, dei suoi commerci.

Genova deve essere, come è sempre stata, una città cristiana. Essa è una città che ha sofferto per disastrose calamità, ma che risulta, nella storia, come un simbolo di pace specialmente per la figura di Benedetto XV, Giacomo Della Chiesa, il papa che, durante il primo conflitto mondiale, nel 1917, ebbe il coraggio di richiamare tutti i popoli del mondo all’esigenza di superare le conflittualità tra le nazioni non con la forza delle armi, ma col ricorso alle trattative poggianti sul diritto; il Papa che per primo, già nel 1920, denunciò i pericoli e i disastri della corsa agli armamenti, sottolineando, in una maniera attualissima e chiara anche per i nostri tempi, il disagio che la spesa delle armi induce specialmente tra i popoli più poveri.

Genova, una città dedicata alla Madonna, la Madonna della Guardia, che i genovesi salutano partendo e ritornando dai loro viaggi in mare; proprio città della Madonna, perché Virginia Centurione volle che Maria fosse dichiarata e proclamata Regina di questa città. È nel nome di Maria, Signora della Guardia, che la vostra comunità fedele, anche dispersa in tutto il mondo, annuncia la sua identità e il suo giusto orgoglio di popolazione laboriosa, intraprendente, instancabile, audace.

Sia questa una città testimone di Cristo nel conflitto delle idee che oggi sfidano i credenti e provocano chi ha la fede a vivere una carità coerente col messaggio annunciato.

5. “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini” (Mc 9, 31).

Nel Vangelo odierno Gesù preannuncia ai suoi discepoli la sua passione, li avvia alla comprensione di questo mistero sempre presente nella storia della salvezza.

Essi, tuttavia, non comprendono le sue parole. Ma noi, le possiamo capire? Quello che accadde in Galilea, nel colloquio riferitoci dall’evangelista Marco, è un fatto perenne, che sempre si attua. È il messaggio del Calvario che compare ogni qualvolta si presenta all’uomo il dolore, la povertà, la sofferenza.

Gesù, dunque, mentre preannuncia che egli “sta per essere consegnato”, ci insegna una realtà perenne e dolorosa: egli verrà sempre consegnato all’uomo, alla storia degli uomini, alla società, alle culture, all’umanità, alle generazioni sempre nuove, che si interrogano come in una difficile sfida, sul significato della vita e della croce di Cristo.

Nella storia che segue alla morte e alla risurrezione di Cristo si ripropone sempre un incalzante dilemma tra l’appello di Cristo e il fascino del mondo, tra le scelte conseguenti alla fede e quelle legate a una concezione immanentistica della vita. Noi avvertiamo che esiste un difficile confronto tra il bene continuamente annunciato dalla parola di Dio, da Cristo e dai suoi servi e testimoni, e un altro bene apparente, che lotta con il primo, ed è confortato da giustificazioni o da successi di carattere solamente terreno e umano, incarnato com’è nelle istanze della struttura tecnica della vita. Pare che di qui nascano quasi due vie morali, due etiche che divergono, e l’anima cristiana, come quella di ogni uomo onesto, è dilaniata nelle sue difficili scelte.

Ma la parola di Cristo è forse consegnata alla debolezza del cuore degli uomini, ai loro peccati, all’impressionante ondata di minacce morali che crescono nel mondo, o essa è capace di trasformare anche oggi il cuore umano, sostenendone la fragilità e spingendolo a cercare valori autentici fondati sull’essere, sulla libertà, sulla verità?

Io sono certo che anche ai nostri giorni, come per il passato, il lievito evangelico può suscitare discepoli di Cristo capaci di compiere sforzi generosi, di tentare vie nuove e impegnative in ogni campo della vita organizzata, per poter donare all’uomo una speranza nuova e certa, fondata sulla fede viva in Gesù crocifisso. Il cristiano deve saper compiere con gioia il suo dovere di servizio all’uomo, convinto che tanto sul piano naturale che in quello divino la crescita del proprio bene esistenziale si realizza e si articola con l’impegno per la crescita del bene altrui.

6. Ma siamo vigilanti e sinceri poiché anche coloro che sono vicini a Cristo possono essere ingannati circa il senso del loro ruolo nel mondo. “Per la via, infatti, avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande” (Mc 9, 34).

Anche coloro che sono vicini a Cristo possono essere travolti dalla tentazione di un tipo di esistenza che, volendo qualificarsi moderna, si lascia prendere dal furore tecnico e dall’ebbrezza delle sue trasformazioni, finendo per definirsi materialista, laica, estranea ai problemi dello spirito; apparentemente più libera, ma in verità sottomessa alla schiavitù che nasce da una maggiore povertà dell’anima. Non si aiuta l’uomo ad evolvere nella sua condizione di creatura sociale, se poi lo si lascia in condizioni di maggiore povertà per quanto concerne il suo spirito.

In questo senso il cristiano ha il compito, oggi più che mai urgente, di proporre al mondo nuovi modelli di vita per una nuova città costruita nella fraternità dell’amore. Gesù ci invita con l’esempio a una concreta scelta dell’ultimo posto per servire coloro che hanno smarrito nella tormentosa strada della vita il senso della ricchezza che viene da Dio.

7. Unendosi al caro e venerato fratello cardinale Giuseppe Siri, che con saggezza e zelo dal 1946 regge l’arcidiocesi di Genova, voglio affidare a Dio questa città e l’intera arcidiocesi, la sua gente, i suoi sacerdoti, i religiosi e le religiose; voglio affidarli a Maria santissima, patrona e regina di Genova.

Affido alla Madonna le figlie spirituali di Virginia Centurione, quelle della comunità genovese, le suore di Nostra Signora del rifugio di Monte Calvario, che voi chiamate “Brignoline”, quelle della comunità di Roma, le figlie del monte Calvario e le fraternità che operano in India, nell’Africa, nell’America Latina. Affido alla Vergine Maria la loro gioia per questa celebrazione, ma anche il loro spirito di carità, la loro generosa dedizione agli umili e ai poveri, all’educazione della gioventù, all’apostolato.

Lo faccio seguendo una frase di Virginia Centurione Bracelli, che mi pare degna di essere citata perché è segno della sua fiducia in Dio: “Rimettermi - ella diceva - in tutto e per tutto nelle mani di chi mi ha creato, il quale mi aiuterà più di quanto io possa pensare” (cf. “Ufficio delle Letture”).

Così sia per tutti noi.

Amen.