Causa in corso
Daniele da Samarate (al secolo: Felice Rossini)
- Venerabile Servo di Dio -

Daniele da Samarate (al secolo: Felice Rossini)

(1876 - 1924)

Venerabilità:

- 23 marzo 2017

- Papa  Francesco

Sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini; come San Francesco d’Assisi, egli accolse la malattia, trasformandola in opportunità per sé e per gli altri. Con questo spirito nuovo riuscì a sopportare le difficoltà con pazienza e abbandono fiduciale alla divina provvidenza

  • Biografia
La voce che egli intese interiormente, lo spinse ad accogliere la sua infermità come una grazia da vivere per il bene suo e della popolazione che serviva

 

Il Venerabile Servo di Dio Daniele da Samarate (al secolo: Felice Rossini) nacque a San Macario di Samarate (Milano, Italia) il 15 giugno 1876. Quattro anni dopo, con la famiglia si trasferì a Samarate.

Nel 1890, entrò nel Seminario dei Frati Minori Cappuccini di Sovere (Bergamo) e, al termine dell’anno di noviziato, emise la prima professione religiosa il 24 giugno 1892 e quella solenne il 2 luglio 1896. Sentendosi chiamato alla vita missionaria, ricevette il crocifisso missionario l’8 agosto 1898 e partì per la missione del Maranhão (Brasile), da poco tempo affidata alla Provincia Lombarda. A Canindé (Stato di Ceará, Brasile), si dedicò all’apprendimento della lingua e proseguì gli studi di teologia, al termine dei quali fu ordinato sacerdote il 19 marzo 1899.

Successivamente, fu inviato alla Colonia di S. Antonio do Prata nel Pará, dove svolse il suo apostolato dal 1900 fino al 1913, occupandosi principalmente dell’educazione dei piccoli indios e dell’attività pastorale in genere. Come direttore, professore, economo e Superiore dei frati, si dedicò alla formazione spirituale, alla promozione umana e all’amministrazione dei beni. Allargò i terreni coltivati, tracciò strade e ferrovie, introdusse il telefono, edificò case coloniche, fondò scuole e collegi, costruì chiese e ospedali, importò dall’Europa macchine moderne per la lavorazione dello zucchero, diede vita a una generalizzata assistenza sanitaria, organizzò la vita parrocchiale, dedicò un’attenzione particolare ai poveri e ai malati di lebbra, mostrando in ogni sua attività fervore missionario e grande zelo pastorale.

Nel 1908, amministrando gli ultimi sacramenti ad un’anziana ammalata di lebbra, il Venerabile Servo di Dio contrasse la stessa malattia. Nel 1909 fece un viaggio in Italia alla ricerca di terapie specifiche ma che non portarono frutti. Tornato in Brasile nel 1909, riprese la sua attività missionaria e pastorale. Nel 1913, lasciò la Colonia di S. Antonio do Prata e si recò a San Luis-Anil nel Maranhão. Consapevole del progredire della sua malattia, chiese e ottenne, nel 1914, di essere destinato al lebbrosario di Tucunduba presso Belém, per assistere umanamente e spiritualmente i lebbrosi. Qui esercitò per circa dieci anni un apostolato intenso e fruttuoso, nonostante le sofferenze progressive causate dalla malattia.

Il 9 maggio 1924, dopo aver ricevuto il Viatico, rinnovò la professione religiosa e chiese perdono ai confratelli. Morì il 19 maggio 1924 a Tucunduba (Brasile).

ITER DELLA CAUSA

L’Inchiesta diocesana si svolse presso la Curia ecclesiastica di Belém do Para (Brasile), dal 14 settembre 1994 al 3 agosto 1997, durante la quale furono raccolte le prove documentali e vennero escussi trentacinque testi, di cui quattro ex officio.

Fu istruita un’Inchiesta Rogatoriale a Milano (Italia) dal 6 agosto 1996 al 19 marzo 1997, durante la quale furono escussi ventisei testi, di cui tredici ex officio.

La validità giuridica delle Inchieste fu riconosciuta con il Decreto del 4 luglio 1998.

SEDUTA DEI CONSULTORI STORICI

Si svolse il 29 ottobre 2013. A conclusione del dibattito, il risultato finale per i tre quesiti di rito, sull’esaustività delle prove, sull’attendibilità dei documenti archivistici e sul fondamento delle virtù eroiche, fu unanimemente affermativo.

CONGRESSO DEI CONSULTORI TEOLOGI

Si tenne il 1° marzo 2016. I Consultori sottolinearono che, nella vita del Venerabile Servo di Dio, è possibile distinguere due periodi: il primo è quello dello slancio missionario che lo vide impegnato in un’intensa attività evangelizzatrice nelle colonie; il secondo è il periodo della malattia. Come San Francesco d’Assisi, egli accolse la malattia, trasformandola in opportunità per sé e per gli altri. Con questo spirito nuovo riuscì a sopportare le difficoltà con pazienza e abbandono fiduciale alla divina provvidenza. Il pericolo di contagio lo costrinse dapprima a rinunciare alla vita comunitaria e, in seguito, a vivere nel lebbrosario di Tucunduba, dove a poco a poco si consumava il suo corpo. Nel lazzaretto, attraverso un cammino di ascesi personale, fu accolto dagli altri lebbrosi. Continuò a prodigarsi nell’aiuto materiale e spirituale agli ammalati, nonostante i disagi provocati dall’avanzare del male, acuiti dall’assenza di cure. Accompagnò ad una morte cristiana molte persone. Nonostante il deperimento fisico, visse la difficilissima quotidianità in pace e armonia con tutti, trasformando il lazzaretto da luogo di disperazione e peccato in un luogo di benedizione.

Al termine del dibattito, i Consultori si espressero con voto affermativo circa il grado eroico delle virtù, la fama di santità e di segni del Venerabile Servo di Dio.

SESSIONE ORDINARIA DEI CARDINALI E VESCOVI

Si riunì il 14 marzo 2017. L’Ecc.mo Ponente, dopo avere tratteggiato la storia della Causa e la figura del Venerabile Servo di Dio, si soffermò sull’esercizio delle virtù teologali e cardinali, sottolineando che suo anelito costante fu di raggiungere la santità. Fu un uomo di fede, di molta preghiera e di grande slancio evangelizzatore. La speranza in Dio fu la sua forza sia durante le fatiche pastorali sia negli anni dell’infermità. Accettò la sua malattia presso la Grotta di Lourdes, quando egli chiese al Signore: “Se vuoi, puoi guarirmi”. Ma la voce che egli intese interiormente, lo spinse ad accogliere la sua infermità come una grazia da vivere per il bene suo e della popolazione che serviva. La sua ardente carità proclama a tutti il grande amore per Dio, mentre il suo amore per il prossimo viene testimoniato dall’indefessa dedizione nella Colonia. La fama di santità si diffuse non solo in Brasile, ma anche in Italia dove è ricordato come “apostolo dei lebbrosi”.

Al termine della Relazione dell’Ecc.mo Ponente, che concluse constare de heroicitate virtutum, gli Em.mi ed Ecc.mi Padri risposero unanimemente al dubbio con sentenza affermativa.