Bogusław Turek - Requisiti necessari per il riconoscimento della fama di santità in fase diocesana

 

Requisiti necessari per il riconoscimento della fama di santità in fase diocesana

Commento al Titolo II della Parte I dell’Istruzione Sanctorum Mater

 

 

I. Premessa

 

Vorrei iniziare questa riflessione dalle considerazioni sulla santità, offerteci dal Concilio Vaticano II. La Chiesa è un mistero di santità. Come leggiamo nella Costituzione Lumen gentium:

“Tutti nella Chiesa… sono chiamati alla santità. Questa santità della Chiesa costantemente si manifesta e si deve manifestare (manifestatur et manifestari debet) nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli; si esprime in varie forme presso i singoli, i quali nel loro grado di vita tendono alla perfezione della carità ed edificano gli altri”.[1]

Questo testo è fondamentale perché con i termini “si manifesta e deve manifestarsi”, sottolinea il carattere rivelativo della santità: nei santi “Dio manifesta vividamente agli uomini la sua presenza e il suo volto”.[2]

Detta “manifestazione” è la base primaria della fama di santità che viene richiesta perché un fedele possa essere proposto ufficialmente dalla Chiesa come esempio di vita evangelica a tutti i fedeli. Da ciò deriva anche un’altra conseguenza importante, direi essenziale per il vescovo nel condurre il procedimento canonico di una Causa di beatificazione: trattandosi di una manifestazione, la fama di santità non deve essere soltanto affermata ma dimostrata, provata e documentata. Non è soltanto vox populi, voce del popolo, ma si tratta più precisamente di fama, che presuppone sia testimonianze sia indizi concreti. In altre parole, deve essere possibile dimostrarla in base alle affermazioni di testimoni, cioè di persone reali, con nome e cognome, convinti della santità del candidato agli onori degli altari, e di provarne l’esistenza attraverso riscontri oggettivi, concreti e documentati a favore della santità di una persona.

Come ben sappiamo, il culto dei santi ha avuto il suo inizio con la venerazione spontanea dei fedeli, manifestato con visite a luoghi particolari (per esempio, alla tomba delle persone che ritenevano sante) o con il ricordo di date significative (per esempio, il giorno della loro morte). La fama di santità così intesa non è un dato soltanto sociologico, ma possiede una sua sostanza teologica, che diventa un requisito fondamentale per una Causa di beatificazione. La verifica della fama di santità cioè non ha come scopo quello di sondare un fenomeno di opinione pubblica, ma vuole cogliere un’espressione del sensus fidei del popolo di Dio.

 

II. Definizione della fama di santità

 

L’Istruzione Sanctorum Mater,[3] facendo riferimento alla definizione che ne da Benedetto XIV,[4] riassume così il concetto di fama di santità nelle Cause dei santi:

“La fama di santità è l’opinione diffusa tra i fedeli circa la purità e l’integrità di vita del Servo di Dio e circa le virtù da lui praticate in grado eroico”;[5]

“La fama di martirio è l’opinione diffusa tra i fedeli circa la morte subita dal Servo di Dio per la fede o per una virtù connessa alla fede”.[6]

Dopo il riconoscimento di una nuova fattispecie nelle Cause di beatificazione da parte del Santo Padre Francesco, ossia dell’offerta della vita, [7] questa definizione si potrebbe ora ulteriormente integrare:

“La fama di offerta della vita è l’opinione diffusa tra i fedeli  circa l’offerta libera e volontaria della vita ‘propter caritatem’ e una morte certa a breve termine”.[8]

Per semplificare, nell’esposizione seguente userò la dicitura fama di santità, riferendomi con questa espressione, in linea di massima, anche alla fama di martirio e dell’offerta della vita.

 

III. Alcuni riferimenti normativi precedenti alla Sanctorum Mater

 

Prima di affrontare direttamente il tema della fama di santità e dei relativi requisiti di cui, secondo l’Istruzione Sanctorum Mater il vescovo diocesano deve tener conto, può essere illuminante vedere come questa dimensione delle Cause dei santi sia trattata in altri documenti normativi, attualmente in vigore.

La Costituzione Apostolica Divinus perfectionis Magister,[9] dopo il proemio generale, nel primo punto fa riferimento alla fama di santità:

“Ai vescovi diocesani, agli eparchi e a quanti ad essi sono equiparati dal diritto, nell’ambito della propria giurisdizione, sia d’ufficio sia ad istanza di singoli fedeli o di legittime associazioni e dei loro rappresentanti, compete il diritto di investigare (ius competit inquirendi) sulla vita, le virtù o il martirio e sulla fama di santità o di martirio … di un Servo di Dio…”.[10]

Questa è l’unica volta in cui la Costituzione Apostolica ne parla. Con questa affermazione, però, si conferma il dovere fondamentale dei vescovi di investigare nelle Cause dei santi, oltre che sulla vita, sulle virtù, sul martirio e sull’offerta della vita, anche sulla fama di santità. In questo senso si elenca, in modo esplicito e vincolante, che tra gli elementi essenziali e indispensabili su cui deve concentrarsi un’inchiesta diocesana, c’è anche la fama di santità.

Qualche riferimento in più si trova invece nelle Normae servandae in Inquisitionibus ab Episcopis faciendis in Causis Sanctorum.[11]

Innanzitutto viene specificato che è

“compito del postulatore svolgere le indagini sulla vita del Servo di Dio di cui si tratta, per conoscere la sua fama di santità e l’importanza ecclesiale della Causa, e riferire al Vescovo”.[12]

Tale indagine serve al postulatore per presentare al vescovo, insieme al supplice libello, anche

“un’accurata relazione … sulla fama di santità e di miracoli”[13] e “un elenco delle persone che possono contribuire a esplorare la verità su le virtù o il martirio del Servo di Dio, come pure sulla fama di santità e di miracoli, oppure impugnarla”.[14]

I riferimenti normativi appena citati allargano l’orizzonte degli approfondimenti sulla fama di santità anche ai postulatori, i quali hanno il dovere di investigare per presentare al vescovo elementi probatori, anche documentali, ai quali egli potrà e dovrà fare riferimento nel suo operato, senza con questo limitarsi esclusivamente ed essi.

Altro aspetto che le Normae servandae mettono in rilievo è il fatto che la fama di santità deve essere ben tenuta in considerazione nella fase della raccolta delle testimonianze. Infatti il promotore di giustizia, in base al materiale a sua disposizione, deve

“preparare gli interrogatori utili ad indagare e mettere in luce la verità circa la vita, le virtù o il martirio, la fama di santità o di martirio del Servo di Dio”.[15]

È di particolare interesse anche il punto successivo, il quale stabilisce che

“nelle Cause antiche gli interrogatori riguardino soltanto la fama di santità o di martirio ancora presente”.[16]

 

IV. L’Istruzione Sanctorum Mater

 

a) Fama di santità – elemento necessario di ogni Causa di beatificazione e canonizzazione

Dal Titolo II della Sanctorum Mater e da altri articoli di questa Istruzione emerge con chiarezza che un elemento fondamentale e indispensabile di ogni Causa di beatificazione e canonizzazione è la fama di santità e deve essere espressamente tenuto in conto dal vescovo competente.[17] Tale elemento è necessario e deve essere oggetto di una verifica preliminare, prima di dare avvio alla Causa. La Sanctorum Mater è chiara al riguardo: prima di decidere l’inizio della Causa, il vescovo diocesano dovrà verificare la presenza dell’autentica e diffusa fama di santità.[18] Dall’esito positivo di questa verifica preliminare dipende l’accettazione o meno, da parte del vescovo, del libello di domanda del postulatore.[19]

La fama di santità, quindi, è un elemento fondamentale e necessario, di cui la prima valutazione spetta al vescovo competente. Come abbiamo visto, il postulatore ha il dovere di raccogliere e di presentare al vescovo la documentazione sulla fama di santità, perché quest’ultimo possa procedere alla menzionata valutazione previa.[20]

 

b) Caratteristiche della fama di santità

L’Istruzione Sanctorum Mater definisce così i requisiti che il vescovo competente deve avere presente per valutare in modo adeguato l’esistenza e l’autenticità della fama di santità:

“La fama deve essere spontanea e non artificiosamente procurata. Deve essere stabile, continua, diffusa tra le persone degne di fede, vigente in una parte significativa del popolo di Dio”.[21]

- Fama di santità spontanea e non artificiosamente procurata: i motivi.

La fama di santità richiesta deve essere spontanea e non costruita a tavolino. In un altro articolo la Sanctorum Mater parla della fama di santità autentica.[22] Tale requisito sembra essere chiaro e presuppone che, per diversi motivi estranei al vero bene del popolo di Dio, qualche Causa potrebbe essere promossa partendo da presupposti sbagliati e da una fama non completamente tale da poter essere ritenuta autentica. Anche se il desiderio o le valutazioni soggettive apparirebbero umanamente comprensibili (per esempio la sopravvivenza di un istituto religioso o l’incremento delle vocazioni), il vescovo deve saggiamente valutare i motivi reali della promozione di una Causa. Le ragioni appena citate, o altre simili, se stanno all’origine della promozione di una Causa di beatificazione, costituiscono un modo artificioso di creare la fama di santità. Per vedere se si tratti di una fama di santità autentica occorre tener presente il fondamento di tale fama. Nelle Cause di beatificazione e canonizzazione il fondamento della fama di santità è la comune convinzione che il candidato alla canonizzazione abbia vissuto, praticando le virtù cristiane non in modo occasionale, ma continuativo, ben al di sopra della pratica comune da parte dei buoni cristiani. Lo stesso vale per il fondamento della fama di martirio che, per essere autentica, si deve fondare sulla comune convinzione dei fedeli che un candidato è andato incontro alla morte inflittagli in odio alla fede o ad un'altra virtù ad essa collegata. Lo stesso ragionamento va applicato infine alla fama dell’offerta della vita.

Per questo, l’autentica fama di santità non si può basare su alcuni fenomeni come possono essere le stimmate, le visioni, le apparizioni, ecc. Pur costituendo un elemento importante nella vita di una persona, si tratta sempre dei doni offerti dal Signore e non dimostrazioni della vita santa.

L’autentica e spontanea fama di santità non equivale neppure all’importanza che una persona ha avuto nella storia, alle opere che ha fondato o realizzato, alla popolarità mediatica che ha riscosso in vita. Bisogna sapientemente distinguerla dalla buona reputazione, dalla pubblica considerazione, dalla notorietà sociale e culturale.

Pertanto, per valutare se la fama di santità è autentica, spontanea e non artificiosamente procurata il vescovo deve tener conto di due ambiti.

1. Da una parte deve attentamente valutare se il fondamento della fama sono la vita, le virtù, il martirio o l’offerta della vita, ossia se il fondamento in base al quale il popolo di Dio è convinto dell’eccezionalità di una persona risiede negli elementi intimamente e intrinsecamente legati ad essa e alla sua vita oppure è da ricercarsi in realtà esteriori come per esempio le opere compiute, i doni straordinari, l’importanza storica, ecc. In questo caso si tratterebbe di un indebito spostamento del centro di attenzione dalla “comune opinione sulla purezza e integrità di vita e sulle virtù” oppure dalla “comune opinione che qualcuno o qualcuna abbia pazientemente sopportato la morte ad essi inflitta per la fede di Cristo o per una virtù che faccia riferimento alla fede di Cristo”[23] ossia da qualcosa di intrinseco alla vita del candidato agli onori degli altari, agli elementi esterni della sua persona. In altre parole, si tratterebbe di qualcosa sì legato a lui, ma in modo estrinseco, rispondente più alla popolarità e notorietà, che ad una vera e propria fama di santità.

2. D’altra parte occorre che il vescovo approfondisca anche bene se il fondamento della fama di santità si poggia non tanto sulla vita del candidato ma su elementi legati agli interessi dei promotori di un’eventuale Causa. In questo contesto particolare attenzione richiedono le Cause che si desidera iniziare sull’onda dell’impatto emotivo che i candidati suscitano. Penso per esempio alle richieste di avviare le Cause delle persone morte prematuramente o in circostanze tragiche, alle Cause promosse dai familiari nei confronti dei loro congiunti. In questi casi il fattore emotivo non va scambiato per la fama di santità spontanea ed autentica.

Altri fattori estrinseci, che snaturano l’autenticità della fama di santità e, quindi la sua dimensione spontanea e genuina, sono come già visto motivi che risentono dei condizionamenti religiosi (la sopravvivenza di una congregazione religiosa, il posto di onore che andrebbe riconosciuto ai fondatori), sociali (desiderio di avere i santi provenienti dall’ambiente locale), culturali o addirittura politici (tentativo di avvallare il valore delle vicende storiche o scelte politiche e nazionali).

Nelle proposte di singole Cause diversi degli elementi appena accennati, sia quelli che costituiscono un fondamento dell’autentica e spontanea fama di santità che quelli legati ad altre motivazioni, possono coesistere ed essere egualmente riscontrati. Appartiene all’abilità e prudenza del vescovo saper valutare e discernere se si ha a che fare con la prevalenza dei motivi che depongono per la spontaneità ed autenticità della fama di santità oppure se si è davanti ad una induzione artificiale della fama di santità. In quest’opera di discernimento sembra che il criterio base sia quello di valutare se il riferimento di fondo è la vita personale e interiore del candidato che interroga il popolo di Dio o sono elementi piuttosto esteriori, come le sue opere, la popolarità o altro.

L’autenticità e la spontaneità della fama deve essere fondata, quindi, deve nascere tra le persone degne di fede che sono veramente convinte della santità di un candidato agli onori degli altari e non tra persone interessate alla beatificazione o canonizzazione di qualcuno per motivi particolari.

Nella riflessione sulla fama di santità spontanea e non artificiosamente procurata merita qualche attenzione anche la funzione e il potere che i moderni strumenti di comunicazione possono esercitare su di essa. Le pubblicazioni, internet o altri mezzi sono sicuramente un valido e utile strumento di divulgazione della conoscenza di un candidato agli onori degli altari. Tali vie offrono molte possibilità e oggi non si può non tenerne conto. D’altra parte, però, essi possono essere usati per condizionare o addirittura creare la fama di santità che non sarebbe più spontanea. Un attento vescovo deve tener conto che la diffusione mediatica della fama di cui gode una persona non corrisponda automaticamente alla fama di santità autentica. Per questo è importante la distinzione tra l’autentica fama di santità e altri tipi di divulgazione della conoscenza di una persona, per esempio di tipo sociale, intellettuale, filantropico o politico.

- Fama di santità continua e stabile: i tempi.

Sono requisiti, che si concentrano soprattutto sulla dimensione temporale. Al riguardo, la Sanctorum Mater si riferisce esplicitamente ad una fama di santità, di cui un fedele cattolico ha goduto in vita, in morte e dopo morte.[24] Sembra logico che in riferimento al martirio o all’offerta della vita la fama di cui un candidato agli onori degli altari ha goduto riguarda non tanto la vita ma piuttosto il momento della morte martiriale o dell’offerta della vita e il periodo che ne segue. Tale requisito in modo chiaro si riferisce all’aspetto di continuità nel tempo. L’autentica fama deve essere ininterrotta e costante, non frutto di un’attenzione momentanea ma di stabile interesse e convincimento del popolo di Dio. Qualora si verificassero dei periodi di calo o addirittura di interruzione della manifestazione di fama di santità, il vescovo dovrebbe accuratamente approfondire gli eventuali motivi che storicamente li giustifichino.

Nel passato si richiedeva che la fama di santità crescesse col passare del tempo. Oggi invece, sembra che la legislazione si accontenti di una fama di santità stabile e continua, non necessariamente crescente.

- Fama di santità diffusa tra le persone degne di fede, vigente in una parte significativa del popolo di Dio: qualità e quantità del popolo di Dio

Non sono soltanto i libri, le conferenze, gli opuscoli, la presenza in radio, alla televisione o su internet che costituiscono il fondamento di un’autentica fama di santità ma soprattutto le persone nelle quali tale convinzione è nata e perdura. Per questo, accanto al come e dove è germogliata la fama di santità, è fondamentale verificare da chi essa è nata, presso chi continua e da chi è attivamente divulgata.

Innanzitutto l’Istruzione Sanctorum Mater parla di persone degne di fede. Tale affermazione fa riferimento alla qualità delle persone che attestano la presenza della fama di santità ossia alla buona opinione e considerazione di cui esse godono nella società. Pertanto, l’autenticità della fama si può evincere anche dal fatto che essa è presente tra persone particolarmente qualificate. Ciò può riguardare sia la loro statura morale (persone credibili e affidabili, ritenute veritiere, senza precedenti penali, ecc.) ma anche i ruoli che ricoprono (vescovi, parroci, superiori religiosi, laici particolarmente impegnati nella vita della chiesa locale). In questo caso, prima del giudizio sul merito della santità di un candidato, si fa ricorso all’intima convinzione delle persone, basandosi sulla loro autorità e credibilità.

In un secondo luogo l’Istruzione si riferisce anche alla parte significativa del popolo di Dio. Si tratta piuttosto del dato quantitativo che, però, non va inteso nel senso puramente numerico o statistico. Parte significativa, pur non riferendosi alla totalità, indica che la fama di santità deve essere presente nella convinzione di un discreto numero di fedeli e non può limitarsi ad un gruppo numericamente esiguo. Tale affermazione si riferisce anche alla composizione del popolo di Dio in cui è viva la fama di santità. In questo senso, essa deve manifestarsi, pur con diversa intensità dovuta alle caratteristiche di vita di un candidato agli onori degli altari, sia tra il clero, i religiosi e laici. Difficilmente la fama potrà essere definita come autentica, se si manifesta soltanto tra i membri di un istituto religioso, o tra i familiari, oppure tra i membri di un gruppo che intende promuovere la Causa.

Un caso particolare presentano i candidati agli onori degli altari di cui stato o modo di vita comporta la restrizione dei contatti con altre persone. A titolo di esempio si possono citare le monache di clausura, la cui fama è necessariamente circoscritta.

Nelle Cause di beatificazione, salvo qualche eccezione (per esempio, Madre Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II), la presenza della fama si limita a una nazione, una diocesi o addirittura ad una città. Anche se territorialmente essa sembra limitata, la sua presenza deve sempre riguardare persone degne di fede e una parte significativa del popolo di Dio di questo territorio.

 

c) Il materiale probatorio per la valutazione della fama di santità

In riferimento alle prove di cui tener conto per l’approfondimento della fama di santità è opportuno mettere in evidenza diversi momenti della valutazione. Sembra che si possano distinguerne tre: il primo, quando il postulatore presenta il supplice libello e chiede di iniziare una Causa; il secondo, che coincide con lo svolgimento dell’inchiesta diocesana vera e propria; ed infine il terzo, che si svolge in fase romana e che, quindi, non riguarda tanto il vescovo diocesano ma chiama in causa direttamente il Dicastero delle Cause dei Santi.

Il vescovo diocesano è coinvolto nei primi due momenti. Nel primo momento le prove su cui deve basare il suo giudizio circa la fama di santità sono costituite soprattutto dalla documentazione raccolta e presentata dal postulatore mentre chiede di iniziare una Causa. Tali prove sono formate di solito dal materiale documentario. Se in base ai documenti ricevuti è in grado di accertare l’esistenza della fama di santità, egli può procedere con altri adempimenti previsti per lo svolgimento di una Causa. Però non è escluso, anzi è raccomandabile, che il vescovo non si limiti soltanto alla valutazione del materiale presentato dalla postulazione ma proceda ad una ulteriore ricerca e verifica, per esempio con un’indagine previa, sentendo alcuni testimoni espressamente sull’esistenza della fama di santità. Rientra anche in questo momento della verifica della consistenza della fama di santità, la consultazione previa con i vescovi della conferenza episcopale (o almeno quella regionale)[25] e la valutazione della risonanza che presso i fedeli avrà l’editto con cui il vescovo comunica alla diocesi di aver ricevuto la richiesta di iniziare una Causa di beatificazione.[26]

Il secondo momento riguarda direttamente lo svolgimento e la conduzione dell’inchiesta diocesana, nel corso della quale i testimoni convocati devono essere ascoltati anche sulla fama di santità di cui gode un Servo di Dio. Infatti, come abbiamo visto, il promotore di giustizia, nella elaborazione degli interrogatori per i testimoni deve tener conto anche di questa dimensione.[27] Per di più, quando si ha a che fare con le Cause antiche, l’interrogatorio deve riguardante soltanto la fama di santità.[28] Anche la commissione storica, nell’espletare il suo compito, non può tralasciare la ricerca della documentazione che copre l’intero spazio di tempo dalla morte del Servo di Dio ad oggi, inerente la fama di santità di cui egli ha goduto e gode lungo gli anni. Le prove raccolte in questo secondo momento sono quindi sia testificali che documentali. Le deposizioni dei testimoni si riferiscono soprattutto all’attuale fama di santità, mentre i documenti riguardano il perdurare della fama e la sua continuità nel passato.

Infine, il terzo momento riguarda il giudizio del Dicastero delle Cause dei Santi e si basa sul materiale testificale e documentario precedentemente raccolto. Durante la fase romana, in caso di eventuali fragilità del materiale probatorio, il Dicastero può richiedere ulteriori integrazioni, per una più robusta dimostrazione dell’esistenza e sussistenza della fama di santità.

 

d) Fama di segni.

L’autentica fama di santità è inoltre contraddistinta dalla fama di segni. Infatti, il Titolo II dell’Istruzione Sanctorum Mater si riferisce congiuntamente alla fama di santità e di segni. Nel documento in parola il riferimento alla fama di santità viene sempre accompagnato dal riferimento anche alla fama di segni. Questo indica lo stretto legame tra le due realtà. Infatti, la fama di segni non soltanto è legata stabilmente alla fama di santità, ma costituisce anche un criterio indispensabile per valutare l’autenticità della stessa.

L’Istruzione così definisce la fama signorum:

“La fama di segni è l’opinione diffusa tra i fedeli circa le grazie ed i favori ricevuti da Dio attraverso l’intercessione del Servo di Dio”.[29]

Fanno parte dei segni piccole o grandi grazie ottenute da qualcuno per intercessione di un fedele defunto ritenuto santo, ma si tratta sempre di fatti concreti che danno la convinzione che il candidato agli onori degli altari ha un potere di intercessione presso Dio.

Il vescovo, pertanto, nel corso degli accertamenti che dovrà compiere prima di decidere l’inizio di una Causa, deve tener presente che una fama di santità genuina porta spontaneamente i fedeli a invocare, per necessità proprie o di altri, le persone che ritengono santi. La fama di santità, pertanto, deve essere accompagnata dai segni, cioè da testimonianze di quanti hanno pregato e ottenuto grazie e favori celesti, facendo ricorso all’intercessione del candidato agli onori degli altari. Non si tratta di miracoli veri e propri, che nella legislazione attuale richiedono un dettagliato studio e un’attenta verifica per essere dichiarati tali, ma dell’intima convinzione dei fedeli che il loro ricorso all’intercessione di una persona che ritengono santa è stato esaudito dal Signore. In altre parole, la fama di segni si riferisce al fatto che ci sono persone che ricorrono all’intercessione di qualcuno e dichiarano di essere stati ascoltati. Tale loro affidamento è un’ulteriore conferma della loro intima convinzione della santità della persona che hanno invocato.

Risulta non autentica una fama di santità che non viene accompagnata da una documentata e testimoniata fama di segni. In tal caso si potrebbe parlare al massimo di notorietà o di diffusa conoscenza di una persona, ma non di fama di santità.

Per quanto riguarda la fama di segni, il vescovo non deve verificare se i singoli favori sono vere e proprie grazie né stabilire con certezza morale se esista un legame tra l’intercessione e la grazia ricevuta. Questo è necessario nel caso di miracoli. Si tratta invece di costatare la presenza della fama di segni e verificare la loro autenticità secondo i criteri indicati per la fama di santità: spontanea e non artificiosamente procurata, continua e stabile, diffusa tra le persone degne di fede, vigente in una parte significativa del popolo di Dio. Non dovendo procedere a delle verifiche particolari, tra le grazie e i favori ottenuti possono esserci anche quelli di carattere spirituale o materiale (conversioni, ripresa della pratica religiosa o del fervore nella devozione, liberazione dalla dipendenza dall’alcool, dal fumo, dalla droga, ecc.), che non possono essere considerati come miracoli.

 

V. Conclusione

 

La fama di santità e di segni, intesa come voce del popolo di Dio, provata dai documenti e dalle testimonianze, era considerata nella lunga tradizione delle Cause come elemento fondamentale di ogni processo di beatificazione e canonizzazione, fino al punto di voler richiedere nel passato inter canonico la celebrazione di un apposito Processo Ordinario Informativo.[30] Dopo la nuova procedura della Cause dei santi, codificata con la riforma del 1983, si è notato un certo affievolimento dell’attenzione su questa dimensione delle inchieste diocesane. L’Istruzione Sanctorum Mater, tenendo presente tale limite, ha voluto ricuperare il posto dovuto alla fama di santità e di segni, dando indicazioni concrete ai vescovi competenti, seguendo in questo una saggia raccomandazione che Benedetto XVI ha inviato alla Congregazione delle Cause dei Santi:

“I Pastori diocesani, decidendo ‘coram Deo’ quali siano le Cause meritevoli di essere iniziate, valuteranno anzitutto se i candidati agli onori degli altari godano realmente di una solida e diffusa fama di santità e di miracoli oppure di martirio. Tale fama […] è un segno di Dio, che indica alla Chiesa coloro che meritano di essere collocati sul candelabro per fare ‘luce a tutti quelli che sono nella casa’ (Mt 5, 15). È chiaro che non si potrà iniziare una Causa di beatificazione e canonizzazione se manca una comprovata fama di santità, anche se ci si trova in presenza di persone che si sono distinte per coerenza evangelica e per particolari benemerenze ecclesiali e sociali”.[31]

La succitata raccomandazione, insieme alle indicazioni dell’Istruzione Santocum Mater, continuano a mantenere il loro valore e costituiscono un faro luminoso che illumina e aiuta ogni vescovo nel suo equilibrato, motivato e prudente discernimento circa la presenza di fama di santità e di segni nei candidati agli onori degli altari, di cui Cause egli intende iniziare.

 

Madrid, 17 ottobre 2023

 

P. Bogusław Turek, CSMA

Sottosegretario

 

__________

[1] Lumen gentium, n. 39.

[2] Lumen gentium, n. 50.

[3] AAS, 99(2007), pp. 465-517.

[4] BENEDETTO XIV, La beatificazione dei servi di Dio e la canonizzazione dei beati, vol. II/2, Città del Vaticano 2013, 132-133 (I. II, c. 39, n. 7): “La fama di santità in genere infatti non è altro che la reputazione o la comune opinione sulla purezza e integrità di vita e sulle virtù, non in modo occasionale, ma attraverso atti continui, in ogni occasione, esercitati al di sopra del modo comune di praticare degli altri uomini e donne giusti, da qualche servo o serva di Dio già defunti, nonché sui miracoli compiuti da Dio in seguito alla loro intercessione; in modo che, nata la devozione verso di essi in uno o più luoghi, vengano da molti invocati nelle loro necessità, e in base al giudizio di molti uomini autorevoli vengano stimati degni che dalla Sede Apostolica siano riportati nel catalogo dei beati o dei santi.

Ugualmente la fama di martirio in genere non è altro che la reputazione e la comune opinione che qualcuno o qualcuna abbia pazientemente sopportato la morte ad essi inflitta per la fede di Cristo o per una virtù che faccia riferimento alla fede di Cristo, e che siano seguiti segni o miracoli a loro intercessione per manifestare la loro gloriosa morte; in modo che, nata presso molti la devozione, siano invocati nelle loro necessità, e in base al giudizio di uomini autorevoli vengano stimati degni di essere riportati dal sommo pontefice nel catalogo dei beati e dei santi”.

[5] Sanctorum Mater, art. 5 § 1.

[6] Sanctorum Mater, art. 5 § 2.

[7] FRANCESCO, Lettera Apostolica Maiorem hac dilectionem sull’offerta della vita, 11 luglio 2017.

[8] Cf. HILGEMAN W. – SPEDICATO E., Prontuario delle Cause dei Santi. La fase diocesana. Commenti e formulari, GBP, Pontificia Università Gregoriana-Pontificio Istituto Biblico, Roma 2021, p. 36.

[9] AAS, 75(1983), pp. 349-355.

[10] Divinus perfectionis Magister, 1.

[11] AAS, 75(1983), pp. 396-403.

[12] Normae servandae, 3b.

[13] Normae servandae, 10, 1°.

[14] Normae servandae, 10, 3°.

[15] Normae servandae, 15a.

[16] Normae servandae, 15b.

[17] Sanctorum Mater, art. 4 § 1: “La Causa di beatificazione e canonizzazione riguarda un fedele cattolico che in vita, in morte e dopo morte ha goduto fama di santità, vivendo in maniera eroica tutte le virtù cristiane; o gode di fama di martirio perché, avendo seguito più da vicino il Signore Gesù Cristo, ha sacrificato la vita nell’atto del martirio”.

[18] Sanctorum Mater, art. 7 § 1: “Prima di decidere l'inizio della Causa, il vescovo diocesano o eparchiale dovrà verificare se, presso una parte significativa del popolo di Dio, il servo di Dio goda di un'autentica e diffusa fama di santità oppure di martirio, unitamente ad una autentica e diffusa fama di segni”.

[19]  Sanctorum Mater, art. 40 § 1: “Fermo restando l'art. 45 § 1 della presente Istruzione, il Vescovo diocesano o eparchiale potrà accettare il libello di domanda per l'avvio della Causa dopo aver valutato l'esistenza di un'autentica e diffusa fama di santità o di martirio e di segni”.

[20] Sanctorum Mater, art. 8 “§ 1: “Anzitutto il postulatore dovrà raccogliere la documentazione sulla fama di santità o di martirio e sulla fama di segni e presentarla, a nome dell'attore, al vescovo competente.

§ 2. Il Vescovo dovrà valutare la documentazione per accertarsi dell'esistenza della fama di santità o di martirio e della fama di segni e dell'importanza ecclesiale della Causa.

§ 3. La documentazione va unita agli atti dell'Inchiesta”.

[21] Sanctorum Mater, art. 7 § 2.

[22] Cf. Sanctorum Mater, art. 40 § 1.

[23] BENEDETTO XIV, La beatificazione dei servi di Dio e la canonizzazione dei beati, vol. II/2, Città del Vaticano 2013, 132-133 (I. II, c. 39, n. 7).

[24] Sanctorum Mater, art. 4 § 1.

[25] Cf. Sanctorum Mater, art. 41.

[26] Cf. Sanctorum Mater, art. 43.

[27] Normae servandae, 15 a.

[28] Normae servandae, 15 b.

[29] Sanctorum Mater, art. 6.

[30] Cf. CIC (1917), cann. 2038-2086.

[31] BENEDETTO XVI, Ad sessionem plenariam Congregationis de Causis Sanctorum, 24 apr. 2006: AAS 98 (2006) 397-401.