Don Angelo Romano - Rettore della Basilica di San Bartolomeo all’Isola

“Sono più numerosi nel nostro tempo che nei primi secoli”

 

Nei suoi discorsi Papa Francesco cita spesso il tema del martirio, descrivendolo come una realtà del nostro tempo e non del passato. Il 19 aprile scorso ricordava come i martiri “sono più numerosi nel nostro tempo che nei primi secoli.” Le parole del Papa ci testimoniano l’importanza di questa realtà, oggi osservata e seguita con grande attenzione sia all’interno della Chiesa che dal mondo della informazione e dagli studiosi in generale.

Per molto tempo non è stato così. Fino a pochi decenni fa si sarebbe potuto anche credere che la realtà del martirio fosse legata quasi esclusivamente ai primi secoli di vita della Chiesa. Ha dato una svolta Giovanni Paolo II: decise di istituire una Commissione Nuovi martiri per raccogliere la documentazione relativa ai cristiani perseguitati nel Novecento, in preparazione del Giubileo del 2000. Quella commissione, in pochi mesi, raccolse più di tredicimila schede di martiri da tutto il mondo, rivelando le vere dimensioni del fenomeno. In molti contesti le persecuzioni del Novecento hanno prodotto numeri enormi di martiri: pensiamo allo sterminio  degli armeni e degli altri cristiani orientali nei territori dell’Impero Ottomano nel 1915, o alla persecuzione contro i cristiani di tutte le confessioni in Unione sovietica degli anni Venti-Trenta.

Dopo aver ricordato il 7 maggio del 2000 tutti i martiri e testimoni della fede in una celebrazione ecumenica presso il Colosseo, Giovanni Paolo II scelse la Basilica di San Bartolomeo all’Isola come Santuario in cui custodire e diffondere la memoria dei Nuovi martiri. Da allora la Basilica ha accolto circa duecento di reliquie di martiri da ogni parte del mondo, da Congregazioni religiose, Conferenze episcopali come anche da numerose Chiese ortodosse anglicane ed evangeliche: la testimonianza dei martiri è fonte di unità. Recentemente, per permettere l’esposizione delle numerosissime memorie di martiri pervenute, è stato aperto un Memoriale nella cripta medievale della Basilica, unico nel suo genere, con testi esplicativi, materiale video e iconografico. Visitata sia da Benedetto XVI che da Papa Francesco, la Basilica è divenuta un santuario di storia e memoria che unisce martiri antichi e nuovi.

A ventitré anni dal Giubileo del 2000 il martirio è forse mutato? Ed è possibile fare un paragone tra le persecuzioni contro i cristiani ai nostri giorni e quelle subite sotto l’impero romano? Per molto tempo si era guardato al fenomeno del martirio con dei criteri di giudizio molto restrittivi, che non tenevano conto del mutato contesto storico. Il cristiano è proclamato martire dalla Chiesa se viene ucciso da un persecutore in odio alla sua fede. Per molto tempo il modello per il discernimento del martirio era quello degli Atti dei martiri, raccolta di testi relativi ai cristiani condannati a morte dai tribunali dell’Impero romano. Alcuni di questi testi, scarni, sono considerati da molti studiosi come copia fedele dei verbali giudiziari romani. In essi viene riportato un interrogatorio in cui il giudice accerta l’effettiva appartenenza dell’imputato alla fede cristiana, per poi invitarlo a rinunciare ad essa oppure semplicemente a sacrificare (offrire dell’incenso) all’imperatore. Il rifiuto dell’imputato produceva la sua condanna a morte. L’odio del persecutore era palese, addirittura verbalizzato, così come il rifiuto del martire a rinnegare la sua fede, cosa che produceva la sua esecuzione.

Se facciamo un salto ai nostri giorni, vediamo come questo modello sia difficilmente efficace per la definizione di tutte le forme di martirio. Osservava già papa Benedetto XVI: “sono mutati i contesti culturali del martirio e le strategie “ex parte persecutoris”, che sempre meno cerca di evidenziare in modo esplicito la sua avversione alla fede cristiana o ad un comportamento connesso con le virtù cristiane, ma simula differenti ragioni, per esempio di natura politica o sociale.”[1] Inoltre non tutti i martiri sono uccisi per odio alla fede proclamata ma, come insegnava già San Tommaso d’Aquino, anche alla fede vissuta, cioè in odio alle virtù cristiane da essi praticate[2]. Anche Giovanni Paolo II ricordò questo punto essenziale parlando dei nuovi martiri come cristiani che “hanno provato la persecuzione, la violenza, la morte, per la loro fede e per il loro comportamento ispirato alla verità di Cristo.”[3]

Questo chiarimento teologico non deve sembrare di poca importanza. Esso hanno permesso di proclamare martiri i cristiani uccisi perché proteggevano famiglie di ebrei dai persecutori nazisti (come i coniugi Ulma, uccisi insieme con i loro sette figli e tutti proclamati martiri il 10 settembre scorso) o perché strappavano i giovani di Palermo alla rete mafiosa (come don Pino Puglisi) oppure perché difendevano dei poveri indios in Guatemala dalle violenze di un regime militare (come il beato missionario statunitense Stanley Rother). L’odio alla carità praticata verso i poveri e i deboli, alla speranza evangelica che opera per dare felicità a quanti sono nella oppressione, l’odio alla giustizia vissuta di fronte all’iniquità, alla fortezza in situazioni di evidente minaccia, è sempre odio alla fede.

Torna però la domanda: ma oggi i martiri sono più numerosi che nei primi secoli? La risposta è certamente affermativa per quanto riguarda il Novecento: già solo lo sterminio dei cristiani armeni e delle antiche chiese orientali avvenuto nel 1915 è calcolato intorno al milione e mezzo di vittime. Nessuna delle stime delle persecuzioni dei primi tre secoli di vita della Chiesa si avvicina lontanamente a tali cifre.

Ma nel XXI secolo? L’affermazione di Papa Francesco resta fondata, per diversi motivi. Innanzi tutto parliamo di una realtà ecclesiale mai così grande e diffusa nel mondo. Oggi la Chiesa cattolica è una realtà che coinvolge –secondo le statistiche diffuse dalla agenzia Fides il mese scorso- 1.375.852.000 fedeli in tutto il mondo. Il numero totale dei cattolici continua a crescere, anche se non ovunque. La Chiesa è presente in scenari complessi e spesso pericolosi, in contesti di conflitto, di dominio della criminalità organizzata, in paesi retti da dittature o da regimi senza rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa. Qui vi è una differenza sostanziale con il passato. Durante l’impero romano la persecuzione avveniva quasi sempre per impulso dell’autorità imperiale, quindi in un contesto determinato e retto da un sistema giuridico pur sempre tra i più avanzati al tempo; vi furono anche discontinuità e periodi di relativa tranquillità per la Chiesa. Ora invece la diversità dei contesti rende spesso le persecuzioni contro i cristiani iniziative di organizzazioni criminali, terroristiche, oltre che naturalmente di stati che non desiderano la presenza attiva della comunità cristiana. Tutto questo fa sì che le persecuzioni contro i cristiani nel mondo siano molteplici, di natura diversa tra loro, non limitate nel tempo, in taluni casi purtroppo iniziativa anche di gruppi molto ristretti di persone.

Per questi motivi, Papa Francesco ha ritenuto necessario costituire di nuovo una Commissione Nuovi martiri, presso la Congregazione per le cause dei Santi, per raccogliere la documentazione sui martiri dei primi 25 anni del XXI secolo, in vista del prossimo Giubileo: essa è chiamata a dare nomi e numeri del martirio cristiano del nostro tempo, come anche a definire i contesti in cui esso avviene. Già ora - limitando l’attenzione ai soli missionari, religiosi e operatori pastorali- l’agenzia Fides ha pubblicato un totale di 526 vittime dal 2001 al 2021. E’ un punto di partenza che sarà integrato dal lavoro della Commissione, che dovrà raccogliere materiale su tutti i martiri cristiani di questi anni, di ogni condizione e contesto. Attenzione particolare sarà rivolta ai martiri di altre Chiese e comunità cristiane, nella convinzione che “l’ecumenismo del sangue” come lo ha definito Papa Francesco[4] sia il richiamo più efficace a ricercare la via dell’unità.

Quali sono i contesti che producono il martirio oggi? Da una parte vi è la minaccia terroristica, presente non solo in Medio Oriente, come dimostra il caso di padre Jacques Hamel, prete francese ucciso da estremisti islamici nel 2016 mentre celebrava la liturgia a Saint-Étienne-du-Rouvray presso Rouen, in Francia. In molte parti del mondo essere cristiani significa rappresentare un obiettivo possibile per organizzazioni terroristiche in cerca di facili bersagli. Spesso anche la semplice partecipazione alla liturgia domenicale è un atto di grande coraggio: ricordiamo i tremendi attentati che scossero la città di Colombo, in Sri Lanka, nella domenica di Pasqua del 2019, colpendo alberghi ma in particolare due chiese cattoliche e una evangelica affollate di fedeli, con un totale di più di 250 morti.

Dall’altra molti cristiani vivono in contesti con una forte presenza delle organizzazioni criminali e del narcotraffico, che rende estremamente pericolosa qualsiasi attività di promozione umana e sociale della popolazione, o anche solo la propria presenza fisica in mezzo alla gente. Le mafie hanno interesse a confinare l’attività della Chiesa al solo culto, minacciando o colpendo quanti invece cercano di mutare la realtà che li circonda o sono testimoni scomodi dei loro crimini. Le organizzazioni criminali cercano anche di “sporcare” le loro vittime diffondendo false ricostruzioni della loro uccisione, spesso dipinta come prova del loro coinvolgimento in losche attività: così tentò di fare Cosa Nostra dopo aver assassinato don Pino Puglisi.

Inoltre molte comunità cristiane vivono in contesti di guerra, spesso civile o magari etnica, che espongono al pericolo quanti desiderano, in nome del Vangelo, soccorrere o difendere le vite dei più deboli. Due suore del Sud Sudan, suor Mary Daniel Abut e suor Regina Roba Luate, sono state uccise in una imboscata nel 2021; secondo alcune testimonianze i loro assassini volevano terrorizzare le popolazioni presenti attorno alla loro missione per produrne l’esodo, nella logica della guerra etnica. Essere fedeli al proprio popolo, non abbandonarlo nell’ora del pericolo, in molti contesti produce il martirio. A tutte queste situazioni vanno aggiunti quei paesi retti da regimi autoritari, e non sono pochi, nei quali il solo essere cristiani è una condizione che può produrre arresto, persecuzione, perdita dei diritti civili, espulsione, ed in caso estremo la morte.

Papa Francesco ha ragione, mai come oggi la Chiesa vede i suoi figli martirizzati in diversi contesti nel mondo. Ma il loro esempio è una testimonianza luminosa per tutta la Chiesa: come ha affermato Papa Francesco visitando San Bartolomeo all’Isola, Santuario dei Nuovi martiri: “L’eredità viva dei martiri dona oggi a noi pace e unità. Essi ci insegnano che, con la forza dell’amore, con la mitezza, si può lottare contro la prepotenza, la violenza, la guerra e si può realizzare con pazienza la pace.”[5]

 

L’Avvenire, 20 novembre 2023

 

Don Angelo Romano

Rettore della Basilica di San Bartolomeo all’Isola

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[1] Benedetto XVI, Lettera ai partecipanti alla Sessione plenaria della Congregazione delle Cause dei Santi, 24 Aprile 2006.

[2]“[…] tutte le azioni virtuose in quanto si riferiscono a Dio, sono altrettante professioni di fede: di quella fede per cui veniamo a sapere che Dio vuole da noi quelle opere buone, e che ci ricompenserà per esse. E in questo senso tali opere possono essere causa di martirio.” Summa Theol. II-II q.124 a 5.

[3]Giovanni Paolo II, Commemorazione dei testimoni della fede del Secolo XX, Colosseo, 7 maggio 2000.

[4] Lettera del Santo Padre Francesco com cui costituisce la “Commissione dei Nuovi Martiri – Testimoni della Fede” presso il Dicastero delle Cause dei Santi, 3 luglio 2023.

[5] Liturgia della Parola presieduta dal Santo Padre Francesco nella Basilica di S. Bartolomeo all’Isola Tiberina, in memoria dei “Nuovi Martiri” del XX e XXI secolo, 22.04.2017

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Box Basilica di San Bartolomeo all’Isola

La Basilica di San Bartolomeo all’isola venne fondata nel 998 dall’imperatore Ottone III, ampliando una preesistente Chiesa dal nome di San Salvatore de Insula. In essa vennero accolte importanti reliquie, il corpo dell’Apostolo Bartolomeo, di San Paolino da Nola e di Sant’Adalberto vescovo di Praga, morto missionario tra popolazioni ancora pagane dell’est europeo, dopo avere contribuito alla nascita della Polonia cristiana. Danneggiata più volte dalle acque del Tevere, ma sempre ricostruita, San Bartolomeo racchiude al suo interno importanti testimonianze di storia e di arte, a cominciare dal pozzo collocato davanti all’altare maggiore: presente già in un complesso templare dedicato ad Esculapio, il pozzo venne inglobato nell’edificio cristiano, ma impreziosito da una vera di pozzo marmorea, capolavoro del X secolo, con bassorilievi rappresentanti Cristo, San Bartolomeo, Sant’Adalberto e l’imperatore Ottone III. L’altare maggiore è costituito da imponente una vasca di porfido di età imperiale, donata alla Basilica nel XVI secolo, che custodisce il corpo dell’Apostolo. Nella cappella detta “Santa” è invece da notare un affresco della Madre di Dio del XII secolo, testimonianza degli imponenti restauri di Papa Pasquale II. Il corpo di Sant’Adalberto è custodito nella cappella a lui dedicata. Dal 1993 la Basilica è affidata alla Comunità di Sant’Egidio. Dal 2002, nelle sei cappelline laterali della Basilica sono esposte circa cinquanta memorie di Nuovi martiri, divisi per aree geografiche e tematiche, provenienti dai ogni continente: cattolici, ortodossi, anglicani ed evangelici, uniti dal sangue versato per il Vangelo. Sull’altare maggiore è presente una Icona dei Nuovi martiri, lettura della loro testimonianza alla luce del libro dell’Apocalisse.