Omelia nella Beatificazione di Józef e Wiktoria Ulma e dei loro sette figli

 

Un esempio di “santità della porta accanto”

Omelia nella Beatificazione di Józef e Wiktoria Ulma e dei loro sette figli

 

1. Abbiamo appena sentito le parole di Gesù, a conclusione della parabola del buon samaritano: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10, 37). È noto come Józef e Wiktoria Ulma abbiano dedicato a questo frammento del Vangelo di Luca un’attenzione particolare, sottolineando il titolo in rosso, sulla Bibbia di famiglia ed annotandovi accanto il loro «Sì».

Come ha scritto San Giovanni Paolo II, la parabola dell’uomo incappato nei briganti racconta la capacità della sofferenza di «sprigionare nell’uomo l’amore, proprio quel dono disinteressato del proprio “io” in favore degli altri uomini»[1]. Tale carità è al centro della nostra odierna celebrazione. Sarebbe fuorviante se il giorno della beatificazione della famiglia Ulma servisse solo a riportare alla memoria il terrore per le atrocità perpetrate dai loro carnefici, sui quali per altro già pesa il giudizio della storia. Vogliamo invece che oggi sia un giorno di gioia, perché la pagina del Vangelo scritta sulla carta è divenuta per noi una realtà vissuta, che luminosamente risplende nella testimonianza cristiana dei coniugi Ulma e nel martirio dei nuovi Beati.

Nel 1942 Józef e Wiktoria Ulma aprirono le porte della loro casa e diedero accoglienza a otto ebrei, perseguitati dal regime del nazismo tedesco. Oggi, insieme ai nuovi Beati, vogliamo ricordare anche i loro nomi. Si è trattato di Saul Goldman con i loro figli Baruch, Mechel, Joachim e Mojżesz nonché di Gołda Grünfeld e Lea Didner insieme con la piccola figlia Reszla. Questo gesto di Józef e Wiktoria fu in obbedienza al comando del Signore. Fu un «sì» alla volontà di Dio. La loro casa diventò quella locanda in cui l’uomo disprezzato, reietto e colpito a morte fu ospitato e curato. [WB1] Poté così continuare a vivere. Senza una cura premurosa infatti l’uomo viene meno: la cura fa talmente parte dell’essenza umana, che rende possibile l’esistenza proprio in quanto umana. Per questo gesto di accoglienza e premura – in una parola: di carità – scaturito dalla loro fede sincera, i coniugi Ulma pagarono, insieme ai più piccoli della loro famiglia, il prezzo supremo del martirio: le loro vite furono la moneta preziosa, con cui suggellarono la gratuità del dono totale di sé nell’amore.

2. Per comprendere in pieno l’eroica decisione di Józef e Wiktoria occorre dunque scrutare il cammino spirituale da loro compiuto fino a quel momento. A partire dal loro carattere: l’uno onesto, laborioso e desideroso di mettersi a disposizione degli altri; l’altra cordiale, mite, sensibile alle necessità altrui. E poi la loro continua crescita nell’amore di Dio e del prossimo, fra le attività della parrocchia e la vita paesana di Markowa. Non possiamo non sentire anche noi la forza coinvolgente della loro testimonianza cristiana, che trasmisero ai loro bambini Stanisława di 8 anni, Barbara di 7 anni, Władysław di 6, Franciszek di 4, Antoni di 3 e Maria di 2, fino a quello più piccolo, che veniva alla luce nei momenti della morte martiriale della madre. La peculiarità dell’odierna beatificazione consiste anche nel fatto che viene innalzata agli onori degli altari un’intera famiglia, unita non soltanto dai legami di sangue, ma anche dalla comune testimonianza data a Cristo fino al dono della propria vita.

3. Il tema dell’accoglienza si propone come filo rosso che unisce i molteplici aspetti della vita e del martirio della famiglia Ulma. In esso troviamo dipanarsi una ricchezza di messaggi, che oggi desideriamo raccogliere come frutto della loro testimonianza.

I nuovi Beati ci insegnano, prima di tutto, ad accogliere la Parola di Dio e sforzarci ogni giorno per compiere la sua volontà. Gli Ulma la ascoltavano come famiglia nella liturgia domenicale e poi prolungavano la sua meditazione a casa, come si evince dalla Bibbia da loro letta e sottolineata: è molto significativa la parola «Sì» annotata a mano presso la parabola del buon samaritano – come già si è detto – e la sottolineatura dell’invito di Gesù ad amare anche i propri nemici (Mt 5, 46).[WB2]  Così dall’ascolto della Parola del Signore fu plasmato, di giorno in giorno, il loro coraggioso programma di vita. In essi ha operato perfettamente la grazia santificante del Battesimo, dell’Eucaristia e degli altri sacramenti, fra i quali emerge in maniera evidente la bellezza e la grandezza del sacramento del Matrimonio. Vissero dunque una santità non soltanto coniugale, ma compiutamente familiare. A loro ben si addice l’antica definizione di San Giovanni Crisostomo, che parlava della casa come della «ἐκκλησία μικρὰ», piccola chiesa[2]; la stessa che il Concilio Vaticano II, nella costituzione dogmatica sulla Chiesa, chiama «Ecclesia domestica»[3], alla quale Dio ha concesso a tal punto tutti i mezzi della sua grazia, da renderla segno e incarnazione dell’intero Popolo di Dio. La casa degli Ulma divenne luogo di quella che Papa Francesco chiama «santità della porta accanto» quando, nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo ha scritto: «Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa. (…) In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”»[4]. Nella testimonianza e nel martirio dei coniugi Ulma e dei loro figli riscopriamo la grandezza della famiglia, luogo di vita, d’amore, di fecondità. Riscopriamo la grandezza della missione che il Creatore ha affidato agli sposi e ripetiamo le parole di San Giovanni Paolo II che egli indirizzò alle famiglie del 1994: «Nella Chiesa e nella società questa è l’ora della famiglia. Essa è chiamata ad un ruolo di primo piano nell’opera della nuova evangelizzazione»[5].

Ancora di più, nel martirio dei nuovi Beati occupa un ruolo di particolare suggestione la piccola creatura che Wiktoria portava in grembo e che veniva alla luce nel travaglio della carneficina della madre. Il piccolo non ebbe ancora un nome, eppure noi oggi già lo chiamiamo Beato. Questa beatificazione ha un messaggio più che mai attuale: senza avere mai pronunciato una parola, oggi il piccolo Beato, mentre nel Paradiso canta, con gli angeli e i Santi, le glorie a Dio Trinità, qui sulla terra grida al mondo moderno di accogliere, amare e proteggere la vita, specialmente quella degli indifesi e degli emarginati, dal momento del suo concepimento fino alla morte naturale. E’ la sua voce innocente che vuole scuotere le coscienze di una società dove dilaga l’aborto, l’eutanasia e il disprezzo della vita vista come un peso e non come un dono. La famiglia Ulma ci incoraggia quindi a reagire a quella «cultura dello scarto», che Papa Francesco denuncia quando dice: «Noi rinneghiamo la speranza: la speranza dei bimbi che ci portano la vita che ci fa andare avanti, e la speranza che è nelle radici che ci danno gli anziani. (…) Non è un problema di una legge o dell’altra, è un problema dello scarto»»[6].

La testimonianza di Józef e Wiktoria Ulma e dei loro bambini ci insegna infine l’accoglienza dell’altro, specialmente di chi è più bisognoso. Riferendosi alla parabola del buon samaritano, San Girolamo ha scritto: «Dobbiamo accogliere il fratello e il prossimo, anzi tutti gli uomini di ogni stirpe, perché abbiamo un solo Padre»[7]. L’accoglienza è espressione di fraternità.

Per questo desidero salutare con viva cordialità i rappresentanti della comunità ebraica, oggi presenti a questo rito di beatificazione. La loro partecipazione non è solo espressione di nobili sentimenti di gratitudine per quanto i nuovi Beati hanno fatto, mentre in Europa – e specialmente qui, in Polonia – imperversava ad opera dell’occupante tedesco [WB3] la furia di quella che veniva chiamata la «soluzione finale[WB4] ». Questa riunione di famiglie ebree e una famiglia cattolica nello stesso martirio ha un significato molto profondo e offre la luce più bella sull’amicizia ebraico-cristiana, a livello sia umano, sia religioso. Infatti, l’odio dei persecutori per gli ebrei era, al suo livello più profondo, l’odio per il Dio dell’Alleanza, l’Antica e la Nuova nel sangue di Cristo. [WB5]  Potremmo dire oggi che, con la concretezza del loro gesto, la famiglia Ulma, come anche le altre persone di buona volontà che avevano aiutato gli ebrei, hanno [WB6] anticipato gli insegnamenti del Concilio Vaticano II, di San Paolo VI e di San Giovanni Paolo II, proponendosi di vivere l’atteggiamento di chi abbatte i muri e abbraccia con la carità fraterna.

L’accoglienza del prossimo è poi un compito quanto mai urgente a motivo delle violenze e delle devastazioni causate dalla guerra. L’invasione russa dell’Ucraina, per la quale si combatte ormai da 18 mesi, ha spinto alla fuga un grande numero di profughi, che hanno bussato alle porte della Polonia in cerca di un rifugio sicuro. In questo difficile contesto diverse istituzioni governative centrali e amministrazioni locali nonché[WB7]  migliaia di persone, di semplici famiglie, in modo spontaneo, hanno aperto le porte delle loro case per accogliere chi ha dovuto fuggire dalla propria. Con particolare ammirazione e speciale riconoscenza pensiamo alle molteplici iniziative svolte dalla Caritas di questa Arcidiocesi di Przemyśl, così come di quelle promosse dalla stessa istituzione in tutta la Polonia. La vasta e corale partecipazione di operatori e volontari per fronteggiare l’emergenza umanitaria ha assunto una proporzione e un significato straordinari. Situazioni simili, purtroppo, si ripetono anche in altre parti del mondo e creano folle di rifugiati che cercano giusta accoglienza presso gli altri. L’intercessione dei nuovi Beati e la loro testimonianza di carità evangelica incoraggi tutti gli uomini di buona volontà a diventare «operatori di pace» (Mt 5, 9), aprendo le porte e coinvolgendosi con l’altro, con le sue sofferenze fisiche e morali, facendosi carico della sua lontananza dalla propria casa e dai propri affetti, offrendo un rimedio alle ferite che il rifiuto o l’incomprensione comportano. Già molto tempo prima dello scoppio di questa guerra, Papa Francesco aveva detto: «Di fronte alla sofferenza di così tanta gente sfinita dalla fame, dalla violenza e dalle ingiustizie, non possiamo rimanere spettatori. Ignorare la sofferenza dell’uomo, cosa significa? Significa ignorare Dio! Se io non mi avvicino a quell’uomo, a quella donna, a quel bambino, a quell’anziano o a quell’anziana che soffre, non mi avvicino a Dio»[8].

4. Cari fratelli e sorelle, «il martire – scriveva san Giovanni Paolo II – è il più genuino testimone della verità sull’esistenza. Egli sa di avere trovato nell'incontro con Gesù Cristo la verità sulla sua vita e niente e nessuno potrà mai strappargli questa certezza. Né la sofferenza né la morte violenta lo potranno fare recedere dall’adesione alla verità che ha scoperto nell'incontro con Cristo. Ecco perché fino ad oggi la testimonianza dei martiri affascina, genera consenso, trova ascolto e viene seguita»[9]. La celebrazione di oggi è il punto di arrivo di una costante fama di santità e martirio che le Chiese della Precarpazia, e più in generale dell’intera Polonia, hanno custodito e saputo coltivare. è, però, anche un momento di doveroso ricordo e sentito ringraziamento nei riguardi di tanti altri vostri connazionali che in quei tempi, consapevoli del rischio che correvano, hanno dato rifugio agli ebrei, pagando per questa scelta con la loro vita. In tutti noi, invece, oggi qui presenti, la testimonianza martiriale della famiglia Ulma susciti il desiderio sincero di professare e vivere con coraggio la nostra fede.

5. La famiglia Ulma oggi si unisce alla valorosa e ricca schiera dei figli della nazione polacca divenuti, nella storia antica come in quella più recente, Santi e Beati. La testimonianza della loro vita viene proposta come esempio e modello da imitare. Essi ci sono offerti anche come intercessori presso il Signore, così che possiamo affidare loro la nostra quotidianità, le nostre speranze, le gioie, le necessità e le preoccupazioni. Alla Vergine Santissima, Regina della Polonia, ai Santi e Beati di questa nazione e, da oggi tutti insieme pubblicamente, alla famiglia Ulma affidiamo un’accorata preghiera per la famiglia umana e per la pace nella vicina Ucraina.

Beati Józef e Wiktoria, insieme ai figli Stanisława, Barbara, Władysław, Franciszek, Antoni, Maria ed al più piccolo che veniva alla luce del mondo nel momento del martirio di sua madre, pregate per tutti noi!

 

Markowa (Polonia) – 10 settembre 2023

 

Marcello Card. Semeraro

 

__________

[1] Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 29.

[2] Giovanni Crisostomo, Omelia sulla Lettera agli Efesini 20, 6; PG 62, 143.

[3] Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen gentium 11.

[4] Francesco, Gaudete et exsultate, 7.

[5] Giovanni Paolo II, Discorso all’Incontro mondiale con le famiglie, 8 ottobre 1994.

[6] Francesco, Discorso all’Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, 27 settembre 2021.

[7] Girolamo, Commento a Zaccaria, VII, 8; PL 25, 1462.

[8] Francesco, Udienza generale, 27 aprile 2016.

[9] Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, 32.

 

 

 [WB1]W czasie spotkanie z Naczelnym Rabinem Polski, zwrócił on uwagę na to, że w tradycji niezywkle ważnym znakiem pamięci o zmarłych jest wymienienie ich z imienia i nazwiska. Stąd nasza sugesti, by w homilii rozstrzelani wraz z rodziną Ulmów Żydzi tak właśnie zostali wymienieni. Proponujemy w ten sposób: Nel 1942 Józef e Wiktoria Ulma aprirono le porte della loro casa e diedero accoglienza a otto ebrei, perseguitati dal regime del nazismo tedesco. Byli to: kupiec z Łańcuta Saul Goldman z synami Baruchem, Mechelem, Joachimem i Mojżeszem oraz sąsiadki Ulmów z Markowej, a zarazem córki Chaima Goldmana – krewnego wspomnianego wyżej Saula: Gołda Grünfeld i Lea Didner wraz z małą córeczką o imieniu Reszla. Questo gesto di Józef i Wiktoria Ulma fu in obbedienza al comando del Signore. Fu un «sì» alla volontà di Dio. La loro casa diventò quella locanda in cui l’uomo disprezzato, reietto e colpito a morte fu ospitato e curato....

 

 

 [WB2]Ks. Arcybiskup zwrócił uwagę – o czym rozmawialiśmy z Księdzem – że u bratanka Józefa Ulmy znalazły się jakies zapiski Józefa. Stąd może lepiej zmienić zdanie: non esiste praticamente nessuno scritto dei nuovi Beati, ad eccezione del «Sì».

Ponadto ten dopisek: «Tak» znajduje się tylko pod tytułem przypowieści o miłosiernym Samarytaninie. Fragment natomiast z Mt 5, 46 jest podkreslony na czerwono, ale nie ma przy nim dopisku: «Tak».

 

 

 [WB3]Proponujemy taką zmianę, bo sformułowanie o nazistach jest nieprecezyjne.

 

 

 [WB4]Proponujemy, by doprecyzować, że Polsce jako jedynym kraju okupowanym przez Niemców w czasie II wojny światowej istniało i było egzekwowane okrutne prawo w imię którego za jakąkolwiek pomoc udzieloną Żydom (od 1941 roku) karano śmiercią. Od 1942 roku natomiast prawo stało się jeszcze bardziej bezwzględne, tzn. za niepoinformowanie Niemców, że gdzieś ukrywają się Żydzi również karano śmiercią.

 

 

 [WB5]Ks. Arcybiskup zwrócił uwagę, że środowiska żydowskie nie bardzo lubią to określenie: “starsi bracia”. Może dać np. (fragment refleksji o. Léthel’a): Questa riunione di tre famiglie ebree e una famiglia cattolica nello stesso martirio ha una significato molto profondo e offre la luce più bella sull’amicizia giudeo-cristiana. La persecuzione dell’occupante tedesco era spinta da un odio che era allo stesso tempo odio della fede (odium fidei) e odio della carità (odium caritatis). L’odio dell’occupante tedesco per gli ebrei era, al suo livello più profondo, l’odio per il Dio dell’Alleanza, l’Antica e la Nuova nel sangue di Cristo.

 

 

 [WB6]Proponujemy dodac te kilka słów zaznaczone na czerwono.

 

 

 [WB7]Proponujemy dodać w tym miejscu tych kilka słów na czerwono.