Omelia nella II Domenica di Pasqua

 

Beati quelli che non vedono, ma credono

Omelia nella II Domenica di Pasqua

 

«Abbiamo visto il Signore!» (Gv 20,25). È l’esclamazione gioiosa che abbiamo udito dalle labbra degli apostoli nella proclamazione del vangelo di questa Domenica II di Pasqua. È questo che i discepoli comunicano subito a Tommaso, che non era con loro in quella esperienza tanto bella, tanto gioiosa.

«Abbiamo visto il Signore!». In realtà quei suoi compagni Gesù non lo avevano soltanto veduto; altre cose, infatti, erano accadute. C’era stato il dono della pace: per ben due volte il Risorto aveva detto loro: «Pace a voi!». La pace biblica è il dono dell’armonia, della riconciliazione, della ricomposizione in forma corretta e benevola delle relazioni… Di tutte le relazioni. Anche quelle sociali, economiche, politiche. E quanto bisogno non abbiamo anche noi, oggi, di questa pace?

Poi c’era stata una missione: «… io mando voi». C’era stato soprattutto il dono dello Spirito. È la pentecoste del quarto vangelo! Gesù «soffia» sui discepoli e dona loro lo Spirito. Il gesto ci ricorda quello della creazione dell’uomo, quando Dio – come leggiamo nel libro della Genesi – dopo averlo plasmato con l’argilla soffiò nelle sue narici un alito di vita… «E l’uomo diventò un essere vivente» (cf. Gen 2,7). Con il suo gesto Gesù vuole dire che soltanto adesso la creazione conosce il suo pieno compimento: con la Pasqua noi tutti siamo «ri-creati»; con la sua Risurrezione Gesù ci rende uomini «nuovi». Era avvenuto tutto questo, ma a Tommaso gli altri amici avevano saputo dire soltanto: «Abbiamo visto il Signore!».

Eppure in questa frase c’è davvero tutto, poiché si tratta del mistero del volto. Volto, infatti, è la parte del corpo attraverso cui la persona può guardare, volgersi verso qualcuno, o qualcosa e vederla. Nella lingua greca, come pure in quella latina e, di conseguenza, anche nella nostra lingua italiana il volto è quella parte del corpo che permette alla persona di vedere. Esso, però, è anche la parte del corpo che permette di essere visti e identificati sicché è anzitutto dal volto che si definisce la nostra identità. Anche la festa che oggi qui stiamo celebrando ci riporta a una identità: quella di Gesù e quella nostra. Il volto santo ci porta a riconoscere Gesù. Mistero del volto santo, però, è pure la consapevolezza che su di noi c’è lo sguardo amorevole e misericordioso di Gesù. È quanto richiama la bella preghiera composta per voi dal beato Pio IX in onore del volto santo.

Torniamo, però, al racconto del santo vangelo. A Tommaso, riunito con i suoi compagni, vedere non bastò. Voleva qualcos’altro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Ed ecco che Gesù acconsente: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco…». Ci meraviglia questa accondiscendenza di Gesù. Egli accetta, si muove incontro; sembra, addirittura, che voglia egli stesso toccare Tommaso, che cerchi egli stesso un contatto con lui. È la stranezza della fede! Quanto più essa vacilla in noi, tanto più Gesù si fa vicino e si dona con amore.

Cosa poi sia accaduto non lo sappiamo. Tommaso ha davvero messo la sua mano nel fianco del Signore? Con la memoria continuiamo a contemplare lo sguardo stupito col quale lo ha dipinto il Caravaggio, mentre mette il dito nel costato aperto del Signore… Al riguardo, però, il quarto vangelo non dice nulla. Sembra, anzi, voglia farci intendere che Tommaso non lo ha fatto. Gesù, infatti, gli dice: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto…».

Il quarto evangelista ci riferisce, però, la meravigliosa espressione di fede di Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Sono parole a me molto care: non perché le abbia lette nel vangelo, ma perché me le insegnò la mia Mamma prima ancora che imparassi a leggere. Quand’ero bambino ella m’insegnò a ripetere, nel momento della elevazione dell’Ostia consacrata e del Calice col Vino consacrato durante la Messa: «Signore mio e mio Dio»! Sono le parole che ancora oggi sempre mentalmente ripeto, quando celebro la Santa Eucaristia. Quest’anno ricorrono i 750 anni dalla morte di san Tommaso d’Aquino. Di lui il suo biografo, Guglielmo di Tocco, narra che al momento dell’elevazione del Corpo del Signore egli era solito recitare, con grande devozione e tra le lacrime: O Cristo, re della gloria, eterno figlio del Padre (cf. Vita, cap. 58). Io non ho certo la devozione di questo grande Dottore della Chiesa, ma come l’apostolo Tommaso divenuto credente ripeto: Signore mio e mio Dio.

Gesù gli risponde con una beatitudine: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» (Gv 20,29). È il momento centrale, l’asse su cui ruota tutto il racconto evangelico che abbiamo ascoltato. Vedere Gesù ed essere visti da Lui è sì importantissimo. Ma Gesù aggiunge qualcosa: oltre alle piaghe del mio corpo crocifisso e risorto ci sono altre piaghe da vedere e riconoscere: sono quelle del mio corpo che è la Chiesa! Per vedere e riconoscere queste piaghe non bastano gli occhi del corpo. C’è bisogno dell’occhio della la fede.

Anche questo, fratelli e sorelle, deve ricordarci il mistero del volto santo: riconoscere Gesù nel fratello, specialmente nel povero, nel disprezzato, nell’umiliato. Ci sono, certo, delle filosofie che sottolineano il tema del «volto» spiegandolo come relazione interpersonale e come responsabilità etica. Gesù, però, vuole che ci ricordiamo del volto santo che sono i poveri. Traggo, allora, dal Messaggio di papa Francesco per la V Giornata Mondiale dei Poveri (14 novembre 2021) le parole con le quali concludere: «Tutta l’opera di Gesù afferma che la povertà non è frutto di fatalità, ma segno concreto della sua presenza in mezzo a noi. Non lo troviamo quando e dove vogliamo, ma lo riconosciamo nella vita dei poveri, nella loro sofferenza e indigenza, nelle condizioni a volte disumane in cui sono costretti a vivere… Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro».

 

Tagliacozzo (Aq), 7 aprile 2024 – Festa del Volto Santo

 

Marcello Card. Semeraro